18 -
Involontariamente premurosa
Fu la prima volta che ti preoccupasti per me
Aveva un piano.
La prossima volta che fosse finito preda di uno dei suoi
'episodi', avrebbe evitato di combatterlo. Si sarebbe lasciato andare.
Ovviamente avrebbe funzionato meglio se gli fosse accaduto
quando non era
addormentato. Nel momento in cui si fosse accorto che stava per
travolgerlo il solito mal di testa lancinante, invece di opporsi,
doveva cadere nel sogno e cercare di viverlo pienamente.
Il suo obiettivo era riuscire a muoversi come diceva lui -
colpendo tre volte col pugno la prima superficie disponibile - per
sentire di non essere stato completamente
soverchiato.
Stava per succedere qualcosa di grosso.
Sognava la principessa anche due volte a notte oramai, ma
soprattutto aveva la sensazione che la verità che gli era
sfuggita per anni fosse a portata di mano, ad un passo da lui. Se per
agguantarla doveva fingere di essere Tuxedo Kamen,
così
fosse.
Era ora di farla finita, voleva riprendere in mano la propria
vita.
Gli accadde un pomeriggio sul tardi, mentre andava a fare la
spesa.
Il dolore esplose dal centro della nuca, lasciandogli appena il tempo
di boccheggiare.
Si gettò all'interno di un vicolo, ansimando.
Okay,
si disse. È
come un ottovolante. Afferra la maniglia e accetta che la corsa sta per
cominciare. Non cercare di uscire dal veicolo...
Quando riemerse, inspirò una boccata d'aria
rigenerante.
Percepì l'aria nei polmoni, ma provò un vago
senso di
nausea nel guardarsi intorno. Il suo corpo si stava alzando senza che
fosse lui a deciderlo. Era come trovarsi su una barca che non stava
conducendo. Indossava uno smoking e sulla testa sentiva il peso di un
cappello.
Lasciò che Tuxedo Kamen facesse come voleva
all'inizio e si diresse assieme a lui verso l'uscita opposta
del vicolo, sicuro della direzione che
doveva prendere. Appena prima di uscire in strada provò a
chiedergli un solo
istante - per favore. Avrebbe svolto meglio il suo
compito se si prendeva un secondo per fare una cosa.
Tuxedo Kamen smise di avanzare a un metro dallo sbocco sul
marciapiede e Mamoru colpì il muro scrostato
dell'edificio adiacente, tre volte. Il suono delle sue nocche contro il
cemento tornò alle sue orecchie chiaro e nitido.
Soddisfatto?
Sì, era soddisfatto. E gli era parso di esserselo
chiesto da solo.
Riprese la sua corsa, spuntando davanti a una signora
che
lanciò un urlo nel vederlo lanciarsi in strada, davanti a
due
auto che scansò in scioltezza. Galvanizzato, Mamoru
capì
di non avere paura. Era velocissimo, non
c'era nulla da temere.
Dopotutto, non era il pericolo in cui
si metteva quello che lo spaventava di più. Si era
risvegliato e si stava muovendo, dotato dei suoi poteri,
perché doveva assolutamente salvare la ragazza che lo stava
inconsciamente richiamando.
Non dovette chiedersi nemmeno perché fosse
necessario.
Lei aveva quelle due lunghe code bionde, emanava il profumo
della sua
principessa e a volte era inerme contro il male. Per forza doveva
aiutarla. Se l'avesse persa...
Che cosa sarebbe successo? Come si sarebbe sentito?
Non voleva scoprirlo. In pochissimo tempo -
circa due minuti - fu sul luogo dello scontro. Aveva fatto in tempo
questa volta, non sempre gli riusciva di essere presente. Al centro del
cimitero in cui era giunto, una creatura enorme e mascolina, abbigliata
come un lottatore di boxe, stava attaccando Sailor Moon.
Senza fermarsi a pensare, Mamoru saltò
giù dal muro di
cinta, sgattaiolò tra le lapidi di pietra e
afferrò la guerriera della luna tra le braccia un istante
prima che lei venisse colpita da
un guantone volante. I detriti di un'esplosione lo colpirono alle
spalle, facendogli stringere più forte la ragazza.
Non si focalizzò sui ringraziamenti di lei. Che
vigliaccata colpire in modo tanto violento una donna!
Atterrò sulla cima di una lapida sottile,
bilanciando senza
problemi il peso suo e di Sailor Moon. Osservò il suo
nemico:
aveva ali e piedi da aquila e indossava un ridicolo costume
da boxeador, con tanto di fascia da campione alla cinta.
«Un vero pugile non colpisce le belle
fanciulle» lo
schernì. «Non sai che le ragazze si cingono con
dolcezza tra le
braccia?»
A parlare era stato il suo lato Tuxedo Kamen, ma Mamoru
non si pentì delle parole smielate. Si sentiva nobile in
quei
panni, un gentleman che combatteva contro una manica di bruti.
Adagiò la fanciulla al suolo senza più badarle:
gli toccava
combattere da uomo a uomo contro il mostro.
Il bestione corse nella sua direzione e lui scelse di
attaccarlo
dall'alto. Balzò in aria, rimanendo sospeso come se volasse,
e
sfoderò il bastone. A volte, quando lo impugnava, sentiva di
brandire una spada. Il boxeador lo attaccò con una scarica
continua di guantoni, che lui respinse al mittente facendo roteare il
suo fedele attrezzo. Sembrava un'estensione del suo corpo - parte di
lui
sin da che aveva indossato quel costume.
Lasciarsi andare alla personalità di Tuxedo Kamen
lo faceva sentire vivo.
Non combatté a lungo da solo. Proprio mentre il
nemico stava
per impegnarlo in uno scontro ravvicinato, la sua attenzione fu
distratta da un nuovo arrivo: una guerriera Sailor - una nuova
guerriera Sailor, dal costume verde e rosa, che lo attendeva fiera
dall'altra
parte del campo.
Mamoru non sentì il bisogno di intervenire ad
aiutarla: non seppe
perché, ma anche se lei era una ragazza, gli sembrava per
istinto
che fosse capace di cavarsela da sola. Così fu: la
pletora di fulmini che lanciò addosso al mostro
spaventò
persino lui.
Si ritrasse e il suo sguardo fu catturato da un luccicchio
che giungeva dal suolo, nascosto tra i fili di un ciuffo d'erba.
Alle sue spalle Sailor Moon stava lanciando il suo attacco
finale -
un nuovo attacco da quel che udiva, ma non gliene poteva importare di
meno.
Il luccicchio. Proveniva da una pietra brillante color
arancio, che chiamava a sé la sua anima.
È il cristallo
d'argento? Sei il cristallo d'argento?
Quando lo prese in mano, fu come essere attraversato da un
lampo di luce - chiarezza assoluta.
La flebile dissociazione che aveva percepito nei panni di
Tuxedo
Kamen scomparve. Si ritrovò nel pieno controllo dei
propri arti e della propria mente - mentre era ancora mascherato!
Non perse tempo a ragionarci, si voltò verso il
generale
nemico, sospeso in aria. Sapeva che quell'individuo stava cercando
quello che lui aveva
appena recuperato.
«Spiacente!» gli gridò beffardo
dal suolo. «Il cristallo dell'arcobaleno viene via con
me!»
Concluse col suo saluto d'ordinanza - Sarabada, Addio - senza
neppure pensarci. Scappò via, prima che qualcuno potesse
intralciarlo.
Doveva cercare un posto tranquillo - non riusciva a crederci -
doveva testare ciò che aveva appena compreso...
Corse senza fermarsi, senza fine, per essere sicuro che
nessuno potesse portargli via il
cristallo. Era stato l'oggetto a rivelargli il proprio nome, appena lo
aveva preso in mano. Mamoru non voleva più lasciarlo andare.
Giunse sul molo di un porto e finalmente smise di correre,
abbassando lo sguardo.
Stringeva tra le dita la verità.
Guardando i riflessi arancioni del cristallo si impose di
rilassarsi, di lasciarsi andare... proprio come quando si era
abbandonato a Tuxedo Kamen, ma questa volta accadde il contrario: si
abbandonò a Mamoru, alla persona che era veramente. A chi
era
sempre stato.
Lo smoking svanì e si ritrovò nei propri
panni, coi vestiti con cui era uscito di casa.
«Ora so chi sono» dichiarò. Lo
disse ad alta voce, per udire la voce di Tuxedo Kamen, che era anche la
sua.
Era Mamoru e
Tuxedo Kamen.
Non si era inventato niente.
Non era pazzo.
Non aveva mai sognato, era tutto vero.
Lui... aveva dei superpoteri. Lui aveva una principessa da
cercare.
Lui stringeva nella mano una delle chiavi che gli avrebbero
permesso
finalmente
di dipanare il mistero dei sogni che lo avevano tormentato
sin da ragazzino.
Si sedette al suolo, lasciò che le gambe
sporgessero oltre la banchina del porto.
Si sentiva più sollevato e libero che mai. La
verità era ad un passo da lui - ad un passo.
Io sono Tuxedo
Kamen, si ripeté in testa.
Smise lentamente di sorridere.
Non era pazzo, dunque. Ma in fin dei conti, non era
nemmeno del tutto umano.
Rimase a fissare il cristallo per ore, poi calò il
buio.
Il giorno dopo si trascinò
all'università con due
occhiaie così profonde che persino uno dei professori gli
chiese
se avesse chiuso occhio quella notte.
La risposta era no. Era difficile addormentarsi quando
d'improvviso si metteva in discussione la propria appartenenza alla
specie umana. Faceva parte di un sottogruppo di ominidi? Rappresentava
una branca dell'evoluzione, o piuttosto una specie estinta proveniente
da un passato lontano, di cui era uno degli ultimi superstiti?
In quel caso, non era solo quantomeno. Le guerriere Sailor
erano come lui, creature straordinarie con poteri magici - persino
più forti dei suoi.
Avrebbe potuto avvicinarle e chiedere loro delucidazioni, ma
d'istinto gli pareva un'idea incauta. Quella tra loro con cui aveva
più
confidenza era Sailor Moon e lei sembrava sapere pochissimo di
qualunque cosa.
Lui la ricordava ancora, durante il primo combattimento, quando per
difendersi si era messa a piangere a squarciagola, emettendo ultrasuoni
che l'avevano salvata.
Sailor Moon era come un pulcino che si era addentrato nella
tana di una volpe, vagando sperduto. Non avrebbe nemmeno dovuto
combattere. Le sue compagne sembravano più esperte
di lei, forse persino
troppe astute. Mercury gli si era opposta una volta, pretendendo da lui
delle risposte.
Ma come poteva lui darne, se aveva solo domande?
Inoltre, se si fosse consultato con loro, potevano chiedergli
in cambio il pezzo di cristallo dell'arcobaleno che aveva trovato.
Semplicemente esistendo, il cristallo gli aveva comunicato di
essere
uno di sette, un frammento del cristallo d'argento che la sua
principessa gli chiedeva di trovare disperatamente da sempre. Uno di
sette, il secondo dei frammenti ad essere stato
recuperato. Lui
non poteva consegnarlo nelle mani di nessun altro - specie non in
quelle del nemico, che avrebbe potuto sottrarlo a Sailor Moon con la
facilità con cui si rubava le caramelle ad un bambino. Il
nuovo
generale aveva già preso possesso del primo frammento.
Chissà cosa voleva farne.
Quella sera, quando tornò a casa per tentare di
recuperare un po' di sonno, lo sorprese lo squillo del
telefono.
«Pronto?» rispose senza pensare.
«Mamoru-san? Ciao!»
Oh, era Hino. Rei Hino.
«Non ci sentiamo da un po'»
esordì con timidezza lei.
Già, era passata almeno una settimana. O forse due?
Aveva perso il
conto, se n'era disinteressato. Non aveva tempo per una ragazza ora.
«Ti sto disturbando?» si sentì
domandare.
«No, non è questo...»
«So che sono una scocciatrice, ma mi chiedevo se ti
andava di
venire al cinema con me. Non te lo avrei chiesto, ma non ho
nessun
altro con cui andarci...»
Lui si sentì immediatamente in colpa. «Ma
certo.» Cosa? No, non aveva tempo per il cinema!
«Oh, grazie! È un film per grandi, per
questo non posso
portarci le mie amiche. È una pellicola d'autore e ho
pensato 'Mamoru
non solo lo apprezzerebbe, ma sarebbe poi in grado di discuterlo e
spiegarmi i passaggi.' Questo autore è ostico, ma io voglio
ampliare i miei orizzonti!»
Lei aveva una voce entusiasta e molto dolce. Di dolce c'era
soprattutto il suo
tentativo di coinvolgerlo, di farlo sentire apprezzato,
poiché
teneva alla sua compagnia.
Chi altro lo aveva mai cercato con tanta insistenza?
Questo strano ragazzo che forse non era nemmeno umano?
Non sentendolo rispondere, Hino tornò esitante.
«Che ne dici di questo giovedì?»
Mamoru non se la sentiva di ferirla.
«Giovedì va bene.»
«Che bello! Ci troviamo nel posto di
sempre?»
La felicità che le aveva trasmesso lo fece sentire
meglio. «Okay. Nel posto di sempre.»
«A giovedì, Mamoru-san!»
«Ciao, Rei-san.»
Riattaccò, stranito e al contempo di umore
più leggero.
Passare un paio d'ore con una persona normale gli avrebbe
fatto bene. Forse.
Il giorno successivo non si mosse di casa per tutta la mattina.
Era uno straccio. Aveva dormito sì e no altre due
ore durante la notte. Stare sdraiato a letto non aveva fatto altro che
intensificare il flusso dei suoi pensieri. Più pensava,
più la sua testa si riempiva di domande e preoccupazioni.
Ormai sentiva di essere stato troppo ottimista all'inizio.
Era una creatura sovrannaturale. Lo era diventato, o era nato
così? Aveva ereditato quelle capacità dai suoi
genitori?
Loro erano davvero morti in un incidente? Era un caso che lui
avesse perso la memoria dei suoi primi sei anni di vita?
Forse si era reincarnato. I sogni a cui faceva visita sapevano
tanto di ricordi.
Se stava vivendo una seconda esistenza, perché la
prima tornava a reclamarlo? Non poteva lasciarlo in pace, a vivere il
suo futuro? Lui si era a malapena retto in piedi sulle proprie gambe da
solo.
Non è vero.
O forse sì, era vero. E gli costava ammetterlo.
Comunque, andando verso l'avvenire a cui lo conduceva Tuxedo
Kamen, dove sarebbe finito? Sarebbe stato coinvolto in battaglie ancora
più grandi? Quanto ancora avrebbe dovuto rischiare?
Non gli dispiaceva fare l'eroe, ma se lui pensava al bene del
mondo, chi avrebbe pensato a lui?
Seduto sulla panchina del parco, era rimasto a fissare il
suolo per ore, fino a che non aveva visto la sua ombra china stagliarsi
sulla superficie di ghiaia. Il tempo sembrava non avere più
alcun significato.
Alle sua spalle comparve una persona - la testa piccola e
rotonda sormontata da due odango. L'ombra di Usagi Tsukino non si mosse
per alcuni secondi, poi iniziò a dondolare da un lato
all'altro, puntandolo a ripetizione col dito, come se stesse parlando
con lui.
Riducendo gli occhi a due fessure, Mamoru si
voltò.
Lei sobbalzò sul posto, urlando.
Il suono gli trapassò il cranio. «Che
vuoi?» domandò cupo. Non aveva tempo per i giochi.
«Che spavento! Sempre di buon umore, eh?»
Nel vederlo in viso, nello sguardo di lei comparve un lampo di
confusione - poi di commiserazione.
Il mal di testa di Mamoru stava aumentando. «Cosa
facevi alle mie spalle?»
«Volevo prenderti in giro. Non mi veniva la battuta
giusta.»
Involontariamente - inaspettatamente - gli venne da sorridere.
«Perché sei lenta.»
«UAAARGH! E tu sei antipatico! Basta, me ne
vado!»
Quando iniziò a marciare via, lui
percepì un istantaneo senso di solitudine. Meritava
di non avere nessuno accanto, poiché in fondo, quando era
sincero, era solo caustico e cattivo.
«Usagi» mormorò senza pensare.
Gelandosi sul posto, lei si girò.
Era la prima volta che la chiamava per nome?
«Scusa» le disse, osservando l'altalena
per bambini al centro dello spiazzo. «A volte mi viene e
basta. Essere così, intendo.»
Non udì risposta e pensò che lei non
l'avesse sentito. Andava bene lo stesso: lui aveva solo cercato di non
spandere altra miseria intorno a sé.
Con una sfilza di passi rapidi, Odango tornò
davanti a lui. «Va' a casa.»
Eh?
Rialzò la testa e le spalle, fissandola.
«Fatti una dormita!» proseguì
ad ordinare lei, irritata.
Lui non seppe come rispondere.
Ma Odango non aveva finito e agitò un dito in aria.
«Riposa, mangia bene e ripigliati! Accetterò le
tue scuse quando saranno sincere, ora sembri solo un cadavere che
parla! AH! Mi è venuta la battuta giusta! È che
prima non aveva visto la tua faccia, hai due occhiaie da panda. AH! Un
altro insulto, alla fine oggi sono in gran forma!»
Attonito, lui riuscì a stento a boccheggiare.
«Torna in forma anche tu»
proseguì Odango, posando imperiosa le mani sui fianchi.
«Così sarà un duello ad armi
pari!»
Mamoru non aveva ancora detto una parola.
Lei iniziò a vacillare. «Okay?»
Indietreggiò di tre passi, come si aspettasse un suo
contrattacco. «Okay?» ripeté di nuovo,
da cinque metri di distanza.
«Okay» bofonchiò lui.
Lei esplose in un sorriso. «Al prossimo
scontro!» urlò. Trotterellò felice
lungo la stradina che conduceva fuori dal parco.
Riposa, mangia bene e
ripigliati.
Non seppe perché quelle parole gli si fossero
stampate in testa, ma spense il cervello e si diresse a casa.
Preparò una zuppa di pollo, rimanendo a fissare la
fiamma che ardeva a mente sgombra, fino al completamento del piatto.
Mangiò in silenzio, concentrandosi sul sapore del
cibo.
Lavò i denti, mise il pigiama.
Si infilò a letto, adagiò la testa sul
cuscino.
Il sonno lo reclamò senza sforzi.
18 -
Involontariamente premurosa - FINE
NdA: Credevo che sarei corsa a parlare dell'episodio 28,
invece mi sono focalizzata su Mamoru che scopre di essere Tuxedo Kamen
nell'episodio 26 e mi è venuto da scrivere molto
più di quanto avevo anticipato!
Mi fa così pena questo ragazzo! Spero di essere
riuscita a farvi percepire la sua confusione e solitudine,
nonché il motivo per cui Usagi lo influenza in modo
positivo, anche solo con poche parole.
Gliel'ho fatta chiamare per nome!!
Ho deciso di anticipare il momento perché
nell'anime originale, nell'episodio 28, lui la chiama già
Usagi. Lo fa con una disinvoltura che lasciava pensare che avesse
già usato il suo nome, anche se probabilmente non la
chiamava Odango, per una volta, perché la situazione era
lievemente 'seria' (Usagi per una volta lo stava accusando di qualcosa
che non era campato per aria, quindi lui le si rivolgeva come
un'adulta).
L'episodio 28 è quello dedicato alla pittrice e ci
sono talmente tante opportunità di interazione tra Usagi e
Mamoru che le mie dita fremono al solo pensiero!
Fatemi sapere se vi è piaciuto questo pezzo!
Elle
Su FB: Verso l'alba e oltre (dove trovate
anticipazioni e miei pensieri)
Su Youtube: mio canale
Su Patreon: Pagina
per sostenermi come scrittrice.