4. Grace is just weakness
Titolo:
Only need the light when its burning low
Titolo del capitolo:
Grace is just weakness
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long
Fiction
Capitolo quattro: 2138
parole fiumidiparole
Personaggi: Damian Wayne,
Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Tim Drake,
Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Alfred Pennyworth, Barbara
Gordon, Stephanie Brown, Cassandra Cain, Vari ed eventuali
Rating:
Giallo
Genere: Angst and
Hurt/Comfort, Emotional Hurt/Comfort, Smut, Avventura
Avvertimenti: Descrizioni
di violenza, Slash
SUPER
SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
Damian
alzò debolmente le palpebre, sentendo il dolore irradiarsi
dietro la sua nuca.
Provò istintivamente a
sollevare una mano per
toccarsi, ma scoprì ben presto di non poterlo fare,
giacché le sue braccia erano ancorate ad un muro da pesanti
catene che gli avvolgevano i polsi a tal punto che, se avesse provato a
divincolarsi, avrebbero scorticato la pelle già resa rossa
dallo
sfregamento. Dov’era? Cos’era successo? E
perché era
legato a braccia e gambe spalancate contro una parete?
Damian deglutì, cercando di
fare mente
locale. La testa gli doleva ad ogni pensiero e la sentiva scoppiare,
senza contare il sangue incrostato che gli appiccicava la pelle e i
capelli. Sentiva il corpo invaso dal dolore, e fu solo quando la vista
si abituò a quella penombra che si rese conto di non
indossare
la parte superiore della sua tunica - persino la sua cintura multiuso
era sparita, e non riusciva a capire come avessero fatto a sfilargliela
senza essere fritti da una scarica elettrica - e che il suo petto era
ricoperto di lividi e tagli che avevano smesso di sanguinare da un
pezzo, lasciando però strisce rossastre sulla sua pelle.
Quanto tempo era passato da quando si
trovava prigioniero lì dentro, ovunque fosse quel lì?
Non lo sapeva, ma stava cominciando ad avere sprazzi di ricordi
e… Damian allargò le palpebre, cercando di
liberarsi.
Jon. Suo padre. Drake. Stavano combattendo contro Zehro e un uomo che
aveva visto solo di sfuggita, ma che era abbastanza sicuro di aver
già visto da qualche parte, però… non
riusciva
proprio a ricordare dove. E, più si sforzava, più
il
dolore alla testa gli martellava il cervello senza sosta.
Damian gemette, sentendo le palpebre
pesanti. Aveva
la gola secca e aveva come la sensazione che fosse riarsa, le labbra
erano talmente screpolate che si erano spaccate in più punti
e
bruciavano, per non parlare delle escoriazioni alle caviglie nonostante
la calzamaglia strappata che ancora indossava. Come stavano gli altri?
Dov’erano? Erano lì insieme a lui? Sperava solo
che
stessero bene perché, dannazione, aveva il terrore che fosse
successo loro qualcosa e se così fosse stato non avrebbe
retto.
«Vedo che finalmente ti sei
svegliato».
Quella voce inaspettata lo fece
trasalire, e dovette
sbattere le palpebre per cercare di mettere a fuoco la figura che si
stava avvicinando a lui.
«Zehro!»
ringhiò nel
riconoscerlo, strattonando le catene del braccio destro per cercare di
afferrare l’uomo, ignorando il dolore intorno ai polsi e le
catene che lo ferivano a sangue. Ma l’uomo rise.
«Non agitarti, mio piccolo
demone»,
esordì. «Rischi solo di farti male. E
c’è
qualcun altro che vuole avere quell’onore».
«Vile
traditore…!»
Zehro si accigliò.
«Proprio tu mi parli di tradimento, Ibn al Xu’ffasch?»
La sua espressione si fece cupa. «Tu per primo hai tradito
quella
sgualdrina di tua madre alleandoti con Batman. E parli a me di
tradimento?» Zehro schioccò la lingua, scuotendo
brevemente il capo prima di guardarlo. «No, giovane demone.
Io
sto ristabilendo l’ordine naturale delle cose. Sto
consegnando la
Lega a chi è degno di guidarla davvero».
Damian digrignò i denti,
incurante del
dolore. «Non mi interessano i tuoi sproloqui, Zehro! Dove
sono
mio padre e gli altri?!» sbraitò nel sentire un
peso
opprimergli lo stomaco non appena Zehro, guardandolo, rise nuovamente.
«Non dovrai più
preoccuparti di loro».
Quelle parole caddero su Damian come un
macigno, facendogli sgranare gli occhi. «Stai
mentendo».
«Non ci ricaverei niente nel
farlo».
«Non ti credo»,
esordì ancora
Damian, anche se una parte della sua mente, stanca di tutto quel
dolore, stava cominciando a crederci. Ma non voleva pensare di aver
perso le persone a lui care. Non voleva pensare di aver perso suo
padre, Drake... Jon.
Quando Zehro allungò una mano
verso la sua
guancia destra, Damian trasalì automaticamente, cercando di
ritirarsi per allontanarsi da quel tocco e da quelle dita che parvero
bruciare sulla pelle come fuoco vivo.
«Manderò le schiave
a prepararti. Non
vorrai presentarti al cospetto del tuo futuro signore in queste
condizioni, vero?» domandò mellifluo, e Damian gli
sputò in faccia; l’uomo assottigliò le
palpebre,
colpendolo con un mal rovescio che gli fece sputare sangue, stavolta.
«Forse imparerai come comportarti, dopo la
cerimonia»,
affermò Zehro in tono schietto, tirando fuori qualcosa dalla
manica della sua casacca e, alla vista di quella siringa, Damian
cercò di divincolarsi. «Più continui a
muoverti,
più ti entrerà in circolo in fretta»,
lo
informò, bucandogli il collo.
Damian strinse i denti alla sensazione
di
quell’ago che lo pungeva, sentendo il contenuto cominciare a
scorrergli nelle vene; lottò per tenere gli occhi aperti, ma
il
vuoto si impossessò di lui e tutto divenne sfocato e
confuso,
suoni e parole senza alcun significato e immagini che danzavano come
fiammelle davanti ai suoi occhi. Forse si addormentò, Damian
non
ne fu davvero sicuro, ma gli parve di sentire l’odore di sali
da
bagno e di un sapone profumato, qualcosa che sembrava vagamente olio
d’oliva con un sentore di alloro; mani callose che non
conosceva
percorrevano il suo corpo e, per quanto lui cercasse di aprire la bocca
e parlare, di agitare le braccia e scacciare tutte le presenze che gli
ballavano offuscate davanti agli occhi, che non facevano altro che
toccarlo e strofinare spugne sulla sua pelle, Damian non riusciva a
spiccicare una parola, stordito.
Riprese conoscenza solo tempo dopo,
nuovamente solo.
Con la testa chinata in avanti, gli ci volle un momento di troppo per
sollevare lo sguardo, sbattendo le palpebre per mettere a fuoco i
dintorni. Si trovava in una stanza circolare, con i polsi legati ai
braccioli della sedia su cui era accomodato, e le enormi pareti di
pietra riflettevano la tiepida luce delle torce che tremolavano; grandi
armature medievali si ergevano ai lati di un trono dai soffici cuscini
rossi e dorati, e una moltitudine di pellicce percorreva il pavimento
alla sua destra, dove un tavolo contenente un cesto di frutta e una
daga facevano bella mostra di sé. Lui stesso, quando si
gettò un'occhiata, sembrava vestito bene, con una lunga
tunica
verde dai rifinimenti dorati che mettevano in risalto la sua carnagione
scura. Era simile ad uno degli abiti che aveva indossato quando, a nove
anni, aveva partecipato all'Anno di Sangue, ma... cosa voleva
significare?
Damian si rese conto di essere su una
piattaforma
intorno cui c’era solo il vuoto, e un moto di panico si
impossessò delle sue membra quando capì che non
avrebbe
potuto fare nulla per liberarsi. Non riusciva a muovere un muscolo e,
per quanto solitamente fosse un maestro nell’arte della fuga,
in
quel momento si sentiva come se tutte le sue forze lo avessero
abbandonato. Strattonò un braccio con un'imprecazione,
riuscendo
solo a ferirsi maggiomente il polso mentre si guardava intorno, forse
alla ricerca di una via di fuga. Alla sua sinistra c'era un'entrata, ma
era al di là del vuoto su cui si trovava lui, troppo
distante da
raggiungere anche solo se avesse provato a saltare con tutta la sedia;
uno stormo di pipistrelli gli volò contro, ferendogli il
viso
con le zampette e sbattendo le ali sulla sua faccia, e fu nel seguirne
la risalita che Damian si rese conto dello stendardo che pendeva sulla
sua testa come una spada di Damocle. Scritto in arabo, con lettere un
po' sbiadite e un angolo del tessuto ormai bruciato e macchiato di
sangue, c'era scritto il suo vecchio nome: Damian Al Ghul.
«Lieto che tu mi abbia degnato
della tua presenza, nipote».
Damian trasalì. Per quanto
simile alla voce
di suo nonno, sapeva che non era lui. Razionalmente, la sua mente
continuava a ripetergli che Ra’s Al Ghul era morto, che
l’uomo che aveva parlato non era lui, e fu infatti con
un’espressione stralunata che Damian fissò il
volto albino
di suo zio.
«Dusan…»
sussurrò con un
fil di voce, incredulo. Era davvero come guardare un fantasma,
poiché anche lui avrebbe dovuto essere morto.
L’ultima
volta che aveva visto Dusan Al Ghul, dopotutto, era stato quando lui
aveva solo dieci anni.
«Sono sorpreso»,
esordì
l’uomo. «Quella droga avrebbe dovuto farti dormire
ancora
per qualche ora. Giusto il tempo di finire i preparativi per la
cerimonia».
Cerimonia. Ancora quella cerimonia.
Cosa stavano architettando Dusan e… «Ti sei
alleato con
Zehro, Dusan?» domandò immediatamente Damian,
cercando di
liberarsi. «E come fai ad essere vivo?»
«Dal nipote del Demone non mi
aspettavo
inutili domande sulla resurrezione». Dusan emise un verso
disgustato dal fondo della gola. «La tua sola esistenza ha
sempre
disonorato gli Al Ghul. Ho vissuto secoli per guadagnare il rispetto di
mio padre… ho provato persino ad offrire il tuo corpo per
far
sì che ringiovanisse… ma mi sono reso conto che
mi
sbagliavo, non era questa la strada da seguire».
Dusan si avvicinò, fermandosi
esattamente sul
bordo del precipizio su cui si trovava Damian. Nessuno dei due
parlò per un lungo attimo, osservandosi come se temessero
che
proferire anche una singola parola potesse innescare una reazione a
catena. Infine, Dusan sollevò un angolo della bocca in un
sorriso sardonico.
«Quando sono tornato dalla
morte e ho scoperto
che Ra’s non l'avrebbe più fatto… ho
provato ad
avere la mia occasione. Ma ho scoperto che mia sorella,
quell’inutile donna che tu chiami madre, aveva reclamato la
Lega
per sé». Il disprezzo nella sua voce era evidente
tanto
quanto quello che si leggeva sul suo viso. «Così
ho creato
una Lega tutta mia per spazzare via il passato e dar spazio al mio
presente… una Lega che si sarebbe liberata della stirpe
corrotta
degli Al Ghul e sarebbe sorta dalle ceneri come una fenice... puoi
chiamarci Lazzaro».
Damian schioccò la lingua
sotto il palato,
arricciando il naso. «Se stai cercando di farti compatire,
sappi
che non funziona», affermò schietto.
«Liberami e
affrontami, codardo».
«E rischiare che tu possa
scappare esattamente come ha fatto quella vigliacca di tua
madre?»
«Sei stato tu?» Gli
occhi di Damian si
allargarono. Aveva pensato che il colpevole fosse Zehro, ma…
non
importava. Avrebbero pagato entrambi. Ringhiando, Damian si
agitò sulla sedia, chiudendo le mani a pugno così
forte
che si conficcò le unghie nella carne. «Ti
ucciderò, bastardo!» berciò, sputando
saliva in
preda alla rabbia.
Dusan rise, rise talmente forte che la
sua risata
rimbombò contro le pareti di pietra. «No, non lo
farai», disse poi con calma estenuante. «Il codice
morale
di tuo padre ha offuscato la tua mente. Non alzerai mai più
una
spada per uccidere».
«Vuoi mettermi alla
prova?!»
«Damian Al Ghul non esiste
più.
L’araldo del Demone, il bambino prodigio che ha affrontato
l’Anno di Sangue, non ha più alcuno scopo.
È un
guscio vuoto che potrà essere rimodellato come creta da un
artigiano sapiente».
Damian non avrebbe voluto, ma a quelle
parole
deglutì sonoramente. Uno strano peso aveva cominciato ad
opprimergli il petto, ma non aveva il coraggio di dare ad esso un nome.
«Non la passerai liscia, Dusan», affermò
con la voce
più sicura che riuscì a trovare, riuscendo solo a
farlo
ridere ancora.
«Sei proprio come tua madre.
Inutile.
Sentimentale». Dusan sorrise nel vedere l'espressione
stranita
del nipote, avanzando di qualche altro passo, praticamente ad una
spanna da lui. Se non fosse stato per il vuoto che lo circondava,
Damian era sicuro che avrebbe potuto toccarlo. «Se avesse
avuto
la stessa furia che l'ha sempre mossa in passato, non sarebbe finita
così».
Fu un lampo, poi una grossa bestia si
lanciò
verso Damian e lo attaccò con enormi artigli, prima che il
giovane potesse sollevare le gambe e provare ad allontanarlo da
sé; Damian imprecò e cercò di prendere
a calci il
Man-Bat che lo stava assalendo, riuscendo a colpirlo in faccia con un
calcio ben assestato. Un grido selvaggio scappò dalle labbra
di
quell'enorme pipistrello, e ben presto lo raggiunsero altri, i quali
non esitarono nemmeno per un attimo: sotto lo sguardo indifferente di
Dusan, lo attaccarono senza sosta e non gli diedero tempo di
contrattaccare, tanto che Damian dovette cercare di nascondere almeno
il viso nell’incavo della spalla mentre grossi artigli lo
laceravano.
Uno di loro colpì le corde
che lo legavano e
lui, una volta libero, cercò di contrattaccare con le poche
forze che gli erano rimaste, ma qualcosa lo afferrò alla
caviglia; le palpebre si allargarono, vedendo un Man-Bat sbattere
furentemente le ali prima di tirarlo giù, oltre un
precipizio.
Damian annaspò, afferrando la sporgenza il più
velocemente possibile mentre gli altri Man-Bat volteggiavano su di lui
come avvoltoi con grida spaventose.
«Non temere, nipote. Servirai
una causa più grande».
La presa venne meno, la voce di Dusan si
trasformò in un'eco lontana tra le pareti della grotta;
Damian
sgranò gli occhi e si sentì risucchiato dalla
gravità, precipitando inesorabilmente verso l'abisso.
_Note inconcludenti dell'autrice
Allora,
beh... fine del capitolo abbastanza drastico, ma si capiranno molte
cose andando avanti con la lettura.
Due note veloci: Ibn al Xu’ffasch vuole
letteramente dire Figlio del Pipistrello in arabo, ed è uno
dei nomi con cui veniva chiamato Damian oltre ad Hafid.
Qui
ovviamente Damian ha avuto il suo incontro con un vecchio parente (il
fratellastro di sua madre, per intenderci) che ha intenzione di
prendere il potere in qualunque modo, quando si dice per l'appunto
parenti serpenti... la stirpe degli Al
Ghul ha una vasta storia alle proprie spalle e non si salva quasi
nessuno a quanto pare. Avevano già avuto un incontro tempo
addietro (Damian aveva dieci anni canonicamente), quindi la si
può vedere come una rivalsa
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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