malinc
[T.W.: scene di guerra (solo
menzionate), depressione, suicidio.]
Malinconia
Thomas sa cosa voglia dire chiudere gli
occhi e vedere la trincea esplodergli in faccia e i commilitoni
morirgli davanti, con una frase a metà e un sorriso dimenticato su
labbra ignare che non ne avrebbero più prodotti. Sa cosa significhi
assistere a una fotografia dell'orrore tanto vivida da essere
ascoltata: il fischio delle granate, gli ordini urlati senza posa, le
grida lanciate senza più speranza. Sa anche fino a quanto possa
spingersi la memoria, sempre pronta a resuscitare gli odori acidi,
pungenti, intossicanti della morte e dell'incuria, del fuoco e del
fango, della pioggia e del sangue.
Ma mentre si avvicina al tenente
Courtenay e gli parla cordiale, superando la stretta alla gola che sa
di lacrime, quello che non riesce proprio a immaginare è non poterli
riaprire più, gli occhi, per sfuggire al ricordo.
Le iridi del tenente non possono
vederlo arrivare, né possono assecondarlo spontaneamente mentre gli
somministra le medicine, ma Thomas non gli chiede niente, non
pretende niente: lo sistema a sedere, lo guida e lo informa con cura
di ogni sua azione per facilitare il processo il più possibile.
L'uomo non è altrettanto comunicativo, si limita a vaghi cenni del
capo e monosillabi, lasciando Thomas a chiedersi se per caso non stia
facendo qualcosa di sbagliato. Ma il tenente non dà segni di
fastidio nei suoi confronti. È seccato, sì, ma il modo in cui le
sue mani di tanto in tanto corrono a toccare il bendaggio intorno
alla testa suggerisce al caporale di non essere la fonte del disagio.
Non fa in tempo a sentirsi sollevato che già se ne vergogna e quasi
chiede scusa.
Quando ha finito e il tenente lo
ringrazia flebile, Thomas vorrebbe dirgli che gli dispiace per quello
che gli è successo, ma il viso dell'uomo è troppo pallido e la sua
voce troppo lontana perché il caporale abbia il coraggio di farlo.
Tornerò a farvi visita più tardi, dice invece, prima di
allontanarsi, le nocche sbiancate intorno alle pareti del bicchiere.
«Credete che potrà
recuperare la vista?»
«È difficile dirlo,
Thomas... È molto grave.»
«C'è speranza?»
«È tutto quello che
abbiamo.»
Ci sono volte in cui il tenente
sobbalza quando Thomas arriva al suo capezzale per curarlo o anche
solo per parlare. Il suo udito è ancora poco allenato, si è detto
il caporale, ma da quando le bende sono sparite e gli occhi spenti si
appuntano su superfici che non possono guardare, Thomas è sempre più
convinto che la sua agitazione non sia mai davvero rivolta al
personale dell'infermeria: quello che Courtenay teme è che i
fantasmi della sua mente diventino all'improvviso corpi di carne e
sangue pronti a dilaniarlo e a sottrargli altri sensi, lasciandolo
senza vita su quel letto a cui è ancorato da giorni. Thomas vorrebbe
trovare un modo più efficace per annunciarsi senza spaventarlo, ma
il massimo che può fare è parlare: gli dice chi è, quando è
vicino, se gira intorno al materasso per sistemare un cuscino, se ha
il permesso di toccarlo. A quel punto l'espressione vigile e
disciplinata del tenente si
distende e non sembra più che si trovi ancora sotto il fuoco delle
bombe a dare ordini, né a difendersi da nemici invisibili fatti di
ombre e cenere: Courtenay diventa il paziente che è, ferito nel
corpo e nello spirito, ma che si offre all'aiuto degli altri senza
aspettarsi più trappole.
Thomas vorrebbe vederlo reagire di più,
vorrebbe accelerare i tempi di guarigione e vorrebbe fare a pezzi
quel muro di tristezza e rassegnazione che gli grava addosso, ma sa
che la fretta in questi casi funziona meno delle bugie.
Questo, tuttavia, non gli impedisce di
incoraggiarlo come può. C'è di più nella vita, tenente, credetemi,
gli dice un giorno mentre tra le dita stropiccia l'ennesima lettera
del fratello minore e con gli occhi osserva infuriato la maschera di
umiliazione e rabbia che è il volto dell'altro. Come lo sai? Ci deve
essere, sono tornato dal fronte per questo. E se ti sbagliassi?
Thomas deglutisce e prende un respiro
tremante intanto che si chiede come si possa spiegare una certezza a
chi non la condivide. Thomas lo sa e basta che c'è altro dopo
l'inferno in terra in cui si sono ritrovati a strisciare in nome di
qualcosa che non li ha mai riguardati da vicino. Sa che c'è vita
dopo la morte a cui sono riusciti a scappare. Sa che non è la fine,
non ancora, ma non ha prove, non ha esperienza, non ha niente al di
là della pressante e incrollabile sensazione che ognuno di loro
potrà raccogliere i pezzi in cui è stato frantumato e ricomporli
insieme in un mosaico nuovo, con le crepe del passato ancora
visibili, ma comunque tutto intero. Di nuovo intero.
Almeno sono qui, come voi, dice alla
fine, e vorrebbe stringergli la spalla in un gesto rassicurante, ma
non osa annullare le distanze fisiche tra loro. È già molto, non vi
pare?
Il tenente si prende un momento
interminabile per fissare in un angolo del letto immagini che Thomas
non può vedere, ma poi, tenue, arriva un cenno di assenso. Ciò che
porta il caporale sull'orlo delle lacrime, tuttavia, è il timido
sorriso che solleva gli angoli della bocca di Courtenay subito dopo.
Un battito di ciglia e già non c'è più, ma ne rimane una traccia
impigliata nei suoi muscoli facciali così a lungo che Thomas è
certo di non averlo immaginato.
Spero che tu abbia ragione. Io ho
sempre ragione, tenente.
Courtenay sbuffa e Thomas sa che quella
è una risata.
«Stai facendo un ottimo
lavoro con lui.»
«Gli faccio solo
compagnia, Milady. Tutto qui.»
«Stavo pensando... Te
la sentiresti di... di fare di
più?»
«Di più? Sì, certo.
Che cosa avevate in mente?»
Lady Sybil è spaesata quanto Thomas
quando preparano percorsi a ostacoli via via più complessi per far
allenare il tenente, ma almeno è più intraprendente di lui e tra i
due è colei che per prima riesce a recuperare il tono gioviale e
fiducioso dopo gli errori di valutazione più rischiosi del paziente,
anche quelli che farebbero rovinare Courtenay a terra se non fosse
per la prontezza di entrambi nel sorreggerlo. Thomas la invidia e la
ammira allo stesso tempo, ed è sempre più convinto che, se non
fosse stato per la sua presenza di spirito e per la sua instancabile
voglia di salvare gli altri, per lui non sarebbe stata un'impresa
facile, soprattutto durante i primi tentativi, quando ogni sbaglio
fiaccava le aspettative del tenente e ne frustrava la determinazione
oltre ogni dire. Adesso è migliorato, insieme a loro, e la sua
dedizione alla pratica si è fatta più solida, anche se Thomas può
giurare, almeno a sé stesso, che ogni volta che Courtenay inciampa
in una sedia che non ha localizzato bene con il bastone o quando rimane
immobile, disorientato dal buio che lo avvolge o dalla fatica, nella
mente del tenente ha luogo una lotta tra i propositi più positivi e
il desiderio autodistruttivo di mollare tutto, di tornare in
infermeria a contemplare il destino e gli incubi che la guerra gli ha
lasciato davanti a sé. È negli sguardi allarmati che si scambia con
Lady Sybil in quei momenti che sa quanto anche lei ne sia
istintivamente al corrente. La consapevolezza spinge sempre entrambi
a intervenire prontamente con una parola gentile, con un invito a
riposare per riprendere più tardi, o anche solo con un tocco leggero
sul braccio che riporti Courtenay al presente, al giardino che
profuma di erba bagnata, alla speranza di uscire da quel posto che
odora di medicinali e sudore e che non fa che ricordargli
costantemente cosa ha passato.
A volte Thomas si chiede in che
direzione stiano andando, se stiano facendo bene, se lui e Lady Sybil
siano le persone adatte per portare avanti una riabilitazione come
quella, ma il tenente sembra sorridere di più e più a lungo
rispetto a prima, ed è sempre meno turbato quando qualcuno gli si
avvicina senza che lui se lo aspetti. L'infermiera e il caporale non
ne parlano mai apertamente, ma Thomas è convinto che anche lei lo
consideri un miglioramento encomiabile, il segno tangibile della
grandiosità di quello che stanno facendo, ma più di ogni altra cosa
la prova di quanto il tenente abbia dato loro completa fiducia in
così poco tempo.
Voi siete i miei salvatori, dice loro
una mattina qualunque mentre riposa seduto sulla sedia contro cui ha
picchiato il piede anziché il bastone. Facciamo solo il nostro
lavoro, risponde Lady Sybil a capo chino, ma una spruzzata di rosa le
colora il volto d'orgoglio. Ma siete gli unici accanto a me, e mi
state salvando, grazie.
La donna distoglie lo sguardo e Thomas
fa per riempire il silenzio, ma si accorge che gli mancano le parole
per farlo. Ha passato la vita a essere attaccato per le sue
inclinazioni e ad attaccare di rimando per non essere calpestato; ha
fatto del sopruso e della manipolazione il suo lasciapassare nel
mondo e nell'alta società; ha umiliato rabbioso i suoi sottoposti
ogni volta che ne ha avuto l'occasione, facendolo sembrare un gioco,
un divertimento, una goliardia; è sempre stato un mostro e un
codardo quando avrebbe potuto scegliere di diventare qualcos'altro,
di fare la cosa giusta. E Thomas lo sa. Sa di non essere una brava
persona, sa di aver fatto cose sbagliate – di essere
sbagliato.
Come può qualcuno chiamarlo salvatore?
Come può qualcuno vedere questo, in lui?
La domanda non trova risposta nella sua
mente, non ne ha il tempo: quando il tenente dà segno di volersi
alzare di nuovo per riprendere l'allenamento, il caporale gli è
accanto per mantenerlo in equilibrio. Per un attimo lo attraversa il
pensiero che, se Courtenay sapesse tutto
di Thomas, proverebbe ribrezzo nell'essere sfiorato da una persona
come lui e lo scaccerebbe via senza esitare. Ma poi il tenente
sorride e inclina la testa in muta riconoscenza per l'aiuto e Thomas
si concede il lusso di pensare che no, non accadrebbe niente del
genere, perché quello che ha davanti è un brav'uomo che si fida di
lui e che non ha avuto nemmeno bisogno di vederlo in faccia per
farlo.
Grazie, Thomas. Grazie a voi, vorrebbe
dire. Non c'è di che, risponde invece.
«Il dottor Clarkson non
aveva alcun diritto di dirlo davanti a lui. Avrebbe dovuto avvisarvi
prima, chiedervi come stesse andando–»
«Lo so. È tardi ormai,
non ci ascolterà. Ma dobbiamo trovare una soluzione: non possiamo
mandarlo via così, Thomas, non adesso. Ha bisogno di noi.»
«Deve avere
l'opportunità di sentirsi al sicuro e di prendersi tutto il tempo di
cui ha bisogno. Non è meno importante dei feriti di Arras.»
«Il tempo. Non c'è,
non ne abbiamo nemmeno noi. Domani mattina–»
Il letto è stato ripulito – Thomas
l'ha ripulito. Lady Sybil ha insistito perché fosse lei a farlo e
Thomas sa perché – perché lei ha visto quanto ci tenesse, quanto
volesse salvare il tenente dai ricordi che lo stavano spezzando,
quanto quell'uomo lo avesse colpito nel profondo –, ma il caporale
è stato irremovibile: era compito suo. È stato lui a lasciarlo solo
dopo che Clarkson ha dato loro la notizia che l'ha sconvolto. È
stato lui a non pensare che, nel suo stato precario, non fosse
ragionevole riportarlo in infermeria, con un bicchiere d'acqua e una
coperta come compagni anziché persone vive, in carne e ossa. È
stato lui a rimangiarsi le obiezioni di fronte al maggiore che faceva
valere i suoi gradi sull'empatia, mentre s'innalzava al di sopra
della nobiltà, sovrano avido di un regno di anime stanche che vorrebbero
solo anestetici e dignità – e morte. È colpa sua se il tenente
Courtenay si è tagliato le vene e ha preferito abbandonare la vita
che aveva, che avrebbe potuto avere piuttosto che rimanere senza di
loro, senza i suoi salvatori, senza le sole due persone che gli
avevano mostrato compassione e interesse, che lo avevano aiutato a
risollevarsi, a camminare da solo con un bastone al posto degli occhi
– che gli avevano dato speranza.
Thomas aveva pensato che lavando via il
sangue dal pavimento e cambiando le lenzuola scarlatte avrebbe
purificato anche sé stesso, avrebbe espiato la sua colpa, ma solo
adesso che ha la testa appoggiata al muro e il corpo scosso dai
singhiozzi si rende conto del vuoto che gli riempie i polmoni e la
mente, che gli stringe lo stomaco in una morsa assassina di rimpianto
e dolore a mano a mano che la consapevolezza di quello che è
accaduto si fa più accesa dentro lui: non lo ha protetto abbastanza.
Ha lasciato che la guerra e le sue logiche reclamassero anche chi era
stato abbastanza fortunato da tornare a casa, lontano dalla morte,
dalla distruzione, dal dubbio di vedere il sole sorgere nuovamente
all'orizzonte. Ha tradito la fiducia di un uomo buono a cui non
sarebbe mancato il tempo di guarire se solo lui non fosse stato così
negligente, così preso dalle discussioni, dalle gerarchie, dal
timore di essere accusato di insubordinazione, dal panico.
Se solo l'avesse salvato in tempo.
Ma non l'ha fatto.
Thomas sapeva già cosa volesse dire
vedere le persone morire davanti ai propri occhi senza riuscire a
reprimere il terrore di poter essere il prossimo a non tornare a casa sano e salvo.
Ma adesso Thomas sa anche quanto faccia
male sopravvivere con addosso il peso di non aver saputo scongiurare la morte di una
persona che l'aveva trattato con gentilezza, che gli si era affidata e che non gli aveva chiesto altro
se non di essere aiutata.
«Credi che abbiamo
fatto del nostro meglio?»
«Non lo so, Milady.
Non è bastato.»
«Avremmo potuto
prevedere–?»
«Sì.»
«Thomas.»
«Non ha più
importanza.»
Angolino di Menade Danzante:
Salve!
Questa storia partecipa alla challenge
“Downton
Abbey in cerca d'autori” indetta sul forum Ferisce
più la penna da Lisbeth
Salander e Rosmary.
Ho voluto analizzare con tanto dolore
uno degli episodi che più mi hanno fatto amare Thomas Barrow e che
tuttora me lo fanno annoverare tra i miei personaggi preferiti di
tutta la serie. Spero di avergli reso giustizia e di aver trattato
gli argomenti delicati qui presenti in modo adeguato e rispettoso.
Prima di lasciarvi, faccio una piccola
nota sulle formule di cortesia usate in questa storia: ho mantenuto
quello che restituiva il doppiaggio italiano, che fa usare il voi a
Thomas per tutta la loro interazione, mentre il tenente usa il tu,
cosa che contrasta in parte con i sottotitoli, sempre in italiano,
forniti da Prime: oltre alla mancata corrispondenza tra quello che
viene detto e quello che viene scritto, i due personaggi non usano
mai il voi ma passano dal reciproco lei iniziale al tu quando il
rapporto diventa più confidenziale. Nella confusione generale di
questa situazione, ho tenuto il parlato come riferimento perché
credo possa essere il mezzo più diffuso attraverso cui abbiamo
fruito la serie. Invece ho preferito mantenere l'inglese “saviour”
piuttosto che l'italiano “angeli custodi” perché a mio avviso
rende meglio la rete di supporto che Thomas e Sybil sono riusciti a
diventare nel tentativo di curare la depressione di Courtenay e nel
fargli riacquistare autonomia nella deambulazione. Angelo custode mi
dà più l'idea di qualcuno che osserva da fuori, magari facendo il
tifo, ma senza intervenire attivamente. Invece qui abbiamo un
caporale e un'infermiera che hanno deciso di fare qualcosa al di là
delle loro competenze per aiutare un paziente, proprio con la volontà
attiva di salvarlo.
Chiudo qui lo sproloquio linguistico e
ringrazio innanzitutto le promotrici dell'iniziativa per avermi dato
l'occasione di scrivere su un personaggio che amo, e infine – ma
non per importanza – ringrazio di cuore tutt* voi per aver letto!
Un abbraccio,
Menade Danzante
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