Capitolo 4
La cabina dei laser di stampa al ponte 3 era una di quelle
zone della nave in cui Sammy si trovava veramente di rado. Non aveva un vero
motivo per recarvisi e non trovava particolarmente emozionante guardare degli
operai usare dei bracci meccanici per intagliare lastre di metallo o altro.
Ogni unità della flotta interstellare abbastanza grande veniva dotata di laser
in grado di fabbricare velocemente eventuali pezzi necessari alla riparazione
della nave stessa. C’erano materiali di tutti i tipi, ed alcune volte i laser
venivano anche usati per incidere etichette elettroniche che andavano poi
apposte su pacchi e merci che la nave trasportava all’occorrenza. Ripensandoci,
Sammy osservò come fosse una grossa fortuna che svariati chili di pellicola da
incisione trasparente fossero rimasti in eccesso da un vecchio carico che
avevano trasportato qualche mese prima.
Dopo la terrificante scena in cui aveva letteralmente preso
a cazzotti il pezzo più grosso dell’esercito pimpaino,
i militari avevano lasciato il ponte di volo intimando alla pony ingegnere di
raggiungerli in seguito nella cabina di stampa. Ormai avevano il pieno
controllo della nave ed agivano indisturbati: da quella mattina il resto
dell’equipaggio era praticamente rimasto chiuso nelle proprie cabine su richiesta
del generale Pimpez, di modo che nessuno potesse
vedere o ascoltare nulla delle loro operazioni. Dopo che la SOG era andata via,
Samantha si era ritrovata sola a fissare Equestria sotto di lei con uno zoccolo
sporco di sangue, mentre Sparkey e Cerutti cercavano
di ricostruire nelle loro menti cosa potesse essere successo in quella
mezz’ora.
Poco dopo la pony era uscita senza
dire una parola, e i due non avevano nemmeno provato a fermarla. In stato quasi
catatonico Sammy si diresse nei bagni comuni della nave. Premette un pulsante
sulla parete ed il dispenser rilasciò una piccola quantità di gel che subito si
spalmò sullo zoccolo ed in faccia per risciacquarsi dopo essersi tolta gli
occhiali: non era certo come usare acqua vera, ma faceva il suo dovere a
centinaia di anni luce dalla civiltà nel vuoto cosmico.
Per l’ennesima volta quel dannato giorno si guardò allo
specchio mentre piccole gocce di gel si staccavano dal suo viso fluttuando in
giro. Non poteva essere vero, non poteva star tornando davvero lì. Prese a
respirare affannosamente, come se le mancasse l’aria: cosa stava per fare? Con
chi stava andando? Lei non aveva esperienza militare, aveva sparato qualche
volta in accademia e poco più. Ma perché, avrebbe dovuto sparare? Le avrebbero
dato un’arma? Qualcuno avrebbe sparato contro di loro? E se avesse dovuto
lottare? Come si uccide una principessa alicorno immortale? Quali sono le
conseguenze?
Si ritrovò ad annaspare furiosamente con il volto arrossato,
gli arti formicolanti come punti da infiniti spilli e le orecchie ronzanti di
un rumore sordo. Samatha si accasciò fluttuando preda
di un attacco di panico con ancora il gel detergente sul volto, che per poco
non inghiottì rischiando di soffocare. Finì appoggiata con tutto il corpo sullo
specchio mentre cercava di riprendersi respirando lentamente. Non era la prima
volta che le succedeva: aveva imparato come gestire queste cose quando la
psicologa della scuola a Pimpaina aveva voluto
vederla personalmente dopo che aveva fatto chiamare ben due volte un’ambulanza
restando paralizzata sul pavimento della classe.
Lentamente riprese il controllo di sé pulendosi finalmente
quel fluido viscido dalla faccia con un asciugamano. Mai come in quel momento
si era sentita davvero sola: era sola fisicamente in quel simulacro di un bagno
su una nave in orbita, ma soprattutto era abbandonata a sé stessa. Ripensò ad
Ashley e a come si era comportata prima con lei: un brivido di rabbia le
percorse la schiena. Perché doveva sempre rovinare tutto? Si guardò intorno per
dare un’occhiata ma apparentemente nessuno l’aveva sentita: i corridoi della
nave non erano mai stati così vuoti e silenziosi come allora.
La pony bofonchiò tra sé e sé
mentre indossava nuovamente i suoi occhiali. Pimpez
era fuori di testa se pensava davvero di portarla con loro: non capiva davvero
cosa l’avesse spinto a prendere una tale decisione. Magari era una punizione
per il gesto che aveva fatto, magari era tutto un bluff per spaventarla e dopo
una lunga ramanzina l’avrebbero lasciata andare. I suoi pensieri ansiosi la
portarono a rimuginare ossessivamente sull’accaduto, analizzando ogni piccola
cosa successa nelle ore precedenti cercando di capire se qualcosa sarebbe
potuta andare diversamente.
Si incamminò verso la cabina di stampa cercando di essere il
più lenta possibile. Avrebbe tanto voluto che Ashley fosse lì con lei,
chiederle scusa e tornare in cabina a chiacchierare un po’. Ma non poteva: per
un attimo il pensiero di non poter nemmeno salutare la sua assistente prima di
quella assurda partenza le balenò in mente e un brivido le percorse la schiena.
Dopo aver girato un angolo la pony perlacea si trovò
improvvisamente di fronte il primo ufficiale Sparkey,
il quale fluttuava fermo nel mezzo del corridoio. Per poco Sammy non vi sbatté
contro: l’essere si voltò verso di lei mantenendo un’espressione atona.
«Hai così fretta di raggiungerli che per poco non mi vieni
addosso» abbozzò Sparkey con un mezzo sorriso
sarcastico. La mano destra giocava nervosamente con il suo MSU, le due antenne
sulla testa vibravano «Quell’energumeno deve aver visto qualcosa di davvero
speciale in te se non ti ha ancora fatta a pezzetti»
Samantha strabuzzò gli occhi fissando con aria interrogativa
l’alienoide giallo, il quale con un cenno della testa
invitò la pony a seguirlo lentamente verso la loro
destinazione comune.
«Davvero? Pensavo che doverli seguire in un’assurda missione
in incognito fosse già una punizione adeguata»
Sparkey scosse la testa e fissò
Sammy con sguardo truce «Non so cosa quel pimpaino
possa averti detto Samantha, ma tirare un pugno ad un alto funzionario
dell’esercito è davvero la più grossa cazzata che io abbia mai visto. Devi
ringraziare il cielo di non essere stata arrestata sul momento»
La pony abbassò mestamente la
testa. Non era mai successo in tutti quegli anni che il primo ufficiale si
rivolgesse a lei in modo così duro. Non riusciva ad accettare di aver commesso
un errore così grossolano, lei che era sempre stata così precisa e calma. Cosa
avrebbero detto tutti quanti?
Sparkey si ricompose e proseguì «Ad
ogni modo, uno come Pimpez non porterebbe mai con sé
qualcuno se lo considerasse un peso morto. Nemmeno se quel qualcuno gli venisse
proposto come guida locale». Fece una pausa tenendo lo sguardo fisso avanti «Avrebbe
sicuramente trovato un altro modo per risolvere la questione. Non sarà certo la
prima volta che i SOG si infiltrano in un territorio sconosciuto»
Sammy seguiva il primo ufficiale poco dietro mentre il suo
volto si caricava di un’espressione sconcertata «Ma allora perché vogliono me?»
Sparkey fece spallucce mentre i
due si avvicinavano ormai al portellone della cabina dei laser di stampa «Non
ne ho idea. Questi affari da super complotti top secret mi fanno girare la
testa». Posò una mano sulla spalla di Sammy «Purtroppo nemmeno il comandante
può opporsi ad un ordine del genere: non c’è niente che possiamo fare per
proteggerti»
Samantha deglutì rumorosamente mentre entrambi fissavano
ritti la porta davanti a loro. In realtà lo sapeva già: aveva assistito di
persona all’intimazione di Pimpez, ma sentirselo dire
in faccia aveva tutto un altro sapore.
Il primo ufficiale si voltò un’ultima volta verso Sammy con
la mano già sul pulsante di apertura «Qualunque cosa abbia in mente il
generale, prego solo che includa farti tornare sana e salva su questa nave»
La pony ricambiò lo sguardo degli
occhi violacei senza pupille di quello strano essere. Non sapeva come sentirsi
di fronte alle parole del primo ufficiale: era evidente che provasse
compassione e un senso di protezione nei suoi confronti, ma il modo in cui si
esprimeva e le parole che usava erano comunque sempre fredde e composte. Forse
forme di vita come lui non erano in grado di sperimentare forti emozioni: negli
anni a bordo della Pardatchgrat Sammy aveva visto Sparkey aprirsi lentamente verso di lei, ma più che un
individuo riservato che iniziava a confidarsi sembrava un robot che imparava ad
elaborare sentimenti. A pensarci bene era curioso come Samantha non avesse mai
visto nessun altro esemplare della stessa specie di Sparkey
in tutti quei viaggi in giro per l’universo.
La porta si aprì ed i due si trovarono davanti uno Springer
impettito che subito li riconobbe facendosi da parte «Nessun altro con voi,
giusto?»
Sparkey scosse la testa ed il pony
annuì soddisfatto chiudendo la porta alle loro spalle «Mi dispiace risultare
inopportuno signore, ma è una questione di sicurezza universale»
Subito dopo Springer fece cenno ai due di restare fermi ed
iniziò a perquisirli, palpando accuratamente sia la tuta di Sammy che
l’uniforme del primo ufficiale. L’alienoide giallo
sbuffò ghignando mentre si lasciava controllare e lanciò un’occhiata a Sammy: aveva
fatto tutta quella strada nella vita per farsi mettere le mani addosso da un
soldato a bordo della sua stessa nave. Samantha dal canto suo si fece
perquisire senza emettere un fiato, mentre la sua testa viaggiava veloce: se li
stavano controllando proprio ora e non prima voleva dire che erano in procinto
di rivelare informazioni ancora più importanti e segrete di quelle precedenti.
Una volta terminato, con un cenno Springer disse loro di
seguirlo malgrado sapessero benissimo dove andare. Girarono l’angolo attraverso
il piccolo corridoio di servizio e si trovarono davanti alla baia cargo in cui
erano alloggiati i laser di stampa: dei grossi bracci robotici scendevano dal
soffitto ponendosi sopra delle piattaforme mobili su cui andavano posizionati i
materiali. Tutte le postazioni erano spente e deserte, fatta eccezione per la
numero 4, dove il resto della squadra SOG chiacchierava tranquillamente davanti
agli occhi pietrificati del povero Waxford, il
malaugurato tecnico di stampa. Il pony se ne stava immobile legato alla sua
sedia con indosso il camice da lavoro sopra la tuta IF mentre scrutava i grossi
militari davanti a sé. Per sua sfortuna lo avevano costretto a rimanere sul
posto per poter operare i laser, mentre tutti gli altri colleghi erano potuti
tornare in cabina. Quando vide Samantha sembrò risvegliarsi dal suo vegetare
ansioso e assunse un’espressione interrogativa mentre lei non ricambiò lo
sguardo persa nei suoi pensieri. Per ironia della sorte avevano chiesto di
restare proprio al tecnico più paranoico di tutta la Pardatchgrat.
Il generale Pimpez era l’unico in
disparte: fluttuava a braccia conserte fissando il vuoto cosmico fuori da uno
degli oblò della nave. Subito si accorse della presenza del duo e si voltò
raggiungendo gli altri davanti alla postazione di stampa. Il resto della SOG
smise di parlare e tutti si posizionarono di fronte a Sammy e Sparkey. La pony poteva
chiaramente vedere la grossa ferita sul volto del pimpaino
che la scrutava impassibile: se già il generale era inquietante di solito, in
quella situazione Sammy si sentì diventare microscopica ed inerme.
Pimpez fece un cenno con la testa
e subito Lasseter e Springer slacciarono le cinture di Waxford
immobilizzandolo e trascinandolo via mentre il poveretto cominciava ad
annaspare ed a chiedere perché.
«Calmo nanerottolo, ci servi per dopo. Ora te ne stai qui
buono finché non ti riprendiamo» sghignazzò Springer mentre i due lo chiudevano
in un container pieno di plexiglass sul lato opposto della baia di carico: era
evidente che non volessero che ascoltasse nulla di quello che stavano per dire.
Sparkey ebbe un sussulto, ma mantenne la sua
compostezza rigida evitando di reagire.
«Primo ufficiale Sparkey, data la
situazione e gli ordini dell’Alto Comando avrei potuto tranquillamente
bypassare lei ed il comandante e ordinare lo sbarco su Equestria senza aprir
bocca» tuonò Pimpez con fare estremamente
autoritario. Quel pimpaino emanava un’aura di potenza
e di fermezza assoluta.
L’alienoide giallo rimase però
impassibile come sempre mentre il generale continuava «Tuttavia credo sia
meglio che tutte le parti cooperino per salvaguardare l’obiettivo della
missione. Lei sarà l’unico informato su questa nave»
Pimpez fece una pausa, quasi a
voler caricare di significato le parole seguenti «Le chiedo di non far parola
di ciò che sentirà qui dentro nemmeno al suo superiore. Se lo farà, ne pagherà
le conseguenze»
Il primo ufficiale rimase immobile con la glacialità che lo
contraddistingueva e dopo qualche secondo annuì semplicemente con la testa senza
mai abbassare lo sguardo. Pimpez fece un cenno di
rimando e proseguì «Betz, malgrado il suo scopo sia
semplicemente di navigatore ed informatore, sarà bene che rinfreschi qualche
concetto di autodifesa»
Mentre diceva così, Lasseter tirò fuori dalla tasca del suo
giubbotto rig una pistola semiautomatica e le diede
una piccola spinta in modo da farla fluttuare fino a Sammy. La pony la prese in
zoccolo e con un po’ di esitazione trovo il pulsante di sgancio del caricatore,
per scoprire che era vuoto.
«Non sono così folle da lasciare un’arma carica in zoccolo
ad un topo da biblioteca su una nave spaziale» ridacchiò Lasseter.
Pimpez annuì «Si limiti ad
esercitarsi a mirare, ricaricare e tutte le azioni base che ha imparato in
accademia. Se tutto filerà liscio di sicuro non dovrà usarla»
Samantha rimase qualche secondo ad osservare l’arma: era
molto più grande di quelle che avevano usato durante l’addestramento ed era
ricoperta da una vernice mimetica con striature marroni e verdi. Se la rigirò
tra gli zoccoli non sapendo cosa pensare, mentre un brivido di paura le
percorse la schiena fin lungo la coda al pensiero di ciò che stavano per fare.
«Ehi novellina! Mai maneggiare un’arma senza controllare prima
il colpo in canna» disse Springer con fare spaccone avvicinandosi terribilmente
a Sammy. Si mise dietro di lei e le prese l’arma dagli zoccoli con le zampe
attorno al suo collo: mosse il carrello della pistola rivelando la canna vuota.
«Anche senza caricatore, un’arma con un proiettile qui può fare boom ancora una
volta mentre tu pensi che farà click» le disse vicino all’orecchio.
La pony scostò la sua criniera
rossa in un ghigno di disgusto cercando di evitare il più possibile il contatto
con quel pony tutto muscoli che la stava agguantando mentre il resto della
squadra rideva. Il generale fece un cenno e subito Springer smise di fare
l’idiota tornando al suo posto.
«Equestria è un pianeta privo di qualsivoglia tecnologia. La
popolazione vive all’oscuro di tutto e l’atterraggio di una capsula scatenerebbe
un casino assurdo» continuò Pimpez.
«Non esistono zone scarsamente popolate vicino Canterlot» disse Mark Sarang
introducendosi nel discorso «L’unico sito di atterraggio papabile è
rappresentato da un deserto ad oltre cinquecento chilometri a sud»
Samantha ebbe un sussulto: ricordi della sua infanzia
affioravano mentre la geografia di Equestria prendeva forma nella sua mente. Mentre
ancora rimuginava, Sarang sfiorò lo schermo del suo
MSU e una gigantesca proiezione olografica comparve davanti ai presenti. Si
trattava di un grosso mosaico di immagini satellitari, accostate l’una
all’altra in maniera raffazzonata. Alcune zone erano praticamente invisibili a
causa delle coltri di nubi catturate nelle fotografie.
«Questa è la miglior mappa di Equestria che siamo riusciti
ad ottenere. Non essendoci satelliti in orbita qui, abbiamo utilizzato le
telecamere della Pardatchgrat per scattare delle
fotografie lungo il percorso orbitale»
Il professore si voltò beffardo verso Sammy «Fortunatamente
il nostro brillante ingegnere di rotta ha scelto un’orbita simil equatoriale.
Questo ci ha reso la vita molto più facile»
La pony lo ignorò concentrandosi
sulla grande mappa davanti a sé. Sarang proseguì
sfiorando il suo MSU e aggiungendo dei marker sulle immagini «Non avremo belle
immagini recenti, ma dalle mappe di qualche secolo fa posso dire con certezza
che quello è il deserto di San Palomino» esitò «O
almeno così si chiamava all’epoca»
«Al diavolo il nome! Il punto è che non possiamo atterrare
così lontani dal nostro obiettivo e non possiamo permetterci un ingresso in
grande stile con paracadute aperti o altra roba» berciò Pimpez
stufo del pomposo professore «Pertanto c’è solo una cosa da fare»
Sarang annuì e aumentò lo zoom:
prima sulla grande penisola di Equestria, poi verso il suo centro dove Sammy
riconobbe Canterlot dall’alto, ed infine più a sud
est su di una piccola catena montuosa. Continuando ad ingrandirsi, l’immagine
rivelò un altipiano alla base delle montagne e Sammy strabuzzò gli occhi: una
grossa ed imponente striscia di cemento scuro troneggiava attraverso la landa.
I numeri bianchi dipinti alla base di essa lasciavano poco all’interpretazione:
era una pista per aerei.
«Quello è il Rambling Rock Ridge.
E quella è la Ponisella Air Station» sentenziò Sarang soddisfatto.
Samantha era rimasta a bocca
spalancata. «Una…una base dell’EAF?» chiese balbettando senza staccare gli
occhi dalla mappa.
«Esattamente Betz» rispose Pimpez. «Domattina alle 6 Zulu la nave sarà in posizione
per eseguire la manovra di de-orbit. Useremo lo
shuttle di servizio pilotato da Watts ed alle 7.45 dovremmo toccare terra sulla
pista 08»
Nel dire così indicò l’ultimo pony rimasto della squadra SOG
a cui Sammy non aveva fatto caso, visto che non aveva mai aperto bocca da
quando avevano messo piede su quella nave. Osservò il suo manto grigio e la
testa completamente rasata, ma solo allora si accorse sussultando che Watts non
aveva neppure la coda, rasata anch’essa. L’unica cosa a spiccare erano i grandi
occhi verdi e le ciglia lunghe: il pony rispose a Pimpez
semplicemente sbattendo le palpebre una sola volta.
Sparkey ruppe la sua compostezza
rivolgendosi a Sarang «Il segretario della difesa ha
autorizzato questa manovra?»
«Queste non sono cose che la riguardano, Sparkey»
tuonò Pimpez ancora prima che il professore rossastro
potesse rispondere «Prima ho detto che sarebbe stato informato, nulla di più.
Quindi stia zitto e non si intrometta di nuovo»
Il primo ufficiale si ammutolì scrutando Pimpez
con un’occhiata così truce da quasi tagliare l’aria, ma il generale lo ignorò
volgendo il suo sguardo verso Samantha. La pony stava
ancora cercando di elaborare le informazioni che aveva appena appreso.
«Ma non è ancora più pericoloso atterrare lì? Come faremo a
restare nascosti?» chiese timidamente Sammy, preoccupata che riservassero a lei
lo stesso trattamento di Sparkey. Probabilmente
qualche ora prima avrebbe fatto una domanda molto più sprezzante e sarcastica,
ma dopo tutto quello che era successo il suo animo l’aveva trasformata in un
essere indifeso e tranquillo.
Lasseter scosse la testa «Le basi EAF sono abbandonate da
decine di anni ormai, non troveremo anima viva. Anzi, direi che siamo
decisamente fortunati: la pista è ancora in ottime condizioni»
«Lo shuttle è, di fatto, un aereo. Avendo le ali potremo
eseguire il rientro in atmosfera sull’oceano così che nessuno noti una palla di
fuoco in cielo o il suo rumore» spiegò Sarang.
«E poi raggiungeremo la base di Ponisella
nel silenzio che solo un aliante può garantire» concluse Springer ammiccando a
Sammy.
Malgrado i sentimenti terribilmente scombussolati, l’animo
da grande ingegnere fece capolino nella testa di Samantha: quella roba
d’altronde era pane per i suoi denti. Sollevò un sopracciglio e sentenziò «Mi
sembra una procedura di rientro particolarmente complessa. Non sarà così banale
calcolare tutto alla perfezione per riuscire a raggiungere la pista planando
senza ulteriore propulsione»
«Oh, non c’è problema Betz. Lei
non è l’unica a capirci qualcosa di meccanica orbitale da queste parti» rispose
Pimpez. «La nostra Watts ha già programmato l’intera
manovra con precisione»
Quindi Watts era una femmina. La pony grigia non mosse
nemmeno un muscolo e nuovamente sbatté solo le palpebre per confermare. Sammy
le lanciò un’occhiata ma l’altra mantenne lo sguardo fisso avanti ignorandola
totalmente. Cos’era? Una sorta di pilota più istruito?
Mark Sarang spense la proiezione
olografica del suo MSU e aggiunse «All’epoca le basi EAF erano equipaggiate con
un incantesimo di occultamento che le rendeva invisibili sotto una certa quota.
È plausibile pensare che questo non sia più in funzione, ma dalle immagini di
prima sembra che non vi sia alcuna presenza di pony nell’area»
«Cazzo, ci credo! Quella base è in mezzo alle montagne,
sicuro nessuno l’ha mai beccata in tutti questi anni» sbottò Springer con la
sua immancabile delicatezza «Sarà davvero uno spasso camminare da lì fino a Canterlot» aggiunse roteando gli occhi.
«Dunque questo è il piano» sentenziò Pimpez
chiudendo i discorsi futili. «Useremo la base abbandonata come appoggio per
preparare l’equipaggiamento e poi ci metteremo in marcia. Contiamo di
raggiungere Canterlot in due giorni»
Si voltò verso Sammy «A quel punto entra in gioco lei Betz. Dovrà guidarci attraverso la città fino alla sua
adorata principessa. Se sarà necessario interagire con qualcuno ci penserà lei»
Samantha deglutì rumorosamente mentre una nuova scarica
d’ansia l’attraversava.
Il grosso pimpaino incrociò le
braccia «Per il resto non toccherà niente, non farà niente, non dirà niente. Se
qualcuno di noi le dice di fare qualcosa, lei lo fa. Punto. Se Lasseter le dice
di pisciare su un albero, lei ci piscia senza discutere. E se non ne ha, se la
fa venire. Chiaro?»
La pony perlacea rispose affermativamente con un filo di
voce mentre l’ultimo baluardo di speranza che fosse tutto solo un bluff svaniva
miseramente.
Assicuratosi che Samantha fosse abbastanza spaventata, Pimpez si rivolse all’alienoide
giallo «Sparkey, manterremo il contatto radio con la
nave quando sarà possibile. Lei stia pronto a chiamare la cavalleria se
qualcosa dovesse andare storto». Il generale volse lo sguardo fuori verso la
miriade di stelle «Non voglio restare su un pianeta pieno di pony colorati per il
resto dei miei giorni»
Sparkey dal canto suo rispose
brevemente e meccanicamente «La nave ha un periodo orbitale di circa novanta
minuti. Non essendoci alcun tipo di supporto satellitare per ripetere il
segnale, dovremmo avere una finestra di quattro minuti ogni ora e mezza per
poter comunicare»
Tutta la squadra SOG annuì e Pimpez
rispose «Cercheremo di farci vivi almeno due volte al giorno»
Terminato il briefing, tutti si rilassarono leggermente.
Lasseter e Springer tornarono al container liberando Waxford
che per poco non aveva avuto una crisi di panico: lo riportarono alla sua
postazione chiedendogli scusa e dicendogli di accendere tutto per iniziare la
stampa.
Samantha rimase immobile a fissare lo spazio profondo
attraverso le ampie vetrate. Quello che il generale le aveva detto l’aveva
scossa profondamente, non tanto per il contenuto in sé, ma perché significava
che aveva davvero intenzione di portarla con loro: sarebbe davvero tornata su
Equestria. Quella mattina quando si era svegliata non avrebbe mai potuto
immaginare il gigantesco casino in cui sarebbe stata infilata in così poche ore.
Improvvisamente Sparkey le poggiò
una mano sulla spalla senza dire una parola. La pony
si girò per osservare il primo ufficiale che la fissava impassibile, probabilmente
voglioso di rincuorarla ma totalmente incapace sul da farsi.
«Ehi, Springer. Ma quindi stampi davvero i pancake?» chiese Lasseter
ancora indeciso sul suo cutie mark.
Il pony paglierino dalla criniera blu annuì trionfale mentre Waxford cercava su UniNet
un’immagine di pancake da poter utilizzare «Mi sono persino consultato con Sarang per essere sicuro che esistessero anche su Equestria»
«Così traspare dalle nostre fonti» si introdusse Sarang. «Speriamo solo che non siano diventati un cibo
anacronistico o stravagante»
Lasseter si grattò il mento pensieroso mentre un grosso
foglio di pellicola scivolava sotto il braccio meccanico mosso dai rulli. Dopo
pochi secondi e qualche battuta sulla tastiera di Waxford,
il laser si accese e cominciò ad intagliare la pellicola. Springer aveva dunque
chiesto al tecnico come facesse il laser a colorare la stampa, ma il pony era
troppo spaventato e scosso per poter rispondere.
Dopo pochi minuti il macchinario produsse due piccoli ovali
trasparenti del diametro di circa cinque centimetri, all’interno dei quali si
trovava l’immagine stilizzata di due pancake fumanti. Waxford
si chinò lentamente per prendere le due pellicole e chiese balbettando al colonnello
Springer di mettersi di fianco a lui. Subito dopo il tecnico posizionò le due
decalcomanie sui fianchi del pony e accese una pistola ad aria calda per
qualche secondo: la pellicola aderì perfettamente al suo pelo giallo a tal
punto da sembrare un tatuaggio.
«Guarda che roba! Questi nuovi tessuti sintetici sono
pazzeschi» esclamò Springer mentre si sfiorava delicatamente il fianco con lo
zoccolo. Il resto del team si avvicinò a lui con fare curioso ed entusiasta:
sembravano tornati dei puledrini emozionati davanti ad un nuovo giocattolo.
Tutti meno Watts che continuava a fluttuare guardandosi intorno.
Samantha lanciò nuovamente uno sguardo alla pony grigia e un
brivido la attraversò: c’era qualcosa nei suoi occhi freddi e nella sua
compostezza maniacale che la metteva estremamente a disagio. Oltretutto il suo ignorarla
in maniera così smaccata rendeva l’atmosfera ancora più pesante.
Lentamente, altri pony della squadra ebbero il loro cutie mark applicato sui fianchi:
Lasseter alla fine aveva scelto una mazza da baseball, in quanto ci giocava
sempre da puledrino. Sarang si era fatto stampare una
banale pila di libri, anche se a suo dire i nomi sui dorsi erano tutti
appartenenti ad importantissime opere equestriane di
almeno due secoli prima.
Fu il turno di Watts: la pony grigia si diede una lieve
spinta e senza dire una parola fluttuò con sguardo fisso verso Waxford fermandosi delicatamente vicino a lui. «Uno
smeraldo» disse con voce quasi robotica, e nessuno osò chiederle come mai:
persino Springer non scherzava affatto con lei. Forse ancora più irrequieto di
prima, il tecnico eseguì l’ordine ed in pochi minuti la misteriosa pony cinerea
ebbe sui fianchi un brillante smeraldo dal profondo verde come i suoi occhi.
Dopo che Watts si fu spostata, Waxford
rivolse timidamente lo sguardo verso Sammy, la quale era rimasta tutto il tempo
in disparte a fissare il vuoto, anche dopo che Sparkey
si era allontanato. Assorta nei suoi pensieri, continuava a rigirarsi
ossessivamente quella pistola tra gli zoccoli, mentre la sua folta chioma rossa
volteggiava libera nell’aria.
La pony perlacea si sentì improvvisamente dare dei buffetti
sulla testa e udì la possente voce del colonnello Springer alle sue spalle «Ehi
novellina. Guarda che manchi solo tu»
Malgrado avrebbe voluto strappare gli zoccoli a
quell’idiota, Sammy si sentiva troppo scombussolata per reagire. Si limitò a
girarsi per notare come tutti avessero per l’ennesima volta gli occhi puntati
su di lei. Il generale Pimpez se ne stava ancora
appoggiato alla fiancata della nave con uno sguardo annoiato: la fissò per un
secondo e fece un cenno con la mano invitandola verso la postazione di stampa.
Samantha fece un respiro e si spinse verso Waxford mentre tutti la fissavano: non capiva davvero il
perché questo succedesse ogni volta. Forse perché la consideravano davvero una
novellina incapace ed erano curiosi di vedere cosa avrebbe combinato. Persino
prima quando aveva preso in zoccolo la pistola tutti si erano messi a ridere.
Si, beh, grazie al cazzo: lei odiava quella roba, odiava quei coglioni di
militari e non le fregava nulla di non aver brillato durante l’accademia. Lei
era un ingegnere, aveva studiato e sapeva molta più roba di quei quattro
bifolchi arroganti che la stavano prendendo in giro, buoni solo a menar gli
zoccoli.
Dopo aver fatto una smorfia tra sé e sé si trovò faccia a
faccia col titubante tecnico di stampa che la fissava in attesa di un segnale:
già nella normalità Waxford non la salutava mai
quando si incrociavano in corridoio per la sua timidezza, quindi in quella
situazione il pony si stava letteralmente sciogliendo su sé stesso.
Era il momento di scegliere il suo cutie
mark. In realtà non ci aveva pensato affatto fino a
quel momento visto che la cosa le creava davvero una grande ansia: ricordava
ancora quando da piccola ad Equestria come ogni puledrina sognava il giorno in
cui avrebbe ottenuto il suo cutie mark.
Quando arrivarono a Pimpaina suo padre non le disse
mai che la mancanza di magia su quel pianeta non le avrebbe mai fatto ottenere
il suo, ma la piccola cominciò ad intuire la cosa quando vide i suoi genitori
tingersi i fianchi quasi quotidianamente per nascondere il loro. Fu un colpo
terribile per Sammy, ma anche e soprattutto per sua madre: Crystal Shine aveva
un cutie mark meraviglioso
che tutti avevano sempre adorato. Il suo fianco era adornato da una serie di
diamanti tagliati in modi diversi che splendevano quasi come fossero veri: lo
aveva ottenuto per caso con dei rubini che aveva trovato in una grotta sotto Canterlot e da allora era diventata una delle più abili nel
taglio delle pietre preziose di tutta Equestria; così tanto da avere avuto
degli ordini di diamanti dalla principessa Celestia
in persona. E una volta a Pimpaina aveva dovuto
ricoprirlo con la pittura dello stesso colore del suo manto beige e aveva
cambiato nome in Melanie Betz, trasformandosi in una pony frustrata e perennemente depressa. Una pony che non aveva saputo o non aveva potuto prendersi
cura di sua figlia.
Samantha scosse la testa per liberarsi da quei pensieri e
cercò di trovare qualcosa da dire al tecnico di stampa. I secondi passavano e
tutti fissavano Sammy iniziando quasi a spazientirsi, ma la
pony proprio non sapeva cosa scegliere: era un argomento troppo delicato
per lei per poter pensare serenamente. Improvvisamente però, una luce le riempì
gli occhi ed una inattesa tranquillità avvolse il suo corpo e la sua mente.
Sapeva cosa dire. Prese coraggio e la sua voce riempì il
silenzio assordante della sala.
«Una piuma di gabbiano»