Capitolo
Sei: Ballata Per La Mia Piccola Iena
«L'amore
rende soli ma è ben più doloroso
Se
per nemici e amici non sei più pericoloso»
Morty
era nato d'estate, in una tempestosa notte d'agosto, ma il giorno
dopo la mitezza del giallo aveva predominato il cielo. Non c'era da
stupirsi se lui fosse il ragazzo custode del sole, se rifiorisse tra
i suoi raggi, l'incarnazione di Amore che trova il suo riparo, il
punto culminante della sua danza, tra le braccia di Febo. Carne
giovane incontrò pelle molto più matura che
cantava anche la sua
storia, il passato condiviso e la discendenza; tramite movimenti
lenti, impressero il passaggio l'uno nella vita dell'altro, creando
solchi presto ricolmati, scolpendo a immagine e somiglianza della
propria mente chi avevano davanti a sé.
Summer
non avrebbe dovuto vederli, scoprirli tra i fitti alberi della zona
più selvatica del camping dove Beth e Jerry avevano sostato.
Strabuzzò gli occhi, come se incredula che tanta
ovvietà potesse
essere reale. Non c'era altro spazio per quei due, se non insieme,
nella loro placida tranquillità che sembrava la copia di
ciò che
traspariva nei dipinti ottocenteschi raffiguranti colazioni sul
prato. Un moderno Manet vedeva Rick e Morty concedersi finalmente
attenzioni che non fossero l'urlarsi addosso. Avrebbero gridato, fino
a far scoppiare i polmoni e bruciare la laringe, ma non di rabbia.
Inimmaginabili, una visione mistica.
Il
dio figlio di Venere, come affermava Apuleio, non era altro che un
mostro feroce, crudele e viperino, nato per la rovina del mondo
intero, perché nemmeno il potente Giove era immune alle sue
frecce,
e anche Febo era volubile tra le sue braccia. Rick era il
più
cocciuto tra i due sull'argomento che aveva scatenato tutte le loro
altre liti, come mostri generati da una maledizione masticata tra le
labbra, ma niente aveva combattuto il bisogno di un tocco che, forse,
la sua mente disillusa aveva già considerato come lontano.
Ma se gli
insegnamenti nichilisti del nonno erano serviti a qualcosa, Summer
poteva affermare con certezza che quel sesso non voleva dire un bel
niente, se non il bisogno di un prurito reciproco da grattar via, un
ben più istintuale e umano cercare un contatto con la carne.
Non
c’era un dialogo. Solo gemiti, nemmeno soffocati. Nessun
insulto
colorito per vivacizzare l’atmosfera, nessuna timida
confessione
d’amore e quella sì, sì che avrebbe
strizzato le budella della
rossa, facendole venire i conati di vomito, non davanti alla
nudità
fisica, ma la più facilmente feribile
vulnerabilità sentimentale.
Rick aveva da poco imparato a concedersi anche emotivamente a una
persona, e quella non era di certo Summer, che ancora continuava a
studiarli. Agivano in una costante battaglia dove l’obiettivo
era
strappare un lamento all’altro, che nemmeno poco tentava di
resistergli, perché lo scopo del sesso in natura rimaneva
sempre
uno.
Summer
sentiva la sua presenza scomoda. Non doveva assistere, nemmeno
sentire, immaginare. Lo spettacolo davanti a lei la disgustava, ma
niente era come quell'atto perfetto, finito, emblema di unione - uno
dentro l'altro, la Luce e l'Amore, l'energia che dava vita alla
Terra. E lei si sentiva sempre più vuota, sola, dal finale
incerto.
Avvertiva la piena assenza di qualcuno che non aveva ancora nome,
voce, corpo; che non era né idea, né materia.
Indegna di un tale
legame, di affetti così sanguigni, una parte di lei godeva
nella
loro improvvisa separazione.
Non
che avesse voluto prendere il posto di nessuno dei due. Rick non lo
avrebbe voluto nemmeno se le avesse donato galassie intere capaci di
prostrarsi ai suoi piedi, o per tutte le notti passate a fumare al
chiaro di luna, quando le parole mutavano in sussurri da dimenticare
e le idee diventavano aria in comune. Perché, anche se
trovava
estremamente affascinanti gli uomini che all'apparenza avevano sempre
un piede fuori dalla porta, non era una donna che si sarebbe
inginocchiata facilmente a un dio. E di Morty, c'era bisogno di
parlarne? Così irritante, così noioso nella sua
pulita
tranquillità, Summer non gli avrebbe mai dato una chance.
Neanche
morta. Eppure suo fratello sapeva essere buono, gentile, attento.
Bello, anche. Non che Rick fosse privo di fascino, ma la giovinezza
era qualcosa che levigava ancora il volto e la carne di Morty. Amava
che glielo si ricordasse, le timide risate flautate appena udibili.
Fresco come un cetriolo, amava pavoneggiarsi di ciò di cui
Rick era
privo da tempo (non che avesse bisogno di essere giovane,
Sánchez,
per essere attraente).
Morty
non aveva quella bellezza mozzafiato e frizzante, ma attraeva di lui
la dolcezza dei lineamenti e dei sorrisi - oh,
quel sorriso, quel maledetto sorriso,
avrebbe citato ironicamente Summer. Ma era vero: il moro era
più
bello quando sorrideva. Il rossore sulle sue guance ancora piene lo
rendeva angelico, il degno cherubino che sta alle spalle di un dio.
Un delizioso puttino vivo più che mai nella sua forma,
dinamico
nella sua tessitura e compiuto, finito. Summer, ancor prima che
iniziasse la loro relazione, ricordò di aver notato molto
frequentemente alle feste in casa, occhi gelidi come l’averno
alla
ricerca di quel volto angelico, mentre tra le mani stringeva la
giovane conquista femminile della serata. Eppure sarebbe bastato un
solo sguardo di delusione o gelosia in quei occhi marroni, e Rick
l'avrebbe dimenticata all’istante.
Nessuna
accoppiata più discordante sarebbe potuta esistere. Eppure
Rick e
Morty erano stati insieme, un bel mistero, senz'altro, se solo le
leggi della fisica non avessero già provveduto nel
risolverlo.
Gli opposti si attraggono.
Summer
era abbastanza adulta anche da capire che il partner perfetto era una
gioiosa ma infantile illusione. Si andava spesso alla ricerca di
partner sfidanti, proiezioni delle parti mancanti nella propria vita,
nella corsa verso la propria crescita personale.
E
forse Rick e Morty erano cresciuti, il che li rendeva non
così
bisognosi l'uno dell'altro.
Summer
corrugò la fronte: si stava sbagliando. Non poteva essere.
Dio,
se si poteva credere nella sua esistenza, era una donna che amava un
gioco perverso con regole mutevoli. Non era giusto che due esseri
talmente ripugnanti avessero ricevuto un dono così prezioso,
e che
lo stessero mandando via, schizzinosi come se avessero trovato un
insetto nella loro insalata. Summer digrignò i denti, le
orecchie
perforate da un suono grezzo nato dagli abissi della gola. Morty era
malato, Rick era ancor peggio, e Summer era completamente fuori di
testa a pensare che la storia d'amore più interessante che
avesse
mai visto fosse quella tra suo nonno e suo fratello.
"Oh,
R-Rick, sto per- sto per - ah!".
"Fa-fa
- sì, merdaccia, fallo per me, bebito".
Summer
aveva passato fin troppo tempo a pensare a quei due, ma erano una
buona distrazione alle congetture con cui la sua mente decideva di
punirla, perché lei era sola, perché lei non
aveva nessuno, e
ironia della sorte pure Rick e Morty erano un gelido promemoria. Per
sadomasochismo, per istinto di auto-preservazione, il suo cervello si
concentrava sull'evento del secolo.
Non
era una loro lite casuale. Aveva qualcosa di pesante, ingombrante,
che difficilmente si smussava dai cardini della loro relazione,
preannunciandone lo scioglimento, e il che rendeva altrettanto arduo
smaltire tutti i residui, le implicazioni nascoste come briciole
sotto i tovaglioli; era difficile anche solo parlarne. Esternarlo a
qualcuno fuori dalla coppia rendeva l'incombere dell'apocalisse meno
reale. Di solito, quando i due litigavano normalmente, Morty
continuava a ripetere all'infinito cosa fosse successo, i
perché, e
quando si dimenticava un particolare Summer sapeva che lo avrebbe
aggiunto il giorno dopo, o anche solo nel lasso di tempo di mezz'ora.
Morty guardava ogni volta sua sorella con un cipiglio strano
— no,
particolare, inquisitore. Era come se volesse perlustrare nella mente
della sorella alla ricerca di risposte, di una soluzione concreta che
potesse mettere fine al suo supplizio. Anche quando era ferito o
arrabbiato, gli mancava terribilmente Rick.
Summer
scuoteva la testa, prendendo un sorso del thè che le aveva
preparato
Morty (glielo preparava sempre, diventando
particolarmente bravo con
sua sorpresa),
e diceva solo "Sei
troppo sensibile, Morty, lascia stare".
Rick
aveva un approccio differente, più distaccato e sprezzante, più
Rick.
Lanciava frecciatine, rispondeva d'impeto ma i suoi commenti erano
talmente pungenti che appariva ci fosse una singolare arguzia dietro
di essi, più prominente del solito. Ma solo alacrità
e orgoglio ferito erano i magici strumenti che trasformavano
abilmente la sua lingua in un rasoio affilato, che già
sapeva quale
carne tagliare, perché più tenera, vulnerabile.
Era contagiosa, la
sua nascente
derisione.
Summer spesso si aggiungeva, e Rick le dava corda, ma allo stesso
tempo la colpiva. Che fosse una qualche battuta svilente nei suoi
confronti (perché se Rick era arrabbiato con Morty, lo era
anche con
il mondo intero, eternamente consapevole di quanto quella furia
potesse scemare in un lasso di tempo brevissimo. Bastavano grandi
pupille scure e umide, labbra arrossate, e le carni di un Dio
potevano essere ridotte in cenere in un battito di ciglia), o che
fosse un colpo vero e proprio, al braccio o alla spalla, Summer
veniva rimessa al suo posto.
Perché
anche se era chiaro come il sole che Summer volesse bene a suo
fratello (nonostante non lo mostrasse nel modo più
ortodosso),
quella rimaneva una questione fra Rick e Morty, e nessuno vi aveva
diritto di immischiarsi.
Summer
non aveva diritto di immischiarsi, proprio così. Nemmeno
quella
volta.
Eppure
no, non era per nulla una lite casuale – rimaneva
fastidiosamente
invischiata tra le sinapsi della rossa, una nuova brulicante
ossessione. Era un mistero, un omicidio irrisolto. Chi per primo
aveva fatto a pezzi il cadavere della relazione tra Rick e Morty? Chi
l’aveva nascosto per primo tra le parole di disprezzo? Cosa
era
scattato nella sua mente? Qual era la mens rea? Il movente? Chi
sarebbe stato condannato? chi assolto?
Era
qualcosa di più profondo: delineava l'area di un nuovo e
insormontabile cambiamento. La medesima dimostrazione di come
l'essere umano fosse dinamico, fluido, eternamente incoerente con
sé
stesso. Catturata in un particolare caso di Darwinismo, Summer vedeva
l'habitat intorno a sé mutare a ritmi vertiginosi,
rendendola
schiava del cambiamento, perché altrimenti ne sarebbe
rimasta
schiacciata.
Summer
doveva crescere, ancora, e per un po' la pervase l'angoscia al
pensiero che nella vita nessuno potesse prendersi il lusso di
sentirsi arrivato, compiuto, completo. Doveva capire che fosse ormai
giunto il suo momento di farsi da parte. Se non le avevano raccontato
della lite, il motivo era chiaro: non era quello il suo ruolo nella
sua relazione con i due. Le persone si avvicinano le une alle altre
per il soddisfacimento di un bisogno, se l'era ricordato poco tempo
prima, come il bisogno di ricevere e dare amore, perché
l'uomo non
sarebbe mai stato capace di rinunciare al suo status di animale
sociale.
Summer
ricopriva la parte della giusta compagnia, quella festaiola, ma seria
quando serviva. Smorzava la dolcezza indulgente di Morty e dava un
taglio netto al radicale raziocinio di Rick, era il giusto aiuto
dall'esterno che riusciva a far emergere i caratteri completamente
opposti dei due, estrapolando da loro i lati migliori, rendendoli
complementari. Se una cosa era troppo complicata per Morty, Rick ci
arrivava al posto suo. Se un argomento molto difficilmente si
collocava negli schemi mentali di Rick, Morty gli mostrava
l'alternativa.
E
ci aveva visto giusto: Rick e Morty erano cresciuti, non avevano
più
bisogno della loro vecchia amica e terapista di coppia personale;
cercavano un equilibrio tra loro e, per la prima volta, non
chiedevano implicitamente a lei di risolvere il problema.
Decise
che fosse arrivato il momento di lasciare ai due la privacy che
prima, molto incurante dei bisogni altrui, aveva scelto di ignorare.
Era meglio che tornasse al campeggio. Magari avrebbe potuto scaldare
degli smores, e litigare con i suoi genitori sul trasferimento a New
York. Forse la sera sarebbe uscita. Il Texas avrebbe dovouto avere
dei locali notturni, no? Summer non ne era così sicura, ma
immaginava che nel vecchio parcheggio che aveva visto a pochi isolati
più in là ci fossero dei commerci interessanti.
Era
a un passo dal voltarsi indietro, lasciare alle spalle un pezzo di
vita che non sarebbe ritornato, finché…
“Ti
amo, Rick”. Si levò nell'aria un sospiro, placida
dichiarazione
tra gli arbusti, infido sintomo della gioia post orgasmo.
Summer
tremò, presa alla sprovvista dall'innocenza (incoscienza)
delle
parole di Morty. Si massaggiò le orecchie, incredula di aver
sentito
giusto, e strizzò gli occhi, spiegando le labbra in
un’espressione
esterrefatta. Non stava succedendo. Non poteva.
Stava
succedendo?
Era
ancora tra le sue mani, quel mistero. Una data di fine maggio, una
domanda, una negazione. Poteva ancora lavorarci su, dare da bere alla
sua mente assetata di risposte. Doveva solo collegare i punti, ma per
farlo aveva bisogno di un indizio fondamentale: la matrice, il
contenuto di quella domanda.
Aveva
passato il punto di non ritorno, e Summer si fermò sui suoi
passi,
facendosi governare dall’ingordigia. Mesi dopo, l'ascoltare
quella
confessione, quell'intera discussione, le sembrò
più impudico di
immaginarseli in un rapporto carnale.
“Ma
n-non abbastanza per andare oltre a un po' di sesso del cazzo,
finisco la frase io per te”. Rick rimaneva sempre il
più razionale
tra i due, il più freddo, il più calcolatore, e
forse quella
sincera confessione aveva appena rovinato l'atmosfera. Anni addietro
Morty si sarebbe mangiato le mani, nell'essersi mostrato
così dolce,
nell'aver pronunciato parole così sentite da disgustare
Rick, che
mal sopportava che un sentimento così viscerale potesse
essere
provato per un Dio sbagliato come se stesso. Morty, in quel momento,
non si curava nemmeno più dell'atmosfera, nemmeno
più di
infastidire Rick, e suo nonno non
lo avrebbe fatto passare impunito. “Non ho bisogno delle
classiche
cazzate che le
persone si
dicono solo per sentirsi meno merde, perché, sai, tu ti sei
dimostrato lo stronzo che tanto temi di essere. Puoi risparmiarlo. Io
sto bene, Morty”.
“No!”,
il moro rispose d'impulso, e chi poteva negare che ci fosse del
sentimento anche in quelle sole due lettere? Era un deciso «non
è vero ciò che dici»,
un disperato «non
è vero che stai bene. Ti vedo, ti sento».
Rick non stava bene, era evidente, ma nemmeno Morty. Nel loro
scontro, indispettiti forse ancora
dall'esistenza
dell'altro nel loro stesso spazio, cercavano ancora un punto di
collisione. Poteva cadere il mondo, ma non avrebbero mai voluto
separarsi del tutto. “Quello che provo non è una
stronzata, o un
hobby, tu lo sai.” O almeno Morty sperava che lo facesse,
perché
aveva detto così tanti ti
amo,
a volte mai risposti, che per Rick doveva essere certo e
inconfutabile che il moro non provasse altro che ardore nei suoi
confronti. Ingenuo, forse, nel non considerare quanto alcuni schemi
mentali, creati spesso da eventi traumatici o abbastanza dolorosi dal
poter venire considerati alla pari dei primi, potessero essere come
occhiali ingannevoli. Lenti che modificavano
ogni percezione della realtà, e Rick ne possedeva
a bizzeffe. Morty non lo capiva, non ci arrivava.
“È che ho
bisogno di tempo, sono ancora giovane, e alcune
cose…”.
“Hai
trent’anni”, Rick
tagliò netto la frase del moro, con lo stesso tono piatto e
annoiato
che usava ogni volta in cui veniva costretto a rispiegare un suo
piano (nei
rari casi in cui lo faceva),
perché nessun altro a parte lui stesso capivano.
“Ventidue,
ho
tempo”,
Morty declinò il capo, come se parlasse con un bambinello
cocciuto.
"Sono ancora
giovane".
Il
tono di Rick divenne lugubre. "Non
per molto".
Un
silenzio teso si addensò nell’aria.
Morty
fu il primo a sospirare, un tiepido tentativo di stabilire un
po’
di equilibrio, rompere quello schema gerarchico ristabilito da una
maledetta pausa. Rick aveva vari modi di confermare la sua situazione
in potere, e lasciare l’interlocutore senza parole era uno di
questi. Lo sfiniva, sminuiva, lasciandolo nervoso, i piccoli
pezzettini di quelle sue frasi sconclusionati a vorticargli per la
mente. Che cosa avrà mai voluto dirgli? Perchè si
comportava così?
Era davvero colpa sua? L’autocommiserazione era una
caratteristica
comune di chiunque stesse intorno a Rick.
Forse
Morty non aveva avuto tutti i torti, con quel fatidico
“no”. Chi
poteva immaginare Rick cosa gli avesse chiesto, in che razza di guaio
lo voleva invischiare, portandolo, chissà, a fare a pezzi un
altro
po’ della sua morale ormai a brandelli. E se invece fossa
stata una
domanda molto più cruciale, sarebbe stato saggio
avventurarsi in un
“sì”, con una relazione in cui lo
spareggio di potere era così
evidente?
Forse
dovevano chiudere, pensò Summer, consapevole però
che non sarebbe
mai successo. Nessuno dei due avrebbe voluto. Avrebbero preferito
farsi estrarre una costola senza anestesia, e avrebbero seppellito le
loro frustrazioni, nonostante
ribollissero dentro loro come catrame. Un agglomerato di angoscia,
disgusto e insicurezza sarebbe rimasto in
agguato
tra
loro, ma
senza parole a renderlo un concetto, una realtà dura su cui
sbattere
il muso.
Morty
aveva alzato il tono di voce, deciso a farsi valere, volendo essere
un punto di svolta in quella situazione di stallo. "Qual è
il
problema con te adesso?".
Rick
grugnì. "Vorrei capire il tuo. Tu hai deciso di mandare a
puttane tutto". Summer immaginò suo nonno con la sua tipica
gestualità, impuntare ferocemente il dito verso suo nipote,
addossandogli ogni colpa, come quasi sempre, anche quando Morty non
faceva niente. C’erano eccezioni, ma il prendersi le proprie
responsabilità nella vita era ancora una nuova scoperta per
Rick.
"No-non
fare come se-se fosse solo colpa mia!".
"Lo
è".
"Sul
serio credi di non aver fatto nulla?".
"Allora
scusa, se credi di meritarti delle scuse, testa di cazzo".
"Graz-
ehi!".
Non
era difficile iniziare a figurarsi Morty stizzito, lo sguardo
alterato e le mani sui fianchi. Summer lo aveva reso molto spesso
così, e Rick sicuramente era un degno avversario nel rendere
Morty
irato. Era divertente, a volte.
Ma
in quel momento nessuno rideva.
"Cambiato
idea, ora?", chiese Rick. Come se potesse essere così
semplice,
pace fatta, tutto chiarito, dammi un cinque e amici come prima. "Il
tempo passa, più in fretta di quanto si pensi, e di certo
non si
adegua al volere del tuo culetto viziato".
Summer
non aveva bisogno di essere lì vicino per sapere che l'alito
di Rick
puzzava, puzzava esageratamente di liquore a basso costo e fumo. Ma
perché suo nonno aveva così fretta?
"No,
non cambio idea.".
“Certo
che no, adesso il principino è diventato
pretenzioso”. Non c’era
forza dell’universo che trattenesse Rick
dall’essere il solito
burbero seè, né che gli negasse di alzare gli
occhi al cielo. “Ora
tiri fuori le palle, bene. Beh, in realtà lo facevi anche
prima, ma
in quel senso era più piacevole”. Pessima,
pensò Summer, e lo fece anche Morty, visto che non
accennò alcuna
minima risata. “Eh, era una battuta”.
“Spiritoso,
come
un calcio sulle gengive”,
Morty
replicò, grondante di sarcasmo.
Rick
rispose a tono: “O una coltellata nella gamba”.*
Morty
deve aver accennato a un piccolo sorriso, perché sua sorella
percepì
un briciolo di soddisfazione nella sua voce quando domandò:
“Te la
ricordi ancora?”.
Perfino
Rick dal tono sembrò rilassarsi. “Ci
puoi giurare, hombre”.
Un
senso di tensione e angoscia, che prima si era addensato
nell’aria,
in quel momento diminuì, diluendosi come acqua e sangue
sotto la
doccia. C’era una nuova atmosfera, molto più
rinfrescante e
leggera.
Summer
non riusciva a credere come quei due avessero trasformato il ricordo
di una pugnalata in qualcosa di
romantico. D’altra parte, però, nessuno le aveva
promesso che Rick
e Morty fossero due persone normali.
Un
momento di silenzio passò, e poteva essere accaduto
qualsiasi cosa. Forse, entrambi
sdraiato o seduti, ancora senza alcun vestito addosso, avevano
incominciato
a condividere
uno stesso sguardo famelico, ma non di sangue. Probabilmente Morty si
era avvicinato a Rick, alla sua gamba, e con le dita aveva iniziato
a tratteggiare la cicatrice che aveva lasciato sulla pelle
dell’uomo
più vecchio. Lentamente,
sacrale,
come se avesse paura di ferire
di nuovo Rick, o come gli bastasse sfiorare solo un po’ quei
segni
per venire travolto da un inebriante senso di piacere. Purtroppo per
lei, Summer aveva già beccato suo fratello a masturbarsi in
giro per
la loro vecchia casa, e ricordava bene quale fosse la sua espressione
eccitata: i denti che mordono il labbro inferiore e le palpebre
socchiuse, rapite da quei graffi che Rick avrebbe potuto far sparire
in un secondo, eppure eccoli
ancora lì, come un simbolo, un promemoria.
“Questo
ti eccita, Morty? Ti piace fare del male al nonno?”. La voce
di
Rick non diventava altro che un sussurro, una sporca carezza alle
orecchie del moro. Un suono umido, come un bacio, saliva e altri
liquidi corporei condivisi, in un momento osceno e tremendamente
intimo. Un leggero mormorio da parte di Morty, un probabile segno di
assenso, e
il nonno rise leggermente. “Sai che il vanilla non
è proprio il mio genere. Vediamo di cos’altro sei
capace, piccola
canaglia
vendicativa”.
Si
sentì qualcosa di pesante colpire delle foglie e farle
scrocchiare.
Non era neanche
difficile immaginarsi Rick e Morty di nuovo uno sopra
l’altro, il
moro con le braccia intorno al collo dell’altro e lo
scienziato con
un sorriso
lascivo nel volto, incapace di distogliere lo sguardo. Occhi chiari
riflessi in orbite più scure, l’antico fervore
condiviso che
tornava alla luce.
“È…
questo è tutto ciò che hai da dire,
vecchio?”.
“Mh,
parlare sporco non è proprio il tuo forte, cucciolo”.
Summer
rimase un attimo destabilizzata. Non
per le preferenze sessuali dei due, che
– doveva ammetterlo – non la sorpresero
chissà quanto, ma da
come fossero passati
dallo
scannarsi all’incapacità
di staccarsi l’un l’altro. Più
che tra loro, Rick e Morty dovevano fare pace col cervello.
Era
giusto che
ritrovassero un equilibrio, il maledetto equilibrio che infestava la
mente di Summer da mesi.
Dominata
dallo spirito distruttivo di Thanatos, se si voleva analizzare la
relazione di Rick e Morty in chiave freudiana, il coinvolgimento di
uno
spirito passionale come quello di Eros diventava elemento
determinante.
Eppure
un tassello era ancora mancante, e Summer, non importava quanto si
scervellasse, non riusciva proprio a venirne a capo.
Udendo
gemiti poco trattenuti e suoni ancora più umidi, giganteschi
segnali
che indicavano “slinguazzamenti in corso, meglio girare a
largo”,
la rossa prese in considerazione l’ipotesi di andarsene e
mangiare
finalmente i suoi smores.
Ma
una brusca interruzione di tutto ciò fermò Summer
sui suoi passi.
Forse
qualcuno stava imparando a non farsi distrarre dalla promessa di un
orgasmo, con grande disappunto di qualcun altro.
"Sì,
abbiamo vissuto dei bei momenti insieme", Morty sospirò
piano,
incontrando con lo sguardo l'incarnazione umana di un ego narcisista
e megalomane concretamente ferito, confuso. “Ma io voglio le
mie
scuse. E sei ubriaco", il moro accusò, consapevole
però che
quello fosse ormai un dato di fatto costante.
"Spiegami
perché no,
allora".
Rick
parlava solo di un “no” in particolare. Deve essere
stato
intenso, a vedere dal modo in cui l’ha ossessionato, dominando
ogni argomento di discussione. Morty gli aveva detto no, e questo
proprio non gli andava giù. Il
suo potere vacillava, aspettando per assestarsi in una nuova dinamica
relazionale.
Il
moro schiuse le labbra, poi le richiuse, e lo sguardo di Rick divenne
ancora di più inquisitore, le folte sopracciglia corrugate
verso il
basso, come ali di gabbiano.
Il
cuore di Morty sbattè di continuo contro la gabbia toracica,
facendo
male, nell'aria un acre tensione che non lo faceva sentire
così
piccolo da anni. Era di nuovo bambino e i suoi genitori avevano
iniziato a litigare, urla feroci che stridevano nella mente, ombre
dalle fisionomie affilate, pronte a infestargli il sonno, mille
perché?
a
cui non riusciva a trovare risposte che non fossero l'incolpare se
stesso.
Senza
di me, avrebbero un peso in meno, sarebbero più felici.
E
Rick? Anche lui era nascostamente uomo, anche lui mentiva —
diceva
di esser forte, ma nessuna roccia resisteva all'erosione. Era
evidente che quella situazione aveva mandato in subbuglio la sua
testa cervellotica, come quel "no" fosse stato talmente
imprevisto, perché incapace di integrarsi con i suoi
precedenti
calcoli. E si sentiva minuscolo, come quando suo padre aveva
incominciato a picchiare sua madre, o forse era sempre successo e lui
finalmente aveva iniziato a notare cosa stesse effettivamente
succedendo, ma il perché non lo comprendeva; non capiva
nemmeno
perché i suoi fratelli rimanessero così
silenziosi, indifferenti,
gelidi. Lo stesso gelo che Rick sentì quando di sua madre
non rimase
altro che cenere.
Non
capivano, non capivano, non capivano. Perché erano
un peso,
perché erano così inermi alla vita.
E
si perdevano, tra le parole mal dette e i sentimenti distrutti con
repulsione.
Non
capisco perché non mi capisci.
“Oh,
per favore…", Morty scuoteva il capo, sentendosi insultato
da
come semplicemente Rick non ci arrivasse. Come
se non lo sapesse.
Rick,
l'uomo più intelligente del mondo, che purtroppo non
brillava molto
per autocritica e morale.
"Non
mi piace essere quello che non arriva alle cose in una relazione",
Rick sbraitava, "Fun-funziona in solo modo tra n-noi. Sei tu
quello che non capisce un cazzo, e poi arri-arrivo io con Morty,
sul serio? È più facile q-questa
robaccia che fare scoreggia.
M-Morty, come cazzo fai a svegliarti la mattina se non ti si accende
neanche mezzo neurone?".
"Quindi
ti vado bene solo come stupido?". Morty ad ogni frase sembrava
rimanere scandalizzato dal comportamento di Rick, come se non lo
avesse mai conosciuto. "Come
se potessi essere altro,
rispondo
io per te". Lo scienziato non si era mai fatto problemi a
chiamare Morty per quel che era ai suoi occhi, stupido
inutile spreco di spazio,
e quelle parole non potevano rimanere nella polvere a lungo. Da
quando la loro relazione era mutata, quegli epiteti non erano
diminuiti, fossilizzati nel linguaggio come un intercalare, un brutto
vizio inutile da estirpare. E Morty ci aveva provato, a segregare
ogni parola, ogni suono, ogni ricordo, in qualche scantinato buio
della sua mente, in qualche stanza angusta e poco pulita. Aveva
imparato a rispondere a tono, a incassare i colpi e a saperli
restituire, facendo finta che niente potesse fargli davvero male, ma
i nodi vengono sempre al pettine. Quelle parole facevano male. Altre
mille azioni avevano infettato quella carne, penetrate in una ferita
aperta con lo scopo di infierire. E doveva essere ancora peggio,
pensò Summer, quando eri innamorato di chi ti aveva inflitto
tanto
dolore. Era ancora peggio aver amato nonostante l'abuso, lo
smantellamento della
morale e
del
concetto di famiglia, dell'unico posto sicuro che Morty
avesse mai avuto, per inseguire il proprio
cuore, avvelenato
e
rubato dal peggior Dio nella
galassia.
"Zitto".
Sembrava essere rimasta l'unica mossa nel repertorio di Rick, come se
fosse a corto di parole. Ma lui non lo era mai, e forse,
chissà,
semplicemente si rifiutava si ammettere una verità che
sicuramente
avrebbe reso più morbida la corteccia che amava far aderire
così
tanto tra i filamenti della sua epidermide. Una verità che
entrava
sottopelle, e che nascondeva affetto e addirittura orgoglio, per
quella piccola iena di suo nipote.
"Non
ci posso credere!".
Rick
fece spallucce, ritornando a indossare quella maschera di
sfacciataggine che si cuciva così perfettamente col suo
viso. “Il
mio era un suggerimento”, disse. Una semplice cosa da niente,
no?
No.
"Proprio come hai voluto suggerirmi velatamente che scrivere una
sceneggiatura su Netflix fosse stupido? O che lo fossero i draghi?
Vuoi davvero che ti faccia la lista tutto ciò che mi hai
rovinato?",
Morty cominciò ad elencare, la lingua spuntava fuoco e
fiamme.
"N-non
c-che mi interessi molto", l’indifferenza era sempre
un’arma
micidiale, a volte a doppio taglio. Mai che avesse avuto
un’epifania,
Rick, da lasciarlo con l’espressione sbigottita e stralunata,
in un
vago senso di incertezza e perdita. Erano davvero quelle le
motivazioni? Erano così semplici? Così stupide?
"Te le
sei proprio legate al dito, eh? Beh, non mi scuserò,
scordatelo".
Morty
sgranò lo sguardo. "Non lo farai?", boccheggiò,
scandalizzato. Dentro di sè ribolliva lava incandescente,
sentimenti
che avrebbero eruttato come la sveglia improvvisa e letale di un
vulcano dormiente.
"Morty,
tu davvero vuoi che le persone si scusino per volerti al loro
fianco?".
"Tu
volevi che fossi lì con te solo per potermi usare!", il moro
lo
accusò, aspro ma diretto.
Si
erano guardati negli occhi mille e più volte. Felici,
arrabbiati,
con il viso ricoperto di sangue e delusione, o con uno scintillo di
pura devozione, ma niente era cime quel momento. Niente poteva essere
peggio. Summer non poteva immaginarseli che così, incatenati
l'uno
nello sguardo dell'altro. In allerta, su chi avrebbe inciso per primo
il colpo più letale.
"Perché
non lo riesci a capire, cazzo? Che cosa aspetti, un invito formale di
merda? Un libretto delle istituzioni? Perché ogni fottuta
cosa con
te deve essere così complicata?", Rick sbraitava, sempre
più
incline a una crisi di nervi. "Sei così fastidioso, cazzo!
Vaffanculo!".
“Tu
brutto stron-”. Morty si fermò, all'improvviso,
nell'aria si
respirava qualcosa di sinistro. Ogni motivazione che poteva averlo
fermato, di certo non era delle migliori. Non perché si
stesse
pentendo di ciò che stava dicendo, ma perché
nella sua mente aveva
affilato un'arma migliore, una più tagliente, che sapeva
bene dove
colpire. “È per questo che ti ho abbandonato
all’altare”,
aveva sibilato Morty, digrignando i denti, una naturale cattiveria
che poteva essere comparata a quella di una vipera che mordeva e
lasciava che il veleno penetrasse nelle sue vittime.
Rick
non poteva tollerare nient'altro.
“Levati
dal cazzo”. Il
suo tono era fin troppo calmo, tanto da risultare inquietante.
Una
bellezza come il cielo prima viola, tranquillo, limpido, ma
ingannatore, che subito dopo una prima pace scatena una guerra di
lampi e saette.
Morty
strabuzzò gli occhi, come se si fosse appena svegliato da un
sogno
ad occhi aperti, e fosse appena ritornato alla realtà.
Cos'era
successo? Erano state le sue labbra a parlare? La sua bocca aveva
davvero sparato parole tanto efferate? “No, Rick, io
–”.
Troppo
tardi per pentirsene.
“ORA!”.
NdA
*è
canon. Uno degli autori ha affermato che Morty ha cacciato una
coltellata
al nostro caro Rick (non ricordo se prima o dopo che lui lo facesse
cadere dalle scale davanti ai suoi compagni, rip).
Qué
lindo eres tú, eres mi bebé
Mi
bebito Fiu Fiu
feeling
those vibes, eppure col capitolo non c’entrano nulla! Lmaoo
Ma
ciao, mie primule! Que
onde?
Ho
molto peccato col ritardo di questo capitolo, ma vuoi lo studio, vuoi
che c’era un dialogo che proprio non mi piaceva ma non sapevo
come
cambiarlo, vuoi che questo maledetto virus ha preso anche me (anche a
Ferragosto uffina :c). solo adesso riesco a pubblicare. Lo
siento.
Grazie
a Dio il fandom ha iniziato a parlare di quella coltellata,
sennò
davvero non sapevo come aggiustare quel dialogo. Non mi convince del
tutto nemmeno ora, ma sempre meglio di Rick che diventa insicuro
sul suo aspetto fisico per colpa di Morty. E onestamente i’m
living for petty Morty
– un po’ di vendetta non fa mai male u.u
Anche
se molto probabilmente l’accoltellata è venuta
prima della scena
delle scale, non penso Morty sia il tipo da accoltellare a caso,
quindi si stava vendicato anche lui a sua volta. Inception di
vendette.
Ho
anche cambiato il giorno del suo compleanno, perché finché
nessuna data è canon, I
do what I want + ho
di nuovo indulgiato un po’ nei pov suoi e di Rick, lo
ammetto.
Prima
che me ne dimentichi, la canzone a inizio capitolo è quella
degli
Afterhours. Prob non c’entra moltissimo con il contesto, ma
quell’estratto rappresenta molto Rick, ammettiamolo
u.u
Per
il resto non ho molto da dire - oltre che sono in hype per la nuova
stagione, dove spero non risolvano tanto in fretta la questione
Morty, e il modo in cui i due faranno pace non vorrei fosse troppo
veloce, ma ho amato come in 3\4 delle scene ci sia Rick difendere
Morty, they’re dating,it’s canon. Non mettiamoci a
parlare di
quanto sia figo Rick in a suit, anche se un po’ mi ricorda un
inviato delle iene u.u
Statemi
bene, gente, e alla prossima!!
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