Un piccolo punto infinito

di E niente
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Federico era anonimo nella rapidità con cui la folla lo inghiottiva, e nemmeno ci finiva in mezzo. Era sempre stato come se tra Francesca e Federico stazionassero cento mila fantasmi trasparenti e fluttuanti. Era aria quella, sì, ma era aria densa, pregna e umidiccia che tutto schermava. Era il blocco delle persone non destinate a conoscersi, persino nella frequentazione della stessa compagnia, nella casualità degli stessi gruppi whatsapp zeppi di numeri non salvati in rubrica, nell’appuntamento allo stesso bar anonimo del centro, un tavolo, una birra e la vicinanza con sconosciuti con cui cercavano di stringere amicizia, ma non erano loro due.
Loro due non erano mai capitati vicini seduti a parlarsi, e se Francesca avesse dovuto descrivere la faccia di Federico non avrebbe saputo da che parte cominciare. Era una mancanza come tante nella vita universitaria e dei ponti tra un gruppo di amici e l’altro, e come tante passava intatta allo sguardo di Francesca, come mille cose altre che erano in un certo modo e avrebbero potuto essere diverse e non era importante, davvero.
Non era una mancanza importante, finché non lo divenne.
In principio era il verbo, una sonorità quieta che fu semplice risposta ed opinione personale. Federico si era espresso e Francesca, là vicino, sentì che avrebbe voluto partecipare a quella conversazione di cui aveva sentito solo uno sprazzo. Ma la conversazione continuò rumorosa scoppiando battute e risate in un susseguirsi di fuochi d’artificio che lei non fu in grado di capire, poi il discorso volò su un altro pianeta scivolando naturale, e seppure Francesca ora ascoltava, Federico non diceva più nulla.
La sensazione di essersi persa qualcosa la colpì come un moscerino che, incapace, tenta di schiaffarsi nella narice: Francesca era infastidita da un piccolo particolare che, a definire cosa fosse, era più che un’impresa. Nonostante il desiderio di cavarlo fuori, quel primo interesse si stabilì rapido nel suo subconscio.
Non ci volle molto a imparare a riconoscere la voce di Federico. Il ragazzo non parlava tanto, ma aveva il dono di parlare il giusto. Parlava, e la risposta alla domanda del professore era così naturale e rapida come se fosse scontata per tutti ma non lo era affatto, mentre Francesca spalancava gli occhi e si affrettava a scrivere sul quaderno l’arguzia di Federico, facendoci magari un riquadro intorno. L’avrebbe riletta alcune volte nelle settimane successive, ripetendo la materia.
Federico non era nulla di più che una voce intelligente e un appunto sul suo quaderno, ma Francesca era un’amante delle piccole cose. Le era capitato un ritornello accattivante, le si era incastrato tra un lobo e l’altro del cervello, e prima o poi avrebbe ascoltato tutta la canzone. Dopo aver riconosciuto che quella canzone era la sua preferita del periodo, be’, avrebbe ascoltato anche tutto l’album. E sarebbe successo piano, e Francesca ancora non lo sapeva, ma quel ritornello ascoltato per caso l’avrebbe ossessionata come poche altre cose.
Che quella di avere fissazioni alterne, un mese questo e un mese quello, fosse solo un modo per ingannare il tempo della sua vita mortale, Francesca lo ipotizzava e ne era convinta quasi al cento percento. Rimase di quel parere finché i chiodi non bruciarono gli occhi e non pizzicarono il cuore, e allora Francesca si ritrovò a fare i conti con un mucchio di vestiti sciatti, un muso che le ricordava quello del suo professore di matematica del liceo, e una bicicletta che le sfrecciava dolorosamente accanto senza mai alzare la mano.
Federico aveva la barba saggia di un vecchio uomo gentile, i capelli corti di un teppista e gli occhi scuri che da lontano sembravano chiari, e Francesca non sapeva che scherzo mai fosse quello. Non sapeva che scherzo fosse quello sguardo che ascoltava muto e pareva invece che dicesse un mucchio di cose e tutte azzeccatissime, né sapeva esattamente cosa fosse quella semplicità con cui Federico buttava via piccole osservazioni molto sveglie, e poi piccole battute molto idiote. Francesca scuoteva la testa piano e segnava tutti i punti a sfavore del ragazzo che era in grado di racimolare, perché voleva ricordarsi che qualche difetto doveva averlo pure lui, ma tirando le somme quel cuore le sembrava troppo aperto, quelle mani in tasca promettevano la tranquillità che Francesca cercava, quel sorriso tenue la scaldava ed era ormai troppo tardi.
“Mi piace, Federico” aveva ingenuamente comunicato a Stefano, quando ancora era ben lontana dal capire la portata del sentimento. “Sì, no?” rispose il suo amico, dello stesso parere, in quello che era uno scambio di opinioni molto felice su un loro compagno di corso. Federico faceva una buona impressione, Federico faceva colpo.
Nessuna rivelazione colpì Stefano nei mesi a seguire, nessuna voglia di chiudersi in camera con le tapparelle abbassate e le briciole dei biscotti sotto le lenzuola. Francesca, invece, sperimentò questa e mille altre piccole pene quotidiane, come il sole che sorgeva sempre uguale, il giubbotto che puzzava di sudore ma che non poteva portare in lavanderia, la spesa che pesava troppo sulle scale, la luce perforante dell’aula studio, il pakistano che le ammiccava dopo il tramonto e lei che cercava di non essere razzista, ma era stata avvertita sui pakistani del quartiere e avrebbe proprio dovuto comprare uno spray al peperoncino, perché la rabbia le consumava i denti.
Federico non la guardava. Le aveva detto che stava studiando quella materia là con quel ritmo lì e che aveva intenzione di andare in Inghilterra l’anno prossimo, e l’aveva affiancata mentre andavano al bar e ne uscivano a mani vuote, loro due parlando e gli altri ordinando un caffè. Ma Federico non l’aveva guardata, o comunque l’aveva fatto, ma non aveva visto niente. Non era andato oltre le lenti spesse e i capelli legati in malo modo, schiacciati meschinamente sulla testa. Non si era accorto che, in realtà, quei capelli erano i più crespi e aggressivi nell’occupare spazio, né si era accorto che oltre le lenti c’erano due pupille larghe e nere e che bastava poco da lì per guardare il fegato e i reni di quella povera martire dilaniata dai sentimenti.
Non fu nemmeno amore, fu direttamente mancanza. La bicicletta continuò a passarle accanto senza salutare, i loro gusti musicali continuavano a coincidere solo secondo le storie di instagram e non ci furono mai né consigli, né confidenze, né commenti sul bel tempo, né ombrelli prestati e restituiti.
Francesca piangeva e non era neanche per Federico. Era una cosa diversa, era una cosa più grande, come se mancasse un mattone solo ma fosse venuto giù tutto il muro. Francesca aveva il dono di stare attenta alle piccole cose e le piccole cose, rimbalzando da un pensiero all’altro, ne uscivano ingigantite.
Era per lo più un pregio, questo, il costruire tutto da niente, il notare un gesto e capire una personalità intera con margine di errore basso, l’osservare schemi e prevedere il futuro delle relazioni e non restare sorpresa delle novità degli altri. Tuttavia, coltivando questo talento si era condannata a una vita piena di prudenza e pesantezza, in cui le formiche finivano per pesare come gli elefanti e le cose che dovevano essere semplici finivano per essere paurose, mentre quelle che dovevano essere tristi lo erano sconfinatamente.
Federico non la guardava e improvvisamente Francesca si accorgeva che nessun altro la guardava, nemmeno, e che le persone che voleva conoscere meglio non avevano lo stesso desiderio in cambio, e che l’unica persona a guardarla con interesse era il pakistano che le ammiccava e Francesca doveva alzare il passo altrimenti sarebbe finita male.
“Ti piace Federico” aveva sentenziato Stefano, e Francesca ringraziò l’universo che anche il suo amico fosse dotato di poteri sovrannaturali, tali da ascoltare una sola parola e cogliere il mondo intero; lo ringraziò, perché fosse stato per lei non ne avrebbe parlato con nessuno mai e la città le sarebbe andata ancora più stretta.
Stefano aveva capito e questo era bastato a mettere un punto, l’infinita tristezza non sarebbe cresciuta più di così. Un punto c’era, un anno era passato e Federico era partito davvero per l'Inghilterra. Francesca, un’atea negligente, gli mandò i suoi più sinceri auguri con il pensiero, conscia che gli sarebbero arrivati ma che lui non ci avrebbe nemmeno badato. Federico era su un aereo e Francesca era solo un puntino lontano.
E tale continuava a sentirsi. Sua madre le aveva detto che le cose belle arrivano all’improvviso, ma Francesca sorrideva come una bambina e ci credeva come per le favole, la storia rosa che si legge prima di spegnere la luce e dormire.
Francesca sopravviveva, in qualche modo, le cose andavano avanti lo stesso.
Tutto va avanti lo stesso.

Tutto va avanti sempre, lo stesso.

Tutto va avanti, sempre lo stesso.












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