Due
giorni dopo, primo pomeriggio.
Quel
giorno d'estate faceva caldo,la capitale Nova,con i numerosi villaggi
e città limitrofe,antiche sedi di tribù e
civiltà antiche,erano
centri cittadini per la maggior parte abitati da
contadini,allevatori,artigiani e qualsiasi altro membro della umile e
laboriosa classe agricola della civiltà noviana,che
affondava le sue
radici in quella terra da tempo immemore. Colline riarse dall'afa
stagionale facevano divenire l'erba secca e stopposa,mentre di verde
rimanevano i boschi di lecci e faggi,anche qualche macchia sporadica
di pioppi dispersi qua e la. Lei vedeva tutto questo da
lassù,nel
cielo,mentre sfrecciava nell'aria,nella quale non passava alcun vento
fresco a lenire il caldo di quel pomeriggio. Ma non ci pensava,anche
se l'alta velocità consentita dalle ali d'acciaio e
l'altezza alla
quale stava volando non le facevano sentire il caldo,non era quello
che la impensieriva. Era altro a occupare la sua mente preoccupata.
Dopo due giorno di volo quasi ininterrotto,fermandosi solo per
magiare e riposare nei castellum sparsi per il tragitto,aveva cercato
di raggiungere più in fretta che poteva la capitale e di
conseguenza,il palazzo reale. L'imperatore era un uomo paziente,ma
era meglio non farlo aspettare più del dovuto.
Torna
a palazzo
Questo
c'era scritto nella missiva e questo solo doveva essere
presente,nulla di più,nulla di meno. Questo era
l'imperatore,niente
fronzoli inutili,niente giri di parole,dritto al punto della
questione. Punto e fine. E adesso,lo stesso uomo che l'aveva messa al
comando della ventiduesima legio Superba adesso poteva decidere del
suo destino,come se fosse stato a tessere i fili del ricamo di cui
ogni uomo,donna e bambino e tessuta la sua vita e lui teneva in mano
le forbici che avrebbe reciso il tessuto dal telaio delle parche,ad
imporsi ad essere al di sopra delle tre sorelle del destino,di essere
colui che iniziava il lavoro,che ne decideva la lunghezza e che dava
la sforbiciata finale quando la morte giungeva. L'imperatore,per
quanto fosse un solo uomo,teneva in mano il destino di un vasto
impero,che valore poteva avere la sua vita,nella vastità di
tutti
gli esseri che abitavano quel vasto territorio che era Nova?
Mentre
stava sorvolando i vasti spazi aperti si accorse in lontananza
l'avvicinarsi di due figure dai contorni ben riconoscibili,grazie
alla magia che dimorava all'interno dell'elmo,dote più che
consona
ad un elmo che reca l'aspetto della testa di un aquila. Avevano
l'apparenza di normali aquile reali,piumaggio marrone,becco giallo e
sguardo incisivo. Ma via via che si avvicinavano si facevano sempre
più grosse,sempre più grandi,fino ad assumere le
dimensioni di un
elefante e con un apertura alare così larga da raggiungere
diciotto
cubiti,una misura notevole per quello che normalmente un piccolo,ma
letale,predatore di montagna. Sopra le due aquile,sedevano due
soldati,tenuti ai grandi rapaci per mezzo di un piccolo manubrio di
legno e poggiando il proprio peso su di una sella appositamente
conforme alla schiena delle aquile. Indossavano una particolare
armatura di cuoio,imbottita di lana,che copriva tutto il corpo,tranne
la testa,che veniva protetta da un elmo del medesimo
materiale,rinforzata da piccole fascette di metallo,unite tra di loro
da un imbottitura di lana posta sotto una leggera cotta di maglia
uniti in piccoli anelli di metallo,alle mani e ai piedi portavano
guanti e stivali di cuoio. Non certo il tipico abbigliamento dei
soldati imperiali. Ma più appariscente era lo stemma che
recavano i
soldati sui due lati del petto,una nuvola in procinto di scagliare
fulmini sulla destra e un aquila in volo sulla sinistra. Li aveva
riconosciuti. Erano due membri della sesta legione ausiliaria, Rex
Aquilae, un corpo d'armata specializzato nell'addestramento e nel
combattimento con aquile giganti. Conoscenza strappata agli elfi
delle lontane vallate occidentali,che tempo addietro seppero umiliare
le legione noviane,con i loro rapidi e potenti attacchi fulminei.
Si
dirigevano verso Nevia e nel vederli la ragazza si chiese se fosse
giunta al limite della capitale. Guardò in basso e lo
vide,il fiume
Satulis,o Satulo come veniva chiamato in latino,antico confine tra la
prima città di Nova e la tribù dei Satuli,uno dei
primi ad essere
conquistati dai tempi della fondazione della capitale.
Sapeva
cosa doveva fare,per tanto,scese lentamente verso il suolo,nei pressi
della riva del fiume,ampio e abbondante,arrivata al suolo venne
raggiunta poco dopo dai cavalieri volanti,scesero entrambi e si
avvicinarono,armati solo di un uncinus,o uncino,nome dato dai
legionari ad un arma tipica dei cavalieri elfici di aquile
giganti,simile ad un grosso uncino di metallo,simile ad un falcetto
per il grano,ma più grosso e con la lama più
pesante,adatto per
colpire con la lama ricurva per tranciare gli arti,che con l'uncino
posto alla fine della lama,utile per afferrare,infilzare e colpire
con leggeri attacchi di taglio. Un arma strana,ma letale in mani
esperte.
Nevia
si tolse l'elmo rivelando la propria identità,poi
appoggiò il pugno
contro il petto facendo il saluto militare.
“Ave.
Sono Nevia Placidia Sannita,comandante della Ventiduesima Legio
Superba. Ho ordine di incontrarmi con l'imperatore. Chiedo il
permesso il passare.”
“Ave...,disse
uno dei soldati scesi a terra ,“Abbiamo ricevuto la notizia
del
vostro arrivo e avete il permesso di superare il confine. Prego
procedete pure comandante.”
I
tre si scambiare un ultimo saluto e ognuno proseguì per la
propria
strada,Nevia verso la capitale e i due legionari del cielo per un
giro di controllo,alla ricerca di mostri,bande di criminali o altre
calamità. Agli occhi di un estraneo un evento di tale
piccolezza
sembrava una cosa stupida,mandare due soldati a cavallo di
gigantesche bestie alate solo per far passare un militare poteva
sembrare stupido,ma non era così. In passato numerose guerre
civili
ed eserciti stranieri avevano visto la capitale come obbiettivo fisico
di una campagna militare e gli assedi,pur non essendo stati
molti,furono comunque terribili e da tempo immemore,per volere del
senato,qualsiasi importante figura militare,avesse portato con se un
esercito e con esso avesse attraversato il Satulo con tale
armata,sarebbe stata dichiarata un azione di guerra. Lo stesso Silla
aveva oltrepassato il fiume dalla stessa direzione di Nevia con
l'intenzione di assediare la città. Ma lei aveva portato con
se solo
l'armatura e se stessa al suo interno,in caso contrario i due soldati
avrebbero visto le truppe in movimento già da molto lontano
e
sarebbe tornati indietro per riferire e prepararsi a intercettare
l'esercito nemico o a difendere la città. Passò
il fiume e superate
diversi gruppi di grandi colline finalmente la vide,era solo un
puntino indistinguibile,ma già ne poteva avvertire la
potenza e la
maestosità. Nova era davanti a lei. Vedeva sotto di se la
Via
Flaminia,che adesso si trovava sotto di lei,una delle strade
più
importanti,se non la più importante,di tutto l'impero,che si
estendeva per buona parte dell'impero,estendendosi per buona parte a
nord e a sud dalla capitale,per poi incrociarsi per altre
vie,primarie e secondarie e che facevano affluire da entrambe le
parti numerosi individui,da ogni parte dell'impero,di ogni razza,di
ogni etnia ed ogni civiltà ora sotto il controllo di Nova.
Vide la
porta principale,la porta di Giano,o l'ingresso di Giano,dedicato
all'omonimo divinità noviana del passato e del
futuro,custode
dell'entrate e delle uscite,ma non era li che era diretta. Fece un
giro più ampio delle mura e si trovò ad un altro
punto delle
immense difese della capitale,dove in punto ben preciso vi era
installata un altra entrata,più piccola di quella principale
e
utilizzata solo dai convogli militari e dalle piccole squadre di
legionari,quando non rientravano in città per essere
acclamati dalla
folla adorante per un altra gloriosa vittoria nel nome dell'impero.
Non aveva un nome preciso e spesso veniva definita semplicemente come
la porta del soldato,senza gloria e senza infamia. Scese lentamente
al suolo,facendosi notare dalle truppe a difesa delle mura,sapendo
che non sarebbe stata attaccata. Una volta scesa si presentò
all'ingresso secondario,un enorme portone di legno aperto,dalla quale
alcuni giovani legionari,probabilmente fresche di recluta,facevano da
guardia all'ingresso. Per la seconda volta in quel giorno,Nevia fece
il saluto militare e si presentò alla porta e senza troppe
cerimonie
chiedeva il permesso di poter entrare in città.
Inaspettatamente
però dietro al legionari c'era un vecchio nano,uno schiavo
visto le
semplici vesti grige,ma comunque in salute e abbastanza curato
nell'aspetto. Forse uno schiavo dedito al lavoro tra i soldati.
“Nobile
comandante, mi è stato ordinato di dirvi,da parte diretta
dell'imperatore e del magister militum,che avete il permesso,anzi
dovete,portare l'armatura in città,ma che vi è
comunque vietato
l'utilizzo di qualsiasi potere o magia connessa ad essa.”
“Cosa?
Perché?”,chiese lei incredula.
“Riguardo
a ciò non so rispondervi signora,ma mi è stato
anche detto che un
carro coperto vi è stato messo a disposizione,per
raggiungere la
vostra destinazione senza dare nell'occhio.”
Nevia
superò lo schiavo e si introdusse in città
attraverso la zona più
umile della città. Le insule,le palazzine alte dai tre fino
ai
cinque piani,erano le abitazioni della gente più
umile,solitamente
abitata da molte famiglie numerose,spesso affollate in stanze
umide,piccole,con a malapena lo spazio necessario per tenere qualche
letto,la cucina e nient'altro. Nevia poteva vederci le donne in
casa,intente nelle faccende domestiche,mentre i bambini,scorrazzavano
per strada,giocavano con i gusci di noce per il gioco delle fossette
o a palla,oppure,nel caso delle bambine,intente ad accudire delle
bambole,fatte di stoffa e cucite alla meno peggio per le classi
più
povere della società noviana. Per un attimo si fece
distrarre da
quella semplice vista di vita quotidiana,con i rumori della strada di
un giorno come tanti,senza nulla di speciale. Quanto tempo aveva
trascorso sui campi di battaglia e quanti ancora ne restavano,prima
che la vecchiaia giungesse a toglierle ogni energia,oppure,quando la
morte sarebbe arrivata quando meno se ne sarebbe accorta,che fosse
durante lo scontro con un nuovo nemico oppure fuori dal campo di
battaglia,per i motivi più assurdi. Molte volte aveva visto
la morte
negli occhi eppure,mai come qualche giorno fa,per mano di un uomo che
non pareva possedere nessuna abilità degna di nota,uscito
vincitore
solo con l'aiuto del suo cavallo,l'aveva sopraffatta e adesso,se ne
stava tranquillo,al sicuro dentro le mura di Aegis,da dove
lei,purtroppo,non poteva raggiungerlo e la cosa gli montava dentro
una rabbia che ancora adesso non era ancora sopita. Si distrasse al
pensiero di quell'uomo quando i bambini che giocavano in strada si
accorsero della sua presenza e la fissarono,o meglio,fissavano la sua
armatura,bella e maestosa,ampia e possente,distraendoli dai loro
giochi. Non voleva ancora dare spettacolo della sua presenza e si
guardò attorno alla ricerca del carro e lo vide. Era un
carro
pesante coperto a quattro ruote,uno di quelli usati per le
vettovaglie e gli approvvigionamenti per l'esercito,attaccato a due
grossi cavalli da traino e con un uomo già al posto di
guida. Salì
dietro,con qualche problema dovuto dalle grandi ali di metallo e
senza nemmeno un posto a sedere,si appoggiò sul legno,a
gambe
incrociate,attenta a non incastrarsi,nel telone del veicolo,poi
partirono,lasciandosi dietro le mura della città.
Perché mai quella
decisione? Entrare in città senza essersi tolta l'armatura?
Mai da
quando era entrata a far parte dell'esercito aveva mai sentito di una
cosa simile. Era regola,fin dai tempi della fondazione della
città,che mai,un qualsiasi individuo in possesso di un
armatura o di
un arma dotata di magia propria,a capo di un armata,potesse entrare
in città senza che il proprietario fosse momentaneamente
spogliato
del potente oggetto e poi restituito quando esso sarebbe tornato in
servizio. La magia,fin dai tempi delle prime leggi,era severamente
controllata e limitata allo stretto necessario. Persino i maghi e i
sacerdoti,di sesso maschile e considerati dei novizi, dovevano
prestare servizio attivo per almeno tre anni nell'esercito o in una
mansione statale,prima di essere riconosciuti e ad autorizzati dalla
legge a far uso delle loro conoscenze. Ma allora perché a
lei era
stato imposto di tenere l'armatura del comandante della Superba?
Perché? A quale scopo l'imperatore e persino il magister
militum
avevano imposto un tale obbligo? C'era qualcosa che non quadrava,ma
non riusciva a venire a capo di quel dilemma. Mentre il carro
avanzava per la strada,poté udire in lontananza un ondata di
urla di
gioiose,del clangore delle armi e dello squillo delle trombe,erano
appena passati vicino al giardino di Bellona,la più grande
arena mai
costruita in tutto l'impero. Passò un altra decina di minuti
prima
di sentire un altro suono,quello dell'acqua,tanta acqua,acqua che
scorre con moto potente,ma controllato,non aveva bisogno di
affacciarsi per capire che stavano passando il Latium,il potente
fiume che divideva in due la capitale,attraversabile attraverso i
quattro grandi ponti presenti in città,situati,l'uno a
distanza
dall'altro per la medesima lunghezza,permettendo a chiunque volesse
raggiungere l'altra sponda senza troppe difficoltà,anche
quando
nelle giornate più calme c'era sempre un po' di traffico,per
non
parlare poi durante,le feste sacre e le parate militari,in quei
momenti si rischiava di non passare per ore,se si era fortunati.
Superata un altro po' di tempo Nevia poté sentire un forte
chiacchiericcio,urla sovrapposte che si assordavano le une con le
altre,poi giunsero gli odori,di cibi e pietanze,di profumi e di
spezie esotiche, non poteva non riconoscerlo,era giunta nel forum
commercium, la piazza del commercio,una vasta piazza dedita al
commercio di qualsiasi mercanzia,per lo più occupato dai
macella,
piccoli edifici a pianta quadrata specializzati nella vendita di
carni e verdure fresche,ma anche preparate in precedenza,già
cucinate e subito pronte alla vendita e disponibile anche a trovare
ingredienti rari per clienti affezionati,al giusto prezzo si intende.
Insieme ad essi non mancavano le taverne e le locande,ma vi erano
presenti anche aree specializzate nella vendita di bovini,di pesci,di
mobili,di libri,persino gli schiavi si potevano vendere
tranquillamente sotto gli occhi di tutti,per tutti i cittadini
liberi,per tutte le classi sociali e per tutte le esigenze. Ci volle
per liberarsi dal traffico delle strade principali che passavano per
il mercato e dopo un altro po' di tempo vi si poteva sentire un altro
genere di suoni presente in città,un po' più
ricercato e utile
all'occorrenza,quando se ne aveva più bisogno. Il suono dei
cimbali
in strada,delle sacre litanie emesse in strada e delle preghiere ai
lati della strada capì di essere giunta nell'area sacra,ma i
cittadini lo chiamavano il colle,l'unica zona della della capitale
che aveva subito pochi lavori di rinnovamento architettonico
dell'urbe fin dai tempi di Romolus. Numerosi erano i templi situati
nella zona è più in alto ci si innalzava verso la
punta del
colle,più grande era l'importanza della divinità
venerata.
Certo,proprio come per il mercato centrale della capitale,seppur la
maggioranza delle aree mercantili,ma non tutte, si trovavano in
quella area anche i templi situati sul colle,seppur erano i
più
importanti,non era tutti quelli presenti in città,che
sarebbero
stati troppi visto il loro numero e contando solo quelli dedicati
alle divinità noviane e tralasciando quelle dei popoli
stranieri. Ma
perché fare quel tragitto? Certo,la zona del colle,era
situata
dietro al palazzo reale,l'immenso edificio di marmo che occupava,da
solo, un intero quartiere,ma c'era una strada principale che
conduceva direttamente al palazzo e non era quella che stava facendo
adesso. C'era qualcosa che non quadrava in tutta quella faccenda e se
prima era preoccupata,ora si stava domandando che intenzioni aveva
l'imperatore con lei e il palazzo,c'entrava poco o nulla.
Tutto
ad un tratto il carro si fermò e dal posto del conducente si
sentì
una voce che parlò attraverso una fessura nel mezzo del telo.
“Siamo
arrivati signora.”
“Arrivati?Dove?”,si
chiese lei ad alta voce,mentre con qualche difficoltà
scendeva dal
carro,e poggiando i piedi non sul pavimento di pietra della
città
urbanizzata,ma la nuda terra,non ancora soffocata dal resto della
città. Si guardò attorno confusa notando di
essere in una zona a
metà tra il sacro colle e il palazzo,che con la sua
mole,occupava
una buona parte del campo visivo. Vide i templi costruiti quasi l'uno
sopra l'altro fin sopra la punta e tornando con lo sguardo verso
terra si accorse di loro,il corpo della guardia pretoriana,tutti in
fila,a fare la guardia ad una piccola stradina,dall'aspetto antico e
poco curato,che si inoltrava verso il basso,scendendo sotto terra,tra
gli sfarzosi edifici sacri,ornati di marmo,preziose statue e altri
orpelli di bell'aspetto non c'era niente,non un tempio,non un
sacrario,nemmeno una statua o una targa che segnava qualcosa. Il
vuoto più assoluto . I pretoriani restavano vigili,attenti a
non
muoversi di un solo fremito,quando Nevia,con ancora indosso
l'armatura camminava ,scendendo sempre più verso il fondo di
quella
strada che non aveva idea di dove portasse. Passo dopo passo,si
accorse delle lucerne posto sui muri che illuminavano il
sentiero,scendendo giù,sempre più giù
fino a trovarsi di fronte ad
una grande sala semibuia,dove ai lati otto grandi bracieri di
ottone,illuminavano la sala,dove illuminate a malapena,era presenti
sui due muri ai due lati della stanza dei
mosaici,possenti,maestosi...macabri. Le tessere univano due scene
differenti,sulla parte sinistra era raffigurata una scena di vita
quotidiana,in un paesaggio agreste,dov'erano presenti il sole,il
cielo azzurro,i boschi,le campagne e gente intenta a lavorare nei
campi. Fin qui nulla di strano...se non fosse che le figure presenti
erano tutti scheletri. Scheletri piccoli da bambini,scheletri grandi
da adulti,che aravano la terra,che raccoglievano la frutta,che
seminavano il grano e l'orzo e alcuni erano persino seduti ad un
tavolo intenti a mangiare. Nell'altra scena invece,quella di
destra,era raffigurato un cimitero,un cimitero molto grande,che Nevia
riconobbe molto bene. Era il cimitero cittadino,situato fuori dalla
capitale e qui erano presenti tutti gli elementi caratteristici di un
cimitero,le tombe,le urne votive,le statue e ovviamente,i morti.
Anche qui scheletri,tutti intenti a camminare in fila,precisi ed
ordinati,diretti verso una grande buco nero presente nel suolo,forse
una fossa o l'entrata di una caverna e dall'altra parte del buco
c'era una donna,vestita con lunga stola nera che le arrivava fino
alle caviglie,le braccia erano pallide come quelle dei cadaveri e sul
volto portava un velo nero che copriva il viso,ma a lei parve di
vedere la metà di un teschio che le mise i
brividi,perché ebbe la
sensazione che stesse osservando proprio lei,con la sua orbita vuota
e i suoi denti sporgenti.
“Cos'hai
da dire comandante?”
Una
voce la fece trasalire,la voce di un uomo,possente e al contempo
fredda e dura come il marmo delle tombe reali,non poteva non
riconoscerla. L'imperatore, Lucio Cornelio Silla era li. Si
girò a
volgere lo sguardo in cerca della figura del
dominatore,guardò più
in la nel buio e le parve che a malapena,il contorno di un uomo
possente,forte e vigoroso fosse molto più in la nella
stanza,coperto
dall'ombra,ma che le lingue di fuoco nei bracieri seppero dare una
forma indefinita,confusa. Lei non parlò non sapendo cosa
dire,solitamente forte,sicura di se e furente per la minima sfida che
le veniva lanciata da un nemico,ora si sentiva piccola,debole e
indifesa. Non lo dava a vedere,ma cominciava a non sentirsi
più al
sicuro e non era quel tetro luogo a farle paura. Non più di
quanto
potesse farlo lui.
“Ti
ho fatto una domanda. Che cos'hai da dire in tua difesa,Nevia
Placidia Sannita?”
Il
tono della voce era freddo e piatto,nulla di diverso dal solito,ma
sentiva che in quelle parole si nascondeva un emozione repressa,tanto
grande che la sola presenza era quasi tangibile nell'aria,come la
nebbia in una giornata d'autunno,presente,impalpabile,ma troppo
grande per non essere notata.
“Nulla
che tu già non sappia...maestà.”,disse
lei,mentre nel frattempo
si toglieva l'elmo,per mostrare il volto all'imperatore volendo
dimostrare che non si stava nascondendo dietro un pezzo d'acciaio,per
quanto intimorita potesse sentirsi da quella conversazione.
“Nulla
che già non sappia? Da quando in qua sai di quali
informazioni sono
in possesso? Forse preferirei sentirlo dalla donna alla quale ho
affidato l'assedio di Aegis...e ha fallito. Avanti parla. Il tuo
silenzio peggiorerà solo le cose.”
La
ragazza sentì un brivido gelido scendergli lungo la spina
dorsale e
quando capì che tenere la bocca chiusa non le avrebbe
giovato in
alcun modo si fece carico del peso che si teneva dentro e
iniziò a
parlare. Ora la sua sorte era nelle mani di quello spietato Ercole.
Gli raccontò tutto,dell'inseguimento della principessa sopra
il
cielo di Aegis e del raggio che per poco non la uccideva. Gli disse
del mercenario,del duello, della sua sconfitta e di come la nebbia
azzurra comparve nel in mezzo ai legionari. Poi passò alla
firma
della tregua e del piccolo battibecco che ebbe con la principessa e
il suo seguito.
“E
questo è quanto,non ho altro...”
“Da
dire? Sei certa di non esserti dimenticata qualcosa?”
La
voce si era fatta leggermente più aggressiva.
“Signore?”
“Se
non ci arrivi da sola ti aiuto io a fare mente locale...”
Un
veloce spostamento d'aria le venne contro e per istinto
saltò via di
diversi metri grazie allo sbattimento di ali che la portarono al
sicuro,lontano da qualsiasi cosa le fosse venuto contro.
All'improvviso l'intera sala si illuminò per mezzo dei
bracieri,la
cui fiamme in quel momento parvero così intense da
disperdere le
tenebre,come un incendio che consuma una foresta in piena notte.
Estrasse le spade in un gesto involontario dettato
dall'istinto,acquisito in anni di scontri sui campi di battaglia e
pochi di questi come comandante. Era sul punto di rispondere quando
poi lo vide li, a una distanza di cinquanta
passi,alto,forte,possente...furioso,nelle sue vesti imperiali a
cingerne il massiccio ed allenatissimo corpo. Non aveva bisogno di
averlo vicino per capire che in quel momento era un autentico titano
che covava all'interno del suo essere una rabbia che non era comune
vedere in lui e che non ci teneva a vedere nuovamente. Silla teneva
il pugno serrato,con il braccio steso in avanti in tutta la sua
lunghezza. Nevia sapeva che non era stai lei a schivare il colpo,ma
era lui che si era fatto annunciare da quel colpo d'aria,tanto forte
che solo una forza sovrumana avrebbe potuto creare spingendo l'aria
con il pugno chiuso,colpendo con abbastanza forza e velocità
da
creare quella leggera pressione. La testa girata verso di lei,gli
azzurri occhi di ghiaccio la guardavano come volesse squartarla. La
sua ira era più che evidente.
“SPIEGAMI
NEVIA,COME E' RIUSCITO UN COMANDANTE DELLA VENTIDUESIMA LEGIO SUPERBA
A CONSEGUIRE BEN TRE FALLIMENTI IN SOLI DUE GIORNI?”
“Signore,posso
spiegare.”
“PUOI
STARE CERTA CHE HO GIA' TROVATO LE TRE RISPOSTE CHE HO BISOGNO. IL
TUO PRIMO FALLIMENTO E STATO NEL CEDERE ALLA PROVOCAZIONE,NON ERI
TENUTA A COMBATTERE E UN COMANDANTE CHE SI ESIBISCE IN DUELLO COME
UNA COMUNE GLADIATRICE E UNO SPETTACOLO VERGOGNOSO. IL SECONDO E
STATO QUELLO DI AVER PERSO,NON MI INTERESSA SE QUELL'UOMO HA
IMBROGLIATO,INDOSSAVI UN ARMATURA MAGICA DI ALTISSIMA QUALITA' E IL
FATTO CHE TU ABBIA PERSO HA GETTATO VERGOGNA NON SOLO SU DI TE,MA
ANCHE SULLA TUA LEGIONE. E TERZO,LA COSA PEGGIORE CHE POTESSI FARE E
STATA PERDERE LA CITTA' DI AEGIS. MENTRI ERA IMPEGNATA A COMBATTERE
NON TI SEI ACCORTA CHE L'ESERCITO CITTADINO AVEVA GIA' OCCUPATO IL
CAMPO E HAI PERSO LO SCONTRO CAMPALE PRIMA ANCORA DI INIZIARLO. MA
QUELLO CHE HA GETTATO VERGOGNA SU DI ME,SUL SENATO E SU NOVA STESSA E
STATA LA FIRMA DELLA TREGUA,PERDENDO COSI' IL VANTAGGIO SUL PIANO
STRATEGICO SU DEI DISERTORI DI VECCHIA DATA CHE SULLA FIGLIA DEL
PRECEDENTE IMPERATORE,PERMETTENDOGLI DI LASCIARE LA CITTA' ED ENTRARE
NEI CONFINI DELL'IMPERO.
Nevia
non credette alle sue orecchie. Sentire di quell'ultima parte,quella
di dove Lucilla aveva passato il confine Noviano,non poteva
crederci,non voleva crederci.
“Cosa?”
L'imperatore
non cambiò espressione n'è tanto meno sembrava
volersi calmare,ma
cominciò ad avanzare verso la ragazza come un toro che si
preparava
a caricare a testa bassa,mentre Nevia,impietrita e confusa sul da
farsi restò bloccata,mentre stringeva contro il costato
l'elmo dalla
testa d'aquila,come a volersi aggrappare a qualcosa,come un naufrago
che si aggrappa ad una tavola di legno nel mezzo di un tempesta per
non affogare. Gli si fermò di fronte,tanto vicino al viso
che
avrebbe potuto infilzarla solo con lo sguardo,tanto appuntite e
piccole parevano quelle iridi chiare per l'ira che parevano delle
stalattiti pronte a colpirla in mezzo al cuore.
“E
arrivato un rapporto,dai confini con il territorio di
Aegis...”,l'imperatore parve tornare a parlare con tono calmo
e
controllato,ma era chiaro come la luce del sole che il rancore di
Silla era ben lontano dall'essere calmo, “L'avamposto di
Cherunensis e stato attaccato da un esercito di barbari,probabilmente
entrati nell'impero per mezzo di qualche punto scoperto. Per
assurdo,pare che durante lo scontro con gli invasori,molti abbiano
visto delle strani luci all'interno delle stalle e nel frattempo vi
echeggiavano all'interno i suoni di un altro scontro. Fortunatamente
la guarnigione a guardia posto ha respinto gli invasori,anche se
hanno subito ingenti danni. Ma la cosa più assurda e quando
lo
scontro era terminato,i barbari in fuga e i soldati impossibilitati a
continuare la lotta,un gruppo non ben identificato ha lasciato
Cherunensis in fretta e furia,approfittando del caos generale per
entrare a Nova. Ora dimmi Nevia...E una mia impressione,ho il
collegamento tra le luci,il gruppo in fuga è l'attacco ad un
avamposto di confine hanno qualcosa in comune? Non ho le prove
certo,ma io sono convinto che non sia stato un caso. Oh
sbaglio?”
“Signore,io
non avevo idea che avessero lasciato la città. Ho appostato
ricognitori in ogni punto accessibile e dalla quale sarebbero potuti
uscire e anche se fosse,perché tornare nell'impero? Non ha
senso.”
“Forse
no,ma ultimamente accadono troppe cose che non hanno senso. Ed
è
proprio per questo motivo che ho voluto che tu mi raggiungessi in
questo posto. Sai in questo momento dove ti trovi?”
Nevia
scosse la testa in segno di negazione.
“Guarda
quella figura lassù,quella donna vestita di nero col velo
coperto.
Sai chi é?”
“No
Signore.”
“E
Libitina, un antica divinità noviana,il cui dominio e la
morte,cadaveri e spettri sono legati al suo culto. Plutone
controllerà anche gli inferi,ma è Libitina ha
rappresentare la
morte nella sua forma fisica. C'è una antica leggenda legata
alle
prime legioni di Nova. Insieme a Marte,Giove e Bellona era nominata
anche lei dai comandanti prima di una grande battaglia. Ma col
passare del tempo e con l'aumentare delle vittorie si perse la
tradizione di chiamarla sui campi di battaglia,perché i
legionari,oltre che i comandanti,credevano che fosse malasorte
invocare la morte sul proprio esercito,che fosse di pessimo auspicio
ingraziarsi chi tra i suoi seguaci annovera nulla che non sia vivo.
Quindi,ora ti chiedo,se dovessi invocare la morte per combattere un
temibile nemico,che fare il nome di Libitina fosse l'unica cosa che
ti permettesse di vincere,lo faresti?”
La
ragazza ci pensò un attimo prima di rispondere.
“Si.”
“Bene,in
questo caso è un bene che tu abbia l'armatura della legio
Superba
con te.”
Disse
Silla allontanandosi di una decina di passi dal comandante per poi
girarsi,incrociare le braccia al petto e guardarla nuovamente,ma
questa volta con sguardo più cattivo e deciso,come se stesse
osservando un nemico e li,Nevia,rivide le fiamme della rabbia che
bruciava in lui,in quello sguardo che poteva dire una sola cosa e
lei,conosceva bene cosa voleva dire quell'occhiataccia.
“Perché
ho intenzione di mettere alla prova la forza della tua determinazione
soldato,attaccami.”
Nevia
non voleva credere a quelle parole,a quell'atteggiamento,a quelle
intenzioni. Lo conosceva da troppo tempo e aveva combattuto tante
volte insieme a lui perché potesse fargli del male,il solo
sfiorare
la figura dell'imperatore,per lei era come mettere la mano sul fuoco.
“Maestà,non
puoi chiedermi questo. L'imperatore è un essere sacro,un dio
in
terra e dato che siete voi l'imperatore a maggior ragione,nessuno
oserebbe fare del male al capo supremo dello stato.”
“Cos'è
questo improvviso servilismo Nevia? Ti sei forse rammollita con la
sconfitta da parte del tuo ultimo avversario?
Attaccami,ora,dimostrami che meriti ancora di indossare
quell'armatura. Non lo ripeterò una seconda volta.”
Il
comandante non aveva scelta,doveva combattere e se era Lucio Cornelio
Silla a volere lo scontro,non poteva tirarsi indietro,se lui voleva
il combattimento,il combattimento avrebbe avuto. A Malincuore Nevia
dovette cedere alla richiesta e si rimise l'elmo,per poi impugnare le
spade,estendere le pesanti ali metalliche e mettersi in posizione di
combattimento.
“Mostrami
quello che vali davvero,comandante della ventiduesima legio
Superba.”,disse l'imperatore con un certo ardore nella voce.
Le
ali si estesero verso l'alto al massimo della loro lunghezza,poi,in
un battito di ciglio,scattò,come un fulmine a ciel sereno.
Gli ci
volle un niente per raggiungere Silla e mosse una delle lame per
colpire alla gola l'imponente picchiatore. Ma la lama,piuttosto che
affondare,sembrò rimbalzare come se avesse colpito nuda
pietra e lei
volò avanti,frenando coi piedi contro il suolo per
interrompere la
carica,poi si girò e lo vide di schiena,nella stessa
identica
posizione. Non si era mosso,immobile come una statua.
“Patetico,tutto
qui quello che sai fare? Riprova.”
La
ragazza cercò di non darsi ancora per vinta e
tentò di ripartire
all'attacco,carica di una grinta che non seppe spiegarsi. La schiena
era un punto debole molto ampio alla quale puntare,facile da colpire
e offriva poca,se non nessuna difesa. Silla si aspettava un buon
colpo? E un buon colpo avrebbe ricevuto. Puntando tutto sulla forza
d'impatto e sulla velocità Nevia prima spiccò un
balzo verso il
soffitto,che era abbastanza alto per essere un tempio costruito poco
sotto il livello del suolo pubblico,fece un giro all'indietro
sfruttando la corrente d'aria che stava creando con le ali e
poi,quando tornò con il busto in direzione del suolo si
gettò in
avanti con tutta la forza che poteva generare in quel momento e con
entrambi i gladi messi di punta,come due frecce in direzione del
bersaglio,sperando che un impatto degno di un ariete d'assedio di
media grandezza potesse riuscire nel suo intento. Colpì di
punta,con
una forza tale che un uomo normale sarebbe stato spaccato in due,come
un coltello che taglia in due una mela. Ma Nevia non era un coltello
e Silla non era una mela...n'è tanto meno un uomo comune.
Quello che
doveva essere un colpo di grande forza si ridusse ad un secondo
fallimento,le due spade sbatterono così forte contro la
schiena del
possente guerriero a mani nude che caddero di mano alla
ragazza,mentre lei convinta di avere la presa salda,fece per salire
di nuovo e tentare un nuovo attacco,accorgendosi solo all'ultimo che
non solo aveva perso le armi,ma che una mano,più veloce del
vento,la
prese per una caviglia,con una potenza tale,che poteva sentire le
dita stringersi sui calzari di metallo,come se fossero fatti di
corteccia di betulla.
“DELUDENTE.”
Urlò
Silla in preda alla rabbia repressa che tentava di tenere sotto
controllo.
Con
la forza degna di un eroe degli antichi miti tirò
giù la ragazza
dalla sua posizione a mezz'aria così forte da trascinarla
verso il
basso e sbatterla al suolo in una sola,singola,mossa. Lo schianto col
terreno fu così forte che il suono dell'armatura che si
schiacciava
al suolo e con lei,anche Nevia per nulla riparata. Cadde di lato e
sentì le ossa,in particolare il costato,fargli un male
atroce e i
muscoli sottostante pure. Ma quel che era peggio fu lo schiacciamento
subito,tanto grande da premergli su gli organi in
interni,schiacciando anche i polmoni così forte da non
permetterle
di respirare. Annaspava in cerca dell'aria e alla fine,quando con la
bocca aperta tentava di immettere più aria che poteva nei
polmoni,alla fine ci riuscì,strabuzzò gli
occhi,intontita per
quello che era appena successo. L'armatura fu completamente
inutile,le spade non scalfirono Silla nemmeno di un graffio e aveva
eseguito solo due attacchi,prima di essere sconfitta così
facilmente. Era umiliante.
“Tecnica
di potenziamento muscolare inferiore: pelle del leone nemeo. Ho
pronunciato il nome di questa tecnica nell'esatto istante in cui
partivi all'attacco e per ben due volte ti sei limitata alla potenza
fisica piuttosto che alla strategia. Possedevi tutti i mezzi
necessari per combattere in maniera di gran lunga migliore e
invece....sono deluso Nevia,credevo di averti insegnato qualcosa
riguardo le vere arti del combattimento. Ma se non altro ora,capisco
come hai fatto a perdere contro quell'uomo.”
Silla
parlò con tono piatto e monotono,la rabbia pareva sparita e
non
c'erano tracce nella voce che stesse nascondendo la fiamma
dell'ira,tra una parola e l'altra,come se con quell'unica presa si
fosse scaricato con quel violento gesto. La superò con una
piccola
falcata di gambe,tanto fisicamente forte pareva che volesse
schiacciarla con i piedi e invece la superò,come farebbe una
qualunque persona con una fastidiosa pozzanghera. Fece una serie di
passi in avanti,poi si fermò e girò leggermente
la testa,ma senza
guardarla,sentiva che stava ricominciando a muoversi e a mettersi in
piedi.
“Prima
che tu svenga,sappi che ti sono revocate l'armatura e il comando
della ventiduesima. Sarai condotta a palazzo di fronte al magister
militum e al senato. La tua punizione sarà decisa in
seguito.”
Nevia
si sfilò l'elmo dalla testa e sputò a terra un
grumo di
sangue,ritrovandosi il volto simile a quando aveva ricevuto gli
zoccoli del cavallo sul volto. Claudicante,provò ad
avvicinarsi
all'imperatore e allungando una mano verso di lui nel tentativo di
toccarlo,di chiamarlo a se. La testa gli faceva male,era confusa e
sentiva che le gambe le stavano cedendo e quando le forze le stavano
venendo meno,tornò con la mente a quel giorno, a quel
maledetto
giorno di molti anni addietro,quand'era solo una ragazzina,stesa a
terra,dalle vesti strappate,piena di lividi e di fronte a uomini
malvagi,dall'anima di bestia e marci tanto nel cuore che nella mente,
vide lui,un ragazzo più grande di lei, girato di
spalle,vestito solo
di una semplice tunica e armato solo dei suoi pugni,a frapporsi tra
una giovane innocente e mostri dall'aspetto umanoide.
“Lu-Lucio...ti
pre..go...non...non...abb...non abbandon...”
Cadde,svenne
e cadde al suolo senza che riuscì a chiamarlo a se,come un
tempo,quando ancora non era l'imperatore,quando ancora non era un
soldato,quando ancora,era soltanto Lucio. Solo Lucio. Gli occhi si
fecero pesanti,la mente oscurata e le energie venirle meno. Adesso
nei suoi pensieri,c'era solo l'oblio.
Si
svegliò,di soprassalto,di getto,come in preda ad un incubo.
Boccheggiò in cerca dell'aria,come se tutto il peso dello
scontro le
fosse rimasto dentro e nel mentre il suo sguardo vagava confuso e
agitato,in una stanza ben arredata immersa nella penombra della
notte,illuminata da qualche raggio di una pallida luna,visibile da
una ingresso che dava su un piccolo balcone. Si guardò e
vide che
era vestita solo di un semplice chitone bianco a maniche corte e il
suo corpo poggiava su un morbido letto coperte solo da un leggero
lenzuolo di lino Amenita,ideale per le caldi notti d'estate. Si
alzò
di busto per nulla intenzionata a restare a letto,qualunque cosa
stesse succedendo,doveva capire come fosse finita li.
“Non
provare ad uscire,ordini di Silla.”
Riconobbe
quella voce di donna,li,nascosta nella penombra,illuminata da una
striscia di luce lunare la figura di un elfa vestita di pelle
nera,poggiata ad un muro,in attesa,com'era abituata a fare.
“Filora?
Dove mi trovo?”
“Sei
a palazzo. Ti è stata riservata una stanza in attesa che tu
possa
affrontare il processo. I medici di corte hanno confermato che non
hai subito lesioni gravi,ma per il momento è meglio se non
esci di
qui. Dubito che Silla abbia voglia di vederti dopo quello che hai
combinato ad Aegis.”
“Dopo
quello che ho combinato? Proprio tu mi parli di colpe quando so per
certo che non passa giorno che non tenti di ucciderlo, o per lo meno
ci provi. Dimmi elfa delle tenebre, che cosa hai usato oggi per
attentare la sua vita?”
L'elfa
era indignata per quel tono di voce accusatorio che Nevia stava
usando contro di lei. Lei non era un suo bersaglio,ma il modo in cui
stava difendendo l'imperatore le dava sui nervi e la tentazione in
quel momento di piantargli un pugnale nel cuore era molto forte.
“Ho avvelenato di nascosto
un bicchiere di vino con la cicuta,resa più forte con
l'estratto di
alcune ghiandole velenifere di una vedova nera potenziata con la
magia. Dopo che ha bevuto mi ha detto che la prossima volta avrei
dovuto aggiungere il doppio della dose,tanto per essere sicura che il
composto forse avrebbe fatto effetto. Una miscela simile avrebbe
ucciso un mostro in meno di pochi secondi...ma non certo lui a quanto
pare. Ma a te cosa importa? Infondo stiamo parlando dello stesso uomo
che presto ti farà condannare,perché lo
difendi?”
“Perché
sono un soldato è gli ho giurato
fedeltà,finché sarò viva
continuerò a servirlo,sempre.”
Filora
e Nevia si guardarono in cagnesco,ognuna fissa sulla propria
posizione riguardo al sovrano di Nova,la prima intenta ad
ucciderlo,anche se tutte le volte che ci provava,qualunque mezzo
usasse,non veniva mai punita,anche se nel caso degli agguati e i
tentativi di omicidio più diretti Silla si accontentava di
respingerla fisicamente e con assurda facilità. L'altra
invece era
appena stata privata del suo titolo di comandante,messa sotto accusa
per il fallimento dell'assedio di Aegis e si aperto un processo
contro di lei,eppure,restava fedele all'imperatore,nonostante la
prova di forza dalla quale era uscita sconfitta e dolorante. Due
donne,l'una l'opposta dell'altra. L'assassina uscì dalla
penombra e
si diresse verso il balcone ed arrivata al cornicione guardò
l'ex
comandante della ventiduesima legio Superba e illuminata dalla
luna,l'elfa dalla pelle scura guardò Nevia con i suoi
occhi,rossi
come il sangue.
“Chi
voglio uccidere in questo palazzo è solo il tuo tanto
adorato Lucio
Cornelio Silla. Non so in che modo siate legati voi due n'è
tanto
meno mi interessa,ma ti avverto,l'uomo che hai deciso di servire
è
una bestia senza cuore n'è anima,quindi,se fossi in te,mi
farei due
domande su chi sia realmente questo imperatore.”
“Ah
si? Allora dimmi,perché desideri tanto ucciderlo?”
“Questo
non devo dirlo a un ingenua come te è comunque,le mie
ragioni sono
mie e basta.”
La
conversazione non continuò perché con un rapido
scatto si fiondò
contro il cornicione del balcone e con un balzo si lanciò in
basso,veloce come il vento e altrettanto sfuggente.
Nevia
restò ferma in quel punto per qualche
attimo,osservò la luna e
sfiancata per la giornata assurda che aveva vissuto si rimise a
letto,tirandosi il sottile lenzuolo di lino che gli copriva il
corpo,come a volersi proteggere da qualche pericolo che si annidava
nella sua anima. Nonostante il dolore,nonostante la vergogna e
nonostante la punizione che doveva ancora subire lei gli era ancora
fedele. Il suo corpo era dell'imperatore,come la sua mente,la sua
anima...persino il suo cuore,gli apparteneva. Si,la sua dedizione a
Lucio Cornelio Silla nasceva già in un tempo assai
lontano,nella
quale la memoria del presente si perdeva con il retrocedere nei
ricordi e quando l'ascesa di un giovane ragazzo con una forza degna
di essere paragonata a quella di un Ercole non ancora uomo poteva
uccidere un orco armato di tutto punto in singolo duello e non subire
un graffio,o così pareva. Ma le cicatrici sul suo corpo
raccontavano
altre storie,storie di combattimenti negli anni a venire che hanno
rischiato di ucciderlo ed ognuna era divenuta un simbolo di un nuovo
picco di forza e tecnica che aveva raggiunto e che ancora tentava di
scalare quelle vette di miglioramento che ancora non era riuscito a
superare. Anche a quel tempo,quando lo aveva conosciuto,non accennava
a sorridere o dare un segno di gioia e restava perennemente chiuso
nella sua apatica espressione per buona parte del tempo,ma non era
cattivo,era inespressivo,alle volte arrabbiato ma non cattivo. Ma gli
anni passarono e con il tempo e gli eventi che vennero insieme
accompagnati da esso mutarono la natura del futuro imperatore,ma non
lo abbandonò mai,anche perché fu lei,da quel
triste giorno a
seguirlo e se lui nel tempo sviluppò un animo sempre
più cupo e
bellicoso lei invece sviluppò verso di lui sentimenti
più profondi
e intimi,tanto da desiderare di potergli stare accanto,con tutta se
stessa per sempre con lui,ma che silenziosamente e dolorosamente
avrebbe nascosto nella parte più interna delle sue emozioni.
E quel
pomeriggio era tornata al pensiero che più di tutti potesse
fargli
male. Che l'abbandonasse a se stessa. Si rannicchiò su se
stessa e
istintivamente si abbracciò il petto,fino a toccarsi le
costole e
poi fece quello che non gli accadeva da molto tempo. Pianse. Gli
occhi si fecero umidi mentre un groppo alla gola cominciò a
farla
singhiozzare e qual punto le lacrime scesero e pianse,pianse a
dirotto,come un fontana,la forte ragazza,dalla scorza dura come la
pietra,che aveva piegato centinaia di soldati a trattarla con tutti
gli onori che si davano a un qualunque altro comandante,onorata come
un vero condottiero dai suoi stessi uomini,ora era solo un a ragazza
come tante altre,col cuore pesante e il timore di non essere
ricambiata da chi ritiene più importante della sua stessa
vita.
Stringeva i denti più che poteva per non farsi scoprire
così
fragile,così inerme di fronte alle ingiustizie della vita.
Perché
era toccato a lei una simile sorte? Perché era toccata a
lei,provare
un amore che sapeva non sarebbe mai stato ricambiato? Solo la luna
lassù era testimone del suo struggimento,per l'uomo
più potente di
tutto l'impero.
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