Ride with the moon in the dead of night
Titolo: Ride with the moon
in the dead of night (This is Gotham!)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot
[ 6324 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Damian
Bruce Wayne, Jonathan Samuel Kent
Rating:
Giallo
Genere: Generale, Slice of
Life, Avventura
Avvertimenti: What if?, Slash
If it bleeds challenge: Bloody
Painter
BATMAN
© 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.
«Certo
che ne avete affrontata di gente strana qui a Gotham», disse di punto
in bianco Jon mentre sgranocchiava delle patatine, con i piedi
incrociati sul ripiano che aveva davanti e le dita che giravano
pigramente le pagine digitali del file che aveva scaricato sul suo
tablet.
Era andato a villa Wayne quello stesso mattino e si
era ritrovato a “studiare” prima ancora che potesse anche solo pensare
di salutare l’amico, cercando inutilmente di replicare: Damian lo aveva
subito zittito e aveva acceso il bat-computer, accennando che avrebbero
dovuto tenersi pronti poiché quella notte sarebbero usciti di pattuglia
molto prima del solito poiché non avrebbero potuto farsi trovare
impreparati; peccato che fosse ormai pomeriggio inoltrato e che, pur
studiando tutta quella roba, Jon non avesse rilevato nulla che il suo
orecchio kryptoniano avrebbe potuto sentire a differenza delle
sofisticate apparecchiature là intorno. A quanto sembrava, quella sera
Gotham stessa aveva deciso di starsene straordinariamente tranquilla e
loro erano lì ad annoiarsi come non mai.
«Quella che stai leggendo è solo la punta
dell’iceberg, J», replicò Damian nel dare da mangiare a Bat-Cow,
carezzandole il muso. «Mi stupisce che dopo tutti questi anni tu abbia
ancora queste lacune».
«Sì, sì, sì. Come ti pare. Comunque». Jon spense il
tablet e lo lasciò sul ripiano, abbassando le gambe per voltarsi con la
sedia girevole verso l’amico. «Senti. È la notte di Halloween», la
buttò lì, ricevendo solo una rapida occhiata scettica da parte di
Damian.
«Lo so».
«Allora potremmo fare altro».
«Tipo?»
Sulle labbra di Jon si dipinse un ghigno che, Damian
ne fu sicuro, avrebbe potuto fare invidia al Joker mentre accavallava
le gambe e univa le dita le une alle altre. «Andiamo, lo sai», affermò,
rivedendo uno sguardo piuttosto scettico.
Damian ci mise effettivamente un secolo per capire
cosa volesse dire Jon, inclinando il capo di lato e osservandolo a
lungo finché la consapevolezza non lo colpì; allargò quindi le
palpebre, facendo un passo indietro. «Oh, no», rimbeccò, ma il ghigno
sulle labbra di Jon divenne più grande.
«Oh, sì».
Per quanto Damian avesse provato a replicare più e
più volte, a far valere la propria posizione e il fatto che avrebbero
dovuto tenersi pronti ad ogni evenienza controllando la situazione
anziché “perdere tempo” in quel modo, alla fine la situazione si era
svolta solo e unicamente in favore di Jon, che aveva sghignazzato
quando aveva finito di infilarsi il costume e si era agganciato la
cintura multiuso che componeva il vestiario di Robin. Per la seconda
volta nel corso di quei cinque anni, aveva finalmente avuto la meglio
su quel testone di Damian Wayne. Al solo pensiero ridacchiò, gettando
una rapida occhiata in direzione di Damian che, proprio in quel
momento, stava tirando su la zip della felpa e si stava sistemando il
mantello sulle spalle.
«Ricordi la prima volta che ci siamo scambiati i
vestiti?» domandò divertito, e Damian gli scoccò un’occhiataccia con la
quale sarebbe stato capace di dargli fuoco seduta stante, vista
calorifica o meno.
«Sì, e mi chiedo ancora come avevi fatto a
convincermi».
«Come adesso, ma con meno lingua». Il lieve rossore
che apparve sulle guance di Damian fece scoppiare a ridere Jon, che si
affrettò a scusarsi tra gli sghignazzi e ad agitare una mano quando
Damian lo guardò di nuovo male, gettandogli un braccio intorno alle
spalle per attirarlo contro di sé. «Dai, la prima volta ci siamo
divertiti», accennò nel dargli un pugno leggero sul petto, e Damian,
pur roteando gli occhi e grugnendo, annuì brevemente.
«Devo mio malgrado ammettere che quella serata ha
avuto riscontri abbastanza positivi».
«Tradotto “Grazie, J, mi sono proprio divertito”?»
«Parole tue, non mie».
«Certo, sei un duro», rise Jon nel dargli un altro
pugno leggero prima di lasciarlo andare e dargli una pacca sulla
schiena. «Pronto? Ho sempre voluto vedere Gotham durante la notte di
Halloween».
Damian sbuffò ilare, raddrizzando il colletto del
suo costume per incamminarsi verso il centro della piattaforma. «È come
tutti gli altri giorni, solo con più persone travestite», rese noto nel
fargli un cenno. «Premi il pulsante sul guanto sinistro, il terzo a
partire da destra», ordinò, e gli occhi di Jon si illuminarono.
«Non dirmelo, andiamo in moto?!» esclamò entusiasta,
affrettandosi a fare quanto detto mentre gli correva in contro; il
familiare rombo del motore risuonò in tutta la caverna e Jon sorrise
come non mai alla vista del veicolo che sfrecciò da una delle zone
d’ombra fino a sgommare davanti a loro, fermandosi proprio al centro
della piattaforma con un ronzio così basso che a Jon ricordò un gatto
che faceva le fusa. Per quanto possedesse una vasta quantità di poteri
e sapesse volare, una moto era pur sempre una moto.
«È il mezzo migliore per girare fra le strade di
Gotham in una notte come questa». Damian lo fissò attraverso la
maschera che si era ostinato ad indossare, poggiando le mani sui
fianchi fasciati dai jeans. «E, in via del tutto eccezionale e in onore
dell’uniforme che indossi, lascerò guidare te».
«Cosa? Ho quindici anni, D».
«E allora? Io guido da quando ne avevo sei»,
rimbeccò nello stringersi nelle spalle. «Tuo padre ti ha insegnato a
guidare nel vialetto, non è che tu non sappia cosa fare». Lo sguardo di
Damian divenne improvvisamente serio. «E poi… mi fido di te. O non ti
farei toccare la mia moto nemmeno con un dito».
Pur ridacchiando imbarazzato e massaggiandosi il
collo, Jon nascose l’ombra di un sorriso a quelle parole e si mise alla
guida di quella moto, aspettando che anche Damian salisse in sella
prima di poter partire e chiedere al contempo consigli. Era raro che
Damian esprimesse giudizi simili o desse completamente fiducia a
qualcuno, ma Jon sapeva quanto Damian contasse su di lui e quanto fosse
disposto ad aprirsi e confidarsi, quindi cercò di non essere da meno di
quella fiducia in lui riposta; aveva sbagliato un po’ le marce, quasi
rischiato di ingolfare il motore e per poco non aveva graffiato la
carrozzeria contro un muro, ma erano arrivati sani e salvi nella zona
nord di Gotham e attivato il dispositivo di occultamento del veicolo
dopo aver parcheggiato in un vicolo, sbucando proprio nel bel mezzo dei
festeggiamenti a Chambers Street.
Jon non aveva mai visto Gotham sotto quella luce, lo
ammetteva. C’erano ovunque decorazioni di Halloween, pipistrelli
radiocomandati che svolazzavano tra gli enormi palazzi, zucche giganti
che sembravano vive e zombie in plastica che di tanto in tanto
“assalivano” qualche passante, facendo ridere divertiti i bambini che
scappavano in ogni dove vestiti da maghi, streghe e supereroi; c’era
persino un bambino vestito da Robin accompagnato da un piccolo Superboy
dai capelli biondi e arruffati, e Jon ridacchiò divertito alla vista di
come si punzecchiavano con i loro secchielli a forma di zucca e come le
loro madri, a distanza di qualche metro, accennassero loro di fare i
bravi o sarebbero tornati a casa. Persino gli adulti partecipavano ai
festeggiamenti e c’era anche qualche poliziotto di pattuglia in giro, e
Jon riconobbe da lontano il sergente Montoya poiché l’aveva vista un
paio di volte a villa Wayne in compagnia della signora Kate, Batwoman.
«Oggi è di turno», disse di punto in bianco Damian,
riscuotendo Jon dai suoi pensieri e richiamando verso di sé la sua
attenzione.
«Avete sempre pattuglie della GCPD in giro?»
«Siamo a Gotham, J», rese noto in tono ovvio. «E
oggi è Halloween. Tra l’Uomo Calendario e Spaventapasseri, abbiamo solo
l’imbarazzo della scelta su chi deciderà di farsi vedere per primo. Poi
ci sono ovviamente le eccezioni».
«…tipo?»
«Joker che si annoia».
Jon fu quasi certo che Damian non lo avesse detto
per scherzare, quindi si limitò a dar vita ad un sorrisetto nervoso
prima di annuire e lasciar correre il discorso, insinuandosi nella
folla; si confusero con la moltitudine di gente fra le strade,
stupendosi entrambi di come la città fosse stata addobbata come non
mai. Persino Damian rimase esterrefatto dalla cosa, indicando lui
stesso qualche punto in cui giganteschi ologrammi venivano proiettati
contro le vetrate degli edifici e creavano spirali di colore e forme
che affascinavano e terrorizzavano al tempo stesso, complici anche gli
effetti sonori che si sentivano risuonare di tanto in tanto fra i
vicoli e al di sopra dei lampioni; ad un certo punto fu Jon a
trascinare Damian verso la porta di una delle case e, ridendo, suonò al
campanello urlando “Dolcetto o
scherzetto!”
nonostante le lamentele di Damian a riguardo – «Abbiamo quindici anni,
J, siamo ridicoli!» –, salvo poi intascarsi nei jeans parecchi dolci e
ficcandone altri nelle tasche della cintura multiuso che portava Jon
alla vita.
Non se n’erano resi del tutto conto ma, mentre
giravano insieme ad altri ragazzi e adulti e si godevano la serata,
avevano cominciato ad avvicinarsi di più e a sfiorarsi di tanto in
tanto le mani, guardandosi di sottecchi tra un sorriso e l’altro
durante il resto della serata. Damian probabilmente non lo avrebbe mai
ammesso a parole, ma avrebbe mentito anche a se stesso se avesse
affermato che non si stava divertendo. I suoni, i rumori le grida
divertite e anche scherzosamente spaventate della gente, l’odore dello
zucchero filato che proveniva dal Robinson Park e quello degli hot dog,
e fecero persino tappa in quella direzione quando lo stomaco di Jon
cominciò a reclamare qualcosa di più sostanzioso dei dolci. Fu Damian
ad offrire, per quanto fosse stato costretto ad infilare le mani nelle
tasche di Jon per tirar fuori un paio di banconote, ricevendo dal
proprietario del carretto dei complimenti per quanto fossero accurati i
costumi che indossavano; Jon aveva riso e ringraziato mentre prendeva i
due hot-dog – Damian aveva optato per uno spiedino vegetariano –,
indicando anche una casa degli orrori che avevano allestito lì nel
parco.
Per quanto scettico, Damian alla fine aveva
acconsentito e aveva finito con l’essere lui stesso a trascinare Jon in
quella direzione, pagando il biglietto di ingresso per insinuarsi in
quella casa che, aveva purtroppo dovuto ammetterlo, era stata allestita
nel migliore dei modi. Oltre al classico labirinto di specchi con cui
avevano letteralmente giocato nel guardare le loro forme cambiare,
avevano incrociato nella penombra anche una giovane coppia – Damian
aveva notato solo parzialmente una giacca di pelle oversize con una
enorme S dietro la schiena di uno di loro – che si era appartata per
pomiciare, cosa che aveva messo un po’ in imbarazzo entrambi quando si
erano lanciati un’occhiata; nel continuare a vagare si erano poi
ritrovati in un piccolo cimitero con tombe di cartone e zolle di terra
smossa, da cui spuntavano di tanto in tanto delle mani scheletriche o
ricoperte di pelle raggrinzita e lembi logori di stoffa. Più che
spaventoso era ridicolo e divertente, ma entrambi si guardarono con un
sorrisetto mentre si incamminavano in quel cimitero, osservando tutto
sommato i dettagli e persino le finte ragnatele e i ragni giganti che
erano stati gettati un po’ dappertutto per dare l’impressione che
fossero veri.
«D’accordo, devo dare atto alla gestione cittadina:
hanno fatto un buon lavoro», disse Damian nel sollevare il mantello per
evitare che si incastrasse in una delle dita che spuntavano dal
terreno, lanciando un’occhiata a Jon, i cui stivali verdi affondavano
di tanto in tanto in quel piccolo pantano.
Jon stesso gli lanciò un’occhiata, incuriosito. «Non
sei mai venuto da queste parti?»
«Solitamente sono di pattuglia. Potrebbero sempre
esserci problemi con--»
«L’Uomo Calendario e Spaventapasseri, sì, lo hai già
detto», affermò nel passargli un braccio dietro le spalle. «E come vedi
siamo entrambi pronti ad ogni evenienza. Quindi stasera puoi
scioglierti un po’ e possiamo divertirci insieme».
Damian lo guardò di sottecchi, nascondendo un
sorriso nella piega delle labbra. «In un finto cimitero degli orrori?»
«In un finto cimitero degli orrori», confermò Jon
con un ghigno che andava da un orecchio all’altro, facendo
inevitabilmente ridere Damian; e al suono di quella risata il suo cuore
parve sfarfallare per un secondo, tanto che si chinò verso il viso
dell’amico e deglutì. «Idea un po’ macabra, scusa», sussurrò, ma Damian
sollevò lo sguardo per fissarlo negli occhi attraverso la maschera.
«Non così tanto». Indugiò ad una spanna dalle sue
labbra, sollevandosi in punta di piedi. «Mi piace».
«Sul serio?»
«Sul serio».
Jon si leccò le labbra senza volerlo, lo sguardo
ormai perso negli occhi di Damian nonostante non potesse vederli
attraverso la maschera, una mano che scivolava lungo il suo fianco per
fermarsi saldamente sul bacino; Damian stesso schiuse la bocca,
mordicchiò il labbro inferiore e Jon vide distintamente il pomo d’Adamo
alzarsi e abbassarsi più e più volte, chinandosi l’uno verso l’altro.
Le volte in cui si erano baciati – più uno sfiorarsi di labbra, in
verità – si potevano contare sulla punta delle dita così come i momenti
in cui si concedevano qualche abbraccio, ed era strano che quel posto e
quel momento, forse anche un po’ a causa dell’atmosfera, avessero
innescato quel meccanismo che--
«Ohw!» imprecarono di punto in bianco nello stesso
istante quando qualcosa li colpì, fece perdere ad entrambi l’equilibrio
e li fece sbattere col sedere per terra, e Jon ebbe appena il tempo di
sollevare lo sguardo solo per vedere un uomo – avvolto in un mantello
nero per simulare il tristo mietitore, che originalità – che correva
alla svelta verso una delle tombe. «Ehi, amico, guarda dove vai!»
bofonchiò nel rimettersi in piedi e allungare una mano verso Damian per
aiutarlo a fare lo stesso ma, nello stesso istante in cui le loro mani
si strinsero, quell’uomo gridò qualcosa in una strana lingua e un lampo
di luce rossa lo avvolse, lasciandoli per un istante senza parole.
Il mantello fluttuò nella penombra del cimitero
fasullo, il terreno ai suoi piedi tremò e le zolle si mossero fino ad
inghiottire i piedi chiusi negli stivali, il tutto sotto lo sguardo
incredulo di Jon e Damian che, per un lungo istante, si guardarono di
sottecchi prima di tornare a fissare l’uomo quando cominciò a ridere a
squarciagola. «Adesso nessuno si prenderà mai più gioco del grande mago
Hollow-heen!» parve ululare alla luna di cartone che pendeva sulla sua
testa, e Damian faticò parecchio per riuscire a trattenere la risata di
scherno che minacciò di fuoriuscire dalle sue labbra.
«Hollow… heen? Davvero?»
domandò nel cercare inutilmente di rimanere serio, soprattutto perché
al suo fianco Jon stesso si era coperto la bocca e cercava di soffocare
gli sbuffi di risa che gli facevano tremare le spalle.
Il cosiddetto mago li guardò e, abbassando il
cappuccio, li fissò con gli occhi fuori dalle orbite. Aveva profonde
occhiaie a segnargli il viso e i capelli unti e sudati appiccicati alla
fronte, quasi non avesse avuto modo di dormire o lavarsi per giorni
interi. «Questa sarà la vostra ultima risata, mocciosi», sentenziò
nell’allargare le braccia, e un altro lampo rosso parve squarciare la
penombra di quel finto cimitero, abbattendosi contro di loro.
Jon e Damian si schermarono immediatamente gli occhi
per proteggerli e sentirono la risata dell’uomo diventare sempre più
distante, faticando a capire che cosa stesse succedendo; qualcosa li
afferrò improvvisamente alle gambe e, presi alla sprovvista, lanciarono
entrambi un grido prima di scalciare via quelle che parvero essere le
mani di plastica degli zombie che erano rimaste piantate fino a quel
momento nel terreno, restando entrambi immobili e interdetti quando,
dinanzi a loro, i ragni giganti cominciarono a muoversi e gli zombie si
sollevarono dalla terra con suoni gutturali e spaventosi
«Oh. Questo era inaspettato».
Alla calma glaciale dell’amico al suo fianco, Jon si
voltò verso di lui con sguardo spiritato. «Cosa, esattamente?! Un
esercito di decorazioni e mostri che prendono vita?!» esclamò con voce
stridula, ma Damian si limitò a stringersi nelle spalle.
«No, quello un po’ me lo aspettavo. Il mago invece è
una novità».
«D!»
«Che c’è? È Gotham!»
Jon ebbe il forte impulso di strozzarlo, ma si
ritrovò ad urlare «Attento, D!» e a spingerlo a terra quando sentì il
sibilo di un’ascia, vedendola passare ad un soffio dal suo naso come a
rallentatore; sconcertato, Jon si voltò nella direzione da cui aveva
visto arrivare quell’arma e uno strano brivido corse lungo la sua
schiena alla vista di quegli enormi occhi gialli e del ghigno dipinto
sul viso di quello che sarebbe sembrato un normale ragazzo, se non
fosse stato per il capo inclinato ad un’angolazione impossibile e le
lunghe dita scheletriche che sorreggevano un’altra ascia. Deglutendo,
Jon afferrò immediatamente Damian per il mantello e, ignorando le sue
lamentele, se lo caricò in spalla, spiccando un balzo per allontanarsi
alla scelta da lì nello stesso istante in cui un’altra ascia venne
lanciata nella loro direzione.
«Che diavolo sta succedendo?!» sbottò Damian con
palese nervosismo, gettando un’occhiata alle sue spalle solo per vedere
quel tipo accerchiato dai ragni e gli zombie rantolare nella loro
direzione.
«Non ne ho la minima idea!» esclamò Jon nello
svoltare a destra, con le orecchie colme delle urla delle persone che
inondavano le strade e gli spari distanti delle pistole degli agenti di
polizia; uno stormo di pipistrelli volò sulle loro teste e uno di essi
si impigliò nei capelli di Jon, e fu Damian stesso a doverlo staccare
da lì visto il modo in cui l’amico aveva cominciato ad agitare la testa
nel tentativo di liberarsene, perdendo un po’ l’equilibrio.
«Guarda avanti, J!»
«Whoa!» Jon ebbe appena il tempo di frenare,
ringraziando di indossare gli stivali di Damian e non le sue converse,
poiché lo fece così bruscamente che la stoffa sarebbe andata
sicuramente a fuoco; davanti a loro di parò quello che aveva tutta
l’aria di essere una persona, ma aveva la pelle grigia e i piedi nudi
mettevano in bella mostra le uniche tre dita che possedeva; aveva una
protuberanza a forma di becco e una cresta di capelli simile a quella
di un gallo, e degnò entrambi di una breve occhiata prima di spalancare
quella strana bocca e volare via, lasciandoli entrambi col cuore che
batteva all’impazzata nella gabbia toracica.
«D’accordo, questo… questo era strano», ammise
Damian nel portarsi automaticamente una mano al petto mentre l’altra
era stretta intorno alla spalla destra di Jon, guardandolo di sottecchi
per saggiare la sua espressione. Sembrava stranito quasi quanto lui
mentre lo sorreggeva sotto le cosce, e lo vide sbattere più volte le
palpebre e boccheggiare.
Quel momento durò solo un attimo, poiché entrambi si
guardarono immediatamente quando sentirono altre urla provenienti da
fuori, affrettandosi ad uscire; Robinson Park e Chambers Street erano
completamente nel caos e la gente scappava in ogni dove guidata dalla
polizia che cercava di far loro da scudo, il carretto degli hot-dog era
riverso a terra e le zucche sembravano essersi impossessate del parco,
insieme ad una moltitudine di strani esseri che sembravano essere
usciti da un film dell’orrore; attorniato da un’accecante luce bianca
c’era persino un clown dai denti affilati che schiacciava sotto i
propri piedi tutto ciò che gli capitava a tiro, afferrando i
pipistrelli che gli volavano intorno per dilaniarli con zanne e
artigli. Per quanto la situazione fosse assurda e non sapessero più
dove guardare, i due ragazzi si riscossero in fretta e ripresero in
mano le redini della situazione, soprattutto alla vista di tutti quei
civili in preda al panico.
Non ci fu bisogno di parole: lanciando la cintura
multiuso a Damian, Jon volò dritto verso il clown e lo atterrò nello
stesso istante in cui quel mostro tentò di afferrare un bambino urlante
che cercava di nascondersi in un cespuglio; al tempo stesso Damian si
occupò di uno zombie che aveva cominciato a “mangiare” la gamba di un
ragazzo che era scivolato sui ciottoli, infilzandolo con un birdrang
solo per vederlo sparire come fumo davanti ai suoi occhi. Perché lo
zombie si era dissolto e il clown no? Incerto, e rassicurando il
ragazzo che piagnucolava, Damian provò a testare la propria teoria su
una delle zucche giganti che stavano stritolando il carretto degli
hot-dog con i grossi steli, prendendola a calci; la zucca rotolò via ma
non sparì, così lanciò un altro birdrang nella sua direzione solo per
vederla dissolversi come una nuvola di fumo. Reagivano all’acciaio?
«Colpiscilo con questo, J!» gridò nel richiamare
l’attenzione dell’amico, alle prese con il clown che stava cercando in
tutti i modi di strappargli il braccio a morsi; Jon riuscì ad afferrare
il birdrang con due dita per pura fortuna, troppo impegnato a staccarsi
di dosso quel mostro che non aveva fatto una piega né alla sua vista
calorifica né al suo soffio artico, infilzandogli quell’affare in una
spalla senza nemmeno pensarci due volte.
Pur con un grido stridulo e assordante che costrinse
chiunque nel raggio di qualche metro a coprirsi immediatamente le
orecchie, quel terribile clown si dissolse davanti agli occhi di Jon e
lui cadde sbattendo il sedere sul terreno, imprecando a denti stretti
prima di cercare Damian con lo sguardo; sollevò un pollice e sorrise,
ma sgranò gli occhi al movimento alle sue spalle e scattò in piedi così
in fretta da creare un avvallamento nel terreno; provò persino a
lanciarsi contro di lui, ma degli zombie lo afferrarono e arrestarono
il suo volo, costringendolo a divincolarsi nel tentativo di farsi
lasciare.
«Dietro di te, D!» gridò, e Damian si voltò giusto
in tempo per vedere un uomo dai capelli neri che, all’apparenza,
sembrava una persona normale: indossava una giacca blu con una spilla
gialla sorridente, un paio di guanti di pelle che Damian stesso
possedeva e portava una maschera dagli occhi anneriti e il sorriso
rosso quanto quello di Joker stesso; gli occhi azzurri lo fissavano
calmi e perfettamente a loro agio ma, nello squadrarsi per un lungo
istante in viso l’un l’altro, Damian si rese conto che quello era
tutt’altro che un normale civile.
«Sarai una perfetta opera d’arte», dichiarò difatti
di punto in bianco quell’uomo, tirando fuori dalla giacca un grosso
coltello che tentò di affondare nella spalla di Damian; il giovane gli
sfuggì con un salto all’indietro e gli lanciò contro la propria arma,
ma l’uomo la schivò facilmente e roteò con abilità il coltello,
flettendo i muscoli delle spalle per correre alla scelta verso di lui.
Damian ammise di non esserselo aspettato, ma assottigliò le palpebre e
usò una delle altalene dell’area bambini per darsi lo slancio
necessario e sferrare un calcio a quell’uomo in pieno viso, vedendolo
portarsi una mano alla bocca solo per catturare il sangue fra le dita e
portarselo alle labbra; le succhiò avidamente, le sua spalle fremettero
e lui mugolò, fissando Damian con quel sorriso rosso brillante.
«Non fare così. Ti eleverò a qualcosa di magnifico».
«Nei tuoi sogni, idiota!» esclamò Damian nel tornare
all’attacco, vedendo un lampo rosso e nero pararsi davanti a lui;
l’uomo rotolò lontano per qualche metro tra imprecazioni e strane
risate gutturali, e Damian sollevò lo sguardo solo per vedere Jon che,
librandosi a qualche centimetro da terra, teneva i pugni chiuso
all’altezza del busto e aveva gettato lui un’occhiata.
«Serve una mano?»
«Me la cavo benissimo da solo!» affermò schietto nel
lanciare un altro birdrang verso l’uomo che si era appena rialzato con
uno scatto felino per correre verso di loro, esultando interiormente
quando quest’ultimo si conficcò nel braccio con un rumore sordo di ossa
rotte; Damian si era aspettato di vederlo sparire davanti ai suoi occhi
come tutti gli altri, ma quell’essere si limitò ad imprecare e ad
afferrare l’arma con due dita, tirandola via tra suoni viscidi di
muscoli e sangue che colava sulla chiazza d’erba sottostante.
«Sembra che con lui non funzioni come con gli altri,
eh?» disse Jon nello strusciare un piede sul terreno e flettere le
gambe, imitando la posizione di attacco che solitamente utilizzava
l’amico.
«A quanto pare no». Damian scrocchiò le nocche,
assottigliando le palpebre. «Ma se sanguina... possiamo ucciderlo»,
affermò schietto, ricevendo un’occhiata incredula da parte di Jon.
«Noi non uccidiamo, D!»
«È un tizio fasullo creato dalla magia, J! Non
esiste, è come se fosse morto di default!»
«“Creato con la magia” non vuol dire necessariamente
“morto”, sai?»
«Argh, sta’ zitto. Non rovinare le mie frasi ad
effetto».
«Siete degli ossi duri». La voce dell’uomo
interruppe il loro battibecco e i due ragazzi lo videro piegare tra due
dita il birdrang d’acciaio come se nulla fosse, scroccando le nocche.
«A Otis piacciono gli ossi duri. L’arte acquista più realismo».
«Ti piace l’arte? Vediamo quanto ti piacerà un
occhio nero dipinto su quella faccia da schiaffi», replicò Damian,
sbuffando poco dopo alla vista dell’espressione scettica di Jon e del
modo in cui aveva sollevato le sopracciglia. «Non possono venirmi tutte
bene, non guardarmi così», sbottò, ma non ebbe il tempo di aggiungere
altro che quel tipo, Otis, si gettò contro di loro con la stessa furia
di un cane rabbioso, tirando fuori dalla giacca altri due coltelli che
cominciò a roteare con foga mirando ai punti molli del loro corpo.
Imprecando, entrambi i ragazzi si tirarono indietro
e ingaggiarono una lotta contro quell’uomo, il quale non risparmiò
nemmeno un colpo mentre puntava al viso di Damian; lo colpì di striscio
ad una guancia, ma Damian gli rifilò un calcio nello stomaco e rotolò
sul terreno, staccandosi di dosso le mani raggrinzite di alcuni zombie
che spuntarono dal terreno e lo bloccarono; Jon usò la sua vista
calorifica nel tentativo di sciogliere le armi di Otis senza successo,
poiché l’acciaio di cui erano composte sfrigolò solo per un istante
prima di ricrearsi in forma diversa davanti ai suoi occhi, come se la
magia che muoveva quegli esseri li rigenerasse in continuazione.
A complicare la situazione era la presenza di
civili: tra un attacco e l’altro che riuscivano a schivare, c’era una
persona da mettere in salvo da zucche mostruose o pipistrelli giganti,
da ragni dalle enormi zampe pelose o esseri umanoidi dalla pelle
squamosa e dai mille occhi che afferravano gente per i capelli e
cercavano di trascinarla verso il lago, costringendo Jon e Damian ad
intervenire; schivando gli attacchi di Otis, Damian lanciava qualche
birdrang in direzione dei civili in pericolo e abbatteva quanti più
mostri possibili, aiutato da Jon che alternava l’uso dei suoi poteri
alla forza bruta. Più ne abbattevano, però, più sembravano comparirne
di nuovi e sempre più grandi e spaventosi, e Damian era consapevole che
non avrebbero potuto continuare così ancora a lungo.
«Trova il mago, J! Se fermiamo lui, fermiamo
l’incantesimo!» gridò all’amico nel gettarsi di lato per evitare
l’ennesimo affondo, cercando di tenere Otis il più lontano possibile da
Jon che, volando a qualche metro di distanza, chiuse gli occhi e tentò
di insonorizzare ogni altro suono; c’era troppo rumore, troppe urla,
colpi di arma da fuoco e grida inumane provenienti dalla moltitudine di
mostri che scorrazzava fra le strade, ma Jon provò a concentrarsi solo
e unicamente sulla scia di magia che Hollow si era lasciato alle
spalle, aggrottando la fronte per la concentrazione.
«Ci sto… ci sto provando, ma è tutto troppo…»
«Mi fido di te, J… puoi farcela!»
Dalle labbra di Jon scappò una specie di gemito
quando la testa cominciò a dolere e le palpebre stretta a far male, col
sangue che gli tamburellava nelle orecchie e sembrava fare eco al
battito del suo cuore; i muscoli fremevano dalla voglia di aiutare
Damian e dare a sua volta filo da torcere a quell’uomo, ma Jon era
assolutamente consapevole che da quel momento sarebbero valse le sorti
di Damian. Più tergiversava più Damian era in pericolo, e si spinse
oltre ai suoi limiti per cercare il mago e infrangere la barriera
magica che sembrava essersi creato, ignorando il sangue che cominciò a
colare giù lungo la bocca dalla narice sinistra.
«È in una casa diroccata a Beacon Street, sembra…
sembra che stia manovrando qualcosa». Jon spalancò le palpebre, gli
occhi completamente rossi e fissi su un punto indefinito come se
riuscisse a vedere alla perfezione la posizione dell’uomo anche a
quella distanza. «Vado a prenderlo!»
«No!»
Damian lo frenò subito e girò la testa nello stesso istante in cui un
coltello gli sfiò il viso, provocando l’ennesimo taglio sulla sua
guancia. «Sei vulnerabile alla magia, non ti permetterò di andare!»
«Ma…!»
Damian compì un salto all’indietro e gli fu accanto
con un unico movimento fluido, spingendolo in avanti col mantello rosso
che fluttuava dietro di lui. «Occupati di quel tipo… e non morire»,
sussurrò con una specie di groppo in gola, dileguandosi nella penombra
dei lampioni per andare alla ricerca di quell’uomo.
L’idea di aver lasciato Jon solo con quel pazzo
maniaco non gli piaceva affatto, ma ancor meno gli sarebbe piaciuto
gettare l’amico nelle grinfie di un mago che avrebbe potuto sopraffarlo
anche solo con poche parole; la vulnerabilità kryptoniana alla magia
era nota persino ai maghi di più infimo livello, e Damian non era
disposto a rischiare che quel tipo, messo alle strette, potesse usare
chissà quale folle incantesimo e potesse ferire gravemente Jon… non se
lo sarebbe mai perdonato. Corse quindi a perdifiato per tutto il parco,
atterrò ogni mostro che gli si psrò davanti e ne prese a calci altri
per liberare i civili che finivano nelle loro grinfie, senza riuscire a
fare a meno di pensare che quegli esseri erano solo degli ostacoli che
continuavano a dividerlo ancora e ancora dal suo obiettivo principale.
Col sangue che colava lungo il viso e i muscoli
delle gambe che tremavano per lo sforzo, gli sembrò essere passata
un’eternità quando giunse dall’altro lato della strada, affannando alla
ricerca dell’edificio descritto da Jon; il suo corpo inondato di
adrenalina si mosse prima ancora che il suo cervello desse segnali ai
muscoli, spalancando la porta arrugginita con una spallata per
inoltrarsi nell’edificio e accendere la torcia per controllare i
dintorni. C’erano scatole di cartone ovunque, molte delle quali
inumidite dall’acqua che gocciolava dai tubi rotti e ricoperti di
ruggine, grosse ragnatele impolverate che cadevano dal soffitto e
graffiti che segnalavano la presenza di qualche banda di strada, ma
Damian dovette aguzzare le orecchie per sentire la voce che sussurrava
nell’ombra parole sconosciute, seguendola alla svelta nel girare a
destra; si ritrovò ben preso in un’enorme stanza circolare illuminata
da candele rosse che rendevano l’atmosfera sinistra e inquietante,
vedendo il mago che, col mantello nero allargato intorno a lui, se ne
stava seduto al di sotto di una luna di cartone che ricordava molto
quella che avevano visto nel finto cimitero, e Damian se ne intendeva
abbastanza di magia da immaginare che si trattasse di un incantesimo a
due fattori per far sì che funzionasse.
Hollow aprì gli occhi prima ancora che Damian
potesse estrarre un birdrang, osservandolo con uno sguardo stralunato.
«Ancora tu, moccioso?» berciò nel barcollare in piedi, senza
abbandonare il cerchio di sale in cui si trovava. «Speravo che a
quest’ora fossi scappato dalla mamma a gambe levate».
«Non conosci mia madre», affermò di rimando Damian
con ironia, gettandosi in fretta all’attacco per non dargli il tempo di
reagire; adesso che lo vedeva meglio alla luce di tutte quelle candele,
Damian si rese conto che quel tipo non poteva avere più di diciassette
anni, dati i brufoli che gli butteravano le guance e qualche pelo sul
mento che avrebbe dovuto vagamente ricordare una barba. Gli occhi
spiritati correvano da una parte all’altra mentre cercava di schivare i
suoi colpi e inciampata nei suoi stessi piedi, ma riusciva ad usare la
magia abbastanza bene da creare piccoli campi di forza con cui schivava
i pugni che Damian cercava di rifilargli.
Improvvisamente, Hollow gridò un incantesimo e la
terra sotto i loro piedi tremò, le fiamme delle candele si spensero
rilasciando un fil di fumo e gocciola do sui fogli sottostanti, le assi
ormai marcite parvero piegarsi su loro stesse e spezzarsi in più punti,
ricomponendosi per dar vita ad un essere fatto di legno, cera e
inchiostro; Damian lo vide prendere forma davanti a lui come argilla
nelle mani di quel mago da strapazzo, che indietreggiò ancora di
qualche passo tra grezze risate e sguardi spiritati.
«Sarà il mio Golem ad occuparsi di te, adesso»,
sentenziò nello sparire tra le ombre come una nuvola di fumo, e Damian
imprecò a denti stretti prima di cercare di corrergli incontro, venendo
bloccato dalla grossa mano di quel mostro che si schiantò davanti a
lui; la evitò per un soffio, ma schizzi di cera bollente gli finirono
sul viso e sibilò un po’ dal dolore prima di darsi slancio e balzare di
lato, cercando un punto debole nella struttura di quello che strano
essere.
Damian era consapevole di non avere a disposizione
tutte le sue armi – e di non indossare soprattutto la sua uniforme
rivestita in kevlar, dato che quella di Jon era una normalissima felpa
– e di non conoscere un contro-incantesimo per mettere lui stesso fine
a tutta quella follia – per quanto di tanto in tanto sguazzasse nella
magia, non ne sapeva abbastanza quanto sua madre –, ma era stato
addestrato a volgere a proprio favore ogni situazione e a valutare
qualunque mossa per poter avere la meglio sul proprio avversario, così
prese tempo mentre saltava ovunque come un grillo e sfruttava i punti
più nascosti in cui un colosso del genere non avrebbe potuto arrivare;
la stanza era piuttosto piccola per uno della sua stazza alto quasi tre
metri e, nonostante continuasse a schiantare l’enorme mano su quel che
restava del pavimento e tentasse di afferrare Damian con lunghe dita
legnose, aveva comunque poco spazio di manovra e l’essere inchiodato in
parte al cemento sottostante era per lui un altro punto debole. E fu
proprio in quello stesso istante che notò qualcosa, un’apertura
vagamente impercettibile quando quel Golem allungò nuovamente la mano
per afferrarlo, e Damian ghignò internamente, gonfiando i muscoli di
spalle e gambe.
«Mi senti, mago da strapazzo?!» esclamò nel portarsi
una mano alla cintura per correre verso i muri della stanza, cercando
di tenersi il più schiacciato possibile ad essi mentre il mostro
tentava di ruotare su sé stesso per raggiungerlo. «Tu e i tuoi
giochetti…» Damian compì un balzo dritto sulla schiena di quel colosso
e piazzò un birdrang esplosivo proprio accanto alla testa, saltando
oltre prima che potesse esplodere, «…mi avete decisamente stancato!»
sbraitò, rotolando dietro ad un tavolo nel momento esatto in cui quel
Golem scoppiò in una pioggia di frammenti e schegge di legno che
continuarono a muoversi per un istante prima di piombare a terra inermi.
Senza perdere ulteriormente tempo, Damian si
affrettò a seguire la scia di incenso e sangue che quel mago si era
portato dietro – anni e anni a lavorare con Batman avevano affinato
maggiormente il suo olfatto – mentre si inoltrata fra i corridoi
dell’edificio, con i corridoi che diventavano sempre più stretti e
pieni di graffiti; superò un paio di scrivanie riverse sul terreno e
schiacciò sotto i piedi vecchi tomi erosi dal fuoco di un incendio
scoppiato chissà quanto tempo prima, sentendo quell’odore farsi più
forte e disperdersi completamente nell’ambiente circostante quando
giunse dinanzi ad un’ampia sala che dava alla porta dell’uscita.
«Dolcetto o
scherzetto, Hollow?» domandò nello scroccare le nocche, e il
mago si voltò verso di lui con gli occhi fuori dalle orbite.
«No… non è possibile! Come diavolo fai ad essere
ancora vivo?!» sputacchiò incredulo. «Il mio… il mio Golem avrebbe
dovuto--»
«Presto chango,
abracadabra»,
rimbeccò Damian nel corrergli incontro quando Hollow tentò inutilmente
di scappare, colpendolo alla guancia con un gancio destro prima di
afferrarlo per il bavero del mantello e chinarsi ad una spanna dal suo
viso. «Hai perso».
Il mago tossì e sputacchiò qualche dente insieme al
sangue, conficcando inutilmente le unghie nel palmo della mano di
Damian. «Chi… chi ti credi di essere… Superman?!»
«Oh, certo che no». Damian gli rifilò una testata in
pieno viso, sentendo il setto nasale rompersi contro la sua fronte
prima di lasciar andare il bavero del mantello e ravvivarsi i capelli
all’indietro. «Superboy».
Un’ora e mezza dopo, consegnato quel criminale alla
giustizia e aiutato gli ultimi civili dopo essersi ricongiunti
entrambi, la situazione aveva cominciato a tornare alla normalità. Con
le decorazioni che si afflosciavano tutte intorno a loro, i vestiti
stracciati in più punti e i suoni lontani delle sirene delle ambulanze
in arrivo e delle auto della polizia, Jon e Damian si presero un
momento per riprendere fiato e scaricare l’adrenalina che avevano
accumulato fino a quel momento, ma fu Damian stesso che, scuotendo la
testa, alla fine si portò una mano chiusa a pugno alla bocca e soffocò
uno sbuffo ilare, sentendo su di sé lo sguardo curioso di Jon.
«Grazie, J», mormorò alla fine, vedendo Jon
inclinare il capo di lato.
«Mhn? Per cosa?»
Damian si voltò verso di lui, sollevando lo sguardo
per fissarlo negli occhi. «Mi sono davvero divertito», affermò schietto
e, per quanto avesse sbattuto le palpebre, alla fine Jon ridacchiò.
«Anche quando hanno cercato di farci fuori?»
«Soprattutto
quando hanno cercato di farci fuori», precisò Damian nel provocare a
Jon un’altra risatina, guardando per un istante la mano dell’amico
prima di farsi coraggio e afferrarla. Raramente si lasciava andare a
dimostrazioni di “affetto” in pubblico, quindi Jon ne fu piacevolmente
sorpreso e sorrise radioso come non mai, stringendo delicatamente
quelle dita fra le sue.
Non era stato esattamente il “dolcetto o scherzetto”
che si era aspettato ma, se era riuscito a far divertire Damian, allora
avrebbe potuto tranquillamente ritenersi più che soddisfatto.
«Quindi… è finita, eh?»
«Tim? Conner? E voi da dove spuntate
fuori?»
«È una storia divertente…»
_Note inconcludenti dell'autrice
Scritta per
l'iniziativa #ifitbleedschallenge indetta dal gruppo Non solo
Sherlock - gruppo eventi multifandom
Piccolo
mattoncino in cui i giovinotti hanno intorno ai 15 anni e credo di
essere uscita un po' fuori tema perché è più che altro una
comedy-horror e non una vera e propria storia creepy come richiedeva la
challenge (si
basava sulla scelta causale di creepypasta e non dovevae
necessariamente ricalcare l'evento narrato, andava bene anche una larga
ispirazione ad esso. La cosa più
importante era che la fic fosse inquadrable nel genere
dell'horror/crime/darkfic) però
mi sono divertita a scriverla quindi va benissimo così. Ah, già. E'
canonico che Jon e Damian si siano travestiti l'uno dall'altro ad
Halloween ahah
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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