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Autore: My Pride    31/10/2022    1 recensioni
~ Raccolta di flash fiction/one-shot incentrate sui membri della Bat-family ♥
» 200. Cospiracy ~ Bernard x Tim
Non è la prima volta che Bernard passa un mucchio di tempo al computer, ma non gli è mai capitato di starsene quasi mezza giornata alla ricerca di chissà cosa tra forum che parlano di supereroi, siti dedicati e informazioni che dovrebbero teoricamente arrivare dal cosiddetto “dark web”.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Bruce Wayne, Damian Wayne, Jason Todd, Jonathan Samuel Kent, Richard Grayson
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ride with the moon in the dead of night Titolo: Ride with the moon in the dead of night (This is Gotham!)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 6324 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne, Jonathan Samuel Kent

Rating: Giallo
Genere:
Generale, Slice of Life, Avventura
Avvertimenti: What if?, Slash
If it bleeds challenge: Bloody Painter

 

BATMAN © 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.

    «Certo che ne avete affrontata di gente strana qui a Gotham», disse di punto in bianco Jon mentre sgranocchiava delle patatine, con i piedi incrociati sul ripiano che aveva davanti e le dita che giravano pigramente le pagine digitali del file che aveva scaricato sul suo tablet.

    Era andato a villa Wayne quello stesso mattino e si era ritrovato a “studiare” prima ancora che potesse anche solo pensare di salutare l’amico, cercando inutilmente di replicare: Damian lo aveva subito zittito e aveva acceso il bat-computer, accennando che avrebbero dovuto tenersi pronti poiché quella notte sarebbero usciti di pattuglia molto prima del solito poiché non avrebbero potuto farsi trovare impreparati; peccato che fosse ormai pomeriggio inoltrato e che, pur studiando tutta quella roba, Jon non avesse rilevato nulla che il suo orecchio kryptoniano avrebbe potuto sentire a differenza delle sofisticate apparecchiature là intorno. A quanto sembrava, quella sera Gotham stessa aveva deciso di starsene straordinariamente tranquilla e loro erano lì ad annoiarsi come non mai.

    «Quella che stai leggendo è solo la punta dell’iceberg, J», replicò Damian nel dare da mangiare a Bat-Cow, carezzandole il muso. «Mi stupisce che dopo tutti questi anni tu abbia ancora queste lacune».

    «Sì, sì, sì. Come ti pare. Comunque». Jon spense il tablet e lo lasciò sul ripiano, abbassando le gambe per voltarsi con la sedia girevole verso l’amico. «Senti. È la notte di Halloween», la buttò lì, ricevendo solo una rapida occhiata scettica da parte di Damian.

    «Lo so».

    «Allora potremmo fare altro».

    «Tipo?»

    Sulle labbra di Jon si dipinse un ghigno che, Damian ne fu sicuro, avrebbe potuto fare invidia al Joker mentre accavallava le gambe e univa le dita le une alle altre. «Andiamo, lo sai», affermò, rivedendo uno sguardo piuttosto scettico.

    Damian ci mise effettivamente un secolo per capire cosa volesse dire Jon, inclinando il capo di lato e osservandolo a lungo finché la consapevolezza non lo colpì; allargò quindi le palpebre, facendo un passo indietro. «Oh, no», rimbeccò, ma il ghigno sulle labbra di Jon divenne più grande.

    «Oh, sì».

    Per quanto Damian avesse provato a replicare più e più volte, a far valere la propria posizione e il fatto che avrebbero dovuto tenersi pronti ad ogni evenienza controllando la situazione anziché “perdere tempo” in quel modo, alla fine la situazione si era svolta solo e unicamente in favore di Jon, che aveva sghignazzato quando aveva finito di infilarsi il costume e si era agganciato la cintura multiuso che componeva il vestiario di Robin. Per la seconda volta nel corso di quei cinque anni, aveva finalmente avuto la meglio su quel testone di Damian Wayne. Al solo pensiero ridacchiò, gettando una rapida occhiata in direzione di Damian che, proprio in quel momento, stava tirando su la zip della felpa e si stava sistemando il mantello sulle spalle.

    «Ricordi la prima volta che ci siamo scambiati i vestiti?» domandò divertito, e Damian gli scoccò un’occhiataccia con la quale sarebbe stato capace di dargli fuoco seduta stante, vista calorifica o meno.

    «Sì, e mi chiedo ancora come avevi fatto a convincermi».
   
    «Come adesso, ma con meno lingua». Il lieve rossore che apparve sulle guance di Damian fece scoppiare a ridere Jon, che si affrettò a scusarsi tra gli sghignazzi e ad agitare una mano quando Damian lo guardò di nuovo male, gettandogli un braccio intorno alle spalle per attirarlo contro di sé. «Dai, la prima volta ci siamo divertiti», accennò nel dargli un pugno leggero sul petto, e Damian, pur roteando gli occhi e grugnendo, annuì brevemente.

    «Devo mio malgrado ammettere che quella serata ha avuto riscontri abbastanza positivi».

    «Tradotto “Grazie, J, mi sono proprio divertito”?»

    «Parole tue, non mie».

    «Certo, sei un duro», rise Jon nel dargli un altro pugno leggero prima di lasciarlo andare e dargli una pacca sulla schiena. «Pronto? Ho sempre voluto vedere Gotham durante la notte di Halloween».

    Damian sbuffò ilare, raddrizzando il colletto del suo costume per incamminarsi verso il centro della piattaforma. «È come tutti gli altri giorni, solo con più persone travestite», rese noto nel fargli un cenno. «Premi il pulsante sul guanto sinistro, il terzo a partire da destra», ordinò, e gli occhi di Jon si illuminarono.

    «Non dirmelo, andiamo in moto?!» esclamò entusiasta, affrettandosi a fare quanto detto mentre gli correva in contro; il familiare rombo del motore risuonò in tutta la caverna e Jon sorrise come non mai alla vista del veicolo che sfrecciò da una delle zone d’ombra fino a sgommare davanti a loro, fermandosi proprio al centro della piattaforma con un ronzio così basso che a Jon ricordò un gatto che faceva le fusa. Per quanto possedesse una vasta quantità di poteri e sapesse volare, una moto era pur sempre una moto.
   
    «È il mezzo migliore per girare fra le strade di Gotham in una notte come questa». Damian lo fissò attraverso la maschera che si era ostinato ad indossare, poggiando le mani sui fianchi fasciati dai jeans. «E, in via del tutto eccezionale e in onore dell’uniforme che indossi, lascerò guidare te».

    «Cosa? Ho quindici anni, D».

    «E allora? Io guido da quando ne avevo sei», rimbeccò nello stringersi nelle spalle. «Tuo padre ti ha insegnato a guidare nel vialetto, non è che tu non sappia cosa fare». Lo sguardo di Damian divenne improvvisamente serio. «E poi… mi fido di te. O non ti farei toccare la mia moto nemmeno con un dito».

    Pur ridacchiando imbarazzato e massaggiandosi il collo, Jon nascose l’ombra di un sorriso a quelle parole e si mise alla guida di quella moto, aspettando che anche Damian salisse in sella prima di poter partire e chiedere al contempo consigli. Era raro che Damian esprimesse giudizi simili o desse completamente fiducia a qualcuno, ma Jon sapeva quanto Damian contasse su di lui e quanto fosse disposto ad aprirsi e confidarsi, quindi cercò di non essere da meno di quella fiducia in lui riposta; aveva sbagliato un po’ le marce, quasi rischiato di ingolfare il motore e per poco non aveva graffiato la carrozzeria contro un muro, ma erano arrivati sani e salvi nella zona nord di Gotham e attivato il dispositivo di occultamento del veicolo dopo aver parcheggiato in un vicolo, sbucando proprio nel bel mezzo dei festeggiamenti a Chambers Street.

    Jon non aveva mai visto Gotham sotto quella luce, lo ammetteva. C’erano ovunque decorazioni di Halloween, pipistrelli radiocomandati che svolazzavano tra gli enormi palazzi, zucche giganti che sembravano vive e zombie in plastica che di tanto in tanto “assalivano” qualche passante, facendo ridere divertiti i bambini che scappavano in ogni dove vestiti da maghi, streghe e supereroi; c’era persino un bambino vestito da Robin accompagnato da un piccolo Superboy dai capelli biondi e arruffati, e Jon ridacchiò divertito alla vista di come si punzecchiavano con i loro secchielli a forma di zucca e come le loro madri, a distanza di qualche metro, accennassero loro di fare i bravi o sarebbero tornati a casa. Persino gli adulti partecipavano ai festeggiamenti e c’era anche qualche poliziotto di pattuglia in giro, e Jon riconobbe da lontano il sergente Montoya poiché l’aveva vista un paio di volte a villa Wayne in compagnia della signora Kate, Batwoman.

    «Oggi è di turno», disse di punto in bianco Damian, riscuotendo Jon dai suoi pensieri e richiamando verso di sé la sua attenzione.

    «Avete sempre pattuglie della GCPD in giro?»

    «Siamo a Gotham, J», rese noto in tono ovvio. «E oggi è Halloween. Tra l’Uomo Calendario e Spaventapasseri, abbiamo solo l’imbarazzo della scelta su chi deciderà di farsi vedere per primo. Poi ci sono ovviamente le eccezioni».

    «…tipo?»

    «Joker che si annoia».

    Jon fu quasi certo che Damian non lo avesse detto per scherzare, quindi si limitò a dar vita ad un sorrisetto nervoso prima di annuire e lasciar correre il discorso, insinuandosi nella folla; si confusero con la moltitudine di gente fra le strade, stupendosi entrambi di come la città fosse stata addobbata come non mai. Persino Damian rimase esterrefatto dalla cosa, indicando lui stesso qualche punto in cui giganteschi ologrammi venivano proiettati contro le vetrate degli edifici e creavano spirali di colore e forme che affascinavano e terrorizzavano al tempo stesso, complici anche gli effetti sonori che si sentivano risuonare di tanto in tanto fra i vicoli e al di sopra dei lampioni; ad un certo punto fu Jon a trascinare Damian verso la porta di una delle case e, ridendo, suonò al campanello urlando “Dolcetto o scherzetto!” nonostante le lamentele di Damian a riguardo – «Abbiamo quindici anni, J, siamo ridicoli!» –, salvo poi intascarsi nei jeans parecchi dolci e ficcandone altri nelle tasche della cintura multiuso che portava Jon alla vita.

    Non se n’erano resi del tutto conto ma, mentre giravano insieme ad altri ragazzi e adulti e si godevano la serata, avevano cominciato ad avvicinarsi di più e a sfiorarsi di tanto in tanto le mani, guardandosi di sottecchi tra un sorriso e l’altro durante il resto della serata. Damian probabilmente non lo avrebbe mai ammesso a parole, ma avrebbe mentito anche a se stesso se avesse affermato che non si stava divertendo. I suoni, i rumori le grida divertite e anche scherzosamente spaventate della gente, l’odore dello zucchero filato che proveniva dal Robinson Park e quello degli hot dog, e fecero persino tappa in quella direzione quando lo stomaco di Jon cominciò a reclamare qualcosa di più sostanzioso dei dolci. Fu Damian ad offrire, per quanto fosse stato costretto ad infilare le mani nelle tasche di Jon per tirar fuori un paio di banconote, ricevendo dal proprietario del carretto dei complimenti per quanto fossero accurati i costumi che indossavano; Jon aveva riso e ringraziato mentre prendeva i due hot-dog – Damian aveva optato per uno spiedino vegetariano –, indicando anche una casa degli orrori che avevano allestito lì nel parco.

    Per quanto scettico, Damian alla fine aveva acconsentito e aveva finito con l’essere lui stesso a trascinare Jon in quella direzione, pagando il biglietto di ingresso per insinuarsi in quella casa che, aveva purtroppo dovuto ammetterlo, era stata allestita nel migliore dei modi. Oltre al classico labirinto di specchi con cui avevano letteralmente giocato nel guardare le loro forme cambiare, avevano incrociato nella penombra anche una giovane coppia – Damian aveva notato solo parzialmente una giacca di pelle oversize con una enorme S dietro la schiena di uno di loro – che si era appartata per pomiciare, cosa che aveva messo un po’ in imbarazzo entrambi quando si erano lanciati un’occhiata; nel continuare a vagare si erano poi ritrovati in un piccolo cimitero con tombe di cartone e zolle di terra smossa, da cui spuntavano di tanto in tanto delle mani scheletriche o ricoperte di pelle raggrinzita e lembi logori di stoffa. Più che spaventoso era ridicolo e divertente, ma entrambi si guardarono con un sorrisetto mentre si incamminavano in quel cimitero, osservando tutto sommato i dettagli e persino le finte ragnatele e i ragni giganti che erano stati gettati un po’ dappertutto per dare l’impressione che fossero veri.

    «D’accordo, devo dare atto alla gestione cittadina: hanno fatto un buon lavoro», disse Damian nel sollevare il mantello per evitare che si incastrasse in una delle dita che spuntavano dal terreno, lanciando un’occhiata a Jon, i cui stivali verdi affondavano di tanto in tanto in quel piccolo pantano.
   
    Jon stesso gli lanciò un’occhiata, incuriosito. «Non sei mai venuto da queste parti?»

    «Solitamente sono di pattuglia. Potrebbero sempre esserci problemi con--»

    «L’Uomo Calendario e Spaventapasseri, sì, lo hai già detto», affermò nel passargli un braccio dietro le spalle. «E come vedi siamo entrambi pronti ad ogni evenienza. Quindi stasera puoi scioglierti un po’ e possiamo divertirci insieme».

    Damian lo guardò di sottecchi, nascondendo un sorriso nella piega delle labbra. «In un finto cimitero degli orrori?»

    «In un finto cimitero degli orrori», confermò Jon con un ghigno che andava da un orecchio all’altro, facendo inevitabilmente ridere Damian; e al suono di quella risata il suo cuore parve sfarfallare per un secondo, tanto che si chinò verso il viso dell’amico e deglutì. «Idea un po’ macabra, scusa», sussurrò, ma Damian sollevò lo sguardo per fissarlo negli occhi attraverso la maschera.

    «Non così tanto». Indugiò ad una spanna dalle sue labbra, sollevandosi in punta di piedi. «Mi piace».

    «Sul serio?»

    «Sul serio».

    Jon si leccò le labbra senza volerlo, lo sguardo ormai perso negli occhi di Damian nonostante non potesse vederli attraverso la maschera, una mano che scivolava lungo il suo fianco per fermarsi saldamente sul bacino; Damian stesso schiuse la bocca, mordicchiò il labbro inferiore e Jon vide distintamente il pomo d’Adamo alzarsi e abbassarsi più e più volte, chinandosi l’uno verso l’altro. Le volte in cui si erano baciati – più uno sfiorarsi di labbra, in verità – si potevano contare sulla punta delle dita così come i momenti in cui si concedevano qualche abbraccio, ed era strano che quel posto e quel momento, forse anche un po’ a causa dell’atmosfera, avessero innescato quel meccanismo che--

    «Ohw!» imprecarono di punto in bianco nello stesso istante quando qualcosa li colpì, fece perdere ad entrambi l’equilibrio e li fece sbattere col sedere per terra, e Jon ebbe appena il tempo di sollevare lo sguardo solo per vedere un uomo – avvolto in un mantello nero per simulare il tristo mietitore, che originalità – che correva alla svelta verso una delle tombe. «Ehi, amico, guarda dove vai!» bofonchiò nel rimettersi in piedi e allungare una mano verso Damian per aiutarlo a fare lo stesso ma, nello stesso istante in cui le loro mani si strinsero, quell’uomo gridò qualcosa in una strana lingua e un lampo di luce rossa lo avvolse, lasciandoli per un istante senza parole.
   
    Il mantello fluttuò nella penombra del cimitero fasullo, il terreno ai suoi piedi tremò e le zolle si mossero fino ad inghiottire i piedi chiusi negli stivali, il tutto sotto lo sguardo incredulo di Jon e Damian che, per un lungo istante, si guardarono di sottecchi prima di tornare a fissare l’uomo quando cominciò a ridere a squarciagola. «Adesso nessuno si prenderà mai più gioco del grande mago Hollow-heen!» parve ululare alla luna di cartone che pendeva sulla sua testa, e Damian faticò parecchio per riuscire a trattenere la risata di scherno che minacciò di fuoriuscire dalle sue labbra.

    «Hollow… heen? Davvero?» domandò nel cercare inutilmente di rimanere serio, soprattutto perché al suo fianco Jon stesso si era coperto la bocca e cercava di soffocare gli sbuffi di risa che gli facevano tremare le spalle.

    Il cosiddetto mago li guardò e, abbassando il cappuccio, li fissò con gli occhi fuori dalle orbite. Aveva profonde occhiaie a segnargli il viso e i capelli unti e sudati appiccicati alla fronte, quasi non avesse avuto modo di dormire o lavarsi per giorni interi. «Questa sarà la vostra ultima risata, mocciosi», sentenziò nell’allargare le braccia, e un altro lampo rosso parve squarciare la penombra di quel finto cimitero, abbattendosi contro di loro.

    Jon e Damian si schermarono immediatamente gli occhi per proteggerli e sentirono la risata dell’uomo diventare sempre più distante, faticando a capire che cosa stesse succedendo; qualcosa li afferrò improvvisamente alle gambe e, presi alla sprovvista, lanciarono entrambi un grido prima di scalciare via quelle che parvero essere le mani di plastica degli zombie che erano rimaste piantate fino a quel momento nel terreno, restando entrambi immobili e interdetti quando, dinanzi a loro, i ragni giganti cominciarono a muoversi e gli zombie si sollevarono dalla terra con suoni gutturali e spaventosi

    «Oh. Questo era inaspettato».

    Alla calma glaciale dell’amico al suo fianco, Jon si voltò verso di lui con sguardo spiritato. «Cosa, esattamente?! Un esercito di decorazioni e mostri che prendono vita?!» esclamò con voce stridula, ma Damian si limitò a stringersi nelle spalle.

    «No, quello un po’ me lo aspettavo. Il mago invece è una novità».

    «D!»

    «Che c’è? È Gotham!»

    Jon ebbe il forte impulso di strozzarlo, ma si ritrovò ad urlare «Attento, D!» e a spingerlo a terra quando sentì il sibilo di un’ascia, vedendola passare ad un soffio dal suo naso come a rallentatore; sconcertato, Jon si voltò nella direzione da cui aveva visto arrivare quell’arma e uno strano brivido corse lungo la sua schiena alla vista di quegli enormi occhi gialli e del ghigno dipinto sul viso di quello che sarebbe sembrato un normale ragazzo, se non fosse stato per il capo inclinato ad un’angolazione impossibile e le lunghe dita scheletriche che sorreggevano un’altra ascia. Deglutendo, Jon afferrò immediatamente Damian per il mantello e, ignorando le sue lamentele, se lo caricò in spalla, spiccando un balzo per allontanarsi alla scelta da lì nello stesso istante in cui un’altra ascia venne lanciata nella loro direzione.

    «Che diavolo sta succedendo?!» sbottò Damian con palese nervosismo, gettando un’occhiata alle sue spalle solo per vedere quel tipo accerchiato dai ragni e gli zombie rantolare nella loro direzione.

    «Non ne ho la minima idea!» esclamò Jon nello svoltare a destra, con le orecchie colme delle urla delle persone che inondavano le strade e gli spari distanti delle pistole degli agenti di polizia; uno stormo di pipistrelli volò sulle loro teste e uno di essi si impigliò nei capelli di Jon, e fu Damian stesso a doverlo staccare da lì visto il modo in cui l’amico aveva cominciato ad agitare la testa nel tentativo di liberarsene, perdendo un po’ l’equilibrio.

    «Guarda avanti, J!»

    «Whoa!» Jon ebbe appena il tempo di frenare, ringraziando di indossare gli stivali di Damian e non le sue converse, poiché lo fece così bruscamente che la stoffa sarebbe andata sicuramente a fuoco; davanti a loro di parò quello che aveva tutta l’aria di essere una persona, ma aveva la pelle grigia e i piedi nudi mettevano in bella mostra le uniche tre dita che possedeva; aveva una protuberanza a forma di becco e una cresta di capelli simile a quella di un gallo, e degnò entrambi di una breve occhiata prima di spalancare quella strana bocca e volare via, lasciandoli entrambi col cuore che batteva all’impazzata nella gabbia toracica.

    «D’accordo, questo… questo era strano», ammise Damian nel portarsi automaticamente una mano al petto mentre l’altra era stretta intorno alla spalla destra di Jon, guardandolo di sottecchi per saggiare la sua espressione. Sembrava stranito quasi quanto lui mentre lo sorreggeva sotto le cosce, e lo vide sbattere più volte le palpebre e boccheggiare.
   
    Quel momento durò solo un attimo, poiché entrambi si guardarono immediatamente quando sentirono altre urla provenienti da fuori, affrettandosi ad uscire; Robinson Park e Chambers Street erano completamente nel caos e la gente scappava in ogni dove guidata dalla polizia che cercava di far loro da scudo, il carretto degli hot-dog era riverso a terra e le zucche sembravano essersi impossessate del parco, insieme ad una moltitudine di strani esseri che sembravano essere usciti da un film dell’orrore; attorniato da un’accecante luce bianca c’era persino un clown dai denti affilati che schiacciava sotto i propri piedi tutto ciò che gli capitava a tiro, afferrando i pipistrelli che gli volavano intorno per dilaniarli con zanne e artigli. Per quanto la situazione fosse assurda e non sapessero più dove guardare, i due ragazzi si riscossero in fretta e ripresero in mano le redini della situazione, soprattutto alla vista di tutti quei civili in preda al panico.

    Non ci fu bisogno di parole: lanciando la cintura multiuso a Damian, Jon volò dritto verso il clown e lo atterrò nello stesso istante in cui quel mostro tentò di afferrare un bambino urlante che cercava di nascondersi in un cespuglio; al tempo stesso Damian si occupò di uno zombie che aveva cominciato a “mangiare” la gamba di un ragazzo che era scivolato sui ciottoli, infilzandolo con un birdrang solo per vederlo sparire come fumo davanti ai suoi occhi. Perché lo zombie si era dissolto e il clown no? Incerto, e rassicurando il ragazzo che piagnucolava, Damian provò a testare la propria teoria su una delle zucche giganti che stavano stritolando il carretto degli hot-dog con i grossi steli, prendendola a calci; la zucca rotolò via ma non sparì, così lanciò un altro birdrang nella sua direzione solo per vederla dissolversi come una nuvola di fumo. Reagivano all’acciaio?

    «Colpiscilo con questo, J!» gridò nel richiamare l’attenzione dell’amico, alle prese con il clown che stava cercando in tutti i modi di strappargli il braccio a morsi; Jon riuscì ad afferrare il birdrang con due dita per pura fortuna, troppo impegnato a staccarsi di dosso quel mostro che non aveva fatto una piega né alla sua vista calorifica né al suo soffio artico, infilzandogli quell’affare in una spalla senza nemmeno pensarci due volte.

    Pur con un grido stridulo e assordante che costrinse chiunque nel raggio di qualche metro a coprirsi immediatamente le orecchie, quel terribile clown si dissolse davanti agli occhi di Jon e lui cadde sbattendo il sedere sul terreno, imprecando a denti stretti prima di cercare Damian con lo sguardo; sollevò un pollice e sorrise, ma sgranò gli occhi al movimento alle sue spalle e scattò in piedi così in fretta da creare un avvallamento nel terreno; provò persino a lanciarsi contro di lui, ma degli zombie lo afferrarono e arrestarono il suo volo, costringendolo a divincolarsi nel tentativo di farsi lasciare.

    «Dietro di te, D!» gridò, e Damian si voltò giusto in tempo per vedere un uomo dai capelli neri che, all’apparenza, sembrava una persona normale: indossava una giacca blu con una spilla gialla sorridente, un paio di guanti di pelle che Damian stesso possedeva e portava una maschera dagli occhi anneriti e il sorriso rosso quanto quello di Joker stesso; gli occhi azzurri lo fissavano calmi e perfettamente a loro agio ma, nello squadrarsi per un lungo istante in viso l’un l’altro, Damian si rese conto che quello era tutt’altro che un normale civile.

    «Sarai una perfetta opera d’arte», dichiarò difatti di punto in bianco quell’uomo, tirando fuori dalla giacca un grosso coltello che tentò di affondare nella spalla di Damian; il giovane gli sfuggì con un salto all’indietro e gli lanciò contro la propria arma, ma l’uomo la schivò facilmente e roteò con abilità il coltello, flettendo i muscoli delle spalle per correre alla scelta verso di lui.
Damian ammise di non esserselo aspettato, ma assottigliò le palpebre e usò una delle altalene dell’area bambini per darsi lo slancio necessario e sferrare un calcio a quell’uomo in pieno viso, vedendolo portarsi una mano alla bocca solo per catturare il sangue fra le dita e portarselo alle labbra; le succhiò avidamente, le sua spalle fremettero e lui mugolò, fissando Damian con quel sorriso rosso brillante.

    «Non fare così. Ti eleverò a qualcosa di magnifico».

    «Nei tuoi sogni, idiota!» esclamò Damian nel tornare all’attacco, vedendo un lampo rosso e nero pararsi davanti a lui; l’uomo rotolò lontano per qualche metro tra imprecazioni e strane risate gutturali, e Damian sollevò lo sguardo solo per vedere Jon che, librandosi a qualche centimetro da terra, teneva i pugni chiuso all’altezza del busto e aveva gettato lui un’occhiata.

    «Serve una mano?»

    «Me la cavo benissimo da solo!» affermò schietto nel lanciare un altro birdrang verso l’uomo che si era appena rialzato con uno scatto felino per correre verso di loro, esultando interiormente quando quest’ultimo si conficcò nel braccio con un rumore sordo di ossa rotte; Damian si era aspettato di vederlo sparire davanti ai suoi occhi come tutti gli altri, ma quell’essere si limitò ad imprecare e ad afferrare l’arma con due dita, tirandola via tra suoni viscidi di muscoli e sangue che colava sulla chiazza d’erba sottostante.

    «Sembra che con lui non funzioni come con gli altri, eh?» disse Jon nello strusciare un piede sul terreno e flettere le gambe, imitando la posizione di attacco che solitamente utilizzava l’amico.

    «A quanto pare no». Damian scrocchiò le nocche, assottigliando le palpebre. «Ma se sanguina... possiamo ucciderlo», affermò schietto, ricevendo un’occhiata incredula da parte di Jon.

    «Noi non uccidiamo, D!»

    «È un tizio fasullo creato dalla magia, J! Non esiste, è come se fosse morto di default!»

    «“Creato con la magia” non vuol dire necessariamente “morto”, sai?»

    «Argh, sta’ zitto. Non rovinare le mie frasi ad effetto».

    «Siete degli ossi duri». La voce dell’uomo interruppe il loro battibecco e i due ragazzi lo videro piegare tra due dita il birdrang d’acciaio come se nulla fosse, scroccando le nocche. «A Otis piacciono gli ossi duri. L’arte acquista più realismo».

    «Ti piace l’arte? Vediamo quanto ti piacerà un occhio nero dipinto su quella faccia da schiaffi», replicò Damian, sbuffando poco dopo alla vista dell’espressione scettica di Jon e del modo in cui aveva sollevato le sopracciglia. «Non possono venirmi tutte bene, non guardarmi così», sbottò, ma non ebbe il tempo di aggiungere altro che quel tipo, Otis, si gettò contro di loro con la stessa furia di un cane rabbioso, tirando fuori dalla giacca altri due coltelli che cominciò a roteare con foga mirando ai punti molli del loro corpo.

    Imprecando, entrambi i ragazzi si tirarono indietro e ingaggiarono una lotta contro quell’uomo, il quale non risparmiò nemmeno un colpo mentre puntava al viso di Damian; lo colpì di striscio ad una guancia, ma Damian gli rifilò un calcio nello stomaco e rotolò sul terreno, staccandosi di dosso le mani raggrinzite di alcuni zombie che spuntarono dal terreno e lo bloccarono; Jon usò la sua vista calorifica nel tentativo di sciogliere le armi di Otis senza successo, poiché l’acciaio di cui erano composte sfrigolò solo per un istante prima di ricrearsi in forma diversa davanti ai suoi occhi, come se la magia che muoveva quegli esseri li rigenerasse in continuazione.

    A complicare la situazione era la presenza di civili: tra un attacco e l’altro che riuscivano a schivare, c’era una persona da mettere in salvo da zucche mostruose o pipistrelli giganti, da ragni dalle enormi zampe pelose o esseri umanoidi dalla pelle squamosa e dai mille occhi che afferravano gente per i capelli e cercavano di trascinarla verso il lago, costringendo Jon e Damian ad intervenire; schivando gli attacchi di Otis, Damian lanciava qualche birdrang in direzione dei civili in pericolo e abbatteva quanti più mostri possibili, aiutato da Jon che alternava l’uso dei suoi poteri alla forza bruta. Più ne abbattevano, però, più sembravano comparirne di nuovi e sempre più grandi e spaventosi, e Damian era consapevole che non avrebbero potuto continuare così ancora a lungo.

    «Trova il mago, J! Se fermiamo lui, fermiamo l’incantesimo!» gridò all’amico nel gettarsi di lato per evitare l’ennesimo affondo, cercando di tenere Otis il più lontano possibile da Jon che, volando a qualche metro di distanza, chiuse gli occhi e tentò di insonorizzare ogni altro suono; c’era troppo rumore, troppe urla, colpi di arma da fuoco e grida inumane provenienti dalla moltitudine di mostri che scorrazzava fra le strade, ma Jon provò a concentrarsi solo e unicamente sulla scia di magia che Hollow si era lasciato alle spalle, aggrottando la fronte per la concentrazione.

    «Ci sto… ci sto provando, ma è tutto troppo…»

    «Mi fido di te, J… puoi farcela!»

    Dalle labbra di Jon scappò una specie di gemito quando la testa cominciò a dolere e le palpebre stretta a far male, col sangue che gli tamburellava nelle orecchie e sembrava fare eco al battito del suo cuore; i muscoli fremevano dalla voglia di aiutare Damian e dare a sua volta filo da torcere a quell’uomo, ma Jon era assolutamente consapevole che da quel momento sarebbero valse le sorti di Damian. Più tergiversava più Damian era in pericolo, e si spinse oltre ai suoi limiti per cercare il mago e infrangere la barriera magica che sembrava essersi creato, ignorando il sangue che cominciò a colare giù lungo la bocca dalla narice sinistra.

    «È in una casa diroccata a Beacon Street, sembra… sembra che stia manovrando qualcosa». Jon spalancò le palpebre, gli occhi completamente rossi e fissi su un punto indefinito come se riuscisse a vedere alla perfezione la posizione dell’uomo anche a quella distanza. «Vado a prenderlo!»

    «No!» Damian lo frenò subito e girò la testa nello stesso istante in cui un coltello gli sfiò il viso, provocando l’ennesimo taglio sulla sua guancia. «Sei vulnerabile alla magia, non ti permetterò di andare!»

    «Ma…!»

    Damian compì un salto all’indietro e gli fu accanto con un unico movimento fluido, spingendolo in avanti col mantello rosso che fluttuava dietro di lui. «Occupati di quel tipo… e non morire», sussurrò con una specie di groppo in gola, dileguandosi nella penombra dei lampioni per andare alla ricerca di quell’uomo.

    L’idea di aver lasciato Jon solo con quel pazzo maniaco non gli piaceva affatto, ma ancor meno gli sarebbe piaciuto gettare l’amico nelle grinfie di un mago che avrebbe potuto sopraffarlo anche solo con poche parole; la vulnerabilità kryptoniana alla magia era nota persino ai maghi di più infimo livello, e Damian non era disposto a rischiare che quel tipo, messo alle strette, potesse usare chissà quale folle incantesimo e potesse ferire gravemente Jon… non se lo sarebbe mai perdonato. Corse quindi a perdifiato per tutto il parco, atterrò ogni mostro che gli si psrò davanti e ne prese a calci altri per liberare i civili che finivano nelle loro grinfie, senza riuscire a fare a meno di pensare che quegli esseri erano solo degli ostacoli che continuavano a dividerlo ancora e ancora dal suo obiettivo principale.

    Col sangue che colava lungo il viso e i muscoli delle gambe che tremavano per lo sforzo, gli sembrò essere passata un’eternità quando giunse dall’altro lato della strada, affannando alla ricerca dell’edificio descritto da Jon; il suo corpo inondato di adrenalina si mosse prima ancora che il suo cervello desse segnali ai muscoli, spalancando la porta arrugginita con una spallata per inoltrarsi nell’edificio e accendere la torcia per controllare i dintorni. C’erano scatole di cartone ovunque, molte delle quali inumidite dall’acqua che gocciolava dai tubi rotti e ricoperti di ruggine, grosse ragnatele impolverate che cadevano dal soffitto e graffiti che segnalavano la presenza di qualche banda di strada, ma Damian dovette aguzzare le orecchie per sentire la voce che sussurrava nell’ombra parole sconosciute, seguendola alla svelta nel girare a destra; si ritrovò ben preso in un’enorme stanza circolare illuminata da candele rosse che rendevano l’atmosfera sinistra e inquietante, vedendo il mago che, col mantello nero allargato intorno a lui, se ne stava seduto al di sotto di una luna di cartone che ricordava molto quella che avevano visto nel finto cimitero, e Damian se ne intendeva abbastanza di magia da immaginare che si trattasse di un incantesimo a due fattori per far sì che funzionasse.

    Hollow aprì gli occhi prima ancora che Damian potesse estrarre un birdrang, osservandolo con uno sguardo stralunato. «Ancora tu, moccioso?» berciò nel barcollare in piedi, senza abbandonare il cerchio di sale in cui si trovava. «Speravo che a quest’ora fossi scappato dalla mamma a gambe levate».

    «Non conosci mia madre», affermò di rimando Damian con ironia, gettandosi in fretta all’attacco per non dargli il tempo di reagire; adesso che lo vedeva meglio alla luce di tutte quelle candele, Damian si rese conto che quel tipo non poteva avere più di diciassette anni, dati i brufoli che gli butteravano le guance e qualche pelo sul mento che avrebbe dovuto vagamente ricordare una barba. Gli occhi spiritati correvano da una parte all’altra mentre cercava di schivare i suoi colpi e inciampata nei suoi stessi piedi, ma riusciva ad usare la magia abbastanza bene da creare piccoli campi di forza con cui schivava i pugni che Damian cercava di rifilargli.

    Improvvisamente, Hollow gridò un incantesimo e la terra sotto i loro piedi tremò, le fiamme delle candele si spensero rilasciando un fil di fumo e gocciola do sui fogli sottostanti, le assi ormai marcite parvero piegarsi su loro stesse e spezzarsi in più punti, ricomponendosi per dar vita ad un essere fatto di legno, cera e inchiostro; Damian lo vide prendere forma davanti a lui come argilla nelle mani di quel mago da strapazzo, che indietreggiò ancora di qualche passo tra grezze risate e sguardi spiritati.

    «Sarà il mio Golem ad occuparsi di te, adesso», sentenziò nello sparire tra le ombre come una nuvola di fumo, e Damian imprecò a denti stretti prima di cercare di corrergli incontro, venendo bloccato dalla grossa mano di quel mostro che si schiantò davanti a lui; la evitò per un soffio, ma schizzi di cera bollente gli finirono sul viso e sibilò un po’ dal dolore prima di darsi slancio e balzare di lato, cercando un punto debole nella struttura di quello che strano essere.

    Damian era consapevole di non avere a disposizione tutte le sue armi – e di non indossare soprattutto la sua uniforme rivestita in kevlar, dato che quella di Jon era una normalissima felpa – e di non conoscere un contro-incantesimo per mettere lui stesso fine a tutta quella follia – per quanto di tanto in tanto sguazzasse nella magia, non ne sapeva abbastanza quanto sua madre –, ma era stato addestrato a volgere a proprio favore ogni situazione e a valutare qualunque mossa per poter avere la meglio sul proprio avversario, così prese tempo mentre saltava ovunque come un grillo e sfruttava i punti più nascosti in cui un colosso del genere non avrebbe potuto arrivare; la stanza era piuttosto piccola per uno della sua stazza alto quasi tre metri e, nonostante continuasse a schiantare l’enorme mano su quel che restava del pavimento e tentasse di afferrare Damian con lunghe dita legnose, aveva comunque poco spazio di manovra e l’essere inchiodato in parte al cemento sottostante era per lui un altro punto debole. E fu proprio in quello stesso istante che notò qualcosa, un’apertura vagamente impercettibile quando quel Golem allungò nuovamente la mano per afferrarlo, e Damian ghignò internamente, gonfiando i muscoli di spalle e gambe.

    «Mi senti, mago da strapazzo?!» esclamò nel portarsi una mano alla cintura per correre verso i muri della stanza, cercando di tenersi il più schiacciato possibile ad essi mentre il mostro tentava di ruotare su sé stesso per raggiungerlo. «Tu e i tuoi giochetti…» Damian compì un balzo dritto sulla schiena di quel colosso e piazzò un birdrang esplosivo proprio accanto alla testa, saltando oltre prima che potesse esplodere, «…mi avete decisamente stancato!» sbraitò, rotolando dietro ad un tavolo nel momento esatto in cui quel Golem scoppiò in una pioggia di frammenti e schegge di legno che continuarono a muoversi per un istante prima di piombare a terra inermi.

    Senza perdere ulteriormente tempo, Damian si affrettò a seguire la scia di incenso e sangue che quel mago si era portato dietro – anni e anni a lavorare con Batman avevano affinato maggiormente il suo olfatto – mentre si inoltrata fra i corridoi dell’edificio, con i corridoi che diventavano sempre più stretti e pieni di graffiti; superò un paio di scrivanie riverse sul terreno e schiacciò sotto i piedi vecchi tomi erosi dal fuoco di un incendio scoppiato chissà quanto tempo prima, sentendo quell’odore farsi più forte e disperdersi completamente nell’ambiente circostante quando giunse dinanzi ad un’ampia sala che dava alla porta dell’uscita.

    «Dolcetto o scherzetto, Hollow?» domandò nello scroccare le nocche, e il mago si voltò verso di lui con gli occhi fuori dalle orbite.

    «No… non è possibile! Come diavolo fai ad essere ancora vivo?!» sputacchiò incredulo. «Il mio… il mio Golem avrebbe dovuto--»

    «Presto chango, abracadabra», rimbeccò Damian nel corrergli incontro quando Hollow tentò inutilmente di scappare, colpendolo alla guancia con un gancio destro prima di afferrarlo per il bavero del mantello e chinarsi ad una spanna dal suo viso. «Hai perso».

    Il mago tossì e sputacchiò qualche dente insieme al sangue, conficcando inutilmente le unghie nel palmo della mano di Damian. «Chi… chi ti credi di essere… Superman?!»

    «Oh, certo che no». Damian gli rifilò una testata in pieno viso, sentendo il setto nasale rompersi contro la sua fronte prima di lasciar andare il bavero del mantello e ravvivarsi i capelli all’indietro. «Superboy».

    Un’ora e mezza dopo, consegnato quel criminale alla giustizia e aiutato gli ultimi civili dopo essersi ricongiunti entrambi, la situazione aveva cominciato a tornare alla normalità. Con le decorazioni che si afflosciavano tutte intorno a loro, i vestiti stracciati in più punti e i suoni lontani delle sirene delle ambulanze in arrivo e delle auto della polizia, Jon e Damian si presero un momento per riprendere fiato e scaricare l’adrenalina che avevano accumulato fino a quel momento, ma fu Damian stesso che, scuotendo la testa, alla fine si portò una mano chiusa a pugno alla bocca e soffocò uno sbuffo ilare, sentendo su di sé lo sguardo curioso di Jon.

    «Grazie, J», mormorò alla fine, vedendo Jon inclinare il capo di lato.

    «Mhn? Per cosa?»

    Damian si voltò verso di lui, sollevando lo sguardo per fissarlo negli occhi. «Mi sono davvero divertito», affermò schietto e, per quanto avesse sbattuto le palpebre, alla fine Jon ridacchiò.

    «Anche quando hanno cercato di farci fuori?»

    «Soprattutto quando hanno cercato di farci fuori», precisò Damian nel provocare a Jon un’altra risatina, guardando per un istante la mano dell’amico prima di farsi coraggio e afferrarla. Raramente si lasciava andare a dimostrazioni di “affetto” in pubblico, quindi Jon ne fu piacevolmente sorpreso e sorrise radioso come non mai, stringendo delicatamente quelle dita fra le sue.

    Non era stato esattamente il “dolcetto o scherzetto” che si era aspettato ma, se era riuscito a far divertire Damian, allora avrebbe potuto tranquillamente ritenersi più che soddisfatto.



«Quindi… è finita, eh?»
«Tim? Conner? E voi da dove spuntate fuori?»
«È una storia divertente…»





_Note inconcludenti dell'autrice
Scritta per
l'iniziativa #ifitbleedschallenge indetta dal gruppo Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom
Piccolo mattoncino in cui i giovinotti hanno intorno ai 15 anni e credo di essere uscita un po' fuori tema perché è più che altro una comedy-horror e non una vera e propria storia creepy come richiedeva la challenge (si basava sulla scelta causale di creepypasta e non dovevae necessariamente ricalcare l'evento narrato, andava bene anche una larga ispirazione ad esso. La cosa più importante era che la fic fosse inquadrable nel genere dell'horror/crime/darkfic) però mi sono divertita a scriverla quindi va benissimo così. Ah, già. E' canonico che Jon e Damian si siano travestiti l'uno dall'altro ad Halloween ahah
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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