Nascondino

di Vallentyne
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«Chi conta?» chiese Emma alle due amiche.
Avevano raggiunto lo spiazzo erboso fra gli alberi del bosco dopo una breve camminata allontanandosi dai giochi occupati dai bambini, lì avevano il parco a loro completa disposizione.
Era una domenica pomeriggio di fine ottobre, l’aria era frizzantina. In cielo non si vedeva nemmeno una nuvola. Il prato, ancora verde brillante, era coperto in parte dalle prime foglie cadute dagli alberi intorno, soffici tappeti colorati di ocra e magenta esaltati dalla luce dorata dell’autunno.

«Faccio io!» esclamò Martina alzando una mano. Si avvicinò al grosso tronco di un castagno. «Conto fino a trenta, poi vi vengo a cercare, ok?»
Le amiche annuirono. Martina appoggiò l’avambraccio all’albero, poi posò la fronte. «Bene, comincio! Uno… Due…»
Emma e Greta sgattaiolarono rapide a nascondersi. Oltrepassarono la siepe che separava il prato dal sentiero, corsero a perdifiato per cercare un pertugio.
«Ventinove… Trenta! Arrivo!» si voltò di scatto, temeva di ritrovarsele alle spalle pronte a gridare «Boom!» e a farle prendere un infarto.
Non c’era nessuno. Inspirò profondamente.
Senza spostarsi dalla tana scandagliò con attenzione i confini del prato, scrutando tra gli alberi in attesa di percepire un movimento. Non vide nulla di sospetto. Forse si erano allontanate. Sarebbe dovuta andare a cercarle.
Cominciò a camminare senza fretta, lanciando occhiate a destra e a sinistra. Provò per prima cosa ad avvicinarsi al sentiero che avevano percorso per raggiungere la loro meta, avrebbe controllato tra gli alberi e dietro le rocce. I suoi passi però non erano silenziosi, calpestò qualche rametto e foglie secche che misero in allerta le amiche.
Emma fu la prima a cercare di raggiungere la tana non appena Martina la superò senza accorgersi della sua presenza. Uscì dal suo nascondiglio con circospezione, sentiva l’amica allontanarsi. Era il momento perfetto. A passo svelto, furtiva, percorse il sentiero in senso opposto. Greta la seguiva a breve distanza. Raggiunto il manto erboso cominciarono a correre ridacchiando. Martina le sentì, non era molto lontana, scattò veloce per cercare di superarle ma non ci fu nulla da fare, avevano troppo vantaggio. Prima una e poi l’altra toccarono l’albero. Quando si avvicinò le vide scompisciarsi dalle risate, Emma addirittura si teneva la pancia con le mani. Le fissò con uno sguardo severo.
«Beh? Vi pare il caso?»
Greta la guardò seria. Poi scoppiò in un’altra risata fragorosa. «Sì!»
Intervenne Emma, che sembrava essersi ricomposta «Su, non ti arrabbiare! È un gioco!»
«Appunto!» ribatté Martina indispettita «È un gioco, è fatto per divertirsi, non c’è niente di divertente se fate così…»
«Non te la prendere! Non volevamo esagerare… È che sei proprio una frana a giocare a nascondino, fai rumore!» cercò di spiegare Greta, ma ottenne solo di peggiorare l’umore dell’amica che le rivolse uno sguardo stizzito.
«Bene. Ora conta tu, tocca a te. Mi mostrerai quanto sei brava a fare quella che cerca, io ti mostrerò quanto sono brava a nascondermi.»
Nessuna osò ribattere. Non avrebbero voluto fare innervosire Martina, si scambiarono uno sguardo colpevole.
Alla fine, Greta si voltò dando loro le spalle, avambraccio sul tronco e fronte appoggiata.
«Conto: uno… due…»

Martina non guardò nemmeno con la coda dell’occhio dove stesse andando Emma, non appena Greta aveva cominciato a contare le aveva dato le spalle e si era messa a correre verso il sentiero. L’amica la seguiva poco distante, avrebbe voluto raggiungerla e nascondersi insieme a lei, per farle capire che davvero non avrebbe dovuto arrabbiarsi per una sciocchezza simile. Martina però pareva proprio decisa a mantenere le distanze, non rallentò, mai, anzi ad un certo punto deviò dal sentiero e prese a camminare nel bosco.
Emma sospirò scocciata. Testona, io ci ho provato.
Sentì Greta gridare «Trenta! Arrivo!!!» e si affrettò a infilarsi dietro un cespuglio, silenziosa come un gatto.
Anche Martina la sentì. Strinse i pugni e continuò imperterrita ad allontanarsi, cercando di fare meno rumore possibile ma proseguendo il suo cammino senza una meta precisa. Voleva solo andare via, muoversi per scaricare la tensione e possibilmente non farsi trovare. Voleva che si spaventassero, che diventassero matte a cercarla, così magari la prossima volta ci avrebbero pensato due volte prima di fare le simpaticone. Corrugò la fronte e sollevò lo sguardo cercando di capire dove fosse meglio andare.
Emma tratteneva il respiro mentre cercava di sentire i passi di Greta avvicinarsi. Provò a scrutare oltre i rami e le foglie del sempreverde ma non riusciva a scorgerla. Rimase in attesa, accovacciata.
Greta riusciva a camminare senza fare rumore, era brava davvero. Si muoveva agile e rapida, gettando occhiate qua e là. Percorse lo stesso sentiero che avevano intrapreso le amiche e rifletté pensando a dove si sarebbe nascosta al posto loro. Aggirò una roccia, ma non vide nessuno. Proseguì.
Martina stava percorrendo una strada in salita, cominciava ad avere il fiatone. Sentiva il rumore delle foglie secche sotto le suole delle sue scarpe ma ormai non le importava più, era abbastanza lontana da non poter essere sentita.
Le gambe di Emma cominciavano a formicolare. Dovette alzarsi in piedi, non ce la faceva più. Si sollevò lentamente, gli occhi fissi oltre le foglie. Quando finalmente si ritrovò eretta esalò un sospiro di sollievo e si mosse sul posto, stiracchiandosi in punta di piedi. Non aveva idea di dove fosse Greta, decise di osare. Allungò il collo oltre il cespuglio, guardò a destra e a sinistra e, appurato che la strada fosse libera, si mise in marcia verso la tana, camminando senza fare rumore, per quanto possibile. Non era nemmeno a metà strada che Greta la vide. Si lanciò in una corsa a perdifiato tornando sul sentiero e veloce come una saetta riuscì a superare Emma. Toccò il tronco per prima.
 
«Fregata!!! Ahahah, ti sarebbe piaciuto, eh?» la rimbeccò divertita.
Emma la fissava con il broncio, braccia conserte.
«Uff, va beh, ci ho provato… Sei troppo veloce!»
«Lo so!» rispose compiaciuta «Ma senti, manca Martina… Devo continuare a cercarla…»
Emma sollevò una mano e si mise a sedere a terra.
«Fai pure, io non ho idea di dove si sia cacciata»
Greta la guardava incredula, Emma proseguì.
«Davvero, era ancora arrabbiata. Si è allontanata subito di corsa, non so proprio dove sia. Io ti aspetto qui.»
«E va bene, vado.»
Così dicendo, braccia conserte per il disappunto, Greta riprese la sua ricerca.
 
Tornò sul sentiero, attenta a percepire il minimo rumore che le avrebbe potuto suggerire la presenza di Martina. Percorse la strada che aveva già battuto, controllando dietro a ogni cespuglio e ad ogni anfratto. Camminò fino a raggiungere il parco giochi, ma non c’era nessuna traccia dell’amica, nemmeno lì. Erano rimasti pochi bambini con le madri o con le tate, ormai erano passate le quattro e mezza del pomeriggio e il sole si stava abbassando, sarebbe tramontato in meno di un’ora.
Tornò indietro, trovò Emma che l’aspettava alla tana.
«Niente?»
Greta fece un cenno di diniego.
«Pensavo di ritrovarla qui…»
Sbuffò, seccata.
Decise di cambiare zona, imboccò il sentiero nella direzione opposta. Camminò con passo leggero, scrutando in ogni dove. Rocce, alberi, avvallamenti. Si allontanò di tanto in tanto dalla strada battuta per verificare che Martina non avesse avuto la brillante idea di entrare nel bosco e magari fosse caduta non riuscendo a tornare indietro. Ma poi si disse che no, non era possibile, non poteva essere tanto stupida. Se si fosse fatta male avrebbe gridato per chiedere aiuto, no?
 
Martina finalmente rallentò il passo. Si guardò attorno, non aveva idea di dove fosse. Aveva cambiato direzione in un paio di occasioni. La luce era cambiata, controllò l’orologio da polso. Erano le quattro e quarantacinque. Deglutì preoccupata. Sarebbe dovuta tornare a casa prima delle cinque e mezza, i suoi genitori non volevano che stesse in giro con le amiche quando ormai era buio. Aveva dodici anni. Sollevò lo sguardo, poco avanti gli alberi sembravano diradarsi, là finiva la salita. Pensò che forse potesse essere una buona idea arrivare fin lì, magari sarebbe riuscita a guardare il bosco dall’alto e così avrebbe potuto capire da che parte andare per ritrovare il parco giochi e prendere la strada di casa. Non abitava troppo lontano, una volta uscita da lì se avesse camminato in fretta sarebbe giunta a destinazione in meno di quindici minuti. Poteva farcela, poteva tornare a casa puntuale e non fare arrabbiare suo padre. Un ultimo sforzo.
 
Greta cominciava ad avvertire una leggera inquietudine. Non era possibile che Martina fosse svanita nel nulla, se ancora non era riuscita a scovarla dopo averla cercata per più di un’ora voleva dire che non era lì, e che quindi non stava giocando più. Pensò che forse si fosse arrabbiata davvero e che volesse fargliela pagare. Si scocciò, diede un calcio a un sasso che si trovava sul suo cammino. Tornò di corsa da Emma. La trovò ancora lì, ai piedi del castagno.
«Non c’è. È scomparsa.» le comunicò con un’espressione preoccupata.
«Eh? Che significa?»
«Che non si trova, da nessuna parte.»
«Sarà tornata a casa senza dirci niente.» commentò Emma, pragmatica.
«Dici? Io avevo quasi paura che le fosse successo qualcosa…»
«Ma no! Cosa le deve succedere? Se si fosse fatta male avrebbe urlato…»
«Sì, in effetti l’ho pensato pure io…»
Emma fece spallucce.
«Comincia ad essere tardi, devo andare…»
«Ok. Andiamo.»
Si incamminarono, una di fianco all’altra. Raggiunsero il parco giochi, non c’era più nessuno. Oltrepassarono il cancello.
«Magari passiamo da casa sua? Per sicurezza? Proviamo a citofonare, così gliene diciamo quattro…»
 
Martina era arrivata in cima alla salita. Appoggiò le mani sulle ginocchia mentre cercava di riprendere fiato. Si chiese per un momento che fine avessero fatto le amiche, si domandò se si fossero stancate di cercarla. Le sembrava quasi strano non averle sentite gridare il suo nome. Sbuffò raddrizzando la schiena, si mise le mani sui fianchi.
Si guardò attorno, si trovava su un prato.
Non era molto grande.
Provò a scrutare oltre gli alberi in basso per cercare un punto di riferimento, qualcosa che le potesse permettere di orientarsi e capire da che parte fosse meglio scendere per tornare indietro.
Il sole ormai era tramontato ed era il crepuscolo, presto sarebbe stato buio. Si incamminò lungo il perimetro dello spiazzo erboso.
Fu allora che lo vide.
Era una specie di rifugio di fortuna, le pareti erano costituite di assi di legno inchiodate insieme e dipinte di verde. Non aveva finestre, il tetto era ricoperto di foglie. Quasi si mimetizzava con il bosco circostante. Si chiese se fosse il capanno degli attrezzi degli operai della città che si occupavano della manutenzione del verde, ma non vedeva cartelli a segnalare la proprietà.
Si avvicinò, incuriosita. Era più forte di lei.
C’era una porta, anch’essa di legno e dipinta di verde.
Ci appoggiò la mano destra e la sospinse.
La porta si aprì, permettendole di sbirciare all’interno.
Era strano.
Aggrottò le sopracciglia.
Vide un tavolo appoggiato alla parete.
Sopra il tavolo erano appoggiate alcune bambole, erano tutte vestite con abiti di tulle e avevano capelli vaporosi.
C’erano anche una spazzola, uno specchio e quelli che sembravano dei nastri e degli elastici.
E qualcosa che brillava.
Fece un passo verso l’interno.
Erano collane, braccialetti e anelli. E una coroncina, tutta tempestata di brillanti.
Rimase a bocca aperta, meravigliata.
Sembrava un tesoro.
Provò un fortissimo desiderio di curiosare più da vicino.
Ma cosa ci faceva tutta quella roba in un capanno nel bosco?
Si disse che non poteva essere degli operai che si occupavano della manutenzione.
Ignorò il vago senso di pericolo che le stava salendo alla gola e fece un altro passo togliendo la mano dalla porta, che si chiuse lentamente alle sue spalle, cigolando.
Prima di piombare nell’oscurità si voltò verso destra.
E aggrottò le sopracciglia, confusa.
C’erano degli stracci sporchi per terra.
E vide una catena, attaccata alla parete. E fascette di plastica, come quelle che aveva visto usare all’elettricista che aveva recentemente fatto dei lavori a casa sua, nastro isolante e un paio di grosse forbici di metallo.
Era sbagliato.
Il suo cuore perse un battito.
Si voltò, spinse la porta verso l’esterno.
Lì dentro ora era buio pesto.
Non si apriva.
Cercò di afferrarla e tirarla verso di sé, ci riuscì.
Fece due passi, era fuori.
Udì un fruscio alle sue spalle, e poi la voce di un uomo.
«Ciao, bella bambina… Cosa ci fai tutta sola da queste parti?»
Un brivido gelido le corse giù per la schiena.
Cominciò a correre, veloce come non aveva mai corso. Non sapeva dove stava andando ma non si sarebbe fermata. Raggiunse in fretta il bosco, si buttò tra gli alberi. Ci vedeva poco e male, ormai il cielo si era scurito. Sentiva il cuore in gola e le lacrime agli occhi. Non poteva piangere, non doveva assolutamente piangere, o non sarebbe riuscita a correre abbastanza veloce. Scendeva giù per la discesa, un piede dopo l’altro, ad ampie falcate. Sentiva il suo respiro affannoso e disperato.
Inciampò in una radice, cadde e fece una capriola. Urlò spaventata ma con un balzo si rimise in piedi e ricominciò a correre. Ancora e ancora. Le faceva male il ginocchio, sentiva i palmi delle mani bruciare. Forse stava sanguinando. Correva a perdifiato, evitò un avvallamento nel terreno, saltò una roccia. Dei rami le graffiarono il viso, non le importava, non le importava di niente, voleva soltanto arrivare a casa, sentirsi al sicuro, rinchiudere il mostro fuori. Le scappò un gemito disperato. Sentiva il terrore crescere dentro di sé.
Raggiunse il sentiero, lo riconobbe subito.
Esalò un sospiro tra i denti, forse si sarebbe salvata, il destino aveva avuto pietà di lei. Si fece coraggio, continuò con rinnovata determinazione la sua corsa. Fece attenzione a non scivolare, in alcuni punti la ghiaia rendeva insidiosa la strada. Vide di fronte a sé parco giochi, poco distante. Lì c’erano alcuni lampioni, la luce illuminava un piccolo gruppo di persone.
Scoppiò a piangere per il sollievo.
Erano mamma e papà, con Emma e Greta.
Erano tornate indietro per cercarla.




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