Capitolo II
Il
fatto che
lei e Sango fossero sedute all’izakaya
a due passi dal tempio non era di per sé strano. Ogni
venerdì sera dopo il
lavoro, si ritrovavano puntuali a sedere l’una di fronte
all’altra con diverse
bottiglie di birra tra loro e i migliori takoyaki
della zona est di Tokyo, pronte al resoconto della settimana. La cosa
strana
però era che quello era un mercoledì sera e ad
appena metà settimana Sango le
aveva proposto di incontrarsi con una certa urgenza.
Cosa ancora più strana, l’amica
continuava a
versarle sakè e birra con la reverenza con cui li avrebbe
versati ad un suo
superiore, incoraggiandola a bere e mangiare a volontà
perché al conto ci
avrebbe pensato lei.
Qualcosa
non andava.
“Sputa
il rospo.” All’ennesimo tentativo di Sango di
versarle altro sakè, poggiò la mano sul
bicchiere, impedendoglielo.
“Cosa?”
l’amica distolse lo sguardo e con una
risatina isterica si versò uno shot e buttò
giù tutto d’un fiato. “Non posso
offrire una serata alcolica alla mia amica? Da quello che mi hai detto
la tua
settimana non sta andando nei migliori dei modi, voglio risollevarti il
morale!”
“Certo
che puoi. Ma sembra che tu stia cercando in
tutti i modi di farmi ubriacare! E una sbornia è
l’ultima delle cose di cui ho
bisogno al momento, se dovessi arrivare tardi al lavoro o dovessi
rendere poco,
mi giocherei il posto.” Si prese la testa tra le mani e un
lamento le salì
dalla gola. Sentiva già l’alcol fare effetto,
afferrò un takoyaki e lo
ingurgitò sperando che assorbisse un po’ di quel
mix velenoso che Sango le
aveva versato. “Forza, Sango. L’ultima volta che ci
hai provato mi hai
costretta ad anda-…” la voce le morì in
gola quando l’amica giunse le mani e
chinò la testa come per pregarla.
“Ah,
non posso crederci!” Bingo. Quella serata
puzzava come natto lasciato
fermentare al sole per settimane. Il suo istinto non sbagliava mai.
“Una
trappola, ecco cos’è!”
“Ti
prego, solo stavolta.” Sango le afferrò le mani,
cercando di farla ragionare.
“È
la stessa cosa che mi hai detto l’altra volta.”
Si liberò dalla presa dell’amica e
incrociò le braccia al petto, sperando che
quella discussione non sfociasse nel ridicolo.
“Sono
andata agli ultimi tre ma se dovessi
sopportarne un quarto mi sparerei!” la voce
dell’amica esplose a
quell’affermazione e i ragazzi dei tavoli accanto si
voltarono a guardarla
spaventati.
Kagome
si scusò imbarazzata con un sorriso tirato
sulle labbra, piegando lievemente la testa. “Non essere
ridicola, andare ad
appuntamenti con uomini facoltosi non mi sembra così male.
Meglio di questa digiuno
forzato a cui sono sottoposta io.” Si passò una
mano tra i capelli e pensò a
quanto tempo fosse passato dal suo ultimo appuntamento. Davvero
troppo. Ma tra il lavoro che la tormentava anche di notte,
il mandare avanti il tempio nei weekend e cercare di far quadrare i
conti a fin
mese, non le rimaneva molto tempo da dedicare alla vita sociale,
figurarsi a
quella amorosa. Prese la bottiglia al centro del tavolo e, soppesatone
il
contenuto, se la portò alle labbra e la scolò
fino all’ultima goccia.
“Allora
perché non ci vai tu,eh?” Sango batté
una
mano sul tavolo e le bottiglie tintinnarono allegre.
“Perché
quegli uomini vogliono conoscere Sango Taijiya,
erede del Taijiya Group, non Kagome Higurashi, dipendente sottopagata,
miko
part-time al tempio.” Perché dirlo ad alta voce le
faceva così male? “Potresti
perdere l’occasione di conoscere l’uomo della tua
vita!”
“Come
no. Quei
pomposi palloni gonfiati sono davvero uno spasso quando parlano dei
loro studi
all’estero o dei loro progetti per me una volta sposati. Mio
padre non si
arrende al fatto che io non sia interessata al matrimonio o quantomeno
non a
uno dei matrimoni che vuole organizzarmi lui. Se, ed è un
grande se, un immenso se, deciderò di sposarmi
sarà perché lo vorrò io e non
perché
qualcuno mi ci costringe.” Sango avrebbe potuto fare
concorrenza ad uno shinkansen, le
parole le fluivano dalla
bocca come un treno in corsa, avrebbe potuto arringare
un’intera folla con il
suo fervore, ma Kagome sapeva che quella stessa sicurezza svaniva
quando Sango
cercava di parlarne col padre.
L’amica
si lasciò cadere contro lo schienale della
sedia, come se pronunciare tutte quelle parole l’avesse
svuotata, e reclinò la
testa all’indietro con un sonoro sbuffo. Kagome si
congratulò con se stessa,
dandosi un’immaginaria pacca sulla spalla perché
almeno quella volta aveva vinto
lei. Però
Sango sembrava non aver
finito, perché si raddrizzò e con un sorriso
cospiratorio sparò il suo ultimo
colpo.
“Ti
pagherò, qual è il vantaggio di avere
un’amica
ricca se non può aiutarti?”chiese retorica.
“Vantarti
del fatto che tu sia schifosamente ricca
non ti aiuterà di certo.” Le disse con una nota di
veleno.
“Andiamo,
Kagome-chan. Un appuntamento al buio è il
prezzo per risolvere tutti i tuoi problemi.” Un baluginio
pericoloso le
brillava negli occhi. “Economici e di cuore. Due al prezzo di
uno.” Tirò fuori
dalla borsa il libretto degli assegni e una penna.
Sapeva
che aiutare Sango era una pazzia e che la
cosa non sarebbe andata a finire bene, per entrambe. Ma
l’amica continuava a
farle penzolare davanti un’esca fatta di birra e biglietti da
cento e forse se
la sua vita avesse fatto meno schifo in quel momento avrebbe di certo
detto no.
Ma il tempio era sull’orlo della bancarotta e aprire le
bollette alla fine di
ogni mese era più spaventoso che buttarsi nel fuoco.
“Facciamo
finta per un momento che io accetti, cosa
dovrei fare perché un tizio provi avversione verso di
me…di te, intendo.”
sbuffò frustrata, “Vedi, anche dirlo ad alta voce
mi fa sembrare stupida.”
Buttò giù l’ultimo sorso di birra e
afferrò l’ultimo takoyaki. “È
da pazzi, e lo
sai.”
Sango
alzò una mano e fece un cenno verso la
cameriera che le aveva servite all’inizio e ordinò
ancora birra e takoyaki. La
serata non accennava a voler finire. L’amica non avrebbe
mollato la presa
finché non l’avesse avuta vinta.
“Puoi
sempre fare quella cosa.” Le dita della mano
destra le svolazzarono davanti al volto.
“Quale
cosa?” Kagome cominciava a spazientirsi e
l’alcol non la stava aiutando. Da quel momento in poi la
serata avrebbe potuto
avere due possibili esiti: lei sbronza che piangeva piegata sulla scale
di casa
o lei che inveiva contro Sango per averle rubato ore di sonno con le
sue idee
assurde.
“L’esorcismo,
fai buon uso degli ofuda che tuo
nonno ti costringe a
tenere in borsa.” Propose come se fosse la cosa
più normale del mondo.
“Sango,”
prese un respiro profondo e cercò di non
urlarle in faccia, “non posso andare in giro ad appiccicare ofuda su gente a caso solo
perché tu non
riesci a schiarirti le idee e dire a tuo padre che sei stanca di questi
appuntamenti che ti combina.”
Il
silenzio scese tra loro come una cortina di ferro
mentre la cameriera poggiava sul tavolo il loro ordine e portava via le
bottiglie vuote. Forse aveva esagerato.
Sango
fece scivolare la sedia all’indietro,
producendo un rumore stridulo, e si alzò. La paura che forse
le sue parole
l’avessero offesa le strinse lo stomaco.
“Sango-chan, io…”
Si
zittì quando l’amica si inginocchiò al
suo fianco
e si portò le mani giunte alla fronte. “Ti prego,
Kagome. Aiuta una sorella in
difficoltà. Ti giuro che se fai questo per me
un’ultima volta parlerò con mio
padre e non ti chiederò mai più di
farlo.” Prese fiato e con un ultimo affondo
disse “Lo giuro sulla memoria di mia madre.”
Colpo
bassissimo da parte sua tirare in ballo la
madre. Kagome non aveva scampo.
“Cosa
fai? Alzati, la gente ci sta fissando e amo
troppo questo posto per farmi bandire a vita.”
Cercò di staccare le mani unite
di Sango, ma l’amica non voleva saperne.
“Di’
che mi aiuterai.”
“Sì…
sei una pessima amica, ti approfitti dei miei
problemi per…”
“Promettimelo.”
“Te
lo prometto.”
“Che
uno yourei
possa possederti l’anima se ti rimangi la parola.”
“Sango.”
L’ammonì. La sua pazienza era arrivata al limite.
“Va
bene. D’accordo.” L’amica
tornò al suo posto e
cominciò a scrivere sull’assegno.
“I
miei servigi sono costosi, Taijiya-san.” Scherzò,
versando da bere ad entrambe. “Chi è il fortunato
stavolta? Shibari Inc?
Kinomoto Corp?”
“Non
ne ho la più pallida idea.” Firmò
l’assegno con
uno svolazzante movimento della mano e glielo passò.
Quando
gli occhi si posarono sulla cifra le si
spalancarono per la sorpresa. Con quella cifra avrebbe potuto dormire
tranquilla per almeno un paio di mesi. “Forse sono un
po’ troppi.”
“Sciocchezze.
Consideralo un investimento.” Le
sorrise facendo cozzare i loro bicchieri in un sonoro chin-chin.
“La
mia pace mentale non ha prezzo.”
“A
questo accordo, allora. Che sia proficuo per
entrambe.”
Bevvero
insieme e si versarono le poche gocce
rimaste nel bicchiere dietro le spalle, in un rito quasi propiziatorio.
“Quand’è
che si va in scena?”
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
“Il
segretario di tuo padre ha appena inviato un
altro messaggio.” Miroku entrò senza bussare, la
testa piegata sul tablet che
teneva tra le mani.
“Cosa
vuole ancora? Non si è ancora stancato di
tormentarmi con assurde richieste?” Inuyasha
sollevò lo sguardo sul nuovo
entrato, ma le sue mani continuarono a picchiettare sulla tastiera del
portatile: i resoconti di fine trimestre non si compilavano da soli.
“No,
a quanto pare. Il messaggio dice: Shikon Plaza,
domani sera alle 19, Sango Taijiya del Taijiya Group.”
Rilesse quelle poche e
spicce righe, poi sorrise sornione. “Mmh, potrebbe essere
divertente, ho
sentito che ha cercato di purificare uno dei suoi pretendenti con degli
ofuda, ma ci pensi!”
“Keh.”
Disse seccato. “Pensavo che il vecchio ne
avesse avuto abbastanza dopo l’ultima.”
Staccò le mani dal pc e inclinò la
testa prima da un lato e poi dall’altro, sciogliendo la
tensione che gli si era
accumulata nel collo e nelle spalle. Da quando suo padre lo aveva
costretto ad
andare a quegli appuntamenti la poca scorta di pazienza che aveva messo
da
parte durante gli anni si era esaurita, prosciugata fino
all’ultima goccia. E
in assenza di una buona dose di pazienza ad oliare e tenere saldi i
suoi nervi,
la sua indole ruvida e scorbutica aveva cominciato a venir fuori sempre
più
spesso, intimorendo tutti quelli che gli stavano attorno.
L’unico che ancora lo
sopportava era Miroku, che aveva anni di esperienza alle spalle
riguardo al suo
temperamento turbolento, ma era sicuro che a quel punto più
della metà dei
dipendenti del settore marketing lo odiasse. Negli ultimi giorni aveva
cercato
di mantenere la calma e reprimere l’istinto di urlare al
mondo intero di quanto
quella lotta impari con suo padre lo stesse sfiancando, ma arginare la
sua
rabbia si ripercuoteva sul suo corpo, contratto e fiaccato. Era stanco
e a suo
padre non sembrava importare molto della sua salute mentale.
“È
davvero
cocciuto, bisogna dargliene atto.” Miroku gli sorrideva
dall’altro lato della
scrivania.
L’amico/confidente/segretario/fratello
non di sangue
che la sorte gli aveva affidato capiva il suo malessere ma non poteva
fare a
meno di essere divertito da quella situazione. Vederlo annaspare
all’attenzione
di donne poco interessate a lui quanto al suo patrimonio, guardarlo
lottare dal
vivo con la voglia di liberarsi da ogni costrizione sociale e di dare
libero
sfogo alla sua lingua sfacciata e tagliente, era diventato il suo
passatempo
preferito a quanto pareva. Sapeva che Miroku non poteva salvarlo da
quella
situazione, c’era ben poco che potesse fare, e quindi non
gliene faceva una
colpa.
“Crede
che io abbia tempo per queste stronzate?
Prima mi lascia qui, trascinandomi via da LA, poi mi mette a capo del
fottutissimo marketing quando sa benissimo quanto io sia pessimo. E
ora, dal
nulla, proprio quando sto per chiudere l’accordo con gli
Ookami, cosa mi chiede?
Di sposarmi?” Ormai era un disco rotto, quella domanda era
stata ripetuta
un’infinità di volte nelle ultime due settimane ma
non c’era mai stata una
risposta.
“Tornare
a casa ogni sera da una dolce mogliettina
non mi sembra così male.” Le sopracciglia
dell’amico si mossero su e giù in un
inquietante balletto. “Pensa a tutti i benefit che ne
deriverebbero.”
“Questa
è bella.” Chiuse con uno scatto il portatile
e rise divertito. “Sentir parlare di matrimonio un pervertito
come te mi fa
accapponare la pelle. Qual è il conteggio della settimana?
Tre? Quattro?”
“Sei
ingiusto. Mi tieni chiuso qui fino a notte, una
volta fuori dovrò pur trovare un modo per scaricare la
tensione. E poi se dovessi mai
trovare quella giusta,
potrei cominciare a pensare alla monogamia.”
“Sarà
dura. Per come la vedo, è molto difficile che
tu trovi qualcuno da sposare che ami davvero, perché la cosa
che ami di più è
te stesso.”
“No,
c’è una cosa che amo molto di
più.” Non c’era
nessuna ambiguità nel suo tono, nessuno avrebbe potuto
fraintendere a cosa si
riferisse. Non era un segreto che a Miroku piacessero le donne, e
molto.
L’unica regola che gli aveva imposto era di non creare casini
sul lavoro,
tenersi lontano dalle dipendenti per evitare spiacevoli incidenti.
“Fuori di
qui.” Gli lanciò una penna, cercando di reprimere
la risata che gli risaliva
dal petto. I bilanci e i resoconti dimenticati per qualche minuto.
“Io
almeno non mi censuro, non nego i miei bisogni.
Da quant’è che non ti diverti un
po’?” Miroku si alzò per versarsi da
bere al
mobile bar nell’angolo: era lui che lo svuotava e lo
riforniva quando ce n’era
bisogno. Si preparò uno scotch e soda con mani esperte e gli
allungò il
bicchiere, per offrirglielo.
“Lascio
a te questo onore.” Inuyasha scossa il capo,
rifiutando. Aveva lo stomaco sottosopra per il nervoso,
l’alcol non avrebbe
aiutato.
L’amico
si riaccomodò all’altro lato della
scrivania, si allentò la cravatta e bevve un sorso dal
bicchiere. “Sai…le suite
dello Shikon sono molto confortevoli.”
“Ascolta,
Miroku. Non so con quali donne tu abbia a
che fare, ma dubito che una delle donne su quella maledetta lista
sarebbe
disposta a passare la notte con me al primo appuntamento.”
Miroku
aprì la bocca per controbattere ma lo zittì
alzando una mano. “Non ti ci mettere anche tu, le pressioni
di mio padre
bastano e avanzano.” Riaprì scocciato il
portatile, lo sguardo che si spostava
veloce sullo schermo alla ricerca di qualcosa. “Come se non
bastasse sembra che
Shippo abbia fatto un disastro a Seul e ora Sesshomaru vuole la mia
testa.
Davvero credi abbia tempo per tutto questo?”
“È
così difficile avere a che fare con te.”
“Mi
adori e lo sai. E poi ti pago, profumatamente
aggiungerei.”
“Mi
dai troppo per scontato, uno di questi giorni
potrei abbandonarti!” lo prese in giro con una voce acuta e
femminile.
“Conferma che
ci sarò all’appuntamento.” Gli disse
serio, tornando a concentrarsi sul lavoro
che aveva da fare.
Quello
era il segnale che metteva fine alla
ricreazione. Miroku sarebbe di sicuro tornato dopo mezz’ora
con qualche scusa
per tirarlo via da quel dannatissimo computer e lui glielo avrebbe
permesso perché
l’amico era l’unico che ultimamente riuscisse a
tenerlo sano di mente.
“Spero solo
sia l’ultimo.” Mormorò tra
sé, mentre Miroku
usciva e lo lasciava ancora una volta da solo ad annegare nei suoi
pensieri.
Glossario:
Izakaya- tipico
locale giapponese in cui si servono bevande accompagnate da cibo (tipo
un pub)
Takoyaki-polpette
fritte giapponesi di forma sferica, a base di polpo impastellato
Natto- alimento
tradizionale giapponese prodotto attraverso la fermentazione dei
fagioli di
soia, dal sapore/odore molto forte
Shinkansen-
“treno proiettile”, treni ad alta
velocità
Ofuda-talismani
distribuiti dai templi shintoisti, sono realizzati scrivendo il nome di
un kami
su un pezzo di carta
Yourei-fantasmi
della
tradizione giapponese
Nda: ciao a tutti!
Mi scuso per il
ritardo ma ho avuto problemi con la connessione. Ho pubblicato di
fretta e
furia prima che mi abbandonasse di nuovo, quindi potrebbero esserci
degli
errori. Tornerò a rileggere tutto e correggere nel caso ne
trovassi :)
Grazie a chi ha
recensito e ai lettori silenziosi che hanno aggiunto la storia tra le
seguite/preferite. Spero di leggervi al prossimo capitolo!
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