Capitolo 6
Quattro donne
in elegante abito da sera ad occupare la sala di attesa di una stazione
di
polizia, nel pieno della notte, era uno spettacolo quanto mai curioso,
capace
di attirare ben più di uno sguardo. Tuttavia, bastava
guardare il trucco
disfatto e il viso disperato di una di loro per comprendere che, in
quella
scena, non ci fosse niente di divertente.
A nulla era valsa la corsa a sirene spiegate verso casa e l'aver
chiamato un gran
numero di rinforzi: la porta era spalancata e, nel vedere il corpo di
Gerta
riverso sul pavimento, il loro cuore aveva fatto una capriola di
più nel petto, di Freja nemmeno l'ombra. L’avevano
presa
per davvero.
Elsa non aveva abbandonato le spalle della sorella neanche per un
attimo,
da quando Kristoff – assieme a Jack - era sparito
all’interno dell’ufficio del
capo della polizia, richiamato al suo posto con urgenza.
Il suo cellulare vibrò e istintivamente si
irrigidì ma, questa volta, la chiamata
era diretta al suo numero personale: l’ospedale. Si
staccò appena per
rispondere e, quando tornò da lei, Anna alzò lo
sguardo distrutto nella sua
direzione con una muta domanda sulle labbra.
«Gerta si è ripresa:» le
spiegò «è ancora intontita e non
ricorda bene cosa sia
successo, la terranno in osservazione ancora qualche giorno.»
Proprio in quel momento anche i due detective tornarono da loro.
Entrambi
avevano il volto tirato ma su quello di Kristoff si poteva leggere la
solita
cupa paura della moglie, con l'aggiunta di una cosa:
rabbia.
«Mi hanno sospeso dal caso!» quasi
ringhiò.
Anna si alzò in piedi «Cosa e
perché?»
Kristoff strinse i pugni «Sono troppo
coinvolto…»
«Certo che sei troppo coinvolto!» sbottò
l’altra di rimando «È tua figlia quella
che hanno rapito! Nostra figlia! Non possono impedirti di
cercarla.»
«È quello che ho detto al signor Bunnymund,
infatti.»
Jack, al suo, fianco sospirò «Prenderlo per il
collo non è stata una grande mossa…»
L’altro lo guardò truce «Che cosa avrei
dovuto fare? Sembrava quasi contento
che abbiano rapito mia figlia perché, così, hanno
commesso un passo
falso!»
«Il signor Bunnymund non è mai contento e, di
sicuro, non ha tatto ma così
facendo gli hai dato prova di non essere affidabile, di non saper
tenere a bada
le emozioni.»
«Ti assicuro che se qualcuno di questi Fearling
torcerà anche solo un
capello a mia figlia, le mie emozioni saranno l'ultimo problema di
chiunque!»
«Questo lo comprendo perfettamente.» concesse
Jackson con
un sorriso
spento «Per questo farò del mio meglio per
trovarla al
posto tuo e non avrò
pace finché non ve la riporterò sana e
salva.»
Prese fiato, poi, continuò: gli occhi accesi dalla
determinazione «Elsa,»
chiamò «ospitali a casa tua per un paio di giorni,
penso
sia la cosa migliore.»
Lei annuì, rafforzando la stretta sulle spalle della sorella.
«Anche tu dovresti prenderti una pausa, stiamo pur sempre
parlando di tua
nipote.»
«Stai tagliando fuori anche me, per caso?»
ribatté dura, presa in contropiede.
«No, ti sto dicendo di stare vicina alla tua famiglia
perché ne ha bisogno. Se
avrò necessità di un aiuto dal tuo dipartimento,
ci sarà Jane a fornirmelo.
Giusto?»
«Assolutamente sì!» rispose quella
«Tutto quello che ti serve.»
«Vedi?» le spiegò «Inoltre so
dove trovare te, se necessario.»
«Come ti muoverai?»
«Un passo alla volta:» le andò vicino
«dammi il tuo telefono, per favore.»
«Perché?»
«È l’unico punto di partenza che
abbiamo: Kristoff anche il tuo, non importa
che sia rotto. Potete prendere le vostre schede personali ma, per il
momento,
quelle di servizio le terremo noi, così come i cellulari.
È lì che vi hanno
chiamato ed è da lì che partiremo.»
Sospirò «Credo possiate andare a casa
adesso, cercate di riposare un po’. Tu no,
principessa...» richiamò all’ordine la
più giovane del gruppo «Abbiamo del lavoro da
fare.»
«D’accordo!» si rese subito disponibile
lei, recuperando i dispositivi dalle
loro mani «Ti aspetto nel mio ufficio. Non
preoccuparti Kristoff, se c’è
una minima traccia la scopriremo.»
Lui annuì e la salutò con un cenno del capo.
Anche Anna si alzò ma, anziché
dirigersi verso la porta, andò verso Jack e, quando gli fu
abbastanza vicina,
alzò il suo sguardo arrossato su di lui «Riportala
a casa.»
«Te lo prometto.»
Lei tirò su col naso «Andiamo?»
esortò il marito. Prima che Kristoff potesse
muoversi, però, Jack gli posò una mano su una
spalla e lo attirò a sé,
sussurrandogli qualcosa in un orecchio. Poi, distese il braccio e gli
fece un
cenno di coraggio col capo.
Per la prima volta in quella nottata da incubo, le labbra del detective
Bjorgman si tirarono in un flebile sorriso «Grazie.»
§
Jackson
raggiunse Rapunzel con due tazze di caffè fumanti
«Tieni principessa, ne avremo
bisogno.»
Lei, già all’opera, soffiò un rapido grazie
senza neanche staccare gli
occhi dallo schermo.
Si sedette sulla seggiola al suo fianco e ne seguì
l’esempio di mettersi
comodo: si liberò del papillon, sbottonò
l’asfissiante ultimo bottone del collo
della camicia e si liberò della giacca.
Punzie sistemò appena la felpa rosa che si era buttata a
coprire le spalle e
tamburellò i piedi nudi sul legno del soppalco, le scarpe
col tacco finalmente
abbandonate con grande sollievo «Ti avviso subito:»
gli disse «dubito
riusciremo a risalire a chi ha chiamato tramite il numero di
telefono.»
«Quindi in mano non abbiamo nulla?»
«Oh no, qualcosa abbiamo!» digitò rapida
una combinazione di tasti e una voce
uscì dalle casse del suo computer.
Jackson sgranò gli occhi «Ma questo
è…»
«La conversazione fra Kristoff e i rapitori,
sì!»
«Ma com’è possibile?»
«Immagino non leggiate mai i termini e le condizioni
dell’utilizzo del
materiale di servizio, non è vero?»
L’espressione del detective fu abbastanza eloquente da
fornirle una risposta
anche senza bisogno di parole.
«Un classico…» commentò con
una breve risatina «Anni fa, ben prima che
cominciassi a lavorare qui, il nostro dipartimento seguì un
caso in cui era
coinvolta un’importante famiglia malavitosa. Molte delle
persone coinvolte cominciarono ad essere contattate,
minacciate, ricattate. Da allora, tutte
le chiamate sospette vengono registrate in modo da poter essere
consultate
all'occorrenza. E' stata una fortuna che abbiano chiamato su questo
numero. Purtroppo non abbiamo quella di Elsa, in quanto il dipartimento
di
medicina legale non fa parte del nostro ma, essendo stata una chiamata
in
contemporanea, la parte che ci interessa è esattamente la
stessa.»
Jackson ci pensò un po’ su «Ma
perché hanno chiamato proprio sul numero di
servizio?»
«Perché volevano colpirli nelle cariche che
ricoprono?»
«Possibile…» concesse «ma
perché anche Elsa?»
Rapunzel lo guardò, non capendo «Queste domande
retoriche ci aiuteranno come?»
«Giuri che non ripeterai quello che sto per dire?»
«O-ok» promise, perplessa.
«Non credo neanche io che lo stia per fare, per molteplici
ragioni, ma il
signor Bunnymund ha ragione.» affermò risoluto
«Rapire Freja è stata una mossa
avventata, come se avessero avuto paura. Noi siamo convinti di non
avere nulla
in mano ma se sbagliassimo? Sia noi che Elsa dobbiamo aver trovato
qualcosa,
altrimenti perché esporsi a questo modo? Fai andare di nuovo
la registrazione,
per favore.»
Lei obbedì.
Jack sospirò frustrato «Con i rumori della festa
in sottofondo è impossibile
risalire a qualche informazione sul luogo della chiamata.»
«Quei rumori si possono facilmente isolare ma, con un raggio
di ricerca
pressoché infinito, non credo che qualche semplice rumore
possa esserci di
grande aiuto.»
«Smettila di tenermi sulle spine e dimmi che cosa
abbiamo!»
Rapunzel sorrise «Questa voce è contraffatta in
maniera digitale, no? Con un
bel po’ di lavoro e un discreto numero di ore di sonno perse,
dovrei riuscire a
risalire a quella originale.»
Jack quasi si ribaltò dalla sedia «Davvero puoi
farlo?»
«Sono quasi certa di sì.»
«Principessa togli quel quasi e ti sarò
riconoscente a vita!»
«A proposito di riconoscenza: visto che non potrò
muovermi da qui per un po’,
potresti andare a questo indirizzo, per favore? La mia coinquilina ti
darà un
cambio. Ah, anche del cibo sarebbe gradito, grazie.»
Le labbra di Jackson si tirarono in un sorriso mentre si alzava
«Come desidera!»
le disse con un profondo inchino «Avvisami in caso di
aggiornamenti.»
Elsa
socchiuse molto lentamente la porta della camera da letto alle sue
spalle e
tornò verso il salotto, dove il cognato era seduto.
A differenza di Anna, che aveva potuto usufruire di un morbido pigiama
della
sorella, Kristoff portava ancora i pantaloni e la camicia dello smoking
di
quella disastrosa serata.
«Si è addormentata?» le chiese, quando
gli fu abbastanza vicino.
Annuì «Il calmante ha fatto
effetto…»
«Era esausta.»
«Così come lo sei tu.»
Kristoff alzò gli occhi su di lei
«Perché, tu no?»
Trovarono chissà dove la forza di sorridere entrambi
«Che ti ha detto Jack
prima di andare via?» chiese curiosa.
«Te ne sei accorta, eh?» le disse, guardandola di
sottecchi «Mi ha detto che mi
terrà aggiornato.»
Tipico suo, quello di andare contro alle regole pur
di aiutare qualcuno
a cui teneva.
«Stai sorridendo, per caso?»
Bastarono quelle parole per farle sparire la curvatura delle labbra
«Tu hai
bisogno di riposare.»
Kristoff sbuffò appena per la sua testardaggine
«Mi sdraierò qui,
tanto non credo proprio sarò in grado di chiudere
occhio…»
«Dovresti prenderlo anche tu quel calmante e andare da Anna:
non esiste che tu
rimanga qui sul divano!»
«Ma è il tuo letto!»
«Letto dove c’è tua moglie: avete
bisogno l’una dell’altro, ora più che
mai.»
Lui cedette «Grazie, Elsa, cerca di riposare anche
tu.»
«Ci proverò. Kristoff?»
«Sì?»
«Abbi fiducia in Jack, non mollerà
finché non la troverà.»
Lui sbuffò appena «Sto morendo di paura, sapendo
con chi abbiamo a che fare ma
di Jack non ho dubitato nemmeno un secondo. Lo so, non si perdonerebbe
mai se dovesse
succederle qualcosa.»
§
Jack fu di
parola: a mezzogiorno in punto si presentò all'appartamento
con un pranzo da
asporto per tutti, Anna dormiva ancora.
Dopo aver aggiornato Kristoff sulla pista che stavano seguendo al
momento e
prima di congedarsi, inaspettatamente, aveva chiesto ad Elsa un favore.
«Grazie per essere venuta.» le disse, mentre
entravano nell’ospedale «Sono
certo che Gerta sarà più tranquilla nel vedere un
viso conosciuto.»
Elsa inarcò un sopracciglio «Ma lei ti conosce,
lavora per la mia famiglia da
sempre!»
«Beh, sono un bel po’ di anni che non mi vede, non
credi?»
Salirono al piano con l’ascensore, fuori dalla porta della
camera c'era già il
medico ad aspettarli «Per favore, fate che sia una cosa
rapida: la signora è
molto scossa, agitarsi non le fa bene. Sono certo capirete.»
Lei annuì «Certo, dottore.»
«Prego, entrate: tornerò fra dieci
minuti.»
«Grazie.»
«Signorina Elsa!» la riconobbe subito la donna, era
coricata sul letto ma
sveglia «Che piacere vederla! La signorina Anna come sta? Le
dica, per favore,
che mi dispiace, mi dispiace di non aver saputo proteggere
Freja!» le disse, la
voce subito rotta dai singhiozzi e gli occhi pieni di lacrime.
Elsa le fu
subito al fianco, prendendole una mano nelle sue «Gerta, non
faccia così: non è
stata colpa sua!»
«Sì, invece, io quella porta non la dovevo
aprire!»
«Dubito molto si sarebbero fermati di fronte ad una porta
chiusa, signora.» intervenne
a quel punto Jackson.
La donna spalancò gli occhi arrossati «Jackson
Overland! E' tornato!
Quanto tempo è passato?»
Lui sorrise «Un bel po’, temo…»
Gerta tirò appena su col naso «Lo sguardo
è sempre lo stesso.» l’affetto per
quei tempi si lesse limpido nei suoi occhi scuri: giorni in cui Elsa ed
Anna
erano ancora ragazze spensierate e i signori Bleket ancora vivi. Poi
guardò
Elsa e fu folgorata da un’illuminazione «Ma voi
siete tornati…»
«No, Gerta:» anticipò entrambe Jackson
«siamo solo colleghi. Sono un
poliziotto, il compagno di squadra del marito di Anna»
«Il signor Kristoff…» si
rabbuiò «Anche lui sarà molto deluso da
me…»
«Non dica sciocchezze…» cercò
di rincuorarla Elsa.
«Non poteva fare nulla quella sera…» le
spiegò Jack «ma può aiutarci adesso,
cosa ricorda?»
«Non molto, purtroppo: avevo appena messo Freja a letto ed
ero scesa a
risistemare i giochi che avevamo lasciato in salotto, quando il
campanello ha
cominciato a suonare all’impazzata. C’era un uomo
che gridava, chiedeva aiuto,
un incidente… sembrava così disperato e
io… io l’ho aperto!» riprese a
singhiozzare «Appena entrato, mi ha aggredito e mi ha premuto
un panno sul viso:
ho lottato e lottato ma era troppo forte, ho perso i sensi...»
«Lo ha visto in faccia?»
«Di sfuggita, le luci erano basse ed era tutto sporco in
viso, come se davvero
avesse fatto un incidente.»
«Non saprebbe descriverlo, quindi…»
Lei scosse la testa, affranta «No, però mi ricordo
che era molto alto.»
«Era solo?» chiese Elsa, questa volta.
«Sì… no!» scosse il capo,
confusa «Non ho visto altre persone ma, ora che ci
penso, mentre ero a terra mi è sembrato di sentire
un’altra voce…»
«Signori, il tempo è finito!» li
avvisò il medico, rientrando nella stanza.
«D’accordo…» concesse Jackson
«Ci è stata molto utile, Gerta. Non si preoccupi:
la troveremo e cattureremo i responsabili!»
Elsa le strinse più forte la mano «Pensi a
rimettersi, torneremo presto a
trovarla.»
La donna ricambiò la stretta «Grazie davvero per
essere venuti!» e, quando Jack
fu abbastanza lontano, aggiunse «Sono così
contenta per lei...»
Lei sorrise «Riposi, Gerta…»
Quando lo raggiunse in corridoio, l’altro stava finendo di
ringraziare il
medico per la disponibilità.
«Una curiosità, dottore…»
s’intromise con delicatezza fra i due «Avete per
caso
esaminato con cosa Gerta sia stata sedata?»
Lui annuì «Cloroformio: sembra,
fortunatamente, non le abbia lasciato danni.»
«Di questo non posso che esserne felice.»
Il medico si congedò.
«Che ti ha detto Gerta?» le chiese Jack, mentre
erano in attesa dell’ascensore.
A quanto pareva, non era la sola ad avere una buona visione laterale
«Niente
d’importante…» mentì
«Non che ne avessimo bisogno ma, con il cloroformio,
abbiamo la certezza che il rapimento sia collegato al nostro
caso.» sviò
l’attenzione.
«Esatto.» sospirò lui «Ma ho
un dubbio: l’assassino che cerchiamo sembra sapere
perfettamente quello che fa e nell’uccidere le sue vittime ha
sempre denotato
una certa freddezza. Rapire Freja è stato così
impulsivo, se fosse stata la
stessa persona dubito fortemente ci avrebbe fatto sentire la sua
voce…»
«Ho capito.» lo interruppe bruscamente
«È mia nipote e a questa eventualità
non
voglio nemmeno pensare. Stai dicendo che dietro a tutto questo ci
potrebbe
essere un gruppo di più persone che non agisce
necessariamente assieme?»
«Perché no?» le aprì la porta
per farle guadagnare
l’uscita «Che cosa abbiamo scoperto per spaventare
alcuni di loro a tal punto?
Non abbiamo nulla in mano: il carico non aveva fenilciclidina, abbiamo
i
documenti del deposito, non abbiamo mezza traccia. E perché
minacciare anche
te? Cosa hai scoperto?»
Elsa scosse il capo «Niente: ho chiesto a Jane di
ricontrollare minuziosamente
le foto dei ritrovamenti ma senza alcun riscontro.»
Jack fece per aprire nuovamente la bocca ma venne bloccato dalla
suoneria del
suo cellulare «Overland!» rispose. Rimase in
ascolto per qualche secondo, poi
il suo sguardo s’illuminò «Sei un genio,
principessa!» buttò giù
«Rapunzel ha
trovato la chiave per eliminare la contraffazione della voce, fra poco
dovremmo
riuscire a sentire il reale timbro del rapitore. Devo tornare al
dipartimento,
ti riaccompagno a casa?»
«Oh no, per carità, non fare aspettare
la tua principessa…»
Confuso, inarcò un sopracciglio «Sei
sicura?»
«Sicurissima, c’è un posto dove devo
andare prima.»
§
Freja si
rannicchiò nella sua coperta, seduta su di uno sgualcito
nudo materasso.
S’impose di non singhiozzare, nella poca luce di
quella stanza spoglia,
illuminata solo da una lampada di emergenza e da un datato televisore
che
trasmetteva un altrettanto vecchio programma. Era pur sempre la figlia
di un
poliziotto e una recluta a tutti gli effetti, doveva mostrarsi
coraggiosa.
Almeno non era sola, aveva due fidati aiutanti: Olaf e il Signor Bunny,
rimasti
avvolti assieme a lei nella coperta con cui l’avevano portata
via. Si sentiva
ancora tanto stanca, quando si era ribellata - nel momento di scendere
dal
furgone – quei signori l’avevano fatta dormire e
doveva aver dormito davvero
tanto, vista la grossa fame che l’aveva accolta al risveglio.
Fortunatamente
c’era un panino lì ad aspettarla e
l’aveva divorato subito, senza pensarci.
Così come aveva bevuto con avidità dalla
bottiglia d’acqua che le avevano
lasciato al fianco. Quando il pensiero tornò alla sua mamma
e al suo papà, per forza di cose, gli occhi cominciarono a pizzicare e
le lacrime
cominciarono a scendere senza possibilità di fermarsi.
Tuttavia non fiatò,
sebbene non fossero stati poi così cattivi con lei, non ci
teneva che quei tipi
tornassero. Si strinse maggiormente ai suoi amici, per sentirsi meno
sola e si
sdraiò, sperando ardentemente che il suo papà
arrivasse a salvarla il prima
possibile.
§
«Dottoressa Bleket,
ma quale gradita
sorpresa!» la accolse il dottor Kozmotis Pitchiner, con un
mezzo sorriso «Mi
era parso di capire che avesse deciso di non aver più
bisogno dei miei servigi
ma, prego, si accomodi.»
Elsa non fece un passo «Non ho cambiato idea.»
«Allora mi illumini: a cosa devo questa sua inaspettata
visita?»
«Li richiami!» gli ordinò senza mezzi
termini.
Lui inarcò le sopracciglia stupito «Chi dovrei
richiamare, di grazia?»
«I suoi Fearling, o comunque gli piaccia
farsi chiamare…» sibilò fra i
denti.
Gli occhi castano-dorati di Kozmotis Pitchiner brillarono, quasi
divertiti
«Miei?» sorrise sarcastico «Temo stia
facendo un grosso buco nell’acqua,
dottoressa.»
Elsa lo guardò gelida «E’ inutile
mentire con me, io lo so che c’è lei dietro a
tutto questo: vuole arrivare a chi ha ucciso sua moglie e sua figlia,
la
capisco, ma non aiuterà a riportarle
indietro…»
L’espressione sul viso di lui s’indurì
«Lei non sa nulla.»
«Quello che so è che non c’è giustizia nel rapire una bambina dalla
sua
casa, strapparla all’amore dei suoi genitori e minacciare di
ucciderla per
attuare un vile ricatto: li richiami!» ripeté
risoluta.
«Dottoressa…» sibilò lui
gelido «Ammesso e non concesso che ci sia io dietro a
tutto questo, crede davvero che bestie di quel calibro, una volta
liberate,
possano essere richiamate come cagnolini ubbidienti? La sua
ingenuità mi delude.»
Elsa prese un grosso respiro e abbassò il capo, stringendo i
pugni: mettendo a dura prova il cuoio della sua borsa «Sono
certa che
quello che sto per dirle non la
deluderà…»
«Prego…» la invitò, curioso.
«Se succederà qualcosa a mia nipote,»
cominciò a dire, rialzando lo sguardo «io
la ucciderò!»
L’altro ghignò, piacevolmente stupito
«Non ne sarebbe capace…»
«Non ci scommetta, dottore.» continuò
lei «Lo ha detto lei stesso, chiunque può
uccidere: basta solo la motivazione giusta. Sono certa non
vorrà mettere
alla prova la mia.»
«Dottoressa, lei è una sorpresa
continua…» si complimentò quello, senza
però
l’ombra di un sorriso sul volto «Ma, se non le
dispiace, la pregherei di
andarsene, ho davvero ancora molto lavoro da portare a termine prima
della fine
di questa giornata. Arrivederci.»
«Ci
può scommettere…» disse
lei, voltandogli le spalle «Presto o tardi, io
rivedo tutti.»
§
Non appena
aveva riconosciuto la voce del rapitore, Jackson aveva chiesto a
Rapunzel due
cose: una consisteva nel fare una consegna, l’altra attendeva
paziente
all’interno di una delle sue tasche. Parcheggiò
l’auto sul retro dell’edificio,
rimanendo lontano dalle telecamere di sorveglianza. Tirò ben
su il colletto del
suo giaccone scuro, poi sfoderò torcia e pistola.
Scivolò rapido fra le ombre,
sgusciando fra i muri come una folata di vento: ogni punto cieco fidato
alleato
nella sua avanzata. Gli ci volle qualche minuto per trovare un punto
d’ingresso: il deposito, da quel lato, era completamente al
buio, ad esclusione
delle luci di emergenza che ronzavano quasi minacciose, conferendogli
un’aria
fatiscente. Decise di non accendere la torcia, non ancora almeno,
tuttavia non
abbassò la pistola. Si mosse circospetto fra quei lugubri
corridoi, silenzioso
come uno spettro, ma il cuore che gli rimbombava
nelle orecchie
all’impazzata lo rendeva vivo più che mai.
Camminò per un tempo che gli parve
infinito, in quei luoghi che non sembravano aver visto passaggio umano
da molto
tempo. Sperò seriamente che quei due balordi non avessero
fatto il passo più
lungo della gamba con qualcosa d’irreparabile. Mentre quel
lugubre pensiero lo
riempiva di paura, improvvisamente lo sentì: un jingle di un
vecchio programma
televisivo. Si avvicinò con cautela a quella porta chiusa,
il cuore in gola:
l’interno celato dal legno scuro. Saggiò la
maniglia e la trovò chiusa a
chiave. Gli sembrò di sentire del movimento, la TV si
spense.
«Chi c’è?» pigolò
una vocina dall’altra parte.
Jackson sgranò gli occhi e si avventò sulla
serratura, non si aprì. Prese la
pistola e con il calcio la colpì una, due, tre volte
– ogni colpo come un tuono
nel silenzio del corridoio – e quella, finalmente, cedette.
«Freja!» esclamò, entrando.
Nel vederlo, la paura sul viso della bimba si trasformò in
un grande sollievo «Zio
Jack!» lo chiamò in lacrime, correndogli fra le
braccia.
Lui la strinse forte e le baciò la testa
«È tutto a posto, piccola, ti ho
trovato: torniamo a casa.»
Lei recuperò i suoi pupazzi, non li avrebbe lasciati per
niente al mondo, e si
lasciò prendere. Jack rafforzò la presa, mentre con la mano
libera continuava a
tenere ben salda la pistola.
Ansioso di andarsene da lì il prima possibile, fu incauto:
il braccio sporto in
avanti venne colpito violentemente con un vassoio, dal basso verso
l’alto,
all’altezza del gomito. Il dolore gli fece perdere la presa
sull’arma che svanì
nell’oscurità, solo un istinto primordiale gli
fece tirare indietro la testa
quel tanto che bastava per essere preso in viso solo di striscio
anziché in
pieno, il metallo lo ferì comunque.
Questa volta reagì e spinse forte contro la porta,
schiacciando il suo
assalitore fra il legno ed il muro. Non perse tempo a decifrare
l’imprecazione
che ne seguì, corse via il più velocemente
possibile.
Fu allora che saettò il primo sparo. Il rimbombo gli
raggelò il sangue,
strinse Freja ancor di più e si nascose nella prima stanza
disponibile: un
vecchio spogliatoio in disuso.
«Stai bene?» le chiese preoccupato.
Lei annuì, fortunatamente il colpo sparato alla cieca non
era andato a buon
segno. A quanto pareva, erano più pericolosi di quanto
avesse ipotizzato:
continuare a tenere Freja in braccio era troppo rischioso.
Si avvicinò ad un gruppo di armadietti malandati e fece
scendere
la bambina,
stando ben attento a non perdere di vista la porta nemmeno per un
secondo.
Dal corridoio arrivavano voci concitate: litigavano? Da lì
non
riusciva a capire per cosa. Cercò nelle tasche
«Freja, sai
cos’è questo?»
La bimba fece segno di sì con il capo una seconda volta.
«Bene.» cercò di sorriderle
«Questo permetterà a papà di trovarti
presto. Tu,
però, devi aspettarlo qui.» le disse spingendola
delicatamente in un armadietto «Non
preoccuparti, non ti cercheranno: saranno troppo occupati con
me…»
Lei spalancò gli occhi dalla paura «Non chiudermi
qui, zio Jack, non lasciarmi
sola!»
«Non è facile, lo so… ma loro sono
armati e non posso davvero lasciare che ti
facciano del male. Chi lo sente tuo padre, altrimenti? O ancor peggio
tua
madre!» celiò per cercare di smorzare la tensione,
sperando che la poca luce potesse mitigare la preoccupazione sul suo
volto «Non
ti lascerò sola, Olaf e il Signor Bunny veglieranno su di te
come hanno fatto
fino ad ora.»
«Ma ho anche tanto freddo…»
protestò, piagnucolando appena.
Jack imprecò mentalmente, non aveva preso la coperta
«Tieni la mia giacca e
stai nascosta qui dentro: andrà
tutto bene, te lo prometto. Qualsiasi cosa sentirai, non
uscire per nessun
motivo. Chiudi gli occhi e pensa solo a cose belle. Quando li aprirai
di nuovo,
ci sarà il tuo papà davanti a te.»
Freja tirò su col naso ma acconsentì, si
lanciò al suo collo un’ultima volta e
lui ricambiò la stretta con tutto il calore che era in grado
di trasmetterle,
poi, chiuse l’armadietto e se ne andò.
§
Anna
non si era ancora alzata dal letto: forse dormiva ancora, forse faceva
finta, Kristoff non si era premurato di scoprirlo. Quando Elsa era
uscita con Jack non aveva più avuto il coraggio di
raggiungere
nuovamente la moglie, d’altronde come avrebbe fatto a
rassicurarla? Era lì, inerme, mentre sua figlia era in mano
ai
rapitori: con che coraggio poteva stringerla fra le sue braccia di
vigliacco?
Il signor Bunnymund gli aveva tolto la pistola e il distintivo, per
essere ben sicuro che non muovesse un dito… o che, almeno,
non
facesse sciocchezze. Nel tardo pomeriggio, sua cognata era rientrata a
casa ma non aveva neanche avuto il tempo di togliersi le scarpe che il
cellulare provvisorio le aveva notificato un messaggio: non aveva fatto
un fiato, probabilmente credendoli ancora addormentati, e aveva
composto un altro numero, uscendo da dove era appena entrata. Nascosto
dalla penombra del salotto e dallo schienale del divano, gli era parso
di sentire il nome di Jane, Elsa di lui non si era nemmeno accorta.
Aveva piena fiducia nelle capacità di Jack ma non poteva
davvero
più stare con le mani in mano, perciò si era
deciso ad
accendere la luce e di smettere di attendere passivo il susseguirsi
degli eventi. Aveva preso il suo taccuino, quello non si erano
premurati di toglierglielo, e si era diretto all’ampia isola
della zona cottura, acceso la luce e messo su il caffè, di
cui
aveva un disperato bisogno.
Richiamata dalla luce o magari dall’aroma, Anna lo raggiunse.
Guardandola negli occhi, comprese: non stava dormendo affatto.
«Che cosa stai facendo?» gli chiese con voce roca,
la gola chiusa dall’angoscia.
Non si stava riferendo al caffè. «Ripercorro il
caso.» le spiegò «Mi hanno tolto tutto
ma non
questo!» disse, indicandosi la testa «Se
c’è
un modo per…»
«Ti aiuto!» si offrì sua moglie senza
nemmeno farlo finire «Qualsiasi cosa, ti prego.»
Kristoff sorrise debolmente di quel legame che li univa in maniera
indissolubile e se ne infischiò altamente del caso
secretato:
era di Freja che si trattava e loro avevano tutto il diritto di essere
coinvolti. Parlarono a lungo e lui le raccontò ogni cosa:
tremarono assieme ma facendosi anche forza l’un
l’altro.
Quando lui non ebbe più fatti da raccontare, Anna
rialzò
lo sguardo e diede nuovamente voce al quesito a cui, almeno
per il momento, nessuno sembrava avere una risposta «Non ha
senso, perché hanno rapito Freja? Di cosa mai abbiamo
peccato
per punirci a questo modo?»
«Hanno avuto paura: dobbiamo esserci avvicinati a qualcosa,
per
forza! Ma a cosa?» sbottò Kristoff, sbattendo il
pugno sul
piano «Tutti i possibili sospettati hanno un alibi, Rider ha
mentito e dal deposito non abbiamo ricavato un ragno dal
buco…»
«Avete i documenti, è vero... però...
da come me ne hai parlato, questo Rider mi sembra,
sì, un bel furfante ma non uno che abbia intenzione di
fregarti…»
Di questo ne era sempre stato convinto: e se…
Inarcò le sopracciglia, folgorato da
un’illuminazione ma,
proprio in quel momento, il citofono suonò. Sussultarono con
il
cuore in gola, per poi tirare un sospirò di sollievo quando
scoprirono l’identità del loro inaspettato
visitatore, o
meglio, visitatrice: Rapunzel.
«Punzie, che ci fai qui?»
«Mi manda Jack:» gli spiegò, il volto
tirato dalla stanchezza «mi ha pregato di darti
questo.»
Kristoff capì immediatamente di cosa si trattasse
«Lui dov’è?»
«Non lo so: sono riuscita a decodificare la voce di chi ti ha
chiamato, appena l'ha sentita è come impazzito. Mi ha
chiesto un rilevatore e di
portare questo a te, non so altro.»
«Puoi farla sentire anche a me?»
«Certo, ho qui il mio portatile.» gli rispose,
mostrando la
sua tracolla. Prima ancora di riuscire a sfilarlo, però, il
dispositivo nelle mani di Kristoff vibrò e
cominciò a
suonare ritmicamente: il rilevatore era stato acceso.
«Punzie!» esclamò, la voce nuovamente
accesa dalla
trepidazione «Devi cercare una persona per me, Anna dalle la
password di tua sorella.»
«Quella la recupero in due secondi…» gli
fece presente lei «Dove vai?»
Lui guardò la moglie dritta negli occhi «Vado a
prendere nostra figlia!»
Anna drizzò di colpo il capo «Voglio venire con
te.»
«No!» le intimò risoluto «Non
so di preciso a
cosa andrò incontro e non posso mettere in pericolo anche
te.
Abbi fiducia in me, ti prego.»
Lei si strinse le mani al petto ma annuì.
«Punzie, prenditi cura di lei.»
Uscì di corsa, praticamente volando giù dalle
rampe di
scale. Il telefono all’orecchio, pronto a chiamare i
rinforzi:
quel che non sapeva era che qualcuno era già ad attenderlo
fuori.
§
Il
fatto di
aver perso la pistola bruciava a Jackson ancor più della
ferita
alla testa. Sperò che Punzie avesse già
consegnato il
tracciatore a Kristoff e che Elsa avesse letto il suo messaggio. Se
sì, entrambi lo avrebbero raggiunto al più presto
e, con
un po' di fortuna, accompagnati da un discreto numero di rinforzi.
Al momento,
lui poteva
contare solo sulla sua torcia, accesa come un faro per attirare su di
sé le attenzioni dei rapitori e allontanarli da Freja il
più possibile. Erano vicini, glielo
diceva ogni fibra del suo corpo, tesa come una corda di violino.
Per
questo,
quando un nuovo attacco gli saettò di lato, non lo
trovò impreparato: schivò
rapido e colpì con il lungo manico della sua lampada. Dal
rumore sordo e il
grugnito che ne seguirono, capì di aver fatto centro.
Roteò su se stesso per
aggirare quell’alta figura, che con i suoi occhi ormai
abituati a quella luminosità ridotta,
riusciva chiaramente a vedere: pronto a sferrare l’ennesimo
attacco.
Ma, solo quando avvertì un cigolio dall'altra parte del
corridoio, comprese di essere stato circondato.
«Faccia attenzione detective, da queste parti il ghiaccio
è molto sottile…»
Neanche riuscì a chiedersi che cosa c’entrasse
quella frase in quel momento:
venne investito da un potentissimo getto d'acqua gelida in pieno viso.
Il liquido gli
entrò in gola, nel naso e lo mandò a sbattere
violentemente contro il muro più vicino: tutto
fu buio.
Sotto il ghiaccio
del lago c’è solo freddo, c'è solo
oscurità, c'è solo paura.
L’aria fugge via dai polmoni,
spodestata da infida acqua gelata.
Non c’è più la forza di battere i pugni
sulla superficie: le braccia, le mani e le gambe ormai rassegnate ad
addormentarsi per sempre.
Non resta che chiudere gli occhi e abbandonarsi al
suono delle sirene.
Quando
lo vide dietro al
vetro della cella frigorifera, il cuore di Elsa scricchiolò.
Spalancò la pesante porta, non senza sforzi, e corse subito
al
suo fianco.
«Jack, Jack!?» cercò di riscuoterlo,
trascinandolo fuori.
Dapprima lui non si mosse, mandandola nel panico ma quando
posò
le dita calde sul suo collo gelido, per constatarne il flebile battito,
le sue palpebre si aprirono di colpo, il terrore negli occhi.
«E' tutto ok, non sei nel lago, non sei nel lago.»
cercò di rassicurarlo, tenendogli il viso fra le mani.
L'altro riuscì, finalmente, a metterla a fuoco
«Fiocco di neve, sei
tu!» balbettò, tremando «Sono lacrime
quelle?»
Elsa trattenne a stento un singhiozzo, non era sicura di aver aperto
quella porta in tempo «Stai bene?»
Lui mugolò appena «Ugh… ho bisogno di una respirazione
bocca a bocca»
Le scappò una mezza risata isterica «Di un pugno in bocca hai
bisogno, altroché…»
Le labbra violacee di Jack si tirarono in un piccolo sorriso
«Freja?»
«L’ha trovata Kristoff, grazie al tuo segnalatore,
sta bene.» lo rassicurò.
«Mi ha chiamato zio…»
«Era chiaramente sotto shock…» lo
abbracciò
per cercare di dargli un po’ di calore: un’impresa
pressoché impossibile, visti i suoi abiti gelidi e
zuppi. I suoi occhi si chiusero nuovamente, lei rafforzò la
presa
«Resisti, i soccorsi saranno qui a momenti.»
Freja
è salva! ♥
No, non sono così sadica da permettere che le succedesse
qualcosa, ringraziamo tutti zio
Jack
per questo (sì, ci sono un po' di nostalgiche Seasons vibes).
Anche se, con la sua impulsività, è caduto
con entrambe le scarpe nella regola numero uno: mai andare contro a dei
sospetti da solo.
Proprio tutto dobbiamo insegnargli a questo benedetto ragazzo
ù_ù
Elsa ben sa il motivo per cui a Jack non piace l'acqua gelata ma a
quanto pare non era l'unica. Maggiori dettagli arriveranno in seguito
ma chi conosce il personaggio di Jack Frost può farsi una
vaga idea di quello che gli può essere accaduto in passato.
Ammetto che non è stato per niente facile scrivere
dell'angoscia
di Anna e Kristoff. Spero di essere riuscita a mostrare la loro
disperazione e il loro senso d'impotenza anche senza essere entrata
troppo nei dettagli, dato l'argomento delicato non volevo rischiare di
creare un pasticcio.
Così come spero che la reazione di Freja sia risultata
credibile, sia nella parte da sola che con Jack.
I nodi stanno venendo al pettine... tutti? Questo non credo!
Per cui se avete ancora tante domande, nei miei piani c'è
l'intenzione di svelare tutte le risposte.
Per i doverosi riferimenti a Body of Proof, la frase con cui Elsa si
congeda da Pitch è la stessa con cui Megan si rivolge a
Trent Marsh in uno dei loro scambi. Mentre la richiesta di una
respirazione bocca a bocca, con relativa risposta, viene da uno scambio
fra Tommy e Megan.
Come sempre vi ringrazio per essere arrivati fin qui, per aver aggiunto
questa storia in qualsiasi tipo di lista e per ogni parere che avrete
il piacere di lasciarmi (scusate se non sono molto attiva con le
risposte ma,
prima o poi, arriverò).
Considerando che sono piuttosto certa di non riuscire a ripubblicare
alcunché prima delle imminenti festività: vi
faccio i miei migliori
auguri per tutto! ♥
Alla prossima
Cida
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