Mare,
voglio dirti un segreto.
Tanto tempo fa io non esistevo,
per questo non sapevo di essere rotta.
Volavo senza mai tenere lo sguardo rivolto verso il basso,
osservando orizzonti pieni di ferite intatte,
rubando emozioni indisciplinate, voci non mie, ricordi mai vissuti.
Ero un vuoto sfilacciato pieno di speranze inespresse,
speranze che aspettavano soltanto di uscire,
fiorire,
(appassire)
tremare contro la vita.
Ero spenta e muta e inerme,
eppure brillavo
come l’oro quando non c’erano loro a insozzarlo.
Mi chiamavano vento, luce, scoglio, sabbia, onda,
poi lampo, neve, tuono, radice
e terra, sale, foglia, pietra,
fuoco, pioggia.
Ora sono un’eco interrotta,
cava,
come un tronco spogliato del proprio legno,
ladra di me stessa,
che non ho saputo –
Stelle.
Sanguinano d’argento,
sanguinano a morte anche stanotte.
Le guardo e piango (felice, giuro, lo giuro)
mentre ne raccolgo un po’,
– provo a metterle via,
nella borsa logora che non ha mai spazio per
quello che voglio
e che eppure ha sempre tutto ciò che mi serve.
Non so perché ti sto parlando,
mare,
non so perché ti sto raccontando questo segreto
che non ha niente da rivelare,
né da celare,
(confessare).
Sai chi sono?
T’importa davvero?
L’inchiostro sgorga, sanguina, promette, colma,
mi dipinge,
restituisce linfa alla corteccia recisa,
prova a ricordarmi di quei vecchi pastelli colorati
che ho nascosto in soffitta e dimenticato
tra la polvere di un’infanzia
che – disperata – prova ancora a rincorrermi,
per non perdersi (perdermi).
Le ho promesso di non dimenticarla mai,
di tenerla per sempre stretta a me.
Mare, voglio dirti un segreto,
io mi chiamo –