Un
tripode d'argento era collocato al centro del tempio e le fiamme, che
ivi ardevano, accendevano di bagliori d'oro le pareti e il soffitto.
Kaidan,
in piedi, le mani protese verso l'alto, pregava, mentre le lacrime
cadevano dai suoi occhi. Cinque lunghe, terribili settimane dal
funerale dello sfortunato eroe di Namida.
Roran
Sirnan era ancora vivo, quando era stato portato sulla sua barca del
Passaggio.
Solo
lui, Kaidan Laois, aveva potuto officiare quella cerimonia.
Non
doveva finire così!, si disse l'uomo. Quel giovane, accusato di
un terribile delitto, aveva sognato la riabilitazione del suo nome.
Ma
le tre Signore del Tempo erano state crudeli con lui.
Certo,
Roran era riuscito a uccidere il suo crudele zio, ma quell'uomo gli
aveva inflitto una ferita mortale, servendosi della sua potente
spada, Zanna d'Ombra.
La
ferita aveva condannato il giovane, valoroso principe di Namida ad
una lunga, crudele agonia.
Le
sue magie, a stento, avevano potuto attenuare il dolore di quel corpo
sofferente.
Roran,
però, aveva sopportato tali prove con spirito fermo.
Gli
pareva quasi di sentire il calore del suo corpo, quando, cullato
dalle sue magie curative, si addormentava, la testa posata contro la
sua spalla.
– Perché?
Perché? – chiese. L'ira, in quel momento, divampava nel suo cuore,
nutrendosi della sua pena.
Lui,
Kaidan Laois, era considerato un esperto mago, ma non era riuscito a
strappare alla morte quel giovane generoso.
Si
era dovuto arrendere al malefico potere di Zanna d'Ombra e del sangue
di Morrigan.
I
compagni di Roran, che lo avevano accompagnato nella sua impresa, lo
avevano guardato con occhi lampeggianti d'odio.
E
lui non poteva biasimarli.
– O
dea Liadan... Tu sei la potente protettrice dei maghi e delle
maghe... Ci hanno sempre detto di rispettare la tua saggezza, perché
è la luce che illumina le tenebre... Ma io... Io, in questo momento,
non ci riesco... Tutto mi sembra privo di senso. A cosa sono serviti
anni di addestramento? Che senso hanno avuto le mie pene, se non sono
riuscito a impedire la morte di un eroe? – domandò, la voce
tremante d'amarezza. In quei cinque giorni, aveva represso le sue
domande, ritenendole indegne di se e del suo compito.
Con
la preghiera, doveva aiutare Roran nel suo viaggio.
Ma
la sua disperazione non era svanita e, in quel momento, era dilagata
nella sua anima e aveva rotto le pur dure barriere del suo
autocontrollo.
Perché?
Perché non aveva potuto fare nulla per Roran?
La
dea aveva deciso di lasciarlo solo e di mettere alla prova la sua
fede?
Di
schianto, crollò e strinse i pugni. Era venuto al tempio per pregare
e rendere il viaggio del suo protetto meno pericoloso.
Il
Fiume Oscuro, ne era ben cosciente, era pieno di spettri e mostri che
cercavano di divorare le anime dei viaggiatori.
L’energia
magica, espressa nella preghiera, proteggeva dagli assalti di quelle
crudeli creature.
Ma
il peso sul cuore cresceva sempre più.
Un
debole scalpiccio ruppe il corso dei suoi pensieri e Kaidan, di
scatto, si alzò in piedi.
Vide
una donna alta, formosa, vestita di un lungo abito bianco, con lunghi
capelli rossi e occhi grigi, simili a perle, ombreggiati da lunghe
ciglia ramate..
Una
fascia d’oro, con al centro un’ametista tagliata a rombo, cingeva
la fronte, mentre al petto portava una collana d'oro, terminante in un pendente tagliato a goccia, scintillante di bagliori d'iride.
Il
mago sussultò. Era la regina Aleena, madre dello sfortunato eroe di
Namida, prima insultato, poi esaltato.
Perché
era lì?
Chinò
la testa in segno di rispetto, facendo ondeggiare gli anelli dorati
della sua chioma.
─ Cosa
vi porta qui, regina? ─ domandò l’uomo, formale.
La
donna, per alcuni istanti, rimase silenziosa. Kaidan non le aveva
mancato di rispetto, ma era stato distante.
Per
lui, la morte di Roran era stata atroce e si era chiuso in un
silenzio impenetrabile.
Sospirò.
Era doloroso, ma non poteva non negare le sue ragioni.
Si
erano lasciati ingannare dalle manovre di quell’infame di Erwen.
Roran
era stato condannato, come un sanguinario fratricida, mentre lui,
Kaidan aveva sopportato lunghe ore di prigionia, per avere levato la
sua voce contro un’ingiustizia.
Ed erano stati loro a
perpetrarla!
Certo,
Erwen e Morrigan erano stati puniti con la reclusione nella Prigione
dell’Abisso, ma la realtà non mutava.
Roran
era morto.
L’eroe
sfortunato, da loro scacciato come un criminale, aveva salvato
Namida.
─ Voglio
pregare per lui… ─
confessò,
il tono vibrante di vergogna, gli occhi colmi di lacrime.
L’espressione
del viso di lui rimase impenetrabile, come una statua di pietra, e
nessuna parola uscì dalle sue labbra.
La
fiamma del tripode, per un istante, arse d’un più vivo bagliore e
riverberò sul viso della sovrana, tingendolo d’un chiarore
opalescente.
─ Da
quando è morto… Io e mio marito non abbiamo più pace. Lui mi ha
confidato che, nei suoi sogni, vede nostro figlio sprofondare in un
oceano di cenere, fino a soffocare. E, devo ammettere, anche io ho
questo incubo… E’ così doloroso da sembrare reale. ─
confessò.
Cenere.
La stessa cenere che gli avete gettato addosso con generosità, in
luogo del vostro amore. Tutto torna., pensò
Kaidan. Quel sogno era uno specchio dei loro rimorsi.
Il
dolore che Roran, innocente, aveva provato, si riversava su di loro e
si plasmava in incubi sempre più tormentosi.
E
non poteva negare di provare una gioia crudele per la loro pena.
Gli
sembrava la giusta punizione per la loro idiozia.
─ Potrà
mai perdonarci? So che non abbiamo nessun diritto verso la sua
memoria, ma… ─ si interruppe. Che senso avevano quelle parole?
Esprimevano
un rimorso sincero, ma tardivo.
L’uomo
le lanciò uno sguardo imperscrutabile.
─ E’
tutto sbagliato. Noi siamo gli artefici della morte di nostro figlio.
E niente cambierà questa realtà. Nessuna preghiera, per quanto
accorata, potrà costruire una realtà diversa. Ormai, solo cenere
stringiamo tra le nostre dita. ─ affermò.
Un
mezzo sorriso sollevò le labbra del mago. Forse, non tutto era
perduto.
Lei
e suo marito, finalmente, cominciavano a vedere oltre il loro
orgoglio.
─ La
cenere è quello che resta della morte. Ma può anche donare vita.
Sta solo a voi scegliere come usarla, regina. ─
Chinò
un poco la testa davanti a lei, poi girò le spalle e uscì dal
tempio.
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