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15.
HEREINAFTER
Era
passata poco più di una settimana da quando l'orda aveva
invaso
Alexandria, dalla morte di Deanna e da quando io e Daryl ci eravamo
finalmente avvicinati, una volta per tutte. In una sola giornata si
erano condensate tante cose brutte, ma anche qualche cosa bella. Il
lutto per le persone che avevamo perso e il senso di vittoria per
essere riusciti, alla fine, a difendere la nostra casa
si
intrecciavano in uno strano miscuglio di sensazioni e consapevolezze,
che da
quel momento in poi aveva
permeato ogni cosa.
Tutte le
attività e quotidianità che
avevano reso Alexandria una realtà molto simile a quella
precedente
l'apocalisse
erano
state sospese. Tutti i cittadini che si erano salvati dal
massacro erano stati ingaggiati per occuparsi di quelle che erano
diventate le priorità: ricostruire le mura,
ripulire la città,
bruciare i corpi dei vaganti. Si era rivelata una cosa lunga,
dal momento che i resti dei vaganti erano molti e si doveva fare
avanti e indietro fuori dalla zona sicura diverse volte, per
bruciarli. Perciò, anche io mi ero
ritrovata ad aiutare a
raccogliere corpi, a ripulire le strade dal sangue, a dare una
mano all'ambulatorio.
La
parte più difficile, però, era stata aggiungere
più di un nome al
muro commemorativo: Deanna, Jessie, Sam, Ron, Ted, Lucy, Maya e
Pascal. Purtroppo, di tanti di loro non era rimasto praticamente
niente da poter seppellire in maniera degna.
In
quelle giornate difficili, mi tornava
spesso
in mente il versetto che (un neo-redento) Padre Gabriel aveva scelto
per concludere la commemorazione in onore di chi ci aveva
lasciato: Davide
disse a Salomone suo figlio: "Sii forte, coraggio; mettiti al
lavoro, non temere e non abbatterti, perché il Signore Dio,
mio Dio,
è con te. Non ti lascerà e non ti
abbandonerà finché tu non abbia
terminato tutto il lavoro per il tempio".
E, come Salomone, anche noi stavamo cercando di ricostruire il nostro
tempio.
«Ormai
la breccia è stata liberata dalle macerie
della torre collassata. Anche con lo sgombero dei corpi abbiamo quasi
finito».
Dopo una
settimana così estenuante, le parole
con cui Rick iniziò quella riunione di fine giornata
arrivarono come
la più bella delle notizie. Ci eravamo riuniti nel vecchio
studio di
Deanna, come era ormai d'abitudine. Al centro del tavolo attorno al
quale eravamo raccolti, svettavano una mappa e i progetti per
l'espansione di Alexandria che Deanna aveva lasciato a Michonne e
Rick.
«Quindi
non rimane che issare il telaio delle
pareti e trovare
i
pannelli per richiudere quella dannata breccia», ne convenne
Abraham.
«Mentre
tornavamo dall'ultima spedizione, io
e Daryl abbiamo visto dalle parti di Ashburn un grosso cantiere
edile. Forse anche quello serviva per la costruzione di un centro
commerciale», intervenne Aaron, cerchiando con la matita la
città
sulla cartina al centro del tavolo.
«Dal
momento che il
cantiere qui vicino lo abbiamo ripulito, si potrebbe dare
un'occhiata. Se siamo fortunati, potremmo trovare lo stesso tipo di
pannelli. Invece il materiale per l'intelaiatura che ci è
rimasto
dovrebbe essere sufficiente», commentò Abraham.
«Ashburn
non è molto lontana da qui. Possiamo tornarci
domani», si offrì
Daryl, guardando Aaron. Il quale, però, si scusò,
dicendo che per
il giorno dopo era già impegnato con un'altra squadra. A
quel punto,
prima che qualcun altro potesse farlo, mi offrii di accompagnare
Daryl per recuperare quelle lamiere: con mia grandissima sorpresa,
nessuno mosse chissà quali obiezioni, lui in primis.
Dopo
aver stabilito tutti i dettagli di quella spedizione ed aver messo
appunto l'organizzazione delle squadre per la giornata successiva,
Rick sciolse la riunione ed ognuno tornò alla propria
abitazione.
Dopo quello che era successo, avevo deciso di tornare a vivere
assieme al resto della mia famiglia nella grande casa che gli era
stata assegnata, perciò seguii Rick, Michonne e gli altri.
Si era
infatti liberata una camera per me quando Maggie e Glenn avevano, al
contrario, deciso di occupare la casa degli Anderson, ormai
inabitata. Si trovava subito dopo la casa in cui abitavano Abraham,
Rosita, Eugene, Tara, Sasha e Tyreese: il perfetto compromesso tra il
rimanere vicini e avere un nido tutto per loro nel quale prepararsi
per l'arrivo di mio (o mia?) nipote.
Mia
sorella mi
affiancò mentre camminavamo nella stessa direzione. Accanto
a lei
c'era Tara. «Come ti senti alla vigilia della tua prima
spedizione?».
Mi
voltai per sorriderle. «Tutto
sommato, tranquilla. È giusto che mi renda utile».
«Perché,
non ti sei resa utile, fino ad ora?», domandò
Tara. «Denise
mi ha detto che è stata più volte sul punto di
portarti fuori
dall'ambulatorio di peso, per convincerti ad andare a
casa».
Abbassai
lo sguardo e scalciai via un sassolino,
sorridendo imbarazzata. «Denise esagera. Intendevo
dire che è
giusto che ogni tanto esca anche io, non posso stare sempre al sicuro
dietro ad una recinzione».
«Non
mi pare che siamo stati molto al sicuro qua dentro,
ultimamente»,
commentò Maggie.
Sospirai.
«Già. Però penso che mi farà
bene uscire un po'».
Quando
arrivammo davanti a casa sua, Maggie mi
abbracciò. «Stai
attenta, domani».
«Ehi,
dimentichi forse chi verrà con me? Sono in una botte di
ferro», la
rassicurai, sciogliendo l'abbraccio.
Lei mi
diede un
buffetto affettuoso sulla guancia, accompagnato da un sorrisetto
malizioso. «Non l'ho affatto dimenticato»,
mi rispose,
lanciandosi uno sguardo d'intesa con Tara.
«Ma
smettetela», le rimbrottai arrossendo, ma senza riuscire a
impedirmi
di sorridere.
Le
salutai con una linguaccia e, quando
entrai, trovai Judith sul divano assieme a Michonne e Carol. Mi
fermai un po' lì con loro: era bello tornare a casa sapendo
che ci
sarebbe sempre stato qualcuno della mia famiglia ad
attendermi.
Non rimpiangevo per niente il fatto di non avere più una
casa tutta
per me, non dopo quello che avevamo passato e non dopo l'enorme
rischio di perderli che avevo corso. In quelle giornate difficili,
era stato bello sapere che, una volta finiti i miei doveri, non sarei
rimasta sola in una casa troppo vuota per me.
Michonne
mi
disse che Rick era passato in ambulatorio a dare la buonanotte a
Carl, che si stava lentamente riprendendo dopo la grave ferita che
aveva subito all'occhio. Daryl, invece, si era fermato a preparare il
furgone per il giorno successivo, assieme ad Abraham.
Quando
l'arciere rincasò, nel soggiorno ero rimasta solo io. Stavo
leggendo
un libro alla luce della lampada ad olio posizionata sul tavolino,
avvolta in una coperta e circondata dal silenzio. Nel momento in cui
sentii la porta aprirsi, mi voltai e guardai oltre lo schienale del
divano.
«Ehi»,
mi salutò non appena mi vide,
chiudendosi la porta alle spalle.
Gli
sorrisi, chiudendo
il libro. «Ehi».
Mi
raggiunse sul divano, sedendosi accanto a me. Si lasciò
andare sui
cuscini con una sonora sbuffata, allungando le gambe per appoggiare i
talloni sul tavolino. Si voltò verso di
me. «Che ci fai ancora
sveglia? Domani partiamo presto».
Osservai
il suo viso,
illuminato di arancione dalla lampada che, in contrasto al buio
attorno a noi, creava un'intima penombra. Lanciai un'occhiata al
corridoio, immerso nell'oscurità: quando fui sicura che non
ci fosse
nessuno, lo presi sottobraccio e mi accoccolai a lui. Sentire
il
suo corpo contro il mio e la pelle del suo collo così calda
contro
la mia fronte mi provocò un senso di tranquillità
e sollievo
istantanei.
In
quelle giornate così frenetiche, in cui
rimanevamo distanti la maggior parte del tempo, impegnavo buona parte
della mia mente a immaginare il momento in cui saremmo potuti,
finalmente, stare un po' vicini. Le ultime sere nella mia
vecchia casa, prima di tornare a vivere con la mia famiglia, le
avevamo trascorse guardando dei vecchi DVD, parlando del
più e
del meno (beh, per la maggior parte del tempo era stato lui ad
ascoltare le mie ciance), oppure appollaiati sul tetto mentre Daryl
fumava ed io stringevo la coperta attorno ai nostri corpi, in un
silenzio complice. Una sera, vinto dalla stanchezza, aveva
sonnecchiato per un po' sul mio divano, con la testa sulla mia
coscia, mentre leggevo un libro che avevo recuperato dalla libreria
comune. Altre volte, gli facevo compagnia mentre era di guardia. Dopo
aver passato un po' di tempo insieme, Daryl se ne era tornato sempre
e comunque a casa. Era bello vivere nuovamente sotto il suo
stesso tetto, anche se avevamo dovuto dire addio ad un po' di
privacy.
«Lo
so, ma volevo vederti un attimo, prima di andare a dormire. Sei stato
fuori tutto il giorno».
«Quelle
carcasse non si bruciano
da sole», replicò,
posando la sua mano destra sulla mia coscia avvolta nella coperta. La
naturalezza con cui, ormai, si era abituato a toccarmi mi faceva
sussultare di emozione ogni volta. Sembrava molto
più a suo
agio quando era con me: non si irrigidiva più quando cercavo
il
contatto fisico e mi lasciava fare.
Tutto
questo,
ovviamente, quando eravamo soli. In compagnia degli altri, Daryl
aveva continuato a mantenere il massimo riserbo, per non far capire a
nessuno cosa stesse succedendo. A me non importava niente
delle
opinioni altrui, anzi: talvolta era una faticaccia trattenere i gesti
affettuosi mentre eravamo insieme ad altre persone, specialmente se
Daryl faceva una delle sue battute sagaci oppure mostrava il suo lato
più tenero mentre giocava con Judith. Ma avevo comunque
intenzione
di rispettare questo suo bisogno di riservatezza. Ogni tanto mi
concedevo di sfiorargli la mano di sfuggita, quando ero sicura che
nessuno ci guardasse; era capitato che anche lui indugiasse in
maniera discreta con la mano sulla mia schiena, o che mi desse una
carezza leggera sulla nuca, di nascosto da tutti. Nonostante
io
non sentissi lo stesso bisogno di discrezione di Daryl, nonostante
fossi consapevole che, se anche lui fosse stato dello stesso avviso,
avrei vissuto il tutto molto più liberamente anche davanti
agli
altri... dovevo ammettere che era bello avere qualcosa solo per noi,
da custodire con cura.
«Sembri
esausto», sussurrai
dopo
un po', osservando Daryl che teneva la testa mollemente
appoggiata allo schienale del divano, con gli occhi chiusi.
«Lo
sono», confermò.
«Andiamo
a letto?».
«Vai,
vai», mi
spronò, accompagnando le parole con dei leggeri colpetti
sulla
gamba. «Appena
ritrovo le forze ci vado anche io».
Lo
guardai di
sottecchi, mordendomi nervosamente il labbro. Non aveva
capito. «Veramente... Insomma, dormono tutti al
piano di sopra
e tu ti sei sistemato nel seminterrato, no? Intendevo che, magari,
almeno per questa sera potevo fermarmi da te», spiegai, con
titubanza.
Si
voltò di scatto ed il suo sguardo allarmato
fu immediatamente nel mio, mentre sibilava: «Beth».
Pronunciò il
mio nome come se fosse un rimprovero e la cosa non mi sorprese:
sapevo benissimo quale sarebbe stata la sua reazione.
«Domattina
partiamo prestissimo, nessuno si accorgerà che non sono in
camera
mia. Anche perché nessuno verrebbe mai a controllare, a
prescindere», replicai.
«Non
è il caso», borbottò, togliendo la mano
e alzandosi in
piedi.
«Certo,
non sia mai che a qualcuno venga in mente
di fare irruzione nel seminterrato in piena notte».
Nella
semioscurità, notai che Daryl si era lasciato sfuggire un
sorrisetto
divertito: non era la prima volta che lo vedevo beffarsi della
mia esasperazione davanti alle sue
paranoie. Inaspettatamente,
mi prese per il polso, costringendomi con poca
grazia ad
alzarmi. La coperta scivolò sul pavimento, mentre le sue
mani mi
circondarono i fianchi per far aderire il suo corpo al mio. Le sue
labbra erano ad un soffio dalle mie ed il suo sguardo mi stava
facendo diventare le gambe molli come gelatina.
«Non
tirare troppo la corda, Beth».
Appoggiai
le mani sul suo
petto, provando a rispondergli a tono. «E tu non metterti
sulla
difensiva. Non ho in mente niente di strano».
«Ci
mancherebbe altro!».
Sbuffai.
«È solo che, per
svegliarmi all'alba, di solito mi servono le cannonate. Se invece
dormiamo insieme, non rischio di svegliarmi tardi o di farti perdere
tempo. Quando ti alzi tu mi alzo anche io, te lo assicuro. Sto
semplicemente pensando al lato pratico della questione»,
spiegai,
con un tono esageratamente innocente.
«Il
lato pratico,
ah?», ironizzò.
«Assolutamente
sì. Prometto
solennemente che non attenterò in nessun modo alla sua
virtù,
signor Dixon».
«Pfft,
la mia virtù!», berciò sottovoce,
alzando gli occhi al cielo.
Non
riuscii a fare a meno di sorridere divertita, sollevando il mignolo
della mano sinistra, ben dritto. «Possiamo fare sul
serio col
giuramento del mignolo, se non ti fidi».
«Pure
le stronzate da boy scout», borbottò,
scrollandomi di dosso.
Mentre aggirava il divano ed io, ridendo sottovoce, raccoglievo la
coperta che era caduta per terra, lo sentii
aggiungere: «muoviti,
prima che cambi idea». Sentii nascere sulle labbra un sorriso
trionfante e lo seguii, ma non prima di aver spento la lampada ad
olio, facendo piombare nuovamente il soggiorno nel buio.
Ne
è valsa la pena insistere,
mi ritrovai a pensare un quarto d'ora dopo, beatamente accoccolata a
Daryl sul letto a una piazza e mezzo che era stato sistemato
nel
seminterrato apposta per lui. Non era spazioso quanto il matrimoniale
che troneggiava in camera mia, ma mi offriva la scusa perfetta per
stargli avvinghiata.
Anche
quella volta, Daryl si
era coricato su un paio di cuscini che lo mantenevano in posizione
leggermente rialzata rispetto alla mia. Nonostante ciò, ero
riuscita
a sistemarmi contro di lui, la fronte appoggiata contro la sua spalla
e la mia mano aggrappata al suo braccio, che teneva incrociato
all'altro sul suo petto. Era palesemente sulla difensiva e mi
divertiva il pensiero che un uomo grande e grosso come lui assumesse
certi atteggiamenti nei confronti di una ragazzina. Come se
rappresentassi realmente un
pericolo per la sua incolumità.
«Non
stai scomodo così?», sussurrai nel buio.
«No.
Dormi».
«Hai
una certa età, stare in quella
posizione può rovinarti la schiena», rincarai,
dopo qualche
istante. Lo stavo deliberatamente punzecchiando, più del
solito. In
risposta ottenni soltanto un grugnito seccato e a quel punto non
riuscii a trattenere una risata sommessa. In realtà, dormire
stava
risultando più difficile del previsto: avevamo
già dormito insieme,
prima e dopo l'arrivo ad Alexandria, ma quella volta era diverso.
L'euforia di avere Daryl così vicino sotto le coperte,
nell'intimità
della sua stanza buia e considerata la svolta che c'era stata tra
noi... Sì, era decisamente diverso. Mi strinsi di
più a lui,
sfregando la punta del naso contro la maglia che usava per dormire,
inspirando il profumo del bagnoschiuma che aveva utilizzato per farsi
la doccia. Sarebbe stato un insulto non approfittare di quel momento
di intimità così raro e miracoloso.
«Daryl...»,
lo
chiamai in un sussurro.
«Ti
ho detto di dormire». Il suo
tono era secco ma calmo, anche se avvertii i muscoli del suo
avambraccio guizzare per la stizza.
Strinsi
le labbra per
soffocare un'altra risata. «E il bacio della
buonanotte?».
«Domani
ti lascio a casa», mi minacciò in tutta risposta,
abbassando il
volto verso il mio. Grazie alla luce del lampione esterno che
filtrava dalla finestra sopra di noi, riuscii a distinguere nella
penombra i suoi occhi, ridotti a due fessure.
«E
daaai!
Giuro che poi mi metto a dor-».
La mia
promessa venne
bruscamente interrotta dalle sue labbra, che si erano
avventate sulle
mie con un sospiro esasperato. Daryl sciolse il mio abbraccio,
sbilanciandosi verso di me per farmi stendere sulla schiena;
puntellò
il gomito per non gravarmi addosso col busto, le gambe ancora distese
sul materasso vicino alle mie. Quando dischiuse le labbra per
approfondire il bacio, la mia lingua rispose con entusiasmo alla sua,
assecondandone i movimenti. Gli allacciai le braccia al collo per far
aderire i nostri corpi, completamente in balia del suo sapore e delle
sensazioni che mi provocava sentirlo così vicino dopo
un'intera
giornata lontani. Era come un'onda di impaziente calore che
cresceva: più ne ricevevo, più ne volevo.
Faceva
correre
le sue mani
lungo le
spalle,
le
braccia, le
costole
e
i fianchi
con
gesti febbrili, separando di tanto in tanto le nostre bocche per
riprendere fiato. Sentivo il suo respiro concitato contro il mio e
avvertii una fitta nel bassoventre, quando la sua mano
sollevò il
mio ginocchio per fare in modo che la mia gamba gli circondasse
il fianco. Quando le sue labbra scesero a baciare e a mordere la
pelle del mio collo mi lasciai scappare un gemito. Passai una mano
tra i suoi capelli, facendo correre l'altra sulla sua schiena per
cercare la sua pelle calda sotto la maglia. Con una manovra
inaspettata, mi fece rotolare sul fianco e si stese alle mie
spalle, continuando a lasciarmi baci umidi sul collo. Poi
appoggiò
la testa al cuscino, mi allacciò un braccio intorno alla
vita e mi
strinse a sé.
«Adesso
dormi», ordinò. La sua
voce arrochita e il suo respiro, alterato e caldo contro il mio
orecchio, mi provocarono una cascata di brividi che scese lungo tutta
la spina dorsale, fino all'ultima vertebra. Annuii, incapace di
parlare e restando ad ascoltare i nostri respiri affannati che, pian
piano, tornavano ad un ritmo regolare.
Avere
Daryl stretto
a me, con il suo corpo che aderiva perfettamente al mio, mi
provocava una sensazione talmente bella e appagante, che avrei voluto
rimanere vigile tutta la notte, per non perdermi un solo istante. Ma
la giornata era stata lunga e sfiancante e quel bacio della
buonanotte mi aveva dato il colpo di grazia. Complice il silenzio
assoluto, mi addormentai, cullata dal respiro di Daryl e dal calore
del suo corpo che avvolgeva il mio.
***
«Non
riesco ancora a
credere
che tu mi abbia lasciato venire con te», proferii, seduta al
posto
del passeggero nell'abitacolo del furgone su cui viaggiavamo. Presi
il pacchetto di sigarette che svettava dal vano portaoggetti,
sfilandone una e offrendola a Daryl.
«Non
che ci fossero
alternative», replicò, tenendo lo sguardo fisso
sulla strada mentre
afferrava
la sigaretta e se la portava alle labbra.
Gli
sfilai lo
zippo dalla tasca e gli accesi la sigaretta. «Ah ah,
molto
divertente».
Prese
la prima boccata. «Sono serio come la
morte», disse, ma stava sorridendo.
«Sei seriamente uno
stronzo», mi lamentai, distendendomi contro il sedile e
accavallando
le gambe sul cruscotto. Guardai fuori dal finestrino abbassato,
sorridendo tra me e me. A quell'ora del mattino, la nebbia che
si infilava tra gli alberi del bosco e che nascondeva l'orizzonte
rendeva l'atmosfera ovattata. «So che è strano, ma
sono contenta di
essere finalmente uscita da Alexandria. Avevo bisogno di
allontanarmi, prendere un po' d'aria...». Mi voltai verso di
lui,
senza smettere di sorridere. «Tutto questo non ti
ricorda
qualcosa?».
Lui
mi lanciò un'occhiata interrogativa,
continuando a fumare in silenzio.
«Beh,
io e te, soli qua fuori... Come quando siamo scappati dalla prigione.
Che di per sé non è stato un bel momento,
ovviamente, ma è
stato in quei giorni che abbiamo iniziato a conoscerci. Ci
parlavamo a malapena, prima».
«Ah
sì, è stato quando
mi hai dato del criminale».
«Ehi,
tu hai detto che mi
stavo comportando come una puttanella del college che pensa solo a
ubriacarsi!», replicai, colpendolo sull'avambraccio e
fingendomi
offesa. Daryl, le mani sul volante e la sigaretta tra le
labbra
piegate in un mezzo ghigno, cercò di ritrarsi dalle mie
proteste,
lanciandomi uno sguardo furbo da sopra la spalla destra.
Decisi
di essere clemente e incrociai le braccia al petto. «Ti ho
anche
fatto cambiare idea sul fatto che ci siano ancora brave persone in
giro. Questo non lo ricordi, eh?», aggiunsi, con un sorriso
sornione. Se c'era una cosa in cui Daryl non era cambiato, era la sua
ritrosia a parlare di sentimenti, emozioni o altri argomenti che
potevano farlo sentire troppo esposto a livello emotivo.
Infatti, si
limitò a minimizzare la cosa con una scrollata di spalle ed
un'espressione in volto che voleva simulare indifferenza. La
presi con filosofia, tanto lo aveva già ammesso una volta e,
per me,
era stata più che sufficiente. Però mi venne in
mente una domanda
che volevo fargli da qualche giorno.
«A
proposito, tu ed
Aaron ricomincerete a reclutare, quando sarà tutto
sistemato?».
Daryl prese
l'ultima boccata di fumo e
buttò il mozzicone fuori dal
finestrino. «Non credo».
Annuii,
gettando lo sguardo sulla strada. Mi aveva messa al corrente del
fatto che Rick, il giorno prima della missione alla cava, gli avesse
detto che non dovevamo più accogliere persone nuove.
«Prova a
riparlarne con Rick. Sono sicura che ha cambiato idea, nel
frattempo».
Mi
voltai a guardarlo: stava tamburellando
nervosamente le dita di una mano sulla sommità del volante,
senza
dare segno di voler rispondere. Fin troppo concentrato sulla strada
davanti a noi. Lo studiai ancora per qualche istante, prima di capire
quale fosse la verità.
«Oh...
Sei tu ad aver cambiato
idea».
«Non
è così», si mise sulla difensiva, la
postura improvvisamente più
rigida. «Cioè, non lo so. Avere
delle bocche in più da sfamare, scommettere su nuova
gente...
Abbiamo altro a cui pensare, al momento».
Tolsi
le gambe
dal cruscotto e mi avvicinai a Daryl.
«Non
vergognarti di pensarla così», lo
rassicurai. «Quello che è
successo ha lasciato il segno, in tutti noi. È per questo
che ho
avuto bisogno di uscire, sai? Volevo evitare di chiedermi, almeno per
oggi, chissà
quando capiterà la prossima volta.
Sono giorni che non penso ad altro».
Daryl
ascoltò in
silenzio ciò che non avevo avuto il coraggio di dire neanche
a
Maggie, mantenendo gli occhi sulla strada.
«Non
è facile
rimanere positivi con tutti i casini che sono successi, eh?»,
commentò poco dopo, lanciandomi un mezzo sorriso.
Gli
sorrisi di rimando, sentendo gli occhi inumidirsi per il sollievo di
essermi tolta quel peso. «Per niente», risposi,
scuotendo la
testa. «La Beth sempre ottimista si è
presa una vacanza, a
quanto pare».
«Spero
torni presto. C'è bisogno del suo
ottimismo irritante», disse, senza guardarmi.
Tirai
su
col naso, lasciandomi scappare una risata. Il cuore mi si era
alleggerito all'improvviso, come se Daryl avesse afferrato a piene
mani il peso che lo opprimeva e lo avesse gettato via.
«Glielo
riferirò», promisi, rilassandomi contro il sedile.
Il viaggio
verso Ashburn, che durò poco più di una
quarantina di minuti
totali, filò liscio e senza intoppi. Viaggiammo attraverso
le vie
deserte della cittadina, prima di arrivare alla periferia e trovare
ciò che stavamo cercando. Per
nostra fortuna, il cantiere, a differenza di quello vicino ad
Alexandria
era delimitato da reti: se fossimo riusciti a chiudere il perimetro,
avremmo potuto raccogliere quello che ci serviva in
tranquillità,
senza temere l'arrivo di vaganti dall'esterno. Superammo l'entrata
del cantiere a bordo del furgone, per dare un'occhiata generale
restando in sicurezza.
Lo
spazio che ci ritrovammo davanti era delimitato, dal lato opposto al
nostro, dall'enorme struttura che costituiva lo scheletro
dell'edificio, attorniato dalle impalcature. Lo spazio attorno a noi
era disseminato di cumuli di terra rossiccia, grosse tubature sparse
quà e là, blocchi di cemento impilati,
escavatori, bulldozer e
macchinari di vario tipo.
«Questa
impresa edile
doveva essere una di quelle coi controcoglioni, guarda che
ufficio»,
disse Daryl, indicandomi una specie di prefabbricato costituito da
due livelli.
«Vale
la pena darci un'occhiata. Ci sono
molti mezzi, forse hanno anche delle taniche di carburante, da
qualche parte. Viste tutte le spedizioni che stiamo facendo, non
è
mai abbastanza».
«Priorità ai
pannelli», mi
ricordò, indicandomi con un cenno del capo una pila di
lamiere
ondulate che erano state lasciate nelle vicinanze
dell'ufficio. «Anzi, prima di
tutto chiudiamo il
perimetro».
Il
cantiere non era molto affollato,
dal punto di vista dei vaganti: lo spazio ampio li manteneva
sparpagliati, perciò riuscimmo ad affrontarne non
più di due per
volta. Usai il pugnale non soltanto per evitare di fare troppo
rumore, ma anche perché alcuni indossavano ancora il casco
di
protezione, quindi dovevamo trafiggergli il cervello passando per il
bulbo oculare.
«È
troppo strano vederti combattere senza
la balestra», commentai, mentre mi rialzavo dopo aver
atterrato
l'ultimo vagante presente nello spiazzo. Invece le ali d'angelo del
suo gilet, dopo una piccola rammendata, erano tornate belle e
dispiegate sulla sua schiena.
Daryl
si strinse nelle spalle, buttando per terra il bastone di ferro che
aveva utilizzato come arma. «Di sicuro non vado a cercare
quello
stronzo per farmela ridare».
«Te
ne troverò un'altra
io, infatti», gli promisi, puntellando i pugni
sui
fianchi e allargando le spalle con atteggiamento spavaldo.
Lui
mi sospinse verso il cumulo di lamiere, senza nascondere un mezzo
sorriso divertito. «Ma cammina».
I
pannelli erano
lunghi e larghi, ma fortunatamente
non
molto pesanti: sollevandoli io da un lato e Daryl dall'altro,
riuscimmo a caricarli sul cassone del furgone, che avevamo
già
parcheggiato vicino alla pila di lamiere. Trovammo anche qualche
tanica di benzina vicino ad un escavatore, che riponemmo nel
cassone
insieme
ai pannelli.
«Diamoci
una mossa. Non voglio stare fuori
troppo».
«Abbiamo
raccolto tutto quello che dovevamo e
non è nemmeno mezzogiorno», dissi,
alzando lo sguardo verso il
sole. «Possiamo dare un'occhiata con calma e
fermarci un
attimo»,
«Prima
torniamo meglio è», replicò Daryl,
guardandosi attorno con aria
diffidente ed estraendo la pistola dalla fondina.
Mi
addossai alla porta del prefabbricato, una mano sulla maniglia
e l'altra sulla mia pistola, mentre Daryl si sistemava
a
lato della soglia. Quando mi fece cenno col capo, aprii la porta di
scatto e lui si infilò nell'ufficio, con le braccia
tese e
l'arma puntata davanti a sé.
«Libero»,
sentenziò la
sua voce da dietro la porta, così lo seguii.
Il
primo
livello dell'ufficio era composto da un corridoio abbastanza stretto,
sul quale si affacciavano due porte ravvicinate tra loro. La prima
porta era socchiusa e Daryl vi sbirciò dentro, assicurandosi
che
fosse vuota: quando mi diede il suo benestare, entrai anche io. Era
una sorta di sala riunioni, con un tavolo tondo posizionato al centro
della stanza, attorniato da sedie, e un piccolo schedario sotto la
finestra; addossata al muro, si trovava una lavagna magnetica,
tappezzata dai progetti del cantiere. Daryl si mise a rovistare
frettolosamente nei cassetti dello schedario e, non trovando nulla di
utile, mi invitò ad uscire dalla stanza con un colpetto
sulla
schiena.
La
seconda porta celava una specie di mini
deposito con scorte di calcestruzzo, legno, attrezzi da lavoro e
altre diavolerie da cantiere che non avevo mai visto. Daryl raccolse
nel suo zaino degli strumenti che potevano servirci anche ad
Alexandria, poi ci recammo al secondo livello del prefabbricato,
salendo la scala che si trovava all'esterno del box. Dietro alla
prima porta, come enunciava la targhetta, si trovava il bagno.
L'ultima stanza che ci attendeva doveva essere stato l'ufficio del
capo-cantiere. Contro le pareti verde scuro erano posizionati
schedari e scaffali con portadocumenti vari. Opposta
all'entrata, c'era una scrivania di legno ricoperta da scartoffie e
cianfrusaglie varie; in tutta quella confusione, svettava la foto di
famiglia di un uomo, calvo e sulla quarantina, che mi sorrideva dalla
cornice assieme alla moglie e alle loro due figlie. Un altro viso che
mi guardava, questa volta però in maniera lasciva, era
quello della
bambolona mora e svestita stampata sul calendario appeso al muro. Al
centro della scrivania era sistemato il computer, spento da
chissà
quanto tempo e ingrigito dalla polvere. Anche il resto della stanza
sembrava ricoperto da una cortina polverosa. Se non fosse stato per
la coperta di lana stesa sotto alla scrivania, avrei giurato che quel
posto non vedesse visitatori da un sacco di tempo.
Daryl
interruppe il suo frugare in giro per osservare quel picnic
improvvisato con le sopracciglia aggrottate. Abbandonati sul
pavimento c'erano anche un binocolo, un piede di porco e due
bottigliette d'acqua piene.
«Ci
vive qualcuno, qui», azzardai, affiancandolo.
«Può
essere. O forse hanno dovuto levare le tende e non
torneranno»,
rimuginò. A lato della scrivania vi era un castello fatto
con dei
barattoli di latta vuoti, che Daryl fece crollare toccandolo con la
punta dello scarpone.
«Magari
sono solo andati a cercare
provviste», dissi. Sfilai due latte di cibo in scatola dal
mio zaino
e le posizionai per terra, sulla coperta. Daryl mi
lanciò
un'occhiata di traverso.
«Che
c'è?», domandai,
risistemando lo zaino sulle spalle.
«Lo
sai che a casa
stanno iniziando a diminuire le scorte».
«Olivia
mi ha
detto che c'è stato un leggero calo rispetto ai mesi scorsi,
sì. Ma
sicuramente ce la stiamo passando meglio di chi vive accampato sotto
ad una scrivania», replicai, facendo spallucce.
«Rischi
di lasciarle qui per niente. Nessuno ti assicura che, chiunque fosse
qui, tornerà».
Allungai
un braccio all'indietro per
recuperare due cucchiai da una tasca laterale dello zaino. Ne feci
sventolare uno sotto il naso di Daryl. «Facciamo
così, allora:
una la mangiamo noi e una la lasciamo qui. Questo posto non
è male
e, sicuramente, prima o poi ricapiterà che si fermi
qualcuno. Se
possiamo aiutare qualche sconosciuto, perché no? Non
sarà un
barattolo in meno a farci morire di fame».
Daryl
si allontanò da me e si lasciò andare sul divano
malandato che si
trovava sotto la finestra. «Come ti pare».
Raccolsi
la lattina di fagioli stufati e mi sedetti accanto a lui, offrendogli
nuovamente il cucchiaio. Mantenni il barattolo sollevato tra noi per
attingervi a turno e iniziammo a mangiare in un silenzio complice.
Mentre masticavo mi guardai in giro, cercando di individuare cosa
avrei potuto portare via tra tutta quella roba. Sarebbe stato utile
prendere i fogli e la cancelleria, per la riapertura della scuola:
Sam sarebbe stata felicissima di avere del nuovo materiale con cui
poter lavorare. E Michonne avrebbe apprezzato quel blocco di
fogli per la progettistica,
dal
momento che lei e Rick avevano accennato ad un ampliamento delle
mura. Se avessimo setacciato anche il bagno, forse, avremmo potuto
trovare qualche scorta medica per l'infermeria.
Mentre
mettevo insieme un inventario tra me e me, Daryl continuava a
mangiare in silenzio.
«Non
sono tutti come i due che hai
incontrato nel bosco», mi venne da dire, all'improvviso.
Lui
alzò lo sguardo nel mio, senza nascondersi dietro a finte
espressioni sorprese e senza falsi interrogativi. Aveva capito
benissimo quello che volevo dirgli. Scrollò le spalle,
avvicinando
il barattolo a sé e scavandoci
dentro
col cucchiaio per guardare altrove.
«E
me lo stai dicendo
perché...?».
«Perché
ti comporti diversamente, da
quando li hai incontrati. Era da tanto che non ti vedevo
così
diffidente», ammisi con cautela.
«Essere
diffidenti ci
ha salvato il culo molte volte».
«È
vero, però mi
seccherebbe molto sapere che sono bastate due persone spaventate a
farti invertire la marcia sui reclutamenti», replicai, con un
sorriso. «Lo hai detto tu stesso, quella sera:
è stata
semplice sfiga e non sono tutti così. Ci hai forse
ripensato?».
«Ho
solo fatto due calcoli, a mente fredda... La paura rende stronzi e
gli stronzi sono una minaccia. Quella volta è andata bene
perché
c'ero solo io, ma avrebbero potuto aspettare, entrare ad Alexandria e
fare del male a qualcuno. Non mi va di correre ancora rischi inutili
e mettervi in pericolo». Quando smise di parlare,
ebbi
l'impressione che si fosse tolto un gran peso. Chissà da
quanto
covava quell'idea e chissà quanto ci aveva rimuginato
sopra.
«Sappiamo
difenderci», gli ricordai. Il fatto che Alexandria
fosse ancora
in piedi, dopo tutto quello che era successo, ne era la prova. A
prescindere da tutte le ricadute emotive del caso. «E stiamo
cercando di rimetterci in piedi dopo un brutto momento. Rialzarsi non
significa dimenticare il dolore della caduta, o che scompaia la paura
di cadere di nuovo».
Daryl
mi guardò di sottecchi. «Non
sembravi pensarla così, prima. Cos'è, la
Beth ottimista è già
tornata dalla vacanza?».
Appoggiai
il barattolo ormai
vuoto per terra e gli sorrisi. «Ha dovuto farlo, nel
momento in
cui hai iniziato a dire assurdità. Tu non potresti
mai metterci
deliberatamente in pericolo, Daryl, non l'hai mai fatto. Anzi, hai
salvato molti di noi, più volte. Una minima parte di rischio
c'è
sempre... Non vivremmo dove viviamo ora, se Aaron non avesse
rischiato. Fa parte del gioco». Gli sfiorai il volto
e la punta
delle mie dita passarono tra le ciocche della sua frangia
scompigliata. «Devi solo darti del tempo. Sono
sicura che,
quando le mura saranno di nuovo in piedi e torneremo alla
normalità,
tornerai là fuori a cercare persone. Perché
è questo ciò che fai,
è questo ciò che sei».
Sul
viso di Daryl c'era
un'espressione che poche volte gli avevo visto assumere: era distesa,
con un angolo delle labbra appena arricciato
in un sorriso e uno sguardo più tenero del
solito. L'azzurro
delle sue iridi che, fino a quel momento, era stato incupito dai
pensieri, si schiarì nuovamente. Mi ricordò il
cielo terso che si
apre quando il sole spazza via le nubi dopo una mattinata di pioggia
incessante. Si sporse col busto verso di me, sistemandomi una
ciocca di capelli dietro all'orecchio. Poi, cinse il mio volto con
una mano e mi baciò morbido, senza aggiungere altro.
Mi
sentivo molto meglio di quanto mi fossi sentita in quella settimana.
Riuscire a condividere certi stati d'animo con Daryl, rendermi conto
che anche lui poteva aver bisogno del mio ascolto, che potevo
aiutarlo a stare meglio, anche solo parlando... riusciva a spazzare
via qualsiasi pensiero negativo mi avesse tormentata in quei giorni.
Rassicurando lui, ero riuscita a rassicurare anche me stessa, a
ricordarmi che, qualunque cosa fosse successa, non sarei stata
sola.
«Andiamo?»,
chiese Daryl, schiarendosi la voce
dopo aver separato le nostre labbra.
Annuii,
allontanandomi da lui controvoglia. «Sai,
pensavo
di raccogliere
qualche materiale
di cancelleria, per la scuola. Potremmo anche
trovare qualche rifornimento per l'infermeria se
ci fermassimo un attimo a ricontrollare nel bagno».
Daryl
si alzò, offrendomi la mano per tirarmi su. Con un balzo,
fui di
nuovo in piedi.
«Okay»,
concesse, «ma cerchiamo di
spicciarci».
«Buongiorno,
stranieri!».
Il
mio corpo reagì prima che potessi rendermi pienamente conto
di
quella voce sconosciuta: con un gesto fulmineo, la mano destra
andò
a recuperare la pistola dalla fondina, spianandola davanti a me. Con
la coda dell'occhio, notai che anche Daryl era scattato in posizione
di difesa.
«Una
domanda veloce: siete stati voi a mettere
in sicurezza il perimetro, qua fuori?».
Daryl
non
rispose. Chissà che sguardo aveva, in quel momento. Di
sicuro non
molto amichevole.
«Lo
prenderò come un sì. Vi devo ringraziare,
è stato bello tornare e
trovare il cortile di casa libero dai masticatori. Posso...».
«Ce
ne stavamo andando».
«E
dai, amico, sto solo cercando di
avere una conversazione civile! Era da tanto che non mi succedeva di
avere degli ospiti. Non che mi dispiaccia essere un lupo solitario,
eh, ma quattro chiacchiere ogni tanto fanno sempre piacere e non
hanno mai ucciso nessuno».
«Lo
dici tu».
Durante
quello scambio, misi a fuoco il ragazzo davanti a noi: sembra avere
poco più di trent'anni, indossava un paio di camperos e,
sotto la
giacca di jeans, svettava su una maglietta il logo di qualche band
metal a me sconosciuta. Aveva i capelli neri e ricciuti, lo sguardo
era scuro e gentile. Ci sorrideva, per nulla intimorito dal proprio
svantaggio numerico; anzi, continuava a parlarci senza difendersi
dietro qualche arma, a differenza nostra. Lo studiai, per
cercare di capire se avesse qualche asso nella manica, nonostante
entrambe le braccia fossero abbandonate lungo i fianchi. Nel momento
in cui notai l'arma che lo sconosciuto stava tenendo
mollemente
appesa alla spalla, non potei fare a meno di sorridere. Continuai a
tenerlo sott'occhio, sporgendomi appena verso Daryl.
«Te
lo avevo detto, che ti avrei trovato un'altra balestra».
Note autrice
Ciao, a chiunque stia
leggendo. Sono passati quattro anni dall'ultimo aggiornamento e
l'ultima cosa che credevo è che, un giorno, sarei tornata a
pubblicare.
Un po' perché ho
avuto un blocco enorme che non mi ha permesso di scrivere nemmeno una
riga, un po' perché l'entusiasmo per The Walking Dead
è scemato nel tempo, a causa delle ultime stagioni che - a
mio parere - non hanno nulla da spartire con le prime. Non mi hanno
appassionata come le prime e quindi anche la mia voglia di scrivere di
questo mondo mi ha abbandonata per tanto tempo.
Il fatto, però, che
la storia principale sia conclusa e che, per sapere come finisce, io
abbia recuperato il tutto... mi è servito a riprendere in
mano questa storia. Anche perché il mio ammore per i Bethyl
è sempre stato lì, nonostante non sia riuscita a
scriverne per tanto tempo. Ad ogni modo, per chiunque sia ancora qui:
SCUSATE.
Passando al capitolo... ci
sono praticamente solo Beth e Daryl perché io per prima ho
avuto bisogno di riprendere confidenza con loro due, ora che sono
diventati essenzialmente una coppia. La trama non è andata
avanti più di tanto, me ne rendo conto, ma spero abbiate
apprezzato questa panoramica del loro rapporto e di come stiano
cercando entrambi di rapportarsi all'altro, alla luce
dell'avvicinamento che c'è stato tra loro.
Guardando Daryl nelle ultime
stagioni, ho notato che si è lasciato andare, a livello
interpersonale, e che ha molto ridotto l'idiosincrasia per
affetto/emozioni/contatto fisico (specialmente grazie ai bambini). Ho
immaginato, quindi, che avrebbe potuto fare questa evoluzione anche
grazie a Beth, che si sarebbe ammorbito prima se le cose avessero preso
una piega diversa. Spero di non averlo snaturato, ecco.
Prima di lasciarvi, devo dire
un grazie E N O R M E a vannagio che ha
accettato di betare questo capitolo con grande disponibilità
e cura <3 e un grazie altrettanto grande ad AkaneT87 che con il suo
sostegno inaspettato via dm mi ha spronata a riprendere in mano questa
storia. E anche ad Ariane, che mi sprona sempre off-line <3
Dovrei riuscire ad
aggiornare tra un mesetto (questa volta mi rifiuto di far passare gli
anni, giuro); intanto ringrazio chiunque avrà
voglia di leggere e di lasciarmi un suo parere.
Alla prossima!
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