auto
Autoritratto
Aziraphale non si accorse di avere la
fronte aggrottata fin quando Crowley non gli sventolò una mano
davanti agli occhi facendogli subito distendere le fastidiose rughe
d'espressione che gliel'avevano contratta.
«Perdonami, caro,» offrì. «Mi sono
distratto. Dicevi?»
Il demone inarcò un sopracciglio e si
voltò nella direzione che aveva tanto catturato l'attenzione
dell'angelo. «Che c'è?» chiese poi, genuino.
Aziraphale si strinse nelle spalle:
«Quei giovani,» disse, indicando con un cenno del mento due ragazzi
seduti a un tavolo non troppo distante dal loro divanetto ad angolo.
«Non li capisco.»
Crowley snodò il collo fino a
incontrare con gli occhi il duo. «Che hanno che non va?»
L'angelo non l'avrebbe messa su quel
piano così drastico, non credeva che ci fosse qualcosa di
propriamente sbagliato in loro, ma decise di non chiarificare
e piuttosto giungere al punto. «Potrebbero mangiare: hanno ordinato
quei bellissimi e gustosi cupcake alle more, ma perdono tempo a usare
quel dispositivo per soddisfare la loro vanità». Aziraphale
fece schioccare la lingua sul palato. «Non ha senso, davvero.»
«Soddisfare la loro vanità?» gli
fece eco Crowley con già il sorriso sulle labbra. «Angelo, si
stanno solo facendo un selfie.»
Aziraphale prese un irritato respiro
dal naso: preferiva i bei vecchi autoritratti su tela.
«E non è forse espressione di
vanità?» disse, logico, prima di portarsi il cucchiaino farcito di
mousse alla bocca. «Non li avete inventati voi?»
«Li ho inventati io,» Crowley
ridacchiò. «Parola mia, quei due stanno solo immortalando il
momento.»
Aziraphale tornò a fissare i giovani:
uno aveva appena tirato fuori la lingua in una boccaccia e l'altro
esibiva un ben poco fine dito medio alla fotocamera.
«Si stanno divertendo,» intervenne
Crowley in fretta prima che lui potesse dire alcunché.
«Non è un divertimento che
comprendo,» disse prendendo un altro assaggio di mousse.
«Questo non lo rende meno valido,
angelo.»
Scoccò al demone un'occhiata
glacialmente neutra, ma non disse niente per almeno un minuto intero,
fino a quando i due ragazzi presero nuovamente in mano il loro
lucidissimo dispositivo elettronico – smartphone, gli venne
in soccorso il pensiero – per scattarsi un'altra foto: Aziraphale
non riuscì a trattenersi.
«Io non sto usando una macchina
fotografica per immortalare questo momento,» fece notare con
ovvietà. «Eppure lo ricorderò perché sarà qui.» si picchiettò
la fronte con l'indice. «Non mi serve una foto. Soprattutto
non un selfie. È tutto così... superficiale.»
Crowley ghignò. «Tu, invece, sei
superiore a questa... fatua vanagloria, no?» disse,
assaporando le parole una a una.
«Certamente,» si pavoneggiò l'angelo
prima di servirsi l'ultimo boccone del suo dolce, non senza aver
lanciato l'ennesimo sguardo supponente ai due giovani ragazzi che
finalmente avevano deciso di dedicarsi ai loro cupcake. Il suo
compare, invece, si dimostrò improvvisamente interessato al proprio
oggettino tecnologico.
«Anche tu, adesso?» saltò su
Aziraphale, indignato. Non poteva crederci: non aveva invitato
Crowley in pasticceria per vederlo distratto. L'angelo era sicuro di
non meritare un trattamento del genere. «Non mi hai ascoltato,»
dovette concludere con irritata incredulità.
«Ma sì che ti ho ascoltato,» ribatté
Crowley, divertito, mentre pigiava la superficie luminosa. «Voglio
solo farti vedere che non è così demoniaco come credi, farsi i
selfie.» Aziraphale fece per
parlare, ma il demone lo anticipò: «E poi, l'hai detto tu: sei
superiore a tutto questo. Sono sicuro che un solo selfie non
rovinerà la tua irreprensibile reputazione.»
Questa volta Aziraphale fu più che
consapevole di aver aggrottato la fronte, ma non gli fu concesso di
esprimere il suo stupore: Crowley sollevò fulmineo la mano con lo
smartphone proprio davanti
all'angelo, gli scivolò più vicino e puntò allo schermo con
un'impercettibile inclinazione del capo.
«Dovresti sorridere,» sibilò tra i
denti, rimanendo perfettamente immobile per non rovinare la sua posa.
Aziraphale si vide afflosciare le
spalle nell'immagine riflessa sul telefono. Voleva solo mangiare la
sua mousse, non perdersi in quisquilie senza alcun senso!
«Non intendevo dire che i selfie
fossero esattamente demoniaci,
Crowley,» cantilenò, evitando il più possibile di incrociare il
proprio sguardo o quello del demone sullo schermo. «Io volevo solo
sottolineare quanto fossero un... un... un ricettacolo di
vanità e–»
«Angelo.»
Aziraphale tacque all'istante ed emise
un sospiro. «Uno solo,» precisò, l'indice alzato a dettare
condizioni mentre Crowley annuiva rigido il suo assenso.
L'angelo si guardò sullo schermo
davanti a sé e si sistemò il papillon, ravvivò lievemente i
riccioli con movimenti rapidi e raddrizzò la schiena. Mosse il volto
prima a destra e poi a sinistra, l'espressione concentrata a
stabilire l'angolazione migliore da cui farsi riprendere. Il
problema, si disse, era la luce del locale in quel particolare punto
della sala: era lievemente buio. Andava bene per creare un'atmosfera
intima, un rifugio discreto per chiunque volesse passare piacevoli
ore in compagnia straniandosi un poco dalla folla più chiassosa, più
esuberante dei tavoli centrali, ma non esaltava minimamente i tratti
delle persone che intendevano scattarsi una foto.
Fu sul punto di procedere con un
miracolo minore per sistemare quel piccolo inconveniente, ma non ebbe
troppo tempo per riflettere: senza alcun preavviso, Crowley
picchiettò il telefono, lo schermo lampeggiò e si udì un'eco di
una macchina fotografica in funzione.
«Crowley!» protestò, indignato,
quando intuì cosa fosse appena accaduto. «Non ero ancora pronto!»
Il demone esibì un'espressione di
finto rammarico. «Scusa, colpa mia,» disse mettendosi una mano sul
cuore. «Ho pensato che avessi finito con la toeletta.»
L'occhiataccia di Aziraphale fu sufficiente a zittirlo solo per un
paio di secondi, il tempo di fargli gettare uno sguardo al telefono.
«Guarda: non sei in posa,» continuò contrito, offrendogli la
visuale sul selfie appena
scattato. In foto il Principato sembrava esser stato colto così di
sorpresa da risultare persino spaventato da quello che era appena
successo. Aziraphale non riuscì a trattenere una smorfia: gli occhi
corrucciati, la bocca schiusa in una tardiva protesta e la postura
disorganizzata lo facevano sembrare più antiquato e arcigno di
quanto fosse in verità.
«Che peccato che tu abbia acconsentito
a un solo selfie, angelo,»
proseguì Crowley, l'aria sempre più dispiaciuta. «Tutto quello
sforzo estetico... puff, in fumo.»
Aziraphale poteva avvertire il ghigno
beffardo del demone anche senza guardarlo. Fiutava il pericolo dietro
quelle provocazioni, sapeva cosa stesse cercando di fargli ammettere
– qualcosa che, nel profondo, l'angelo doveva ammettere essere
realtà, ma mai avrebbe ceduto a un tale affronto, mai avrebbe
confessato che non gli piaceva l'idea che Crowley conservasse sul suo
aggeggio telefonico una foto che gli rendeva così poca giustizia,
che addirittura lo ridicolizzava.
«Io ho acconsentito a un solo selfie
fatto bene, non uno a
tradimento,» ribatté dunque, evitando di considerare il
leggero disagio che quella mezza verità gli provocava. «Tu mi hai
tratto in inganno, non è affatto giusto.»
Aziraphale conosceva bene il sorriso
che Crowley stava esibendo e avrebbe potuto giurare che in nessun
secolo in cui gliel'aveva visto stampato in viso ne aveva apprezzato
la sfumatura furbesca. Quando il demone parlò, mellifluo e
innocente allo stesso tempo, l'angelo capì che nemmeno il
ventunesimo avrebbe fatto eccezione.
«Che cosa proponi di fare, allora,
angelo?»
Aziraphale inspirò dal naso, sempre
più conscio di aver attivato la trappola che aveva cercato
cautamente di aggirare: Crowley aveva appena scaricato su di lui la
responsabilità della scelta, gli aveva conferito il potere di
chiudere lì la questione, con una brutta foto come ricordo, o di
proseguire a costo di contraddirsi.
Lo fissò in tralice per un attimo
primo di sospirare avendo cura di apparire irritato. «Io propongo di
rispettare i patti: faremo un altro selfie – cioè, il
selfie, l'unico, quello per cui ho detto sì,» si corresse
velocemente, allarmato dal ghigno sempre più pronunciato del demone,
«e tu non farai niente per indurmi a farne ancora.» Aziraphale
poteva quasi vedere la replica pungente di Crowley in tutta la sua
postura, ma la lezioncina sul libero arbitrio e sul fatto che non
l'avesse minimamente tentato a fare qualcosa che non avesse deciso da
sé gli venne risparmiata.
Il demone sollevò di nuovo il telefono
e lo posizionò davanti a loro, aggiustando il braccio per includerli
entrambi nell'inquadratura e mostrando alla fotocamera lo stesso
sorriso e lo stesso sguardo ammiccante che aveva esibito al primo
tentativo. Aziraphale fu colpito dalla velocità con cui Crowley
aveva ritrovato la sua posa: era estremamente consapevole della sua
immagine e di come apparisse in quella precisa disposizione. L'angelo
si concesse il lusso di invidiare quella sicurezza, a lui
completamente estranea. Non importava che il suo cappotto fosse
splendido come al solito e che il papillon ordinatamente annodato
intorno al collo, il panciotto e l'orologio da taschino gli
restituissero un'eleganza perduta da un secolo: la foto scartata gli
aveva dimostrato con empirica infallibilità che bastava un dettaglio
fuori posto, uno qualunque, per farlo apparire sciatto e poco curato.
Stornò lo sguardo, nascondendolo al
demone che, ne era certo, avrebbe ricostruito al volo tutti i suoi
pensieri e l'avrebbe chiamato vanitoso, con tutte le ragioni
del mondo a suo favore, ma ormai non ammettere l'evidenza era una
pura e semplice questione di principio, nonostante Crowley avesse
indovinato tutto prima ancora che Aziraphale si scoprisse da solo.
Gli occhi intercettarono per caso i due
giovani che avevano inconsapevolmente dato il via a quell'alterco e
Aziraphale non si stupì affatto, stavolta, che avessero di nuovo il
telefonino in mano e fossero intenti a scattarsi l'ennesima
fotografia del pomeriggio. Era probabile che adesso fosse anche colpa
loro, che associandosi alla loro attività da adulti l'avessero, di
fatto, legittimata. L'angelo, tuttavia, non poté fare a meno di
notare qualcosa di diverso nelle pose che i ragazzi avevano ora
assunto: mancavano quelle inutili volgarità che prima avevano
qualificato un passatempo già di per sé discutibile. Adesso erano
state sostituite da un goffo bacio sulla guancia del meno posato dei
due, che fingeva di essere stupito da un tale slancio da parte
dell'altro solo per amore della costruzione scenica. Aziraphale non
riuscì a reprimere – né volle farlo – il moto di istintiva
tenerezza che lo colse quasi di sorpresa e che gli fece accennare un
sorriso spontaneo: poteva percepire l'affetto emanare da loro e
fluire nella sua direzione con calore.
Stanno solo immortalando il momento,
si stanno divertendo, aveva assunto Crowley. Forse, e solo
forse... poteva aver avuto ragione, anche se non glielo avrebbe mai
detto.
«Sssto aspettando»
Il sibilo impaziente del demone al suo
fianco gli fece distogliere lo sguardo dai ragazzi per puntarlo su
Crowley.
«Ho bisogno di tempo, caro,» si
giustificò dopo attimi di ritardo, tornando a guardare subito in
camera. Corresse la luce del locale con un leggero movimento delle
dita e poi si dedicò alla sua posa, ma gli occhi, come attratti da
una forza che non avrebbe saputo spiegare di primo acchito, gli
vagarono ancora nella direzione da cui erano venuti e un'idea gli
balenò all'improvviso, un'idea folle e divertente insieme, un'idea
che forse sarebbe valsa la pena di essere messa in atto anche solo
per vedere l'effetto che avrebbe fatto.
E così, fingendosi ormai pronto allo
scatto, baciò fulmineo la guancia di Crowley, troppo tardi perché
l'altro potesse scegliere di non pigiare il pulsante. Attese qualche
secondo dal rumore dello scatto prima di separasi con un sorriso
innocente e soddisfatto a un tempo a colorargli il viso. Lo stupore
del demone, al contrario di quello del ragazzo poco distante da loro,
non era affatto finto: gli occhi sgranati e la bocca scioccamente
aperta erano autentici segni di tutta la sua confusione.
«Ti sembra che fossero questi i
patti?» riuscì a dire dopo qualche attimo di puro, atterrito
silenzio. «Questo è un selfie fatto bene?!»
Aziraphale ebbe la prontezza di
accigliarsi nonostante tutto. «Ho solo preso spunto da loro,
tesoro,» spiegò con un cenno del capo, la voce leziosa che stonava
con l'aria da santo. «Sono esperti della materia, mi sembra di
capire, quindi mi sono ispirato. Io non ho una posa come la tua,
d'altronde.»
Crowley non parlò, né si mosse per
quello che ad Aziraphale sembrò un minuto intero, forse di più. Era
convinto che dopo, in effetti, avrebbe detto qualcosa – qualsiasi
cosa –, ma non avvenne. Il demone si limitò a rimettersi in tasca
il telefonino e a scuotere la testa disarmato, troppo sconvolto per
punzecchiarlo ancora.
«Ti concedo di rifarlo se non ti
piace,» gli disse lui allora, incapace di resistere.
Tutto quello che gli arrivò in
risposta fu un grugnito di disapprovazione, a cui Aziraphale non poté
fare a meno di sorridere: aveva vinto – di nuovo – lui.
Angolino di Menade Danzante:
Ciao!
Questa storia partecipa alla
ToBeWritingChallenge2023 indetta da Bellaluna sul Forum delle Penne
con il tema OTP!
Vi ringrazio per essere arrivat* fin
qua!
Alla prossima!
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