La mattina
successiva, mercoledì 23 Dicembre, l’avvocato
tentò di ritardare più possibile
il momento in cui Tina sarebbe dovuta andar via. Riuscì a
trattenerla fino a
pranzo, adducendo come valido motivo che non si sarebbero riviste fino
al 30
Dicembre. In verità avevano trascorso praticamente tutta la
mattinata a letto a
rotolarsi tra le lenzuola. Tina aveva preso le ferie il giorno prima,
l’Università non avrebbe riaperto fino al 7
Gennaio. Giulia invece aveva
chiamato in ufficio ed aveva avvertito la segretaria di spostare gli
appuntamenti che aveva per quel giorno, dato che non sarebbe andata a
lavoro a
causa di una fastidiosa indigestione. Tina aveva cercato di rivestirsi
e metà
mattina, per sgattaiolare in cucina a fare colazione, ma
riuscì appena ad
infilare i jeans, prima che Giulia la riacciuffasse, la spogliasse e la
rituffasse a letto assieme a lei. Salvo poi, essere intenerita dai suoi
occhioni luccicanti, e quindi scendere lei stessa in cucina per
prepararle la
colazione e portargliela su, direttamente a letto. Dopo pranzo, Tina
decise di
rivestirsi e Giulia non le si oppose, anzi rimase seduta a gambe
incrociate al
centro del letto, godendosi lo spettacolo della sua ragazza, che si
liberava
velocemente della tuta che lei le aveva prestato, rimanendo per qualche
istante
completamente nuda, per poi rientrare nei propri vestiti.
L’accompagnò
alla porta e la trattenne lì per altri cinque minuti,
bloccata con le spalle
contro lo stipite dal suo corpo, mentre la baciava. Infine, Tina
guardò
l’orologio e capì che doveva proprio andare.
Riuscì a fare in modo che Giulia
smettesse di ritirarla a sé, ogni volta che cercava di
superare la soglia
d’uscita, prospettandole l’eventualità
che avrebbe dovuto guidare di notte in
autostrada, in un giorno prefestivo in cui il mondo intero si sarebbe
riversato
in autostrada. L’avvocato sospirò ed
alzò entrambe le mani arrendendosi e
lasciandola uscire, non prima di averle raccomandato di guidare piano.
Come
aveva
previsto, Tina arrivò a Napoli a sera inoltrata.
Trovò a fatica un posto per
l’auto, nei dintorni del vecchio palazzo scrostato in cui
ancora vivevano i
suoi genitori. Si erano trasferiti lì quando lei aveva solo
dieci anni,
all’epoca la zona era tranquilla, al centro ma non troppo,
vivace ma non
trafficata. Con il tempo era un po’ degradata, avevano aperto
qua e là sale da
scommesse e sale giochi, frequentate da persone non troppo
raccomandabili.
Tuttavia i suoi genitori, si ritenevano ormai troppo grandi e stanchi
per
affrontare un altro trasloco, tanto più che casa loro era
grande, luminosa ed
aveva pure un piccolo terrazzino a livello.
Si
trascinò
fino al portone con un borsone blu che le pendeva dalla spalla sinistra
ed aprì
con le chiavi, che ancora conservava per le emergenze.
Davanti
alla porta, però, preferì bussare,
cosicché a sua madre non venisse un colpo
nel vedersela arrivare davanti. La porta si aprì dopo
qualche minuto.
“Tina!
Entra a mammà,
entra” la madre,
Rosaria, la trascinò dentro per un braccio “Hai
fatto tardi. Hai guidato di
notte. Mannagg a capa toja, potevi
partire prima no?! Hai mangiato? Stai stanca?”.Tina si
lasciò travolgere dalle sue domande, mentre la osservava.
Era alta, forse
qualche centimetro più di lei addirittura, e smilza. Aveva
il viso ovale,
allungato e un po’ scavato sulle guance, e delle rughe che le
segnavano la
bocca. Gli occhi, di un verde scuro come il fondo di una bottiglia,
Tina glieli
aveva sempre invidiati, erano tremendamente espressivi. I capelli,
invece, neri
come la notte e crespi, era sempre stata contenta di non averli
ereditati. Non
avrebbe saputo come domarli ed infatti la madre non li domava affatto,
li
lasciava liberi di prendere di giorno in giorno la forma che
più li aggradava.
Tina non aveva mai sopportato la parlantina di sua madre, quel suo
porre
infinite domande senza attendere risposta. Si rendeva conto che a volte
anche
lei partiva in quarta e le assomigliava, in quei momenti si mordeva
forte la
lingua e si malediceva. Tuttavia, sua madre le era mancata, quindi le
sorrise
sinceramente contenta di rivederla e si sporse per abbracciarla.
“Ciao
mamma”
le disse piano accanto all’orecchio.
Rosaria si
sciolse di fronte a quell’abbraccio, sapeva che la figlia non
si lasciava
andare spesso a certe effusioni, così lasciò
perdere tutte le domande e si
limitò a ricambiare la stretta.
“Poso
la
borsa in camera e vi raggiungo” disse Tina, dopo essersi
divisa dalla madre
“Papà è in salone a guardare la tv,
giusto?”
“Eh,
e quanno ‘u schiuov a chill
‘a còppa ‘o
divan” la madre agitò le mani in aria
con un chiaro segno di disappunto,
mentre si avviava verso la cucina “Fa
amprèssa ja, che io intanto ti riscaldo la
pasta”
Tina
non
ebbe il tempo di protestare che aveva già cenato,
poiché la donna scomparve
lungo il corridoio. Raggiunse, quindi, la sua vecchia stanza, che i
genitori
non avevano voluto cambiare di un millimetro. Odorava di pulito e non
c’era
neanche un granello di polvere, segno che probabilmente la madre aveva
passato
tutta la mattina a prepararla per il suo arrivo. Lasciò il
borsone ai piedi del
letto e raggiunse i suoi.
Entrò
in
salone quasi alla cieca, la luce era spenta, soltanto le immagini che
si
susseguivano sulla televisione accesa creavano una certa penombra.
Nell’angolo
più lontano del divano intravide la sagoma di suo padre. Si
fermò con la spalla
poggiata accanto allo stipite in silenzio, volendo vedere per quanto
tempo il
padre sarebbe riuscito a non notare la sua presenza. Gigi, diminutivo
di Luigi,
era l’esatto opposto della moglie, fisicamente e
caratterialmente. Il cranio
era ormai quasi del tutto lucido, solo una sottile corona di capelli
ingrigiti
gli circondava la nuca. Il viso era sempre sbarbato, se non fosse stato
per due
enormi baffi, anch’essi ingrigiti, che gli nascondevano del
tutto la bocca.
Aveva le guance piene e un po’ cadenti, sempre colorate di un
tenue rosso, cosa
che Tina aveva ereditato, assieme agli occhi dal taglio un
po’ allungato e di
un caldo marrone. In quel momento teneva il telecomando in bilico sullo
stomaco, che poi tanto in bilico non era visto che il suo stomaco era
più
spazioso del tavolinetto accanto al divano. Aveva il fisico del
pensionato, o
del giocatore di bocce che dir si voglia, con una pancia tonda e
pronunciata.
Dopo cinque minuti, Tina capì che non avrebbe mai ottenuto
l’attenzione di suo
padre senza palesarsi chiaramente nella stanza. Così si
mosse piano fino ad
arrivargli dietro le spalle.
“Ciao
papà”
mormorò abbassandosi e lasciandogli un bacio su una guancia
bollente.
“Oh,
piccerè”
reagì l’altro sorpreso ,
girando di poco il collo grassoccio verso di lei “Mi pareva
di aver sentito la
porta. Vieni qua, vieni” batté una grossa mano sul
divano accanto a lui.
“Come
stai?” domandò Tina, facendo il giro del divano e
sedendosi al suo fianco.
“Eh,
come
devo stare. La gamba mi da problemi, ma non mi lamento. Lo sai che
quella è
cosa che fa tua madre” un tremolio dei baffi
suggerì a Tina che stesse
ridacchiando.
Si
unì in
silenzio alle risate del padre.
“Ti
sono
arrivati i soldi, sì?” riprese un attimo dopo
Gigi, con gli occhi fissi
nuovamente sullo schermo piatto della tv.
“Sì,
papà.
Grazie”
“E
con la
scuola, come va? Stai studiando, sì?”
“All’Università va tutto
bene” Tina marcò
volutamente l’accento, ben sapendo che comunque il padre non
ci avrebbe fatto
caso. Per lui ogni tipo di studio si compiva indifferentemente a scuola “Mi sono iscritta a
Settembre
al primo anno di dottorato”
“Brava
a papà, brava”
Tina
sentì
un rumore in corridoio, un ciabattare veloce ed un attimo dopo
intravide
l’ombra di sua madre sulla soglia della porta, che stringeva
un vassoio tra le
mani.
“Ma c ‘ré chisto campusanto?”
si lamentò,
prima di sporgere un gomito verso l’interruttore a parete ed
accendere la luce.
“Rosa’!”
protestò l’uomo burberamente.
“Eh
Gigì,
ho portato la cena pe ‘a nennella,
mica può mangiare al buio” così dicendo
poggiò il vassoio che reggeva in mano
sul tavolino basso davanti al divano.
L’uomo
bofonchiò qualcosa da sotto i baffi, fece tremolare le
guance, infine riportò
gli occhi sullo schermo, isolandosi da tutto il resto.
“Mamma,
non
c’era bisogno. Ho mangiato un tramezzino al volo in
autogrill” le spiegò Tina.
“Un
tramezzino, e mica puoi andare a dormire solo con un tramezzino nello
stomaco”
protestò Rosaria con disappunto, mentre si sedeva accanto a
lei e cominciava a
scoprire i piatti “Guarda, qua ci sta la pasta al forno, ti
ho portato due
polpette e poi qua ci sta la parmigiana di melanzane”
“Mamma,
sono le dieci e mezza di sera” le fece notare Tina con un
tono tra l’ironico e
l’incredulo.
“Tié, mangia a
mammà” le piazzò una
forchetta in mano e la invitò con lo sguardo
ad approfittare di quel ben di dio che le aveva messo davanti
“Chissà da quanto
tempo non fai un pasto decente. Ti vedo un po’ dimagrita, ma
stai mangiando?
Prima che te ne vai ti preparo qualche ruoto di pasta al forno, una
pizza
imbottita e una lasagna. Te li porti, così stai a posto per
qualche giorno”
“Qualche
giorno?!” ripeté la figlia scettica
“Potrei starci a posto per settimane, se
non fosse che dopo un paio di giorni sarebbero comunque da buttare,
prima che
io sia riuscita a consumarne nemmeno la metà”
“Vabbé” Rosaria
agitò le mani per aria
“Poi ci pensiamo, mangia mo’
” Tina scosse
la testa avvilita, ma non poté far altro che accontentarla.
Più
tardi,
quando riuscì a convincere sua madre che sarebbe anche
potuta scoppiare se
avesse mangiato solo un altro boccone di parmigiana, si concesse una
velocissima doccia, prima di infilarsi a letto. Fu solo allora, nella
tranquillità e nel silenzio della sua stanza, che prese il
cellulare per
chiamare Giulia. L’avvocato rispose dopo nemmeno mezzo
squillo.
“Amore! Sei
arrivata? Cominciavo a preoccuparmi, è tardi. Hai avuto
problemi? Stai bene?
Come è andato il viaggio? Perché non hai chiamato
prima?”
“Dio,
Giulia! Per piacere, sembri mia madre” ridacchiò
Tina posando la testa sul
cuscino ed incrociando il braccio sinistro dietro la nuca
“Prendi fiato e dammi
tregua”
Giulia
prese un profondo respiro e lasciò il divano per andare al
piano di sopra e
sedersi al centro del letto con le gambe incrociate.
“Scusami.
E’ solo che stavo in pensiero” le
spiegò, ora con voce più pacata.
“Lo
so,
anzi scusami tu. Avrei dovuto chiamarti prima, avevo promesso che
l’avrei fatto
appena arrivata, ma poi mia madre …”
lasciò sfumare la frase con tono
contrariato.
“Tua
madre
… cosa?” indagò l’altra.
“Niente,
mi
aveva preparato la cena e non si è arresa finché
non l’ho accontentata
mangiandone almeno metà. Credo che
vomiterò” biascicò stancamente.
“Povero
tesoro” la blandì Giulia “Come stanno i
tuoi? Tutto bene?”
“Sì,
stanno
come al solito. Ogni volta che torno a casa mi sorprendo sempre che,
nonostante
io manchi per mesi interi, le cose qui sembrano essere immutabili. I
grembiuli
di mia madre, il divano di mio padre, i loro battibecchi …
tutto sempre uguale”
rifletté con una vena amara.
“E
… non è
… un bene?” domandò infatti Giulia, con
voce incerta.
“Non
saprei” ammise Tina, sospirando “Se un giorno io e
te dovessimo ridurci così,
credo che ti lascerei”
“Impossibile”
replicò istantaneamente Giulia.
“Perché?”
chiese Tina, incuriosita dalla sua sicurezza.
“Perché
io
non porto i grembiuli”
“Scema!”
Risero
insieme, sentendosi in quel modo un po’ più vicine.
“Adoro
la
tua risata” confessò d’impulso Giulia.
“Solo
perché mi si formano le fossette ai lati della
bocca?” ribatté furbamente Tina.
“No,
perché
significa che sei felice” chiarì l’altra
con voce fin troppo seria “E poi, si,
anche per le fossette … sono da prendere a morsi”
aggiunse con tono più
leggero.
Tina
sorrise e si rotolò nel letto per piegarsi sul fianco
sinistro.
“Dove
sei?”
chiese intanto a Giulia.
“A
letto.
Tu?”
“Anche
io.
Non ti ho svegliata, vero?”
“No.
Ero
giù sul divano a far finta di guardare la tv, mentre
aspettavo la tua chiamata”
Tina
stava
per ribattere qualcosa, ma uno sbadiglio trasformò le sue
parole in un mugugno
indistinto e comico.
“Sei
stanca” commentò Giulia con una nota tenera che
rese il suo tono basso e
carezzevole.
“Guidare
così a lungo mi distrugge” le confessò
Tina con voce strascicata.
“Riposati,
allora. Ci sentiamo domani”
“Ma
no,
posso restare un altro po’ ”
Tina
non
ebbe il tempo di finire la frase che un altro sbadiglio la costrinse a
stringere gli occhi e spalancare la bocca. Giulia se ne accorse e
ridacchiò.
“Sogni
d’oro, amore mio” le augurò
affettuosamente.
“Buona
notte” rispose Tina con la voce bassa e roca di chi sta
già per addormentarsi.
La
mattina
successiva, Tina arrivò in cucina guidata
dall’odore di caffè. Poteva sembrare
stupido, ma le pareva che il caffè preparato da sua madre
avesse un odore del
tutto diverso da quello che preparava lei stessa a Siena. Era
più intenso, più
deciso e sapeva di casa.
“
‘Giorno”
biascicò tra uno sbadiglio, sedendosi al piccolo tavolo
della cucina.
“Buongiorno
piccerè” la
salutò suo padre ancora
in pigiama come lei, abbassando solo un lembo del quotidiano che stava
leggendo
per poi trincerarsi nuovamente dietro la carta stampata.
La
madre,
invece, era in piedi accanto ai fornelli già completamente
vestita e con
indosso uno dei suoi soliti grembiuli. Rimestava e spadellava con una
vivacità
che Tina si chiedeva spesso dove riuscisse a prendere già di
prima mattina.
“Ah,
ti sei
alzata” le disse con un piccolo sorriso distratto, mentre
accendeva ancora un
fuoco sul fornello, l’ultimo ormai disponibile.
“Uhm
…”
Tina alzò semplicemente il mento con gli occhi ancora velati
di sonno “Non ho
dormito granché, ho avuto i crampi allo stomaco per tutta la
notte”
“E
quella
sarà stata la fame” proruppe Rosaria con il suo
marcato accento napoletano “Mo’
ti preparo la colazione”
Non
le
diede nemmeno il tempo di parlare, che le mise davanti la sua tazza di
Snoopy,
che aveva conservato proprio per quando la figlia tornava a casa, e ne
riempì
il fondo con qualche dito di caffè.
“Mamma,
veramente credo che sia proprio il contrario”
tentò di farle notare Tina “Ieri
sera ho mangiato troppo”
“Ti
ho riscaldato
il latte, però mi sono dimenticata di comprare la
Nutella” continuò a dire
Rosaria, versandole il latte fumante nella tazza.
“Ma lo sai
che io il latte lo bevo freddo” protestò la
ragazza, facendosi un po’ indietro
affinché la madre non le bruciasse il braccio con il
bollilatte rovente.
“Ma
con
questo freddo, d’inverno! Tu perciò stai sciupata,
mangi male” Rosaria posò il
bollilatte e si avvicinò ad un pensile accanto alla cappa
aprendone le ante
“Che ti posso dare a
mammà, qua ci
stanno solo i biscotti integrali che il medico ha dato a tuo padre. E
lo sai
che io non mangio roba dolce” rifletteva tra sé
lisciandosi il grembiule sulle
gambe con entrambe le mani.
Tina
alzò
gli occhi al cielo, sentiva che stava per venirle mal di testa. La
notte in
bianco e le smanie di sua madre stavano formando una miscela esplosiva.
“Non
fa
niente, mamma. Berrò solo il latte” le rispose
conciliante, con un lungo
sospiro.
“No
no, e
come ci arrivi a stasera. Lo sai che il giorno della Vigilia a pranzo
non si
mangia, perché si fa il cenone”
s’inalberò la donna “Aspetta, vado a
prendere
la scatola di biscotti che tengo nascosta in camera da letto per quando
viene
qualcuno” le disse poi a bassa voce con aria cospiratrice.
Tina
alzò
un sopracciglio.
“Perché
hai
una scatola di biscotti nascosta in camera da letto?”
“Così
tuo
padre non la trova” le rispose l’altra con tono
ovvio, prima di sparire oltre
la porta.
Più
tardi,
Tina era in camera sua che si stava vestendo, quando le
squillò il cellulare.
Guardò il nome sul display e sorrise.
“Mi
chiedevo proprio quando mi avresti chiamata” disse, non
appena ebbe accettato
la chiamata.
“Conoscendoti,
ho aspettato dopo le undici per non svegliarti” le rispose a
tono la voce di
Giulia.
Tina
sorrise a labbra strette e sedette sul letto guardando fuori della
finestra.
“Dove
sei?”
chiese alla sua ragazza.
“In
macchina, diretta a Montepulciano. Resterò lì
fino al 26, visto che tu non ci
sei, ho deciso di accontentare mio padre che si lamenta sempre di non
vedermi
abbastanza” Giulia lasciò andare un sospiro
malinconico.
“Com’era
quel detto?! Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi …
ricordamelo quando sarà
il momento” ribatté Tina storcendo un
po’ il naso.
L’avvocato
rise di gusto, con quel suo tono un po’ gutturale.
“E
chi ti
molla. Ti legherò al letto, se sarà
necessario” assicurò con ancora un accento
ilare nella voce.
“Avvocato
Dardi!” la chiamò Tina, con tono scandalizzato
“Non credevo che si desse a
pratiche sadomaso”
“Sei
tu che
mi ispiri particolarmente, mia cara” rispose
l’altra senza minimamente
scomporsi, mentre le compariva un sorriso vagamente storto e malizioso.
“E
io che
credevo di ispirarti dolcezza” sospirò Tina,
fingendosi offesa.
“Quello
sì,
ma fuori dal letto” continuò a stuzzicarla Giulia,
che intanto faticava a trattenersi
dal ridere.
Tina
unì le
sopracciglia in un’espressione curiosa e divertita.
“Ah
sì. E,
invece, sotto le lenzuola cosa ti ispiro?”
cantilenò con voce fin troppo
ingenua per essere reale.
“Preferirei
mostrartelo, non appena tornerai a Siena”
tergiversò sadicamente Giulia.
“E
se io
non volessi?” la sfidò Tina.
“Farò
in
modo che tu lo voglia” la freddò Giulia, con voce
bassa e carezzevole.
Tina
deglutì un paio di volte, poi si schiarì la voce.
“Non
ti ho
ancora fatto gli auguri” rifletté ad alta voce.
Le
labbra
di Giulia si incurvarono istantaneamente in un sorriso compiaciuto.
“Cambi
discorso?” la punzecchiò.
“Non
è
triste che questo è il nostro primo Natale e non ci
scambiamo neanche i
regali?” continuò Tina, fingendo di non averla
sentita.
L’avvocato
scosse
la testa divertita, infine le concesse quel cambio di discorso,
segnando
mentalmente un punto a proprio favore.
“Ma
io un
regalo te l’ho comprato” la contraddisse.
Tina
arcuò
le sopracciglia con aria scettica.
“E
dove
sarebbe?”
“Controlla
nella
tasca laterale della tua tracolla”
“Stai
scherzando, vero?” reagì Tina, completamente
spiazzata.
“Controlla”
la incitò Giulia, ridacchiando del suo tono quasi allarmato.
Tina
mise
il telefono in viva voce e recuperò la sua borsa,
frugò per qualche istante
nella tasca che le aveva indicato Giulia e sentì qualcosa
sfiorarle la mano. Tirò fuori una scatolina quadrata, grande
quanto il pugno di una mano, rivestita da una carta rossa con delle
buffe renne con dei campanellini attaccati alle corna.
“Quando
l'hai messo qui dentro?” Tina
aveva poggiato il cellulare sul letto attivando il vivavoce,
così da poter avere entrambe le mani libere per poter
scartare il regalo.
“Che importa”
disse Giulia,
impaziente “Andiamo,
apri e dimmi se ti piace”
Nel mentre la ragazza si era già liberata della carta regalo
e stava aprendo il piccolo scatolino. Non appena alzò il
coperchio vide qualcosa luccicare.
“Giulia...” riuscì
solo a pronunciare con voce emozionata “ma
dove li hai trovati?”
Nella scatolina erano alloggiati due orecchini di argento a forma di
trowel, l'attrezzo che più di tutti rappresentava Tina, la
sua passione per l'archeologia e il suo lavoro. Ricordò di
aver parlato a Giulia di aver visto quegli orecchini un giorno in un
qualche mercatino di artigianato in giro per una fiera, e di non aver
colto al volo l'occasione di comprarli allora, senza essere
più riuscita a trovarli da nessuna parte.
“Ti
piacciono?”
l'avvocato non riusciva a trattenere l'impazienza nella voce, temeva
fosse troppo poco, temeva potessero non piacerle più.
“Sono
bellissimi!” Tina
si rigirava quelle piccole trowel tra le mani sorridendo proprio come
una bambina il giorno di Natale “Ma io
non ti ho fatto niente!”
realizzò all'improvviso, sgranando gli occhi pieni di senso
di colpa.
Giulia
finalmente si rilassò, si rese conto di star stringendo
spasmodicamente le mani sul volante e immediatamente allentò
la presa delle nocche. Fece un lungo respiro, ritrovando il suo solito
tono serafico e compiaciuto “Ho
già te, Tina...sei tu il mio regalo di Natale quest'anno”
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Queste due ancora si agitano nella mia mente, e ogni tanto scalpitano
per uscire fuori...il progetto di portare a termine questa storia non
l'ho mai abbandonato...spero che ci sia ancora qualcuno disposto a
leggere di questi due disastri di Tina e Giulia ;)
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