«Quindi… uhm, come dovrebbe
funzionare?»
Sulla bocca di Dustin ci sono gocce
d’imbarazzo e briciole di pan di zenzero.
Da sua madre, Steve ha ereditato
morbidi capelli da sogno e l’abilità di carbonizzare ogni ricetta;
ma con l’arrivo delle vacanze natalizie, per casa ci sono sempre
piatti colmi di biscotti comprati in drogheria, caramelle,
liquirizie e bastoncini alla menta piperita.
Dustin non ha mai visto tanto cibo
gratis tutto insieme. Prima ancora che l’attenzione venisse
catturata dalle dimensioni esagerate di Reggia Harrington, si
è riempito le tasche di bonbon.
Ora, però, mentre siede a uno sgabello
troppo alto della cucina, l’invito di Steve (I miei non ci sono,
vi va di venire a casa mia?) aleggia tra piastrelle e addobbi
colorati, come il canto indecente di una sirena alle orecchie di
marinai sprovveduti.
«Che ne so. Insomma, possiamo fare
quello che vi pare.» Da padrone di casa a
non-così-padrone-della-situazione il passo, comunque, è breve.
Eddie ride divertito – in mezzo a
ghirlande e lucine festose, sembra uno spirito maligno giunto per
rubare il Natale.
Li raggiunge in scivolata, con lo
swag di Tom Cruise[1]
se solo avesse venduto l’anima al diavolo.
Sulle spalle di Steve sbatte le mani.
Da dietro lo abbraccia, lento cala sul suo orecchio.
«Ucci, ucci, sento odor di
verginucci.»
«Non fai ridere, Munson.» Lui invece
sì, un po’ lo fa; perché la verginità, Steve, l’ha buttata in
seconda liceo tra le cosce di una scommessa in gonnella e una faccia
annebbiata dall’alcol. Nemmeno Nancy è stata la sua prima volta. O
la seconda.
Dustin nel frattempo balza giù dal
trespolo – dalle tasche una pioggia di caramelle che tintinna sul
pavimento incerato.
È adorabile nella sua goffaggine, nel
suo trotterellargli di fronte come un anatroccolo troppo cresciuto
che si appende al colletto della maglia e lo tira in basso, in un
bacio di menta e zenzero, così dolce da dargli alla testa.
E allora Steve smette di contare e
preoccuparsi di stronzate, che dopotutto in Calcolo ha sempre avuto
la media dello zero.
La porta si chiude sull’audacia di
Eddie. Delle risate scanzonate e dell’aria da gigolò infernale,
rimangono solo eco che rotolano e s’infrangono giù per le scale,
quando sale al primo piano e s’affaccia su una stanza grande il doppio
della roulotte di suo zio.
L’impianto acustico è di una
meraviglia da paura, che solo a guardarlo gli mette voglia di
attaccarci una chitarra e suonare fino a far tremare muri e
fondamenta. Sulla scrivania ci sono floppy disc sparpagliati e un
Macintosh nuovo di pacca – uno di quei regali anticipati, che
perlopiù serve a pulire la coscienza di genitori assenteisti coi soldi
ch’escono dal culo.
Perfino il letto è della misura di un
re.
Fermo sulla porta, Eddie se lo chiede
che ci faccia lì uno come lui, a cui basta uno sguardo per sporcare
quella vita d’alta borghesia.
«Ora che devi arrivare al dunque, non
fai più lo spaccone, eh, Munson?» Steve lo prende in giro; ma,
appollaiato come un giovane principe sull’ottomana a baule ai piedi
del letto, butta benzina su un fuoco che puzza di vergogna e
cassonetti.
Cazzo,
forse invece del nuovo album dei Metallica, come regalo sotto a un
albero di rotoli di carta igienica, avrebbe dovuto chiedere a suo
zio un’acqua di colonia.
«Oh! Mio! Dio!»
È Dustin a tirarlo fuori dalle
paranoie da pezzente. Dustin e la sua mano allacciata al polso,
Dustin e occhi di chi la magia del Natale è capace di vederla
ovunque.
«Devi provarlo, Eddie, quest’affare è
ad acqua!» urlacchia, strafatto di zuccheri ed eccitazione, mentre
lo trascina con sé sul materasso in una caduta tragicomica, che li
intrappola nel suo infinito ondeggiare.
«Come fai a non farti venire il mal di
mare a dormire su questo coso, Steve?» domanda il ragazzino.
«Te lo faccio vedere io il mal di
mare!»
In un attimo – e un tuffo da nuotatore
olimpionico – Steve è su di loro, un braccio incastrato sotto la
schiena di Dustin con cui lo rovescia su di sé, come una barca in
mezzo a una tempesta di mani e piedi e labbra che lo azzannano
giocose.
Quando torna la calma, Eddie ha un
gomito piantato nelle costole e Steve un leoncino di mare spiaggiato
sul torace.
Munson si sporge a rubare un bacio da
entrambi e in quel Natale da reali, un posto per sé lo trova anche
lui.
Dustin scivola sdraiato tra Eddie e
Steve, su un materasso che un po’ li culla e un po’ minaccia di
ingoiarli e tenerli in ostaggio per l’eternità.
Immagina ci siano modi peggiori di
morire – Vecna e Demogorgoni in cima alla lista –, ma a preoccuparlo
per una volta non è il futuro, quanto invece un adesso che sa di
aspettative.
Per Dustin l’età è sempre stata solo
un numero, superato da un QI da fare invidia e una parlantina da
piccolo nerd agguerrito. Ci sono cose, però, che è l’esperienza ad
insegnarti e se è d’amore che si parla, la sua è un’ignoranza senza
fondo.
Le relazioni di Steve gliele potresti
contare sul volto, un neo per ogni ragazza che ha convinto ad aprir
le gambe – ancor prima d’incontrarlo vestiva sulla pelle la
costellazione del puttaniere.
Di Eddie conosce il debole per le
cheerleader e null’altro; ma è stato lui a insegnargli a baciare: lo
ha invitato a rimanere all’Hellfire Club, quando gli altri
deponevano i dadi, e ha creato campagne intere per conquistare la
sua bocca.
E allora Dustin, che come tutti gli
adolescenti vive credendosi adulto, torna a sentirsi un moccioso
senza speranza, come quando con la spuma tra i capelli e un abito da
prom se ne stava a piangere sulle panche della palestra.
«Sei ancora tra noi, figlio
dell’Occidente cortese[2]?»
gli domanda Eddie, picchiettandogli con l’indice tra sopracciglia
che non si è accorto d’aver aggrottato.
«Certo! Sono pronto, prontissimo»
mente, perché l’alternativa è ammettere di aver paura.
«Prontissimo? Cos’è, hai intenzione di
girare un porno, Henderson?» Sbotta Steve. Incrocia le dita con
Munson e le trascina intorno al fianco di Dustin, a palmi aperti
sullo stomaco, che coccola piano, dolcemente. «Rilassati
coniglietto, ho già bruciato a cazzo troppe tappe, perfino con
Nancy. Posso aspettare per il sesso, fino a quando non saremo
pronti.»
Tutti e tre, lui compreso, perché se
il cuore gli assicura che non esiste amore più intenso di quello che
prova per Eddie e per Dustin, il cervello ancora gli butta addosso
propaganda da zotici bigotti.
«L’attesa del piacere è essa stessa il
piacere?» cita il piccoletto, un sopracciglio inarcato e l’aria da
professore nano.
«Già, ma è meglio non farlo attendere
troppo, chissà che effetti ha la crisi d'astinenza di un ninfomane.»
Il commento di Munson vince un morso al collo da parte di Steve. Lo
ricambia con un succhiotto, uno a lui e uno a Dustin, che a dare,
Eddie, non s’è mai tirato indietro.
Dustin sorride finalmente tranquillo; non ha bisogno del sesso per essere felice – anche, forse,
definitivamente!, ma il respiro di Eddie sul collo e le labbra di
Steve che prendono d’assedio la sua bocca rimangono comunque un
ottimo punto di partenza.
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