VII
Sull'ingannare, sulla
crescita, sullo sfiorare...
Orochimaru
studiò la radura davanti a sé, in seguito fece un
cenno con il capo e gli altri avanzarono altrettanto silenziosamente.
Il ninja li scrutò un istante negli occhi, infine
mormorò loro, accompagnato dal frusciare delle foglie:
“Ora
ascoltatemi attentamente.”
Yahiko
ormai aveva diciott'anni; dal canto suo, Orochimaru non li aveva mai
trattati da ragazzini, anzi, al sensei l'età era davvero
indifferente quando si trattava di farli massacrare con allenamenti
estenuanti. Il ragazzo si limitò silenziosamente ad annuire,
mentre Nagato e Konan non batterono ciglio, finendo per guardare seri
il proprio maestro.
Tutti e tre
avevano ricevuto l'avanzamento a jonin con grande facilità
perché avevano mostrato di essere veramente capaci, oltre
che dotati di una grande abilità nel combattimento; forse
siccome, più di tanti altri, avevano vissuto sulla loro
pelle sin da piccoli cosa volesse dire sopravvivere.
Orochimaru
teneva le braccia incrociate e il volto leggermente inclinato di lato:
“Seguite
le mie direttive e non avremo problemi. Io e Nagato avanzeremo fino
all'appostamento, voi due limitatevi a rimanere di guardia qui; non
voglio che ci siano eventuali superstiti.”
Yahiko
istintivamente volse il capo verso Nagato, il quale gli
riservò un'occhiata di sfuggita, infine accennò:
“Però...”
Il ninja
della foglia assottigliò un istante gli occhi, poi
accennò ad un sorriso che gli fece quasi scomparire le
labbra sottili: “Stavi dicendo qualcosa, Yahiko?”
Quest'ultimo
fece per parlare ancora, ma Konan gli dette una leggera gomitata che fu
sufficientemente complice da passare – almeno all'apparenza
– inosservata. Il giovane abbassò un istante lo
sguardo, colpito come sempre dalla freddezza di quello di Orochimaru, e
rispose con tono neutro: “No, nulla,
Orochimaru-sensei.”
Il loro
maestro non era un ninja che si faceva cogliere tanto facilmente
impreparato; non era semplice accettare di rimanere in disparte mentre
lui svolgeva la missione assieme a Nagato, facendoli ad attendere come
semplici fantocci.
“Perfetto
– sibilò Orochimaru, lasciando che parte
dell'occhio gli venisse coperta dai lisci capelli neri – non
sono ammesse distrazioni. Questo sarà il punto di ritrovo
per la nostra squadra, quella di Jiraiya e gli elementi di supporto:
controllate l'area e fate che al mio ritorno non ci siano sorprese
spiacevoli.”
Yahiko
annuì severamente, stringendo con forza i pugni, mentre
sentiva accanto a sé la presenza confortante di Konan.
Nagato li fissò qualche istante; sembrava quasi voler
assorbire i suoi amici in quella spirale concentrica che erano i suoi
occhi, così ingannatori e allo stesso tempo incredibilmente
tristi.
Si
avvicinò un istante ai due e disse quasi in un bisbiglio:
“Ci
vedremo una volta conclusa la missione.”
Yahiko
accennò ad un sorriso tirato: “Sicuro –
prima che il compagno si voltasse aggiunse – Ehi... guarda
che puoi sempre rifiutare. Troveremo una soluzione.”
Il ragazzo
scosse la testa: “No, è giusto così.
Sono rivoltosi pericolosi per la pace del Paese del Fuoco: in quanto
tali vanno eliminati. Il rinnegan è
indispensabile.”
Per una
volta poteva essere lui e lui soltanto d'aiuto. Inoltre, ma questo
nessuno doveva saperlo, aveva i suoi buoni motivi per seguire da solo
Orochimaru; motivi dei quali sia Yahiko che Konan dovevano rimanere
assolutamente all'oscuro.
“Stai
attento.” si raccomandò Konan, inspirando
lentamente.
“Anche
voi.” rispose l'altro serio.
Quando
Orochimaru lo richiamò freddamente, non rimase altro che
congedarsi: così, nel giro di un battito di ciglia, Nagato
della Pioggia scomparve assieme al suo maestro in una nuvola di fumo,
al pari di un fuoco estintosi troppo presto.
Ai due
ninja rimanenti non restò altro che guardarsi negli occhi,
rispecchiandosi vicendevolmente nella comune solitudine che sia era
venuta a creare.
*°*°*°*°*
I ribelli avevano
stanziato diverse basi, divenute nel corso di pochi mesi il fulcro di
ogni loro azione di sabotaggio. Attaccavano, rapidi e letali, i
Villaggi più provinciali scatenando una serie di rivolte
interne che, inevitabilmente, portavano al confronto con quelle
cittadine più grandi e potenti economicamente, erroneamente
ritenute responsabili.
Quei
soldati ben addestrati disponevano di risorse finanziarie non
indifferenti, in quanto durante la guerra avevano vissuto come
mercenari: la pace portava loro via non solo il lavoro ma soprattutto
gli introiti dati da vendite illegali di armi e tecniche,
nonché dei sostanziosi bottini ricavati dalle spedizioni. La
decisione di aggregarsi e provocare instabilità tra i Paesi
era sorta quasi spontanea e li aveva visti formare un'organizzazione
compatta, dotata oltre che di certezze economiche anche di obiettivi
comuni.
Era
indispensabile che diverse squadre di ninja venissero dislocate nei
centri maggiori dove si nascondevano i ribelli, in modo da poter
mozzare contemporaneamente le teste di quell'idra pericolosa che minava
le basi di pace create tanto a fatica. Se si trattava di ucciderli era
un prezzo più che accettabile per ritrovare l'equilibrio
perduto.
Nagato e
Orochimaru rimasero nell'ombra senza scambiarsi una parola: osservavano
silenziosi l'accampamento apparentemente disorganizzato, quando in
realtà dopo giorni di studi si era dimostrato una perfetta
macchina efficiente. Il vero punto debole era la scarsa conoscenza
delle tecniche illusorie, punto che inevitabilmente sarebbe stato
sfruttato nella sua interezza da Orochimaru.
Quest'ultimo
aveva calcolato sin nei più minimi dettagli ogni mossa da
compiere, con la perfezione che gli era propria e quel morboso
desiderio di portare a termine i desideri che lo ossessionavano.
Accennò ad un sorriso compiaciuto, infine fece un cenno
secco a Nagato che – comprendendo al volo –
annuì e con un'abile uso delle conoscenze imparate in quegli
anni si trasformò nella copia perfetta dei uno dei ribelli
che, fortuna premettendo, soggiornavano nel campo; una faccia anonima e
senza troppa importanza, di quelle che difficilmente rimanevano
impresse nella mente. Ringraziò oltretutto di essere bravo a
passare inosservato, visto che riusciva ad essere trasparente come aria
se solo voleva.
A quel
punto l'allievo si zittì un istante, umettandosi le labbra,
infine fissò negli occhi il proprio maestro e con voce
incolore iniziò:
“Mi
concede il permesso di chiederle...”
Si
zittì ma non distolse lo sguardo, limitandosi a trattenere
il respiro: quanto voleva domandare gli avrebbe cambiato per sempre la
vita. Orochimaru per un istante lo studiò, assottigliando
gli occhi come un predatore intento a braccare la propria preda; una
preda incomprensibile a tratti, dai movimenti sfuggenti quanto
imprevedibili.
“Sto
aspettando, Nagato.” disse improvvisamente in modo gelido.
Questi
deglutì e infine trovò il coraggio di dire:
“Ho bisogno del suo aiuto, Orochimaru-sensei.”
Egli
ribatté in quel modo ipnotico e seducente, contornato da
parole taglienti ma incredibilmente dotate di fascino attrattivo:
“Lo sai che tutto ha un prezzo, vero?”
Nagato
annuì, quella volta senza alcuna ombra di dubbio:
“E io sarei disposto a pagarlo.”
Passarono
diversi secondi prima che Orochimaru rispondesse, perché era
intento a scrutare con occhi acuti quanto quelli di un felino i
movimenti dell'accampamento, dimostrando quel lucido distacco
indispensabile in ogni missione. Senza preavviso disse, evidentemente
esaltato da quanto gli stava venendo offerto su un piatto d'argento:
“Che
cosa vuoi ottenere, mio subdolo allievo?”
Nagato
aveva l'oscura sensazione che il sannin, immerso nella sua ombra, in
qualche modo ignoto in realtà lo stesse studiando
– non solo, gli scavava fin dentro l'anima. Non sapeva come
ma era certo che, qualunque cosa stesse per dire, Orochimaru
già fosse a conoscenza delle sue intenzioni.
Così
in un sussurro che soffocava rabbia repressa confessò:
“Voglio avere il potere di uccidere Danzo.”
Il ninja
contrasse le labbra sottili in un sorriso tagliente; il rinnegan e la
morte di Danzo: due frutti deliziosi da cogliere dal suo albero,
premurosamente innaffiato grazie all'inossidabile fedeltà
che avrebbe trovato in Nagato.
Nagato;
cupo e rancoroso nella sua fragilità: avrebbe dovuto
assicurarsi di incatenarlo alle radici della pianta che stava
crescendo, così che non potesse un giorno estirparla con le
sue mani.
*°*°*°*
Konan si era seduta
compostamente su di una roccia; di tanto in tanto socchiudeva gli
occhi, alla ricerca di un controllo dei sensi che, sfruttando la
semplice vista, sembrava aver perso. Ascoltava, captando i movimenti
attorno a lei, mentre le labbra morbide rimanevano leggermente
dischiuse, come il petalo di un fiore intento a sbocciare.
Yahiko per
i primi tempi era rimasto irrequieto e un po' irritato in piedi, a
tormentarsi nervosamente un braccio; in seguito, un po' per stanchezza,
un po' per insoddisfazione, aveva abbandonato il rancore, soffocando la
preoccupazione al solo scopo di cercare una via di fuga con lo sguardo.
Sguardo che
andò inevitabilmente a spostarsi su Konan.
Era
così bella, seduta con le gambe mollemente poggiate
sull'erba ancora umida di pioggia, i capelli di quel colore ipnotico
ordinatamente disposti e il volto... pallido ma allo stesso tempo
dotato di una morbidezza nei lineamenti, abilmente mascherata
dall'espressione austera, in grado di tratteggiarli più
severi e spigolosi di quanto non fossero. Eppure, nonostante la
conoscesse da anni, con il tempo quella ragazzina disponibile
dell'infanzia si era trasformata senza che se ne accorgesse.
Solo in
quel momento di solitudine aveva visto, baciata dai raggi del sole
pomeridiano, non una bambina dalle acide forme della
pubertà, ma una donna. Bella, sebbene incredibilmente
distante; si chiese, istintivamente, dove fosse rimasto lui nel
frattempo, che ancora si credeva un ragazzino, anche quando dopo gli
allenamenti intensivi si tastava dolorante gli addominali che, ormai,
di ragazzino non avevano più nulla.
Erano
cresciuti.
Una
semplice ma sconvolgente rivelazione che gli fece più male
di un pugno nello stomaco.
Sospirò
e lentamente si sedette accanto a Konan, perché in quel
momento lei era l'unica
– in quel momento... non solo, forse lo era sempre stata. Non
disse niente e semplicemente si posizionò pacatamente al suo
fianco, come un gatto che si sistemava abusivamente sul letto del
padrone.
Lei
socchiuse gli occhi, facendo finta di nulla, lasciando che la presenza
di Yahiko ancora una volta la rasserenasse, per quanto si
sentisse costretta a soffocare quell'agitazione interiore che, con lui,
non poteva permettersi di mostrare.
Quando,
improvvisamente, la sua mano venne sfiorata da quella di Yahiko, sulle
prime l'istinto fatale fu quello di cercarla a sua volta, per
stringerla gelosamente a sé. Invece il suo lato
più razionale preferì negare quel contatto.
Con uno
scatto un po' troppo brusco Konan allontanò la mano,
andandola ad appoggiare sulla propria gamba; contemporaneamente
lanciò un'occhiata a Yahiko, mostrando un'espressione che
poteva voler dire tutto e niente.
“Scusa,
non volevo infastidirti.” si giustificò lui,
aggiungendo un sorriso finale.
“Non
mi infastidisci.” sussurrò, distogliendo gli occhi
per fissare quel cielo luminoso che forse un giorno l'avrebbe resa
cieca.
Sapeva che
Yahiko era l'attrazione sbagliata, l'amico carismatico, il lato
spensierato che non poteva sempre concedersi. Tutto si accumulava in un
grande colossale errore: perché ancora non capiva come
facesse a desiderarlo, volendo allo stesso tempo anche Nagato al suo
fianco, la controparte perfetta.
Da quando
loro tre erano diventati un'unità inscindibile? Forse da
sempre, si rispondeva intimamente ogni sera, solo che non se ne erano
mai accorti prima.
Così
come lei non si era mai accorta di quanto Yahiko fosse bello, nel suo
sorriso solare, nei capelli ramati resi lucidi e vivi da quel sole che
sembrava non volerlo mai abbandonare.
Prima che
avesse la possibilità di pensare, di frenare i propri
pensieri che scorrevano troppo veloci, Konan tese il busto verso
Yahiko. Lentamente ma in modo inesorabile, senza sapere cosa aspettarsi
da quel movimento prevedibile eppure paradossalmente inaspettato.
Il suo
compagno, il suo amico, il proprio peso in grado di bilanciarla, per
qualche istante rimase interdetto, incapace di indietreggiare,
così come di avanzare. Semplicemente attese, lui che in ogni
cosa prendeva l'iniziativa.
Si
guardarono per un eterno secondo negli occhi e vi lessero il libro di
una vita, quella vita che, nelle tragedie e nelle piccole
soddisfazioni, senza nemmeno capirlo avevano costruito insieme, sposati
da quell'amicizia inossidabile che non li aveva mai divisi. Cosa
attendevano le rispettive labbra? Un bacio, nella più dolce
delle ipotesi, o forse una spalla su cui trovare appoggio.
Quel dubbio
così seducente d'attesa aveva un accenno d'amore, pericoloso
quanto morbosamente attraente. Bastava poco: un millimetro di abissale
distanza e l'incertezza sarebbe divenuta bacio.
Finché
non arrivò lei.
Fu Konan a
sentirne la presenza, l'istante prima che comparisse in quel campo
d'attesa. Allora senza scomporsi si allontanò, girandosi di
spalle per incrociare sofferente gli occhi con quelli di Kushina;
una Kushina
trafelata, con un taglio leggero lungo la spalla, un kunai in mano e il
volto sconvolto. Yahiko... il preoccupato e ancora innamorato Yahiko
scattò in piedi e, correndogli incontro, chiese:
“Che...
che ti è successo?”
“Nulla
di particolare – tagliò corto – qualche
ribelle che tentava di fuggire. Fra poco ci raggiungeranno anche gli
altri, la missione è andata nel migliore dei modi.”
Sorrise,
soddisfatta. Ora non restava altro che attendere e sperare che tutto
proseguisse per il verso giusto; in fondo le certezze non erano altro
che dubbi effimeri, mascherati da senso di convinzione. Quel giorno,
per la prima volta, Yahiko se ne rese lucidamente conto.
*°*°*°*
L'accampamento
era piccolo ma sufficientemente ben sorvegliato. Dal momento in cui
Nagato si era infiltrato con una certa facilità tra i
ribelli, aveva avuto la possibilità – senza dare
troppo nell'occhio – di controllarne con rapidità
i punti deboli e quelli meglio controllati, in modo da avere un'idea
più chiara della situazione.
Il suo
compito era creare un diversivo che permettesse a lui e a Orochimaru di
poter attaccare i mercenari presenti, senza dover correre il rischio di
intraprendere un'azione diretta nonché suicida –
indipendentemente dal fatto che quel distaccamento fosse poco numeroso
e quindi una preda facile. Il clima di rilassamento generale,
dovuto anche ai recenti successi sul fronte est, aveva
comportato un dispiegamento di uomini e un allentamento della vigilanza
in quella zona; Nagato dunque ne approfittò per piazzare
diverse bombe carta.
Un suo
esplicito comando e l' esplosione si sarebbe attivata, divenendo un
brillante diversivo per permettere a Orochimaru di infiltrarsi e
portare a termine con facilità la missione. Di fronte
all'importanza del suo compito il ragazzo, pur dando prova di estrema
freddezza nell'eseguire gli ordini, avvertiva una certa tensione
addosso; si asciugò la fronte con il dorso dell'avambraccio,
assicurandosi che nessuno lo stesse osservando.
Scrutò
verso l'orizzonte, nel punto dove sapeva che Orochimaru restava
appostato; lì il suo maestro doveva star eseguendo un justsu
illusorio, per garantire quel minimo di confusione che avrebbe permesso
a Nagato di agire indisturbato.
Terminato
il posizionamento delle bombe, l'infiltrato avvertì con un
messaggio in codice il proprio sensei; dovevano solo più
agire. Il giovane ninja della Pioggia si acquattò dietro una
tenda e posizionò le mani, in modo da far azionare le bombe
cara disposte: nel giro di qualche secondo gli ordigni esplosero e
altrettanto velocemente nel campo si creò un certo
scompiglio scompiglio.
Secondi di
confusione inevitabili, in quanto l'attacco a sorpresa non era stato
minimamente contemplato dai ribelli, ma che ben presto si sarebbero
trasformati in minuti di controffensiva.
In quegli
istanti d'attesa Nagato segretamente sperò; pregò
che Orochimaru non lo abbandonasse in mano al nemico: aveva accettato
una missione rischiosa perché era suo compito di ninja
farlo, ma non rientrava nelle sue volontà morire accerchiato
da una ventina di nemici.
I suoi
obiettivi erano ben altri.
Quando,
improvvisamente, vide un mercenario corrergli incontro per un lasso
interminabile di tempo Nagato credette con assoluta certezza che ben
presto sarebbe stato circondato. Si alzò lentamente in
piedi, pronto a smascherarsi e a combattere, sebbene da solo, ma
sussultò nel momento in cui l'aggressore cadde senza
preavviso a terra.
Era morto.
Il ragazzo
sollevò gli occhi dal cadavere e vide Orochimaru dietro di
lui, con gli occhi resi folli dall'ebbrezza della battaglia. Eppure,
dietro quel velo di brama di conquista, vi era la solita spietata e
fredda razionalità che non lo abbandonava mai: era una
presenza inquietante eppure travolgente, mentre il chakra scorreva nel
suo corpo, mostrando al mondo quanto il suo potere fosse invincibile.
“Pensi
di iniziare a combattere, Nagato?” chiese freddamente
Orochimaru.
L'allievo
annuì, risvegliandosi dalla momentanea esitazione, e si
mosse in avanti, svelando la sua vera identità in modo da
poter azionare il rinnegan; la sua arma, la sua dannazione e allo
stesso tempo ragione di vita. Perché senza di esso, si rese
conto, non sarebbe andato da nessuna parte.
Era con
quegli occhi che poteva uccidere e allo stesso tempo proteggere il suo
piccolo ma prezioso mondo: il prezzo del suo uso, le brame che
scatenava negli altri, il timore che provocava, erano tanti piccoli
prezzi che lui avrebbe volentieri pagato.
Non gli era
più difficile controllarne l'uso ormai: aveva imparato a
razionalizzare le energie e lo spreco del chakra, anche se dopo
ripetuti attacchi le pupille sanguinavano ugualmente. Ma lui,
insensibile, si asciugava quelle lacrime rosse e andava avanti, persino
quando la vista gli si offuscava e vedeva solo il nero attorno a
sé.
Dopo aver
ucciso i suoi principali nemici, si arrestò a prendere
fiato; però senza che riuscisse a prevederlo, un uomo dal
passo zoppicante gli venne incontro con le braccia tese in avanti, come
se volesse ingannevolmente abbracciarlo piuttosto che colpirlo.
Prudente, Nagato indietreggiò di un passo e fece per
attaccarlo, quando improvvisamente il suo presunto nemico non
esclamò:
“Ti
prego, risparmiami! Sono un vostro alleato!”
Nagato
rimase spiazzato da quelle parole. Lo osservò un istante e
si accorse che quell'uomo era cieco: non aveva più occhi con
cui guardare e le mani erano coperte di graffi, malamente mascherati
dalle maniche lunghe del vestito sbrindellato.
“Chi
sei? Parla.” disse Nagato sulla difensiva, con i sensi in
allerta qualora si trattasse di una trappola ben orchestrata.
“Sono
l'informatore di Orochimaru!Sono al suo servizio... io, io gli ho
passato le direttive su dove e quando attaccare... non mi uccidere,
bravo ragazzo, non lo fare.”
Biascicò
avanzando a tentoni, indovinando la direzione in cui rivolgersi solo
grazie al chakra emanato dal possessore del rinnegan, il quale
impassibile indagò:
“Perché
sei cieco?”
Quelle
parole sembrarono colpire in pieno petto l'uomo che barcollò
un istante, gemendo con le mani tra i capelli sporchi: “Lui!
E' stato lui a chiedere la mia abilità in cambio della mia
promessa di fedeltà... non avevo altra scelta... non potevo
o sarei morto!”
Nagato
sgranò gli occhi. Non poteva essere vero.
Sorrise;
era stato un illuso a credere che le cose potessero essere diverse.
“Con
lui intendi...” non parlò e attese, lasciando che
le braccia cascassero mollemente sui fianchi.
L'uomo tese
una mano ancora più avanti e accennò:
“O...”
Non
finì la frase.
Cadde a
terra con ancora il braccio portato davanti a sé; non appena
il suo corpo cadde sul terreno scuro e polveroso, si sollevò
una nuvola di terra. L'informatore aveva una spada piantata nella
schiena, la spada che Orochimaru era in grado di materializzare dal
proprio corpo.
E lui, il
proprio spietato e calcolatore maestro, era ai piedi del cadavere, con
la divisa da ninja imbrattata di sangue e i capelli che avevano preso
l'odore della morte; la sua figura, stagliata oltre cadaveri e i fuochi
della battaglia, sembrava un fantasma sfolgorante di luce o un dio
caduto, privo di un cielo da governare. L'allievo sulle prime non disse
niente; sentiva soltanto di essere stato impulsivamente stupido: per
quanto razionale, si era lasciato trasportare dalla spirale di odio
vendicativo che lo tormentava.
Orochimaru
estrasse con studiata lentezza la spada dal corpo dell'uomo il quale,
agonizzante, sussultò senza più forze per urlare.
Con l'arma in pugno, il sennin freddamente scandì il
seguente ordine:
“Uccidilo,
Nagato.”
Quest'ultimo
istintivamente scosse la testa, sbarrando gli occhi. Perché?
Perché uccidere un uomo indifeso che poteva essere curato da
un ninja medico? Strinse con forza i pugni, sentendo le unghie
piantarsi nella carne.
“Non
posso.”
Orochimaru
accennò ad un sorriso sardonico. Lasciò
strusciare la punta della lama sulla terra quando, a passo scandito, si
avvicinò inesorabilmente a Nagato che non arretrò
di un passo.
I due si
trovarono faccia a faccia, con i corpi a pochi centimetri l'uno
dall'altro; Orochimaru reclinò appena la testa, lasciando
che parte del ciuffo nero nascondesse un occhio reso lucido dalla
follia:
“Non
puoi? Tu,
mio prezioso Nagato, non sei nella posizione di decidere. Hai perso
questa prerogativa.”
Il giovane
ninja trasse un profondo respiro e fissò l'uomo che, alle
spalle del sennin oscuro, supplicava disperato di risparmiargli la
vita. Esitò.
Allora il
maestro con un movimento leggero si portò accanto al
ragazzo, sussurrandogli seducente all'orecchio:
“Uccidilo
e sarai ad un passo dal far morire anche Danzo.”
Danzo. Quel
nome risuonò ipnotico nella testa di Nagato che socchiuse un
solo istante gli occhi; il luogo in cui si trovava anziché
odorare di sangue sapeva di vendetta, quella vendetta che ben presto
non sarebbe più stata irrealizzabile.
Aveva
già ucciso in passato, l'aveva fatto anche pochi minuti fa.
Era il proprio pegno da pagare se voleva portare l'ordine nel suo mondo
e proteggerlo: solo così avrebbe finalmente conosciuto la
pace. Chiunque la minacciasse doveva morire; il veleno che faceva
perire il proprio albero doveva essere estirpato definitivamente.
A quel
punto, il possessore del rinnegan lasciò da parte le
emozioni; si allontanò da Orochimaru il quale, soddisfatto e
assetato dal dominio che poteva imporre sul proprio allievo, lo
fissò compiaciuto portarsi di fronte alla potenziale
minaccia che non meritava la vita.
Nagato
della Pioggia uccise, divenendo quella perfetta macchina da guerra che
il ninja dei serpenti stava iniziando a plasmare da quando era divenuto
suo allievo. Morto quell'informatore inopportuno, al quale aveva
strappato un'abilità che ben presto avrebbe acquisito,
Orochimaru sapeva di avere un ostacolo in meno a sbarrargli il proprio
cammino verso l'immortalità e la conoscenza assoluta.
Il
possessore del rinnegan a sua volta sapeva che quello era l'unico
cammino che poteva intraprendere: Danzo e i suoi sostenitori erano
intoccabili, protetti dall'ombra del Consiglio. Ma lui, a costo di
versare sangue su chiunque lo ostacolasse, avrebbe fatto in modo di
portarlo alla luce una volta per tutte, consapevole che si sarebbe
sciolto come una candela divorata dal fuoco.
*°*°*°*
Aveva impiegato tempo
per trovarlo; si era eclissato per giorni dal Villaggio solo per
seguire le sue labili tracce. Non aveva fallito: il ninja a lungo
cercato era stato per pochi attimi a portata di mano e lui non si era
fatto sfuggire l'occasione.
Forse si
era esposto troppo, senza pensare alle conseguenze di quello che stava
facendo; era entrato in contatto con lui, spiegandogli brevemente
l'intera situazione. Quello che successe dopo, ancora faticava a
ricordarselo; ciò che contava quella notte di luna piena era
solo fuggire, il più lontano possibile da lì.
Si tenne il
braccio sanguinante con la mano sinistra, ignorando le fitte che gli
smorzavano il respiro affannato; dannazione, come avrebbe fatto ad
impugnare nuovamente la spada così conciato?
Era un uomo
a metà: incompleto, incapace di attaccare e difendersi al
pieno delle sue possibilità. Però, da qualche
parte, c'era la sua famiglia, la sua gente e solo per loro sarebbe
tornato; non soltanto a causa dell'amore che nutriva nei confronti
delle persone più care, ma anche perché sapeva
che lo avrebbero vendicato.
Improvvisamente,
un fruscio tra le foglie. Arrestò un istante la sua corsa,
rimanendo acquattato sul ramo di un albero: non sentì la
presenza di nessun ninja, in particolar modo niente che ricordasse il
suo chakra. Dentro di sé, sentiva che quel folle lo avrebbe
seguito sino in capo al mondo per puro il piacere di ucciderlo.
Socchiuse
gli occhi, prima di ripartire.
Riemersero
gli incubi che lo sharingan di quel mostro gli aveva fatto subire;
ancora, ancora e ancora. Avrebbe voluto vomitare il dolore, l'angoscia
che provava, eppure non ci riusciva: rimanevano lì, alla
bocca dello stomaco, e per quanto tentasse di inghiottirli tornavano
sempre a tormentarlo.
“Il
Villaggio della Nebbia avrà vita breve.”
La sua
minaccia, sussurrata nel cuore della notte. Un brivido, di rabbia e di
intima paura.
“No,
questo non accadrà. Tu e gli Uchiha sarete destinati a
sparire.”
Mormorò
con voce roca. Le parole si persero nel vento e lui proseguì
la sua fuga, umiliato per la sconfitta e scosso per la consapevolezza
di essere stato ad un passo dalla morte.
*°*°*°*
Quando tornarono a
casa dalla missione, Nagato, Konan e Yahiko assaggiarono il primo
gelato dell'estate. La stagione più calda dell'anno era
ormai alle porte, anche se a Konoha fortunatamente c'era un bel clima
tutti i mesi.
Yahiko
aveva comprato al chiosco dell'angolo tre ghiaccioli alla menta e li
aveva distribuiti ai suoi amici, accompagnando il gesto con uno dei
suoi soliti sorrisi radiosi; si sedettero presso un grande albero dal
tronco sporgente, dove spesso amava sedersi Jiraiya per contemplare le
fanciulle che passavano per la via.
Con le
gambe ciondolanti, gustarono il ghiacciolo senza parlare, mentre il
sole iniziava a scomparire oltre la collina e l'odore della cena sul
fuoco danzava nell'aria. Un brivido di freddo percorse il corpo di
Yahiko e questi ridacchiò compiaciuto; quando si
voltò verso gli altri, si sgocciolò sui pantaloni.
Konan,
notando le macchie verde prato sui pantaloni bianchi dell'amico, non si
trattenne e scoppiò a ridere, imitata da Nagato che
scrollò le spalle. Viste le reazioni degli amici, sulle
prime il malcapitato oggetto di risate si offese e mise il broncio,
staccando a morsi il ghiacciolo; dopo qualche istante però
mostrò la lingua verde e rise a sua volta, passando le mani
impiastricciate sulla maglia di Nagato, le cui proteste non valsero a
nulla.
Non
parlarono delle missioni, degli innamoramenti o dei timori per il
futuro; dimenticarono anzi di avere diciott'anni, solo per potersi
rivedere ancora bambini. Senza guerre né problemi,
semplicemente con i vestiti sporchi di gelato, la lingua colorata e le
persone amate al fianco.
In fondo,
era anche quella la felicità.
Sproloqui
di una zucca
Incredibile ma vero, questa storia è stata inserita tra le
scelte di EFP. Devo ringraziare sentitamente Hiko_Chan per averla
proposta, perché l'ha fatto con il cuore e soprattutto
perché questo vuol dire che in qualche modo le è
piaciuta.
Spero di meritare
questo onore che è stato dato a Pioggia, visto che la
fiction fa un pochino da portavoce a quei tre patati dimenticati che
rispondono al nome di Yahiko, Nagato e Konan *_____*
Gli aggiornamenti
saranno un po' lenti, molto meno di quest'estate è ovvio, ma
saranno comunque abbastanza cadenzati; non vogliatemente e continuate a
seguire questa vicenda, visto che ci sono tanti personaggi da ritrovare.
Stuck93: Ieee,
in questo capitolo Konan inizia a darsi una svegliata e anche
Yahiko-tonto pare subire un notevole risveglio dei sensi. Certo,
l'indecisione fa da padrona, ma lasciamo che passo-passo le cose
migliorino, anche se a discapito di chi a nessuno è dato
saperlo XD
Non parliamo di Danzo;
ho anticipato senza volerlo le sue intenzioni non proprio benefiche nei
confronti di Konoha e dei suoi ideali di pace, per questo
continuerò a far sì che tutti lo riempiano d'odio
anche nella fiction. Al prossimo capitolo *°*
Iperione:
Grazie davvero, spero che i capitoli continuino a risultare piacevoli e
non subiscano un calo, né stilistico né tantomeno
a livello di contenuti. Certo, non mi fido molto del mio neurone
solitario, ma passato il caldo estivo non dovrebbe tradirmi ed
evaporare dalla scatola cranica XD Alla prossima ^O^
Hiko_Chan: Il
nostro Nagato... credo anch'io di rispecchiarmi in alcuni aspetti del
suo carattere e, credimi, vedere che possa essere talmente vicino a
quello che provi in determinate situazioni mi emoziona ma soprattutto
mi rende consapevole di star creando un personaggio umano, eppure
vicino al manga.
Sono stra-felice che
ti sia piaciuta la scena tra Nagato e Yahiko: insieme li trovo davvero
stupendi, penso che abbiano un legame davvero forte a tenerli uniti. E
Konan... è Konan: nemmeno io sento di capirla tanto bene, in
fin dei conti, perché la ritengo un personaggio un po'
chiuso, con tanto bisogno di dare e ricevere affetto ma comunque
orsetta e forse amante del suo piccolo mondo.
Orochimaru
come al solito è di una dolcezza infinita, peggio di un
involtino di fiele andato a male!
Vero? XD E' un
pasticcino ripieno d'amore, il caro Orociccio! Ma se così
non fosse, d'altronde, dove sarebbe il suo fascino? *O* Felice che ti
piacciano gli accenni con Jiraiya, lui è l'unico d'altronde
a tormentarlo con un certo esito!
Quanto al resto... si
scoprirà la natura di quest'essere ignoto e le conseguenze
che si verranno a creare, sperando di non ricevere maledizioni random XD
Un bacione, carissima
Ile, grazie come sempre di tutto *____*
Un grazie anche ai
preferiti/seguiti e a voi, lettori *O*
|