A Livia per i suoi 17 anni,
perché è una mogliaH splendida,
una personcina che mi ascolta
sempre, uno scorpione appuntito
che ti avvelena e poi ti
guarisce, velocemente.
Il mio Limon, il mio Tronky. E tanto altro.
Questo arancione hottoso è per te – e un po’ anche per
chi lo aspetta da tempo, devo
essere sincera –,
ma soprattutto per te e per il
tuo compleanno.
Auguri!
Ti voglio
bene
86 –
For you I bleed myself
dry
Your skin
and bones
turn into something beautiful
and you know
you know I love
you so
Yellow,
Coldplay
Adam e Sofia avanzarono nella palazzina adibita a
dormitorio degli umani. In uno dei corridoi, Sofi scorse Marianne, la vampira
che l’aveva accompagnata alla sua stanza il primo giorno di prigionia e che le
aveva predetto un futuro avvenente.
La bella vampira, sulla quarantina, sorrise
all’umana, con gli occhi scarlatti accesi di sete e con due piccole fossette
sulle guance formate dall’incurvarsi delle labbra. Sofia non
rispose.
E infine, svoltato l’ultimo angolo, arrivarono al
portone principale. Due sentinelle vi facevano la guardia, ritte e
composte.
Adam strinse di più la mano sulla spalla di Sofia,
come a marcare il fatto che lei era la sua donatrice, il suo pasto, intoccabile
dagli altri vampiri.
“Probabilmente, i cibi più pregiati vengono
spartiti tra di loro”, immaginò
la ragazza con insicurezza.
Uscirono all’aria aperta, ritrovandosi circondati
dall’imponente massa verticale della scura roccia della cava. Il sole non
arrivava fino a là sotto, ma Sofi sentì subito su di sé la sensazione di calore
che solo esso poteva donare. Sorrise spontaneamente e aumentò
l’andatura.
Ben presto, lei ed Adam si ritrovarono in alto, sulla
strada battuta vicino alla cava, che adesso era un buco nero e
profondo.
Una carrozza li aspettava in una rientranza della
strada, dove gli alberi erano più radi.
Adam sussurrò all’orecchio di Sofi: «Questo grazie a
Violet, se no saresti potuta finire a pezzi sull’erba, dove tutti gli altri
vampiri si ciberanno dei loro donatori, senza pensarci due
volte».
«Sai che non è la cosa migliore da dire a chi si è
appena messo nelle tue mani, vero?», borbottò Sofia,
irritata.
Adam ridacchiò. «No, mi sa di
no».
Poi partirono.
Arrivarono a Leluar la mattina dopo.
Sofia aveva dormito raggomitolata sulla spalla dura
di Adam, cercando una posizione più comoda. Lui non aveva chiuso occhio, anche
se riposare gli avrebbe fatto bene – pur essendo un vampiro, infatti, anche lui si addormentava (più che altro cadeva in
dormiveglia).
Scesero dalla carrozza in una via piccola, ma pulita
e ben curata, vicino al centro della città. I palazzi erano bassi e dai muri
spessi, dai colori chiari – giallo, rosa pallido, azzurrino, bianco –
e le finestre grandi.
Adam si avviò verso un palazzo di due piani, con
tutte gli infissi chiusi, come se nessuno abitasse in quella casa. Ed
effettivamente era così, poiché apparteneva tutta al
vampiro.
Entrarono, ritrovandosi in un piccolo cortile
spoglio, e salirono le scale alla loro sinistra. Adam si mosse celere e aprì una
ad una le finestre del primo piano, mentre Sofia studiava le stanze della
casa.
Era curiosa di vedere, finalmente, l’abitazione di un
vampiro.
C’era, dopo l’anticamera, un salotto dalle pareti
quasi del tutto vuote: su una vi era uno specchio incorniciato da barocchi
decori lignei; su un’altra vi era appeso un quadro raffigurante una banale
campagna di Aiedail, coi campi verdi e alcuni contadini che vi lavoravano; poi
c’era una vetrinetta con pochi soprammobili, per lo più statuette di marmo
bianco. C’era una porta, sulla destra, che conduceva ad uno studio. Sofi ebbe
una strana sensazione ad immaginare Adam lì dentro, dedito a chissà cosa; provò
una divertita incertezza.
Entrò nella stanza, illuminata da due finestre alla
sua sinistra: c’erano una scrivania massiccia e due poltroncine verde bottiglia,
come la carta da parati. Sofia notò che Adam apprezzava la semplicità
nell’arredamento.
Dallo studio si accedeva alla biblioteca: lì Sofi
rimase sconvolta. Vi era una moltitudine di libri impilati sugli scaffali, di
qualunque argomento possibile (leggende sui vampiri, alchimia, le antiche storie
sui draghi, l’inizio della civiltà umana, studi sui positivi, la storia di
Aiedail, la formazione dei paesi del Sud e del Nord...), alcuni con l’aria di
essere antichi almeno più di un secolo. La biblioteca aveva un tetto molto alto
e la sua fine si perdeva, nascosta dalle librerie possenti, dando l’impressione
che quella stanza fosse enorme.
Chissà quanti anni aveva davvero Adam, per aver racimolato tutti quei
tomi.
«Ehi», borbottò lui alle sue spalle. «Ho spalancato
le finestre anche al piano di sopra, togliendo le lenzuola che coprivano i
mobili. Qui è tutto polveroso».
Sofia si voltò e lo guardò intensamente negli occhi
blu mare.
«Che c’è?».
«Ah, niente... mi chiedevo quale sia la tua vera età.
Ho visto quanti libri hai e nemmeno in una vita intera li si potrebbe leggere
tutti», gli disse.
Adam ghignò. «È la sete di conoscenza», ma non
rispose alla sua domanda.
«Non l’avrei mai
immaginato».
Il vampiro si avviò verso il salotto, con l’implicito
invito a seguirlo, e Sofia camminò al suo fianco.
Adam si pose davanti al quadro dal paesaggio
campagnolo. «Lì è dove abitavo io. Quando ho imparato a leggere, ho voluto
sapere», sbottò, facendo una smorfia.
«Hai letto per molto tempo?», chiese Sofia, non
riuscendo a immaginare come fosse la vita senza una cultura, senza la capacità
di conoscere attraverso gli scritti.
«Ho vissuto nei libri. Un vampiro non sa cosa
farsene, del tempo; non si accorge di quanto può passare in fretta», mormorò.
Poi tornò Adam: «Adesso, invece, ho una prelibatezza in casa che rischia di essere
sommersa dalla polvere e dal peso della cultura che la sua misera testa non può
sopportare».
«So io cosa posso sopportare», ringhiò
lei.
«Ah sì?», domandò lui con un
sorriso.
Al piano di sopra c’erano le stanze da letto: una di
Adam e una per un eventuale ospite, ognuna munita di un proprio bagno
personale.
Quella del vampiro aveva un grande letto a
baldacchino, con le tende di raso rosso e la struttura d’ebano. Una cassettiera
stava a destra, di fronte alle finestre a sinistra; vi era posto, sopra il
ripiano liscio, un vaso allungato e bianco.
Sofi studiò l’intarsio del letto con fin troppa
curiosità, cercando d’ignorare il pensiero di dove avrebbe dormito quella
notte.
«Sai una cosa?», sussurrò, sedendosi sul letto dalle
lenzuola impolverate e così provocando uno sbuffo di
polvere.
«Dimmi».
«Noi non ci amiamo».
Quello era solo il gioco di due anime sole, che
avevano la necessità di un qualcuno affine accanto a sé – era semplicemente
questo, e pensarlo rendeva Sofi triste.
«C’è una grande differenza tra il bisogno e l’amore,
Adam, e io ho bisogno di te per non sentirmi più abbandonata, e così tu.
Sono certa che ci sarai sempre – non ridere e stammi ad ascoltare –, ci sarai
eternamente e così pure io, ma... l’amore è desiderare il meglio per l’altro, è
il conoscersi profondamente».
Adam le si sedette accanto e le prese una mano,
stringendola forte. La sua espressione era seria, la bocca formava una linea
dura sul viso. I suoi occhi blu erano serrati. «Non è vero. Vedi, ognuno ha
bisogno di qualcun altro per vivere e tutto questo porta alla ricerca di quel
qualcuno, a colui che completerà ciò che sei. Noi siamo stati felici alla villa,
prima che attaccassero i vampiri, pur non sapendo molto l’uno dell’altro...
perché è qualcosa a livello di pelle».
Ah... ma cos’era quello splendore che Sofia vedeva
negli occhi di Adam? Somigliava a quando il sole colpisce il mare con i suoi
raggi dorati, d’estate, illuminandolo con dei riflessi chiari e lucenti.
Cos’era?
«È la felicità che conta».
«Ma... ma potrò anche donarti tutta me stessa, però
l’amore, quello, io non so come-».
Adam la baciò. Le mozzò il fiato: c’era poca
gentilezza nel suo bacio. Si staccò poco dopo.
«Tu sei mia», ed era questo che contava, probabilmente. Il
bisogno, la mancanza, il desiderio, tutto spingeva ad attrarli.
E non era il donarsi il gesto più alto
dell’amore?
«Tu sei mia», sussurrò al suo orecchio con
veemenza.
Sofia fissò lo sguardo in quello di Adam, sempre
tenendogli la mano saldamente. «Serve il tempo a consolidare tutto questo, ecco.
Potremmo conoscerci meglio e-», disse Sofi.
«Abbiamo l’eternità. Basterà», ringhiò
piano.
Ecco, ecco cos’era quello splendore nei suoi occhi
blu mare, quello come il sole riflesso nell’acqua!
Amore.
Sofia l’abbracciò. «Stringimi senza più lasciarmi
andare».
Oltre al desiderio di un corpo, alla fine ogni
ricordo bello assumeva un nuovo valore, quando capivi che non importava solo
l’aspetto fisico.
Sofia, vedendo quella luce nei suoi occhi, capì
veramente che non bastava il bisogno né l’attrazione a unire due
persone.
C’era qualcos’altro d’irrazionale che pervadeva
l’aria.
Sofia aveva dimenticato, in quegli istanti, quanto
potesse essere freddo Adam – l’Adam vampiro che conosceva. Alle volte poco
umano, in quell’occasione le sembrò semplicemente una persona normale, un
uomo.
L’unica questione rimasta in sospeso era quella del
morso e della trasformazione.
«Non farmi pensare a come accadrà», aveva sussurrato
Sofia nella carrozza, ore prima.
Adesso, stretti in quell’abbraccio, Sofi percepiva la
pelle fredda del suo viso sul proprio, il gelo delle braccia che la stringevano;
ma sentiva caldo al cuore.
Adam si chinò a baciarla con le sue labbra di
ghiaccio, approfondendo il bacio mentre muoveva le sue mani sulla schiena di
Sofia, carezzandola.
La ragazza gli prese il viso con le dita calde,
scostandogli i capelli biondi della fronte. Studiò le iridi blu mare, il naso
affilato, gli zigomi alti, il candore della pelle.
Adam le baciò le piccole lentiggini del naso,
risalendo con le mani sino al collo: le scostò i capelli dall’orecchio sinistro
e li vi sussurrò ciò che ricordava della sua vita umana. Tutto quanto. Il suo
primo amore, Amarantine, dalle trecce nere e il profumo di more; il suo lavoro
ai campi con la madre, spaccandosi la schiena; la sua prima ragazza, il suo
vestito per le feste del paese, quello che ricordava di sé; gli occhi viola di
Violet.
«Spero che i miei non diventino il tuo incubo, la
notte», ridacchiò noncurante.
Sofia gli bloccò il viso con una mano, tenendolo per
il mento, e rispose con un bacio.
Le labbra di Adam scesero sul suo collo e Sofia ebbe
un brivido, mentre esse percorrevano la sua pelle tesa, lasciando una scia
umidiccia.
Una parte di sé le ricordò che era un vampiro. «Che
stai facendo?», chiese rocamente. La voce le uscì con un tono che non riconobbe
suo.
Adam sogghignò. «Ti sto facendo non
pensare».
Poi le sue mani s’infiltrarono sotto il tessuto della
maglietta di Sofia, vagando nuovamente sulla schiena fino al
reggiseno.
«Ah, bel modo di farlo», sospirò Sofi sul suo
viso.
Adam, con un sorriso sul volto, la baciò ancora e
ancora, sollevando con entrambe le mani la maglia della ragazza e facendogliela
sfilare, su, su per le braccia, per poi lanciarla a terra. Sofia si coprì il
petto, d’istinto, pur avendo il reggiseno ancora al suo
posto.
«Hai paura?», chiese lui, carezzandole un
fianco.
«No», rispose lei, repentina e
orgogliosa.
«Bene».
Si chinò sul suo collo, baciandola, mentre con le
mani l’esplorava il corpo, soffermandosi sul reggiseno – presto buttato
anch’esso a terra – e quindi sul seno. Glielo strinse tra le dita gelide,
scendendo con la bocca sulla clavicola, poi più giù, sulla pelle del petto, sui
capezzoli ormai turgidi. Sofia sospirò, abbracciando il capo di Adam per
avvicinarlo a sé.
Il vampiro, ormai eccitato, lasciò che uscissero le
zanne e che si trasformasse del tutto. I suoi occhi divennero rossi, i capelli
neri.
Sofia sperava di vedere ancora il blu mare del suo
sguardo, ma fu impossibile.
Sentiva un bruciore lancinante dove lui la toccava,
le sue labbra fredde le facevano percorrere il corpo da scariche elettriche,
percependo un piacere crescente. Voleva... voleva di più,
ingorda.
Tolse la camicia ad Adam, perdendo un po’ di tempo
con i bottoni. Lo baciò, esplorò il suo petto con la propria bocca come aveva
fatto lui, stringendolo con le braccia, sfiorandolo con le
dita.
Si coricarono sul letto
polveroso.
Quando Adam non riuscì più a prolungare quella
piacevole tortura – che li portava a qualcosa di più, che li spingeva alla
ricerca dell’amplesso, rendendoli voraci – le sfilò i pantaloni e tolse anche i
propri.
Tracciò delle linee sulla sua pancia fino all’interno
coscia, carezzandola con le dita e sentendola mugolare sotto di lui, e la sua
voce sembrava il suono più bello che potesse esistere, quella mattina. La sua
schiena s’inarcava con il suo tocco.
Sofia vedeva, sotto le palpebre socchiuse, il mare
che anni prima, con suo padre e sua madre, era andata a osservare – era inverno
e c’era freddo, ma lei era così felice, così calda
dentro...
Ne voleva ancora.
Adam strofinò la mano sopra le mutandine, poi infilò
le propria dita sotto il tessuto, carezzandola.
«Adam», sospirò lei. Qualcosa nella sua voce suonava più
come un ordine che come una supplica.
Poco male.
Adam si liberò dei propri boxer, ormai solo
d’impiccio, e fece scendere fino ai piedi, per poi sfilarle via, le mutandine di
Sofia.
Le strinse veemente, aspettando un istante in
silenzio.
Poi la penetrò e la sua carne si fuse con quella
calda di Sofia. Lei che urlava il suo nome – e c’era, dopo il dolore iniziale,
solo puro piacere – mescolandosi ai sussurri di Adam, che la invocavano ancora e
ancora e ancora, come se Sofia fosse qualcosa di sacro fra le sue mani
dannate.
Il morso arrivò.
Sofia era persa nel piacere bianchiccio dell’amplesso
e vide soltanto i suoi occhi fatti di fiamma, così vicini... i denti aguzzi le
trafissero la pelle. E la baciava e beveva il sangue che scivolava dal
collo.
Le morse il seno sinistro, vicino al cuore,
leccandole la ferita e abbracciandola; le trapassò i polsi con i canini affilati
e nivei, per poi nutrirsi ancora.
Fra un misto di piacere e dolore, Sofia si strinse a
lui, conficcandogli le unghie nelle spalle bianche.
*