forbie5
Chiedo umilmente perdono se ho continuato così tardi, ma ho
avuto 1 po’ di problemi…bè, allora ecco il
capitolo, fatemi sapere cosa ne pensate ^^
Capitolo 5
Raf POV
Ok, ho fatto una scenata quasi…da diavolo direi, e gli ho
praticamente urlato contro che mi deve ascoltare. E ora? Cosa gli dico?
Sono ingenua, ma non stupida. Non serve a più a niente fingere
anche con me stessa. Non voglio dare un nome a questa sensazione, non
ne ho bisogno. Mi basta sentire che se non mi è accanto sto
male, e che vorrei vedere solo lui, all’infinito. Mi basta sapere
che vorrei riempire pagine e pagine di cuori e scarabocchi
finché l’inchiostro della penna non finisce; allora
traccerò il suo nome con le mie lacrime, fino a che non
riuscirò a rendere meno insistente il suo viso nei miei
pensieri. Mi basta poter chiamare con il suo nome ogni strada di ogni
città, in modo da avere sempre un posto dove tornare e non
sentirmi mai persa. Non mi interessa il perché, non mi interessa
affatto. Non mi interessa il fatto che siamo…diversi;
l’eternità per me è lui, adesso. Lo guardo fisso
negli occhi, riesco a vederci il mio riflesso. Rimango colpita per un
attimo…quella sono davvero io? Sembro così…umana,
e sinceramente non so se la cosa mi dispiace. Voglio dire, i terreni
sono fortunati. Non potranno vivere in eterno, ma hanno la
possibilità di sfruttare la loro vita al meglio. Possono
scegliere a chi voler bene senza paura di essere targati come criminali
e allontanati dal loro mondo. Tendo incerta una mano verso di lui,
sento come il bisogno di sentire il contatto con la sua pelle, per
essere sicura che è reale e che non svanirà al mio tocco
come un’illusione. Lui sembra capire le mie intenzioni, e
lentamente, come per paura che la magia fra di noi scoppiasse e
sparisse come una bolla di sapone, ci avviciniamo. È strano; noi
siamo strani. Agli occhi di chi ci guarda, dobbiamo sembrare come
minimo fuori di testa. Senza mai staccare lo sguardo l’uno dagli
occhi dell’altra facciamo dei piccoli passi tremanti,
avvicinandoci sempre più quasi come se fosse una danza. E
proprio come in una danza sento il ritmo cadenzato e forte del mio
cuore che guida i miei passi, e un ronzio che sa di musica che mi
accompagna fino a lui. Dimmi Sulfus; lo senti anche tu? Senti il
bisogno di accelerare questa musica, in modo da raggiungermi più
velocemente? Vuoi attorcigliare le tue dita con le mie, avvicinare le
nostre labbra e baciarmi, far sparire il mondo e i suoi colori e dirmi
che ci siamo solo io e te, ora e per sempre? Mi mordo il labbro
inferiore, nervosa. Faccio pensieri stile – giuramento – di
– matrimonio quando ancora non solo non so cosa provi per me, ma
non ti ho nemmeno confessato i miei, di sentimenti. Questa mia
paura…la provi anche tu? Ecco, siamo a un passo l’uno
dall’altra. Non credo che il fatto che non ci stiamo più
urlando contro cambi troppo la situazione; tocca ancora a me a
decidermi a parlare. Deglutisco e mi costringo a non distogliere lo
sguardo dai suoi occhi ambrati. “Ehm…Sulfus
io…” Lui sembra quasi più imbarazzato di me, e
cerca di sciogliere la tensione attorno a noi “Che ti prende,
angelo? Non dovevi…parlarmi?” non perdo nemmeno tempo ad
arrabbiarmi, ormai lo so com’è fatto. E poi quello che
devo dirgli è troppo importante, lui è troppo importante
per permettermi di perderlo così. “…tu
mi…” Sento il rumore di qualcosa puntato per terra, e
istintivamente distolgo lo sguardo da Sulfus per puntarlo verso
l’origine del rumore. La punta di uno stivale che ticchetta
nervosamente a terra. Alzo lentamente lo sguardo fino al lungo vestito
attillato, e comincio ad avere un nodo in gola. Le braccia severamente
conserte, il collo rigido. Qualche ciuffo rosso e ribelle che cade
sulle spalle, in contrasto con la pelle cinerea e con la bocca
violacea. Un sorriso ironico appena accennato, sovrastato da un paio
d’occhi acuti e gelidi. Riabbasso lo sguardo sulle labbra della
donna, che cominciano a muoversi. Ho paura. Cerco di capire cosa sta
dicendo ma ho paura, come se un improvviso senso di vertigine mi
travolgesse fino a farmi sentire le gambi molli e non in grado di
sostenere il peso del mio corpo. Percepisco indistintamente qualcosa
passarmi davanti e dirigersi verso la professoressa. Lentamente, come
se le mie orecchie e il mio cervello funzionassero a scoppio ritardato,
comincio a rielaborare le parole della donna “Voi due avete
parlato abbastanza, anche troppo direi. Muoviti Sulfus, è ora di
andare” Una volta fissato il concetto bene in mente, sento il
rumore di uno sportello che si chiude, e comincio a correre. Esco, e mi
trovo davanti all’autista della macchina che ha appena chiuso il
suo sportello. Sulfus sta per entrare seguito dalla professoressa
Temptel. Se non mi sbrigo lo perderò, e non me lo posso
permettere. Se urlassi il suo nome magari si volterebbe e si fermerebbe
prima di salire, ma ho la gola secca e non sono sicura di poter contare
sulla mia voce. L’autista mette in moto, ora o la va o la spacca.
La Temptel si accorge di me, e fa una smorfia seccata. Sulfus sembra
notarla, e esce dalla macchina nella quale stava per entrare
completamente. La donna lo spinge dentro mentre lui cerca di opporre
resistenza. Cavoli, sono così vicina…allungo una mano
nella speranza di incontrare la sua, e vedo che anche lui fa lo stesso.
“Si sbrighi, metta in moto la macchina!” L’autista
ubbidisce impassibile, e la macchina comincia ad andare lentamente
mentre Sulfus e la Temptel continuano a lottare. Lo sportello sta per
chiudersi, e cerco inutilmente di accelerare la mia corsa. Non ce la
faccio a raggiungerlo, sono esausta. Però non posso fermarmi,
non prima di averglielo detto. “Sulfus!” la mia voce
stridula e ansante per colpa della corsa riecheggia nell’aria.
“mi…MI PIACI! …IO TI AMO!” sento lo sportello
sbattersi con forza e cado a terra esausta, strisciando i gomiti e le
ginocchia sul selciato, mentre la macchina sparisce all’orizzonte.
Sulfus POV
Cavolo, cavolo, cavolo. Conficco le mie unghie sul dorso della mia
mano, cercando di sfogare la rabbia. Cavolo quanto sono scemo, cavolo
quando odio questa macchina, cavolo quanto odio il sorrisetto
strafottente della Temptel, seduta accanto a me. Cerco di controllare
il mio tono di voce; non voglio dare alla strega la soddisfazione
diabolica di farmi soffrire così tanto. Aumento la pressione
delle unghie sulla mia pelle, e faccio un sospiro cercando inutilmente
di calmarmi “Posso muovermi ora?” mi rendo conto da solo
che tutti i miei propositi sono stati vani, dato che solo ascoltandomi
si capisce che sto per esplodere “Siamo in macchina,no? Ora
può anche togliermi questo…questo…” Calma
Sulfus, controllati. “…questo stupido incantesimo!”
Ok, non è proprio il massimo, ma in confronto alle parole che
volevo dire sembra quasi che le abbia regalato un mazzo di fiori. Lei
si gira verso di me con una lentezza esasperante, e fa un piccolo
sorrisetto sarcastico “Mi dispiace Sulfus, ma credo che dovrai
rimanere immobile per un po’. Saresti benissimo in grado di
fiondarti fuori dalla macchina, e noi non vogliamo rischiare che tu ti
faccia male, giusto?” Scusami tanto, brutta strega, ma
sinceramente non mi sembra proprio che ti dispiaccia così tanto.
E se vogliamo parlare di dolore, portandomi via mi stai uccidendo.
Scema, crudele, insensibile. E ora anche assassina. Un bel curriculum,
complimenti; sei un diavolo in piena regola. Brava. Vuoi un applauso
per il tuo spettacolo? Scusami, sai, se non mi sto divertendo. Rivolgo
lo sguardo verso il finestrino e cerco di concentrarmi sulle sagome
degli alberi e del grattacieli sfuggenti. Sento un magone allo stomaco,
e capisco che la macchina si sta alzando in volo. La mia visuale si
alza sempre di più; ora mi basterebbe mettere una mano fuori dal
vetro per toccare le nuvole; tutto questo, ovviamente, se potessi
muovermi. La macchina si ferma di scatto, ma solo per cominciare una
discesa vertiginosa subito dopo. Le altre volte che sono tornato a
Zolfanello City, a questo punto del tragitto, avvertivo
l’adrenalina e l’ebbrezza della velocità, ora sono
solo nauseato. Sai, angelo? Mi hai davvero shockato, ci sono rimasto di
sasso. Mi aspettavo tutto, tutto tranne questo. Non riesco bene a
capire se sono felice perché anche tu mi ami, o se sono
disperato perché non posso più vederti. L’insieme
è una specie di sapore amaro in bocca, unito al battito
irregolare del cuore e alla voglia di vederti. …sai? Non so bene
se ti credo. Se tornassi e ti vedessi avvinghiata a quel terreno non so
cosa farei. Se il tuo sguardo fosse freddo e il tuo cuore non volesse
accettarmi, finirei in pezzi. Tu sei così ingenua…se una
mattina ti svegliassi e scoprissi di non amarmi più, me lo
diresti o soffriresti in silenzio? Non lo so; sul serio. Sei di nuovo
nella mia mente. Ti vedo mentre corri, ti vedo mentre mi chiami, ti
vedo mentre cadi. Sei veloce, lo sai? Stavi quasi per
raggiungermi…scusami per non essere riuscito ad afferrare la tua
mano. La tua voce era così disperata, così
spaventata…ci tenevi così tanto a farmi restare?
Attraverso lo specchietto ho visto l’ultimo sguardo che hai
rivolto alla macchina prima che il tuo corpo perdesse le sue ultime
energie e cadesse a terra. Ti sei fatta male? Chi è che sta
curando le tue ferite? Le tue ultime parole mi risuonano nella mente.
Ma sul serio ti piaccio? Io?! Un diavolo? Uno stupido egoista come me
che non riesce a rinunciare al tuo sorriso, ai tuoi occhi, alle tue
labbra, ai tuoi capelli…? Sul serio io merito il tuo amore?
Appoggio la testa contro il finestrino ghiacciato, e abbasso le
palpebre per qualche secondo. Faccio una piccola risatina sommessa e
triste…quanto tempo abbiamo sprecato...Io credo che
infondo…voglio fidarmi di te. Voglio fidarmi del tuo sguardo
ferito e del tuo respiro ansante, voglio credere alla tua voce rotta
dalla paura e del sangue uscito dalle tue sbucciature. Voglio credere
nel tuo amore, così come tu dovrai credere nel mio, appena
potrò dirtelo. Voglio credere che sorrideremo tenendoci per mano
come gente normale e che cammineremo in mezzo alla strada senza doverci
più nascondere. La macchina si ferma di colpo, e riapro
svogliatamente gli occhi. Vedo la portiera aprirsi, e lo sguardo vigile
della prof mentre scendo dall’auto. “Bentornato a
Zolfanello City, Sulfus” cammino mestamente, ma non abbasso il
capo; io non voglio avere più niente da nascondere.
Aspettami angelo, perché tornerò sicuramente.
FINE 5° capitolo!
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