CAPITOLO 4: La morte è la migliore delle
ossessioni.
Terza notte.
Appena sveglio, Edward si chiese immediatamente quanto Roy
Mustang fosse ormai lontano da lì.
Si mise a sedere di scatto
con una mano a tenersi il petto, con l’immagine di quell’uomo
che, come la rimanenza di un sogno, martellava la sua testa fino a farla
dolere. Non era il senso di colpa, perché aveva fatto di tutto per
riparare ai suoi errori, non era il bruciore della sua maledetta fame.
Sentì che il sole era
appena calato dietro l’orizzonte.
Alphonse dormiva ancora nella bara chiusa, dove lo aveva
condotto la sera prima come faceva sempre –come un bambino verso la culla-, ed
in una notte limpida e perfetta per uscire dal castello… rimase immobile.
Roy Mustang, l’uomo la cui vita era stata salvata per
un suo capriccio, fu davanti a lui con la malizia sulle labbra fine, per poi
scomparire, ridendo di lui.
Con la sua voce nella
testa a mandargli brividi giù per la schiena si alzò, pettinandosi i capelli in
modo distratto davanti allo specchio.
Guardò il riflesso del
suo viso opalescente, e se ne rese conto.
Erano di nuovo soli in quel mondo che non conoscevano.
Alphonse era un riflesso che non avrebbe fatto altro che
seguirlo, amarlo, venerarlo senza riserve, senza mutare mai in funzione delle
epoche.
Quel pensiero,
improvvisamente, lo fece soffocare.
Gli rivelò qual’era la sua casa, com’era davvero la prigione buia ed
immutabile che aveva tentato di aprire.
Man mano che ci
pensava il cielo si faceva più scuro, e cominciò a sperare nell’arrivo della
luna consolatrice. Lo consolava sempre, mandando un fascio di luce a prelevare
dal suo petto ciò che l’opprimeva, diradando le tenebre in cui avrebbe dovuto
vivere per sempre. Per sempre.
Quel pensiero gli fece
venire fame. Osservò le unghie affilate delle sue dita, ghignando, spalancando
la finestra per saltare giù.
Era la notte perfetta
per dimenticarlo.
Ci si poteva riuscire
velocemente, annegando nelle interiora di un uomo di robusta costituzione.
Il sangue era una
panacea, capace di curare ogni ferita, ogni sofferenza. Ma sentì la sua voce, e
capì che il sangue non sapeva risanare un ossessione.
“Perché non vuoi
andartene via dalla mia testa?” Si chiedeva la voce, e trasalì perché era una
domanda che si era posto a sua volta.
Lo vide, imbrattato dal
sangue delle maledette arance, con gli occhi dilatati e le mani che frugavano
il terreno.
Cercò di essere il più
veloce e scattante possibile, ma Roy
fu lì a fissarlo quando giunse davanti a lui.
Sorrideva tristemente,
con le labbra ed il mento rossi. “Perché non mi rispondi, almeno? Continui ad
essere nella mia testa… sempre… sempre…”
Ricambiò con un sorriso
altrettanto triste. “Potrei farti la stessa domanda, stupido inglese”
Si sedette accanto a
lui sul terreno rosso pieno di scorze d’arancia strappate. Improvvisamente,
avendolo accanto, smise di pensare a lui lasciando che un vuoto nero e vibrante
ne prendesse il posto, e lo convincesse a non distogliere mai lo sguardo da
lui. Non lo aveva ucciso, ma l’aveva fatto impazzire. Avrebbe avuto il tempo di
sentirsene in colpa, ma per ora era solo contento che Roy
fosse lì, a farlo respirare.
A distoglierlo dal
riflesso del ragazzo biondo dalle gote bianche, che la prigione di vetro aveva
già fatto uscire di senno.
“Chi è Hohenheim?” Edward, con le gambe
rannicchiate non si stupì, e non cercò di nascondere nulla.
Lo avrebbe raccontato
come una favola, a lui, perché non poteva accompagnarlo oltre il limite della
prigionia, ed era tutto ciò che poteva lasciargli.
Una giustificazione per
ciò che aveva desiderato.
“Era nostro padre...”
Strinse la presa su una scorza d’arancia, ricordandolo. Lui, l’inizio di tutte le
sue disgrazie, l’uomo che li aveva amati fino al limite della propria anima e
poi li aveva rinchiusi e resi mostri. “… o almeno Alphonse
lo considera ancora in questi termini, e nostra madre lo amava… io lo odio. Ci
ha salvati dalla strada, dalla fame, dalla miseria. Ci ha amati fin quando la sua mente gliel’ha permesso… ma non riesco a
perdonarlo”
Roy non parlò, incantato. Era tutto ciò che gli era
rimasto di bramare… che quella creatura si svelasse.
Che avesse abbastanza
considerazione di lui da porgergli i suoi segreti, o che non ne avesse affatto
per ritenere ogni rivelazione un dettaglio insignificante. Non aveva
importanza, andava bene così… era lo scoop della sua vita. Una storia fuori dall’ordinario di follia e di mostruosità.
Un po’ come lo era lui.
Era il colpo giornalistico che non sarebbe mai riuscito a pubblicare.
Rise, in modo folle.
Mimò il gesto di trascrivere qualcosa su un taccuino.
“Qual è la vostra data
di nascita?”
Edward, sbattendo le palpebre, non comprese per quale
motivo desiderasse saperlo. “Non lo so… non me lo ricordo”
“E quando avete
incontrato il suddetto gentiluomo?”
Non seppe perché, ma Edward rise a sua volta. “1877” . Non l’avrebbe
dimenticato mai. Roy amò l’espressione di sognante
beatitudine che apparve sul suo volto, riportandolo per un attimo indietro dal
baratro della follia… della follia che il pensiero di lui aveva indotto. Era
inevitabile, gli aveva rovinato una vita già rovinata, una mente già distorta,
non aveva nulla da recriminare. Era il suo angelo, il suo pensiero fisso.
Gli prese la mano e la
baciò, come si fa con una gentildonna.
“Datemi il vostro
cuore, my lord. Confessatemi cosa vi affligge nel
sonno, cosa non vi fa respirare, cosa vi arreca sofferenza… io lo custodirò per
voi”
Vibrò, con l’impulso di
toccarlo, di prendere da lui qualunque cosa avesse. Ma
non avevano detto tutto.
“Io ti ho maledetto, Roy Mustang…” Sussurrò.
“… ti dimenticherai di
me non appena te ne andrai di qui”
“Maledetto, dite?”
Poteva credere a tutto, tranne che a quello. “Sicuramente. Non vi conosco che
da tre notti”
“Era un mio capriccio,
il capriccio di un decennio. Avrei potuto conoscere questo mondo anche per
conto mio…” Sospirò, sentendo di non meritarsi quel calore, la perfetta
realizzazione del suo inganno. Non aveva avuto bisogno di Roy
all’inizio, ma ora ne aveva. Un disperato, ossessionante, terrificante,
asfissiante bisogno che era molto simile ad una dipendenza.
“… lui, Hohenheim, lo aveva fatto. Ci aveva concesso il lusso di
ammirarlo… prima dei dieci anni d’isolamento”
Dieci anni, dieci anni
per dipingere quella Madonna che, alla fine, aveva perso il suo bambino. Li
aveva rinchiusi tra le tenebre che parevano eterne, mentre tentava di ricrearla
in modo impeccabile. Il vecchio vampiro non aveva fatto altro, dal 1890 in poi, altro che
dipingere lei, Trisha, le cui mani non riuscivano mai
a tenere in braccio il figlio in maniera sicura. Le immagini di vernice e i
corpi imbalsamati non bastavano a compensare il dolore di averla persa sulla
strada dell’eternità.
Era convinto di star
facendo un errore, prima di averli resi mostri ed abbandonati.
Ma Edward
questo non lo disse. Si premette il petto, ancora, incapace di pretendere che
lo facesse davvero: capire, abbracciarlo, rassicurarlo sul fatto che non era
colpa sua. Non poteva.
Posò la mano libera sul
suo capo, sorridendo, come faceva il Re con i propri vassalli nel medioevo.
Lasciò che lo baciasse, come lo spingeva a fare l’illusione d’inevitabilità che
il suo mistero aveva lasciato in lui, la follia che lo avrebbe lasciato inerme
in mezzo alla massa di persone normali che non sapevano, che non immaginavano.
Non fu un bacio gentile, ma un accavallarsi di zanne affilate che si
adoperavano per mordere ogni cosa, un rotolare di saliva e sangue dall’odore
fruttato che scivolava sulla pelle. Roy rise,
usurpando un ruolo che non era suo, addentando il collo imbrattato
mentre Edward ringhiava come una bestia e lo
stringeva addosso al suo petto. Si adagiò all’indietro, ridendo, lasciandolo
fare senza alcun desiderio di cambiare le cose. Aprì le labbra per afferrare
l’aria, perdendo ogni comprensione del tempo, dello spazio, e del fottuto mondo.
Dopo anni sentì caldo,
e sospirò estasiato tra le braccia di un uomo che avrebbe potuto divorare pezzo
per pezzo.
Non ne sarebbe valsa la
pena.
“L’hai capito, no?”
Vide apparire la luna nel cielo nero, mentre lo diceva, e tentò di abbracciarla
ottenendo che Roy collassasse
ancora di più su di lui. Ogni cosa moriva intorno, lasciando solo Roy, la luna e quel senso di dimenticanza. “Sono tutti qui
sotto, l’hai capito no?”
Lo stupido inglese non
notò che il mistero per cui era giunto ad impazzire
gli era appena stato rivelato: continuava a sghignazzare contro la pelle
bianca, con gli occhi dilatati ed il corpo in preda a movimenti inconsulti. Ma
li aveva visti.
Aveva visto i cadaveri
sotto terra, senza scavare molto a fondo.
Tutto avrebbe
acquistato un senso se soltanto avesse tentato di darci attenzione, di vedere
come le radici di quegli alberi si aggrappavano alle carni più o meno
raggrinzite di uomini e donne. Alcuni stavano con la bocca spalancata, gli arti
piegati in modo innaturale e le vene inaridite che li rendevano rigide bambole
dalle membra violacee, che protendevano le braccia facendosi rimirare e
chiedendo un giro di valzer. Roy aveva fatto
conoscenza con tutti, stringendo le mani flosce ed ignorando i poco educati
sguardi vitrei.
E Scar,
da bravo giardiniere, aveva estratto e buttato in mare qualche inutile mucchio
d’ossa durante il giorno.
“L’ha creato Hohenheim… quello dannato scienziato pazzo. Oh, non mi
fraintendere! Non c’è niente di meglio di un pasto consumato direttamente dal
collo di un giovane uomo, ma Alphonse
è così dannatamente problematico! Si sente in colpa… ancora… e ancora… non ho
altro modo di farlo sopravvivere che in questo modo, trasformandoli in semi!”
Semi… per loro gli
esseri umani erano semi, ed eppure non riusciva a lasciarlo!
Edward, pur apprezzando le mani calde che gli sfioravano
la schiena e i fianchi, si ritrasse da lui, raggiungendo il suo orecchio.
“Penserai comunque
sempre a me, stupido umano? Mi ricorderai come il mostro che sono per tutta la
tua insignificante vita?”
Una nuova risoluzione
giunse alla sua mente. Il senno che aveva perso gravò sulle sue membra prima
libere, e comprese.
Più lo abbracciava e lo
desiderava, più braccia e gambe s’irrigidivano, perdevano forza.
Lo stava facendo
morire.
“No” Sussurrò.
“Bene…” Disse Edward. “… perché non ho più bisogno di te. Non ne ho mai
avuto, in effetti. Eri soltanto un capriccio. Solo un capriccio. Siamo così
giovani, in fondo! Solo dieci anni e una vita di lussuose tenebre… ma imparerò,
anche senza l’aiuto di un qualunque stupido essere umano”
Non smise di ridere,
mentre puntava gli occhi inumanamente belli nei suoi, e metteva in mostra le
zanne affilate.
“Sei ancora convinto di
non volermi dimenticare?”
Pensò alla donna dei
suoi sogni.
Non ebbe timore
di lui, scoprendo inaspettatamente di non riuscire ancora ad impedirsi di
cercarlo.
Cercare ogni cosa di
lui avesse a disposizione, pelle, carne, anima, voce.
Ma era destinato a perdere.
Avrebbe perso lasciando
che Edward se ne andasse dalla sua vita, avrebbe
perso lasciando che lui lo disprezzasse.
“È ironico, sai? Avevo
portato davvero tutto il necessario con me…” Disse, guadagnandosi uno
sguardo perplesso.
“… aglio, croci,
paletti di legno… pensai che quella degli abitanti del villaggio fosse solo
superstizione”
Aveva preso un
pacchetto di fiammiferi dalla tasca. Per quanto lo avesse
assicurato a sé stesso, il piccolo idiota non fece nulla per impedirgli
di dare fuoco alle foglie sparpagliate sul terreno. Stette ad aspettare che
fuggisse da lì, ma non lo fece.
“Scappa, piccolo
idiota” Poteva ancora farlo parere uno scherzo, un gioco, se solo ci
s’impegnava.
Invece Edward allargò le braccia verso di lui, sorridendo, come
avesse previsto ogni cosa e lo biasimasse per non aver fatto lo stesso.
Sovrappose le labbra alle sue delicatamente, lo trasportò via dallo strano
legno rossastro che le fiamme stavano divorando con una velocità anormale.
L’odore di carne bruciata lo raggiunse e lo disturbò, mentre Edward lo adagiava sul terreno freddo.
Si posizionò in mezzo
alle fiamme, con le braccia aperte che parevano le ali di un angelo, e gli sorrise.
Sembrava felice
bruciando, ma ciò non lo consolò, perché non era quello che voleva. Perse
i sensi con l’immagine di Edward che bruciava ed un
urlo di terrore nella gola. Per quanto lo chiamasse,
per quanto protendesse la sua ossessione come una rete non cambiò nulla.
Quell’immagine non l’avrebbe saziato per l’eternità.
Né in vita, né in
morte.
***
Olivia ricevette la telefonata quando ormai -dopo essersi rovinata ogni singola
unghia delle dita a furia di batterle sulla sua scrivania- aveva concluso che
non l’avrebbe rivisto più. Non era un problema insuperabile, figuriamoci,
l’aveva accettato continuando il suo lavoro senza troppi piagnistei e con il
lusso di una tazza di tè più forte.
Era un puro caso se
quel pomeriggio si trovava in redazione nonostante non ce ne fosse bisogno
–come tutte le altre volte-.
A meno che non avesse ucciso qualcuno, quell’uomo
non la riguardava –certo- come non la riguardava il compito di tampinare per
ore ed ore il telefono della redazione. Essendo una perfetta dittatrice nessuno
dei suoi collaboratori osava chiedere qualcosa a tal proposito, ed era un lusso
per cui poteva concedersi qualunque stravaganza -come
una qualunque sciocca donna aristocratica senza spina dorsale-.
Preferiva combattere
l’invadenza di cento idioti piuttosto che starsene lì, aspettando il momento in
cui avrebbe distrutto di nuovo il telefono.
In cuor suo aveva
sempre saputo che, pur di riapparire sotto forma di spettro, Roy Mustang sarebbe tornato a giustificare in modo
fantasioso i suoi nulla di fatto -con la sua faccia da schiaffi-.
“Pronto” Non si era nemmeno
premurata di dire ‘Qui Central Journal…’ e tutte
quelle altre cazzate di protocollo, e comunque non lo
faceva mai.
La voce femminile nel
telefono squillò grave ma decisa. “Parlo con Olivia Armstrong?”
“Sì”
“Roy
Mustang è in casa mia” La cornetta le scivolò dalle mani, cadendo a terra con
un tonfo. La recuperò in tutta fretta.
“E… e… come sta?” La
voce tacque per qualche minuto, sembrava quasi non respirare.
“Non credo di esagerare
dicendo che è… impazzito”
Lo era sempre stato,
pazzo. Figuriamoci! Ma non le venne da ridere.
“Da quali elementi
avete potuto dedurre questo?”
La voce sospirò, ed era
la prima variazione di tono in quel suono grave e monocorde che proveniva dal
telefono come i rintocchi funerei di una campana.
“Sta tutto il giorno alla
finestra, leggendo sempre lo stesso libro, guardando fuori ogni tanto. Non
parla, mangia e beve a stento, parla in continuazione di ‘stupidi
ragazzini biondi a cui l’accento dell’est starebbe
proprio bene’ . Ho provato a dirgli di andarsene di
qui, ma ha l’aria di qualcuno che potrebbe inciampare e spaccarsi la testa non
appena smetti di controllarlo. Detto in tutta sincerità sta diventando un
fastidio, e vorrei che lei me ne liberasse”
Annuì con aria
professionale ed un espressione di strano divertimento
sulla faccia, ed il che era contraddittorio.
“Lo so…” esalò, senza
impedirsi di produrre un suono un po’ farfugliante. “… quell’uomo
è un disturbo per l’umanità, non è vero?”
“Può dirlo forte”
Nonostante non fosse
cambiato nulla nel loro modo di parlare, le due donne furono sicure di essersi
sorrise l’un l’altra.
D’un sorriso un po’
malinconico, in realtà, ma faceva parte di quelle precisazioni che nessuna di
loro avrebbe mai apposto in una conversazione.
Tutto quello che Olivia
decise di farle sentire fu un sospiro sonoro e teatrale.
“Ditegli che se non
viene al telefono entro cinque minuti gli spaccherò ogni singolo osso del suo
dannato corpo”
L’altra donna annuì
silenziosamente, facendo ciò che le era stato chiesto.
Tamburellò le unghie
consumate e lucide per dieci volte prima che Roy alzasse la cornetta, facendola ghignare.
“Alla
buon ora, stupido idiota”
“Era ad un passo
saliente della storia… hai interrotto la mia lettura, donna bisbetica”
“L’hai letto già tre
volte, quel libro, e ti avevo detto di lasciarlo stare. Nemmeno ti piace”
“Oh, assolutamente no. Ora meno di prima…” La sua risata fu come ticchettare
di metallo su metallo. “… è del tutto inverosimile”
“Non capisco che vuoi dire ma va bene, abbiamo tutto il tempo. Hai scoperto
qualcosa?”
Spesso Roy non rispondeva alle sue domande, ma era di solito un
rifiuto buffonesco e dannatamente irritante che la portava sempre a punirlo in
qualche maniera fisica. Quella volta il suo non- rispondere fu diverso, triste,
vuoto, come se non sapesse riempire quel silenzio con qualcos’altro che non
fosse la lieve interferenza della telecomunicazione.
“Niente, rinuncio
all’indagine” Rispose infine, ma Olivia non gli credé, pur lasciando correre.
“Ho scoperto qualcosa su
tua madre” Era il modo perfetto per scoprire se Roy
era davvero impazzito, o se era generalmente cambiato in qualche modo. Parlando
di sua madre cominciava a parlare con una vibrazione d’odio, che faceva la sua
voce più sarcastica di quanto si potesse concepire il sarcasmo stesso, nel
tentativo di dare a vedere che la cosa non lo toccava. Era il colpo più basso
ed il più leale che potesse sferrargli.
Ma Roy
non disse assolutamente nulla.
“È morta bruciata viva”
“Oh” Solo un
monosillabo.
Avrebbe voluto avere il
coraggio e la faccia tosta di chiedergli se davvero non era
successo niente, ma era un limite troppo lontano da lei.
“Perché non te ne vai
ancora via da lì?”
“Non lo so”
rispose immediatamente, lasciandola stupita.
“Devo dire alla signora
Rockbell che ho visto la sua bella nipote dai capelli
biondi… l’ho vista maturare come un frutto”
Rise in modo folle, ma
ancora una volta non chiese spiegazioni. Inaspettatamente ammise a sé stessa
che era per paura.
Paura di quella
presunta follia, ed Olivia odiava avere paura meno di quanto odiava ammettere
di provarla. Provò a mantenerla sullo scherzo.
“È perché ti rendi
conto che rischieresti la vita a tornare al mio cospetto, stupido idiota?”
“Già…” rise. “… ma
dovrei morire per comprendere quello che mi perdo, non è così, My Lady? Sono un dannato testardo che non capisce il valore
della vita, non è vero? Non è forse vero? NON ÈFORSE VERO?”
Poteva rimetterlo in
riga con un pugno, quella volta? Gli occhi le si velarono
d’indegne lacrime prima di poterci pensare seriamente. Le sue parole spinsero
una scarica di elettricità su per la sua schiena, facendola barcollare sulla
sedia ed accorgersi di quanto era dannatamente patetica.
Non ricordava nemmeno
più com’era desiderare qualcosa senza negarlo a sé stessa, ma per un attimo
perse di mano la sua disciplina.
Si poteva dire che non
lo avrebbe mai fatto abbastanza, con Roy Mustang.
“… solo
ora ho capito quanto sia inutile la vita senza un ossessione… e la morte
è la migliore delle ossessioni!”
Riattaccò con un gesto del
tutto istintivo, col fiato pesante.
“Roy”
Decise di rimanere
impalata lì, sulla sedia, fin quando quella frase non
fosse uscita dalla sua testa.
Ma non lo fece mai.
La morte è la migliore delle ossessioni.
Note dell’autrice!
È finita §_§ non so se per
sempre ma per adesso è finita… non ha riscosso un successo enorme
ma è quanto mi aspettavo, e sono contenta che ci siano sempre quelle
poche persone che dicono di apprezzare i miei lavori *O* Il seguito ce l’ho in
mente, ma dubito che, anche se mi venisse mai in mente di scriverlo davvero, mi
sbrigherei poi così tanto a buttarlo giù xD Comunque tanto
che ci stiamo... avete visto “Dorian Gray”? *O* e la bellissima ed inaspettata scena yaoi che vi si trova? *O* va buo,
passiamo ai commenti.
My Pride: “Niù mun”,
se posso esprimermi, faceva ridere… è l’unico pregio che ho saputo trovargli! Almeno
ti ci passi un paio d’ore nemmeno a farti qualche buona risata, fatto sta che
il libro effettivamente pur non essendo un capolavoro me lo ricordavo un
attimino meglio xD Va buo, questo è un OT grande come una casa, ma chi se ne
frega! xD owari *inchino*
Icaro smile: Ma nooooo, Scar
non voleva farlo fuori… a lui non frega una beata mazza sostanzialmente xD non ho avuto modo di
approfondirlo, poveretto, ah per la cronaca non è un vampiro lui (ovviamente,
come potrebbe uscire alla luce del giorno altrimenti?), ma sono cose che potrebbero
rimanere nell’ombra per sempre. Comunque mi dispiace per Roy…
giusto una volta gli ho dato soddisfazione e non era nemmeno troppa xD comunque dimmi che ne pensi del
finale, baci.
Covianna: Amo
i commenti deliranti, i miei sono sempre inconsistenti ed assolutamente poco
istruttivi… quindi ti capisco xD ma li adoro al pari degli altri! Quindi non privarmene please. Comunque Roy è partito di
capa… tra questo e morire cos’è peggio? xD baci!
Valerya90: Come
mai dal terzo capitolo ti è riuscito d’immaginarti i personaggi di Naruto in questa Fic? Ah, mi ero
anche scordata di dire che al posto di Olivia c’era Sakura
xD Grazie ancora, baci.
Giaggia: Riguardo
ad Al, come ho già detto a non so chi, io ho una
particolare visione di lui, e lo faccio sempre un po’ schizofrenico ed affetto
da doppia personalità, mi piace rappresentare la sua parte oscura che spesso è
interpretata dall’armatura (come ne “Il Battito della rosa” o “The seven of destruction”), riguardo
all’Elricest diciamo che “L’armatura pazza” è un mio
marchio di fabbrica… e mi piacerebbe inserirla in un futuro seguito di questa
storia non so in che modo xD comunque fammi sapere
come ti sembra il finale, baci!
Va buo,
anche qui è finita… non so in che fandom mi troverò
la prossima volta, ma devo dire che in fma mi trovo
sempre abbastanza bene *O* se qualcuno degli utenti che non hanno commentato
finora volessero farmi sapere cosa ne pensano della storia nel complesso ne
sarei lietissima.
*Inchino*
Alla prossima.