Babyheart
Dicevano che non sarei mai
cambiata.
Dicevano che una come me non
sarebbe mai cresciuta.
Lì, sola
in mezzo a migliaia di persone. Migliaia di volti anonimi, sconosciuti, che
nemmeno riesco a mettere a fuoco.
Non so
perché sto correndo a per di fiato dentro la folla, in una disperata e dolorosa
ricerca affannosa.
Ignoro
il respiro che comincia a mancarmi e il dolore al petto che diventa più intenso,
come se il cuore mi stesse per scoppiare.
In fondo
forse non mi dispiacerebbe se davvero succedesse.
Mi
scontro violentemente contro un uomo di grossa corporatura, involontariamente lo
spingo in modo piuttosto violento. Lui si gira e irritato mi scansa di lato, non
c’è spazio, finisco contro altre persone, forse perdono l’equilibrio, forse
colpiscono a loro volta altra gente. Non mi interessa. Continuo il mio tragitto
senza degnarle di uno sguardo.
Non
esistono.
Davanti
ai miei occhi vedo solo un mondo di macchie indefinite dai colori spenti che mi
corrono davanti troppo in fretta senza che io le possa capire.
Non
sento alcun suono.
O
meglio, il vociare della folla si unisce a quello degli elicotteri in un informe
concerto raccapricciante.
Si sente
solo in lontananza un triste latrato di un cane… o forse me lo sto solo
immaginando.
Non sono
più nemmeno sicura di quello che sto vivendo.
Arrivo
finalmente nei pressi del grande cancello di ferro al quale la gente è rimasta
appostata per ore.
Solo
adesso li noto.
Sono
adirati, furiosi, collerici…
Sparano
insulti e grida di odio con una violenza funesta.
E
un’altra volta mi sento morire. Quanto è crudele che si debba morire tante volte
in una sola vita.
Cerco di
arrivare al cancello, non mi interessa se nella foga qualcuno mi colpisce più
volte, non mi interessa il rivolo di sangue che sento scivolare giù da un labbro
spaccato che mi hanno appena colpito.
Con le
dita incontro finalmente il freddo ferro del cancello.
Mi
faccio forza e arrivo ad avvicinarmi ancora di più. Finalmente riesco a vedere.
Vedo lo
sterminato parco della reggia della Mishima Zaibatsu.
Vedo uno
squarcio di quell’altro mondo, del suo mondo.
Davanti
al cancello decine e decine di uomini armati senza un volto, solo tante identità
nelle mani del più potente. Pronti a fare fuoco sulla folla impazzita ad un
primo passo falso.
È
rischioso, estremamente. Ma non mi interessa.
Ma per
la prima volta provo paura.
Non per
la mia vita, ma per quello che vedrò, come potrò reagire dopo.
Ecco che
l’elicottero più grande si avvicina al suolo, pronto ad atterrare sul terreno.
Le mie
orecchie non sentono più niente. Solo un fischio, un insopportabile silenzio
assordante.
Il cuore
non me lo sento più.
Non sono
neanche più sicura di avere un corpo.
Lo vedo
scendere dall’elicottero, posare a terra i piedi e erigersi con immancabile e
maestosa autorità.
Non si
preoccupa della folla, non sembra preoccuparsi di niente. È indistruttibile.
Riconosco i suoi capelli corvini, la sua pelle pallida, le sue labbra… è tutto
come lo ricordavo.
Ma i
suoi occhi brillano di una luce estranea.
Il suo
corpo è un’illusione. Io non conosco veramente quella persona.
Davanti
a me vedo nient’altro che uno sconosciuto.
Con
assoluta freddezza attende che la donna che ormai accompagna la sua ombra
dappertutto gli venga accanto.
Ed
eccola arrivare con i capelli dorati al vento e gli occhiali da sole scuri
calati sugli occhi.
Nina
Williams, la donna che un tempo era stata incaricata di ucciderlo, oggi è
ironicamente la sua killer personale.
Entrambi
così belli, così freddi, così quasi sovraumani.
Guardo
il loro mondo come attraverso la superficie di uno specchio.
E per
quanto possa mai desiderare di scagliare pugni, rabbia e disperazione contro il
vetro non potrò mai attraversarlo. Quello che otterrei sarebbero solamente delle
mani sanguinanti.
Così
come una povera ragazza che si era illusa di poter salvare il ragazzo che amava
dal suo destino.
Una
povera ingenua ragazza che si era costruita una vita di sogni e patetiche
speranze, dedicando la vita ad una persona che non lo meritava.
E il suo
cuore ora sta lì a sanguinare.
Come
sanguina il mio viso, in una maschera di orrore e lacrime.
Lui
comincia a camminare, passa davanti al cancello. Si volta per un attimo a
guardare la folla.
I suoi
occhi scorrono distratti sulle persone.
Non un
cambiamento nella sua espressione.
Li
guarda con un’assurda assoluta indifferenza.
Poi ad
un tratto i suoi occhi incontrano il mio viso.
E lì lo
vedo.
Vedo i
suoi occhi fermarsi poi la sua fronte incresparsi per un istante.
Non
riesco ad interpretare quel minuscolo gesto, sono i gesti di uno sconosciuto
ormai… ma mi ha notato.
Rimango
irrazionalmente sollevata al pensiero che conservi seppure minimo un misero
ricordo di me.
Perché
non riuscirò mai ad odiarlo.
Si volta
poi, lasciandosi la folla alle spalle.
E mentre
osservo la sua schiena e quella di Nina che si allontanano insieme, sento la
tremenda sensazione come se mi fosse stato sottratto qualcosa.
Ma che
senso ha provarlo per qualcosa che in fondo non mi è mai appartenuto?
Solo
adesso me ne accorgo, solo adesso lo capisco e ne divento consapevole.
Ed è in
questi momenti che senti di essere cresciuta davvero.
Io non volevo crescere in questo modo.
Dicevano che non sarei mai
cambiata.
Dicevano che… una come me non
sarebbe mai cresciuta.
Vorrei
che avessero avuto ragione.
Ok questa
è deprimente forte.
Non so
nemmeno da dove mi sia venuta, sarà che sono un po’ giù in questo periodo
(oddio, non a questi livelli grazie al cielo!!), sarà che non avevo niente da
fare. Sarà anche la delusione della storia di Tekken 6… cosa che non riesco
proprio ad accettare, ma vabbè, l’importante è che venda, si sa, no?
Meno male
che esistono le fan fiction che ci permettono di dare qualche ritocchino. :)
L’ho
buttata giù così in un’oretta circa, non è niente di che e credo che si sia
notato.
Però potrebbe anche essere uno spunto per qualcosa di nuovo da fare più
avanti... si vedrà.
Per ora è una one-shot, ma non escludo di poter un giorno cambiare idea e
mandarla avanti.
Una cosa
è certa: la prossima cosa che posto sarà decisamente più allegra, prometto. XD
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