Capitolo 1 Oxigen
Capitolo 1 Oxigen
Aprii gli occhi solo quando i
raggi del sole mi solleticarono il viso: impiegai qualche secondo per mettere a
fuoco la stanza e mi lasciai sfuggire un sospiro di sciocca delusione…
Allungai gambe e braccia,
evitando accuratamente di appoggiarmi al suo cuscino: sapevo benissimo
che era stupido, ma non potevo accettare di toccarlo senza esserne
obbligata…dopo anni…
Mi alzai e fissai la mia
immagine nello specchio: erano passati due anni e senza dubbio avevo toccato il
massimo della mia bellezza.
Non passava giorno che
rimpiangessi di essere viva per vederla, non passava un singolo giorno di quella
tortura da nascondere, sola e senza gioia, senza che guardassi il ponte vicino a
casa desiderando solo un ultimo volo di libertà prima della fine.
Scossi la testa per scacciare
le ombre, senza riuscirci, e cominciai a preparami: mi lavai, indossai un
delicato tailleur crema e mi truccai il viso.
Scesi le scale e gettai uno
sguardo sul calendario, immediatamente più depressa: saremmo partiti per alcuni
mesi di villeggiatura in una delle tante proprietà che i King avevano sulle
montagne.
Decisi di non mangiare: sapevo
che il mio stomaco non avrebbe retto tra le curve e…e… la vicinanza obbligata al
mostro.
Uscii e mi diressi verso la
casa di Vera: le avevo promesso di passare prima di partire.
Mi ci vollero pochi minuti, nei
quali camminai veloce e scostante, ignorando i tanti disoccupati che affollavano
le strade: qualcosa in me si ribellava a quella vista, ma ero troppo bloccata
dalla forza dei miei schemi mentali per capire la vera gravità della situazione
che mi circondava.
Bussai alla porta e poco dopo
la mia amica di sempre mi sorrideva, abbracciandomi: non feci tempo a entrare
che Henry mi si fiondò contro, seguito dalla sorellina, Claire, che lo imitava
nella barcollante dolcezza dei suoi primi passi.
- Visto che me ne sono
ricordata?-
- Mai sospettato il contrario…è
già tutto pronto??-
- Zia Rose, guarda qui!!-
- Grazie per il fiore, piccolo,
sei un tesoro!- Schioccai un bacio sulla guancia al mio figlioccio – Certo, Ve,
penso che sia già tutto in macchina…-
- Felice di partire??-
Non farmi mentire ancora, ti
prego, non voglio. Ma devo.
- Tantissimo…dicono che lassù
sia meraviglioso…-
- Sì,sì…come stai??- Ma come
faceva a leggermi dentro?
- Bene, Vera, benissimo…dai, io
devo andare. Ti voglio bene.-
Mi abbracciò stretta.
- Anche io. Torna, mi
raccomando.-
- Pensi che la prima cosa che
farò sarà andare a cercare dei grizzly?-
Percorsi lentamente il viale
della villa e, quando arrivai all’ingresso, vidi che anche i miei genitori erano
lì per salutarmi.
- Eccola la mia principessa!
Ben arrivata. Pronta a partire, tesoro mio??-
Fata, ninfa, stella,
principessa…quanto odiavo quelle parole!!
- Buongiorno a tutti.-
Mi aprì la portiera e mi tese
una mano per farmi salire: solo un altro brivido lungo la schiena.
- Buon viaggio, piccola,
divertitevi, mi raccomando!!-
Mia madre. Che dietro quelle
parole celava la delusione sua e i pettegolezzi della gente: come potevo non
aver ancora avuto un bambino?? Non lo capivano loro, proprio come me…perché?
Dov’era finita la mia ultima
goccia di felicità?
Mi appoggiai allo schienale
imbottito e cominciai a guardare il nulla davanti a me, cercando di ignorare le
mani poggiate sul mio corpo.
Scesi dall’auto non appena
arrivammo, disgustata.
Il panorama che mi stava
davanti era molto diverso a quello a cui ero abituata: forte, selvaggio e
stranamente rassicurante, come se lì l’unica cosa che potesse ferire qualcuno
fosse l’oscurità passeggera della notte.
La casa era interamente di
legno, decisamente più piccola rispetto a quella di Rochester, e sembrava
accogliere i visitatori con il portico coperto.
Mentre l’autista si occupava
delle valigie entrai e mi diressi subito verso il bagno: dopo tre ore avevo
quanto meno bisogno di rinfrescarmi.
Per avere l’acqua calda
bisognava accendere il boiler, ma riempii lo stesso il lavabo di pietra: mi
tolsi la camicia e mi passai sul viso e sulle spalle una salvietta bagnata.
Mi pettinai e uscii dalla
stanza pronta per accogliere i nostri vicini di casa.
Veramente i Franklin non
abitavano davvero vicino a noi: erano circa a 5 miglia, tre se si prendevano
delle grandi strade sterrate che passavano per i boschi.
Per ironia della sorte erano le
più sicure: sempre piene di abitanti del posto e mai isolate, erano al riparo da
eventuali automobilisti incapaci.
Era già passato più di un mese
dal mio arrivo e quel pomeriggio stavo tornando dalla solita visita di cortesia,
che stava perfino diventando noiosa, quando cominciai a sentirmi affaticata e mi
sedetti su una pietra a lato della strada: erano giorni che non mi sentivo bene
e mi rimproverai di non aver usato l’auto.
Nemmeno finii di formulare il
pensiero, quando sentii alcune gocce di pioggia cadermi sulla pelle.
Accidenti. I giramenti di
testa e pure la pioggia.
Cercai di mettermi al riparo
sotto le querce e ripresi a camminare, tentando di evitare il più possibile di
bagnarmi.
Stavo per rinunciare e
aspettare che l’acquazzone si calmasse, quando sentii dei passi di corsa dietro
di me.
E poi una voce, allegra e
profonda.
- Signorina. Signorina,
aspetti!-
Mi fermai e poco dopo mi trovai
affiancata da una specie di gigante bruno.
Pensai subito che fosse uno dei
ragazzi del posto, di qualche anno più anziano di me: era alto e massiccio, ma i
riccioli bruni scompigliati e gli occhi verdi scherzosi gli davano un’aria più
giovane.
- Buongiorno. Stava chiamando
me?-
- Ehm, sì, certo… signorina,
non si è accorta che stava arrivando un temporale?-
- Sono due gocce, non si
preoccupi.-
- Si fidi, qui sta per arrivare
un brutto temporale. Ha un ombrello?-
- No, altrimenti non me ne
starei qui a bagnarmi, non lo vede?-
Sorrise ancora di più.- Vero,
che sciocco. Senta, tra poco il tempo peggiorerà e se vuole la posso
accompagnare a casa io, con l’ombrello.-
- Non si disturbi. Nemmeno un
miglio e sono a casa.-
- Ma se intanto cerca di
evitare l’acqua non arriva più…non è un disturbo, accompagnarla. Davvero.-
- Lasci stare, ce la faccio da
sola.-
Arrivò un altro giramento, mi
scivolò di mano la borsa e prima che riuscissi a chinarmi quel ragazzo l’aveva
già raccolta: sbiancai un po’ per il movimento brusco.
- Signorina, lei non sta bene.
Per favore, la voglio solo accompagnare a casa.-
Si illuminò di nuovo con quel
suo sorriso disarmante.
- Non si preoccupi. E,
comunque, se continuiamo a parlare qui, non arriverò davvero mai a casa.-
- Veramente abbiamo già fatto
più di metà strada. Intanto che lei camminava, io la tenevo al coperto.-
Alzai gli occhi e notai che
stava tenendo l’ombrello sopra la mia testa, inzaccherandosi completamente.
- Emmett!! Emmett!!!-
- Ah, già, questo deve essere
mio cugino, avrà bisogno di una mano. Senta, tenga l’ombrello. A me tanto non
serve, sono abituato agli acquazzoni. Arrivederci, signorina!-
Corse via e mi ritrovai con
l’ombrello di un perfetto sconosciuto tra le mani.
Non appena arrivai a casa mi
resi conto che quel ragazzo aveva avuto ragione su tutta la linea: avevo la
nausea e il temporale era davvero violento.
Mi sedetti su una poltrona del
salotto, mi coprii un po’ e restai a guardare la tempesta: chissà come stava?
Era già arrivato a casa?
Scossi la testa, meravigliata:
perché stavo pensando a lui, un perfetto sconosciuto? Non conoscevo nemmeno il
suo nome …però sapevo che era gentile, allegro, buffo…rassicurante.
Appoggiai la testa contro la
spalliera e gettai uno sguardo alla sala e, senza alcun motivo, restai a fissare
il portaombrelli, dove, tra tanti eleganti e puliti, ne spiccava uno vecchio e
malandato.
Sorrisi. Come avrei fatto a
ridarglielo?
Mi alzai, lo presi dal vaso e
cercai qualche elemento che potesse contraddistinguerlo, senza alcun successo:
passai piano la mano sul manico di legno scuro e pensai ad un altro posto dove
potessi metterlo.
Salii piano i gradini delle
scale e lo misi nel mio armadio, nascosto tra gli abiti che portavo di rado,
senza capire perché mi sentissi quasi in obbligo di nasconderlo, come fosse un
segreto.
Chiusi l’anta e mi stesi sopra
le coperte, cercando di dormire, senza tuttavia riuscirci: quella sera, quando
lui tornò a casa ero così distrutta che nemmeno cercai di sfuggire ai suoi
abbracci.
Andammo a letto presto e,
mentre stavo per cadere nell’incoscienza, sentii uno strano grido risuonarmi
nelle orecchie: “Emmett!! Emmett”e mi girai dall’altra parte, credo sorridendo:
mi ero ricordata il suo nome.
La mattina dopo, a dispetto
del malessere, sentivo una strana allegria scorrermi nelle vene: era come
qualcosa stesse giocando a nascondino dentro di me, invitandomi a trovarlo.
L’unica persona che proprio non
mi riuscì di trovare fu Emmett: chiesi qualche informazione a una delle
cameriere che però mi rispose, stupita, che non conosceva nessuno con quel nome.
Era come se si fosse dissolto
nel nulla e fosse scomparso, lasciando a prova del suo passaggio un ombrello nel
mio armadio.
Il giorno in cui lo rividi fu
uno dei più belli della mia vita.
Mentre uscivo dallo studio del
medico, tre settimane dopo, non ero propriamente sicura di stare camminando: il
piccolo, minuscolo peso nel mio ventre non mi trascinava sulla terra, ma mi
faceva volare in alto, leggera come un palloncino.
Aspettavo un bambino.
Finalmente il mio piccolo era
con me, concreto, anche se invisibile.
Temendo un falso allarme non
avevo confidato niente a nessuno e avevo impedito perfino a me stessa di
sperare, ma il quel momento mi concessi di fantasticare, vagando tra fantasie
sottili e impalpabili, mentre il paesaggio mi scorreva sotto gli occhi.
Alzai lo sguardo verso la
piccola casa, sorridendo anche alle montagne che erano con me in quel momento, e
ai piedi del portico vidi il ragazzo bruno.
Mi salutò con un cenno discreto
della mano e mi sorrise non appena lo raggiunsi.
- Buongiorno, signorina, è un
piacere rivederla. Mi spiace di non averla potuta riaccompagnare a casa e di non
essermi presentato: sono Emmett McCarty. Piacere.-
- Piacere mio. Io sono Rosalie
Hale King, la moglie di Royce King. E devo ancora ringraziarla per l’ombrello.-
- Si figuri. Scusi l’invadenza,
ma lei è sposata?-
- Sì, perché?-
- Mi sembrava così giovane. Era
solo una curiosità.-
- Allora ne avrei anche io una:
ma lei che fine aveva fatto? Sembrava sparito e nessuno mi ha saputo dare
informazioni.-
- La verità è che non sono di
qui e che sono venuto a raggiungere dei parenti, per aiutarli nel lavoro.
Credo che resterò qui: ho
trovato lavoro nella falegnameria e quindi non mi muoverò per un po’, credo.-
- La ringrazio. Io vado a
riprendere il suo ombrello: se vuole entrare un attimo in casa, si accomodi.-
- Con piacere. Mia zia sarà
felice di riavere quell’aggeggio.-
Sorrisi tra me, tra il
divertito e il preoccupato per i problemi che dovevo aver causato
involontariamente.
Salii al piano superiore e
scesi con l’ombrello tra le braccia, bloccandomi a metà strada: Emmett, con la
sua camicia non stirata e i pantaloni rovinati, sembrava completamente fuori
posto nel mio salotto, eppure qualcosa mi faceva intuire che non mi sarebbe
dispiaciuto vederlo lì più spesso, molto più spesso.
- Tenga, spero di non aver
causato troppo disturbo.-
- Assolutamente no, anzi mi ha
dato la scusa per rivederla, signorina.-
- Signora.-
- Scusi, davvero. E’ quasi un
istinto. E’ stato un piacere e ora toglierei anche il disturbo.-
- Non è stato un disturbo,
quella in debito ero io.-
L’accompagnai alla porta.
- Spero di rivederla,
signora. E’ stato un piacere.-
- Anche per me.-
Gli sorrisi senza doverci
pensare, senza capire perché.
- Se mi permette, sa che sembra
molto più felice dell’altra volta?-
- Lo sono.-
Rise anche lui.
- Ho appena scoperto di
aspettare il mio primo bambino.-
Rimasi meravigliata sentendo
quelle parole uscirmi di bocca: era la prima volta che lo dicevo ad alta voce e
per giunta ad uno sconosciuto, ma fu ancora più strano sentire che non mi
dispiaceva affatto.
- Congratulazioni e tanti
auguri, allora. Arrivederci, signora.-
-Mi può chiamare Rosalie.- Di
nuovo.
- Allora, arrivederci, Rosalie-
- Arrivederci, Emmett.-
Si allontanò e io restai a
guardare il bosco, respirando l’aria fresca delle montagne.
E piano, respiro dopo respiro,
sentivo che l’annebbiamento, la tristezza infinita di quegli ultimi due anni
svaniva, come quando si riemerge dall’acqua dopo un’immersione troppo
prolungata.
Ma il mio ossigeno sembrava un
po’ diverso.
Aspettai che finissimi di
cenare, per raccontagli tutto.
- Royce.-
Si girò di scatto, meravigliato
che gli rivolgessi la parola, senza un motivo apparente.
- Royce, è successa una cosa.
Aspetto un bambino.-
Rimase a bocca spalancata per
diversi secondi e poi sorrise: sembrava realmente felice.
- Rosie, è una cosa stupenda!!
Ma quando l’hai saputo? Da quando?-
- L’ho scoperto oggi e credo di
essere incinta da quasi due mesi, ormai.-
- E’ fantastico, ma perché non
me l’hai detto prima? Dobbiamo avvisare tutti…-
-No, è meglio aspettare ancora
un mese, per sicurezza…non vorrei che succedesse qualcosa.-
- Ma fata, cosa potrebbe
succedere? Sono felice, Rosie, moltissimo.-
Lo sembrava davvero. Ma io
capivo fin troppo bene perché questa cosa mi facesse stare male, anche se lui
non se ne accorgeva.
Sapevo si stare sognando, ma
era tutto così reale che mi rifiutavo di crederlo.
Davanti a me, in quella stessa
stanza dormiva un bellissimo bimbo biondo, di circa due anni: mio figlio.
Mi avvicinai e gli accarezzai
la guancia e lui aprì appena le labbra, mormorando qualcosa di incomprensibile.
Stavo per uscire dalla stanza
quando sentii dei mugolii e mi riavvicinai al lettino.
Mi protesi verso di lui, pronta
a prenderlo in braccio, ma in quel momento lui si svegliò e due grandi occhi
verdi così familiari e insieme estranei mi fissarono sorridenti.
Riemersi dal mio sogno di
soprassalto e fissai l’uomo che mi stava in fianco: mi accarezzai il ventre e
realizzai che non avrei voluto che fosse figlio suo.
Eppure non potevo dire che
avrei preferito fosse di chiunque altro, perché sapevo fin troppo bene di chi
avrei voluto che fosse.
Abbassai la testa e sospirai:
non mi importava, mi bastava che il mio piccolo ci fosse.
Riappoggiai la mano sulla
pancia.
- Non importa, tesoro, ci siamo
io e te-
Mi rigirai nel letto e sotto le
palpebre riapparve l’immagine del bimbo con gli occhi verdi: solo in quel
momento mi accorsi che i suoi capelli erano ricci e che sotto gli occhi
ammiccavano due piccole fossette….
Tok tok…posso dire una cosa
senza essere appesa al soffitto per il ritardo…
Scusatemi davvero
tantissimo!!!! Tantissimissimissimo!! Anzi non fatelo nemmeno perché tanto sono
imperdonabile! Maledetta scuola, un accidenti a te e chi ti ha inventata…
Allora, spero che questo nuovo
cappi vi piaccia…Emmett è arrivato!!! Ma quanto adoro quel grizzly!!
E ora grazie a quegli
adorabili angeli che mi hanno recensito....davvero troppi...mamma mia ke bello!!
-
Kumiko_Chan: Ciao, cucciola...grazie,
grazie, grazie!!! Anche per l'assillaggio mattutino....ma ke vocabolo
assurdo,esiste almeno?? Baci, Miki-mik
-
Hale Lover: Ommioddio....tu sei
un vero tesoro, sei troppo buona....ma quanti complimenti!!! Grazie tantissime
anche per i commi a Fullmoon...sei davvero gentile!!! E mi hai pure aggiunto ai
preferiti...mi hai commosso....grazie tantissimo. Bacio
-
Rosalie_Emmett : Grazie davvero
per aver recensito....e anche aggiunto ai seguiti...quanto allo sfogarsi...hai
davvero ragione, non lo sopporto quello schifoso, bastardo e qui mi fermo o mi
sbattono fuori dal sito...comunque, tieniti un po' di rabbia per dopo...grazie
ancora di cuore. Bacio
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