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Autore: Momoka chan    05/12/2009    1 recensioni
"Sopravvissuta quando non volevo, innamorata quando non volevo: nella mia vita mi era stata negata la felicità e ora, quando finalmente era con me, ero così confusa...ma forse non era solo arrivata la mia seconda occasione??" Non voglio anticipare nulla...spero solo di avervi incuriosito...unico avviso: Roslie è ancora umana...
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Emmett Cullen, Rosalie Hale
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 Oxigen

Capitolo 1 Oxigen

 

 

Aprii gli occhi solo quando i raggi del sole mi solleticarono il viso: impiegai qualche secondo per mettere a fuoco la stanza  e mi lasciai sfuggire un sospiro di sciocca delusione…

Allungai gambe e braccia, evitando accuratamente di appoggiarmi al suo cuscino: sapevo benissimo che era stupido, ma non potevo accettare di toccarlo senza esserne obbligata…dopo anni…

 Mi alzai e fissai la mia immagine nello specchio: erano passati due anni e senza dubbio avevo toccato il massimo della mia bellezza.

Non passava giorno che rimpiangessi di essere viva per vederla, non passava un singolo giorno di quella tortura da nascondere, sola e senza gioia, senza che guardassi il ponte vicino a casa desiderando solo un ultimo volo di libertà prima della fine.

Scossi la testa per scacciare le ombre, senza riuscirci, e cominciai a preparami: mi lavai, indossai un delicato tailleur crema e mi truccai il viso.

Scesi le scale e gettai uno sguardo sul calendario, immediatamente più depressa: saremmo partiti per alcuni mesi di villeggiatura in una delle tante proprietà che i King avevano sulle montagne.

Decisi di non mangiare: sapevo che il mio stomaco non avrebbe retto tra le curve e…e… la vicinanza obbligata al mostro.

Uscii e mi diressi verso la casa di Vera: le avevo promesso di passare prima di partire.

Mi ci vollero pochi minuti, nei quali camminai veloce e scostante, ignorando i tanti disoccupati che affollavano le strade: qualcosa in me si ribellava  a quella vista, ma ero troppo bloccata dalla forza dei miei schemi mentali per capire la vera gravità della situazione che mi circondava.

Bussai alla porta e poco dopo la mia amica di sempre mi sorrideva, abbracciandomi: non feci tempo a entrare che Henry mi si fiondò contro, seguito dalla sorellina, Claire, che lo imitava nella barcollante dolcezza dei suoi primi passi.

- Visto che me ne sono ricordata?-

- Mai sospettato il contrario…è già tutto pronto??-

- Zia Rose, guarda qui!!-

- Grazie per il fiore, piccolo, sei un tesoro!- Schioccai un bacio sulla guancia al mio figlioccio – Certo, Ve, penso che sia già tutto in macchina…-

- Felice di partire??-

Non farmi mentire ancora, ti prego, non voglio. Ma devo.

- Tantissimo…dicono che lassù sia meraviglioso…-

- Sì,sì…come stai??- Ma come faceva a leggermi dentro?

- Bene, Vera, benissimo…dai, io devo andare. Ti voglio bene.-

Mi abbracciò stretta.

- Anche io. Torna, mi raccomando.-

- Pensi che la prima cosa che farò sarà andare a cercare dei grizzly?-

 

 

 

Percorsi lentamente il viale della villa e, quando arrivai all’ingresso, vidi che anche i miei genitori erano lì per salutarmi.

- Eccola la mia principessa! Ben arrivata. Pronta a partire, tesoro mio??-

Fata, ninfa, stella, principessa…quanto odiavo quelle parole!!

- Buongiorno a tutti.-

Mi aprì la portiera e mi tese una mano per farmi salire: solo un altro brivido lungo la schiena.

- Buon viaggio, piccola, divertitevi, mi raccomando!!-

Mia madre. Che dietro quelle parole celava la delusione sua e i pettegolezzi della gente: come potevo non aver ancora avuto un bambino?? Non lo capivano loro, proprio come me…perché?

Dov’era finita la mia ultima goccia di felicità?

Mi appoggiai allo schienale imbottito e cominciai a guardare il nulla davanti a me, cercando di ignorare le mani poggiate sul mio corpo.

 

Scesi dall’auto non appena arrivammo, disgustata.

Il panorama che mi stava davanti era molto diverso a quello a cui ero abituata: forte, selvaggio e stranamente rassicurante, come se lì l’unica cosa che potesse ferire qualcuno fosse l’oscurità passeggera della notte.

La casa era interamente di legno, decisamente più piccola rispetto a quella di Rochester, e sembrava accogliere i visitatori con il portico coperto.

Mentre l’autista si occupava delle valigie entrai e mi diressi subito verso il bagno: dopo tre ore avevo quanto meno bisogno di rinfrescarmi.

Per avere l’acqua calda bisognava accendere il boiler, ma  riempii lo stesso il lavabo di pietra: mi tolsi la camicia e mi passai sul viso e sulle spalle una salvietta bagnata.

Mi pettinai e uscii dalla stanza pronta per accogliere i nostri vicini di casa.

 

 

Veramente i Franklin non abitavano davvero vicino a noi: erano circa a 5 miglia, tre se si prendevano delle grandi strade sterrate che passavano per i boschi.

Per ironia della sorte erano le più sicure: sempre piene di abitanti del posto e mai isolate, erano al riparo da eventuali automobilisti incapaci.

Era già passato più di un mese dal mio arrivo e quel pomeriggio stavo tornando dalla solita visita di cortesia, che stava perfino diventando noiosa, quando cominciai a sentirmi affaticata e mi sedetti su una pietra a lato della strada: erano giorni che non mi sentivo bene e mi rimproverai di non aver usato l’auto.

Nemmeno finii di formulare il pensiero, quando sentii alcune gocce di pioggia cadermi sulla pelle.

Accidenti. I giramenti di testa  e pure la pioggia.

Cercai di mettermi al riparo sotto le querce e ripresi a camminare, tentando di evitare il più possibile di bagnarmi.

Stavo per rinunciare e aspettare che l’acquazzone si calmasse, quando sentii dei passi di corsa dietro di me.

E poi una voce, allegra e profonda.

- Signorina. Signorina, aspetti!-

Mi fermai e poco dopo mi trovai affiancata da una specie di gigante bruno.

Pensai subito che fosse uno dei ragazzi del posto, di qualche anno più anziano di me: era alto e massiccio, ma i riccioli bruni scompigliati e gli occhi verdi scherzosi gli davano un’aria più giovane.

- Buongiorno. Stava chiamando me?-

- Ehm, sì, certo… signorina, non si è accorta che stava arrivando un temporale?-

- Sono due gocce, non si preoccupi.-

- Si fidi, qui sta per arrivare un brutto temporale. Ha un ombrello?-

- No, altrimenti non me ne starei qui a bagnarmi, non lo vede?-

Sorrise ancora di più.- Vero, che sciocco. Senta, tra poco il tempo peggiorerà e se vuole la posso accompagnare a casa io, con l’ombrello.-

- Non si disturbi. Nemmeno un miglio e sono a casa.-

- Ma se intanto cerca di evitare l’acqua non arriva più…non è un disturbo, accompagnarla. Davvero.-

- Lasci stare, ce la faccio da sola.-

Arrivò un altro giramento, mi scivolò di mano la borsa e prima che riuscissi a chinarmi quel ragazzo l’aveva già raccolta: sbiancai un po’ per il movimento brusco.

- Signorina, lei non sta bene. Per favore, la voglio solo accompagnare a casa.-

Si illuminò di nuovo con quel suo sorriso disarmante.

- Non si preoccupi. E, comunque, se continuiamo a parlare qui, non arriverò davvero mai a casa.-

- Veramente abbiamo già fatto più di metà strada. Intanto che lei camminava, io la tenevo al coperto.-

Alzai gli occhi e notai che stava tenendo l’ombrello sopra la mia testa, inzaccherandosi completamente.

- Emmett!! Emmett!!!-

- Ah, già, questo deve essere mio cugino, avrà bisogno di una mano. Senta, tenga l’ombrello. A me  tanto non serve, sono abituato agli acquazzoni. Arrivederci, signorina!-

Corse via e mi ritrovai con l’ombrello di un perfetto sconosciuto tra le mani.

Non appena arrivai a casa mi resi conto che quel ragazzo aveva avuto ragione su tutta la linea: avevo la nausea e il temporale era davvero violento.

Mi sedetti su una poltrona del salotto, mi coprii un po’ e restai a guardare la tempesta: chissà come stava? Era già arrivato a casa?

Scossi la testa, meravigliata: perché stavo pensando a lui, un perfetto sconosciuto? Non conoscevo nemmeno il suo nome …però sapevo che era gentile, allegro, buffo…rassicurante.

Appoggiai la testa contro la spalliera e gettai uno sguardo alla sala e, senza alcun motivo, restai a fissare il portaombrelli, dove, tra tanti eleganti e puliti, ne spiccava uno vecchio e malandato.

Sorrisi. Come avrei fatto a ridarglielo? 

Mi alzai, lo presi dal vaso e cercai qualche elemento che potesse contraddistinguerlo, senza alcun successo: passai piano la mano sul manico di legno scuro e pensai ad un altro posto dove potessi metterlo.

Salii piano i gradini delle scale e lo misi nel mio armadio, nascosto tra gli abiti che portavo di rado, senza capire perché mi sentissi quasi in obbligo di nasconderlo, come fosse un segreto.

Chiusi l’anta e mi stesi sopra le coperte, cercando di dormire, senza tuttavia riuscirci: quella sera, quando lui tornò a casa ero così distrutta che nemmeno cercai di sfuggire ai suoi abbracci.

Andammo a letto presto e, mentre stavo per cadere nell’incoscienza, sentii uno strano grido risuonarmi nelle orecchie: “Emmett!! Emmett”e mi girai dall’altra parte, credo sorridendo: mi ero ricordata il suo nome.

 La mattina dopo, a dispetto del malessere, sentivo una strana allegria scorrermi nelle vene: era come qualcosa stesse giocando a nascondino dentro di me, invitandomi a trovarlo.

L’unica persona che proprio non mi riuscì di trovare fu Emmett: chiesi qualche informazione a una delle cameriere che però mi rispose, stupita, che non conosceva nessuno con quel nome.

Era come se si fosse dissolto nel nulla e fosse scomparso, lasciando a prova del suo passaggio un ombrello nel mio armadio.

Il giorno in cui lo rividi fu uno dei più belli della mia vita.

 

 

Mentre uscivo dallo studio del medico, tre settimane dopo, non ero propriamente sicura di stare camminando: il piccolo, minuscolo peso nel mio ventre non mi trascinava sulla terra, ma mi faceva volare in alto, leggera come un palloncino.

Aspettavo un bambino.

Finalmente il mio piccolo era con me, concreto, anche se invisibile.

Temendo un falso allarme non avevo confidato niente a nessuno e avevo impedito perfino a me stessa di sperare, ma il quel momento mi concessi di fantasticare, vagando tra fantasie sottili e impalpabili, mentre il paesaggio mi scorreva sotto gli occhi.

Alzai lo sguardo verso la piccola casa, sorridendo anche alle montagne che erano con me in quel momento, e ai piedi del portico vidi il ragazzo bruno.

Mi salutò con un cenno discreto della mano e mi sorrise non appena lo raggiunsi.

- Buongiorno, signorina, è un piacere rivederla. Mi spiace di non averla potuta riaccompagnare a casa e di non essermi presentato: sono Emmett McCarty. Piacere.-

- Piacere mio. Io sono Rosalie Hale King, la moglie di Royce King. E devo ancora ringraziarla per l’ombrello.-

- Si figuri. Scusi l’invadenza, ma lei è sposata?-

- Sì, perché?-

- Mi sembrava così giovane. Era solo una curiosità.-

- Allora ne avrei anche io una: ma lei che fine aveva fatto? Sembrava sparito e nessuno mi ha saputo dare informazioni.-

- La verità è che non sono di qui e che sono venuto a raggiungere dei parenti, per aiutarli nel lavoro.

Credo che resterò qui: ho trovato lavoro nella falegnameria e quindi non mi muoverò per un po’, credo.-

- La ringrazio. Io vado a riprendere il suo ombrello: se vuole entrare un attimo in casa, si accomodi.-

- Con piacere. Mia zia sarà felice di riavere quell’aggeggio.-

Sorrisi tra me, tra il divertito e il preoccupato per i problemi che dovevo aver causato involontariamente.

Salii al piano superiore e scesi con l’ombrello tra le braccia, bloccandomi a metà strada: Emmett, con la sua camicia non stirata e i pantaloni rovinati, sembrava completamente fuori posto nel mio salotto, eppure qualcosa mi faceva intuire che non mi sarebbe dispiaciuto vederlo lì più spesso, molto più spesso.

- Tenga, spero di non aver causato troppo disturbo.-

- Assolutamente no, anzi mi ha dato la scusa per rivederla, signorina.-

- Signora.-

- Scusi, davvero. E’ quasi un istinto. E’ stato un piacere e ora toglierei anche il disturbo.-

- Non è stato un disturbo, quella in debito ero io.-

L’accompagnai alla porta.

- Spero di rivederla, signora. E’ stato un piacere.-

- Anche per me.-

Gli sorrisi senza doverci pensare, senza capire perché.

- Se mi permette, sa che sembra molto più felice dell’altra volta?-

- Lo sono.-

Rise anche lui.

- Ho appena scoperto di aspettare il mio primo bambino.-

Rimasi meravigliata sentendo quelle parole uscirmi di bocca: era la prima volta che lo dicevo ad alta voce e per giunta ad uno sconosciuto, ma fu ancora più strano sentire che non mi dispiaceva affatto.

- Congratulazioni e tanti auguri, allora. Arrivederci, signora.-

-Mi può chiamare Rosalie.- Di nuovo.

- Allora, arrivederci, Rosalie-

- Arrivederci, Emmett.-

Si allontanò e io restai a guardare il bosco, respirando l’aria fresca delle montagne.

E piano, respiro dopo respiro, sentivo che l’annebbiamento, la tristezza infinita di quegli ultimi due anni svaniva, come quando si riemerge dall’acqua dopo un’immersione troppo prolungata.

Ma il mio ossigeno sembrava un po’ diverso.

 

Aspettai che finissimi di cenare, per raccontagli tutto.

- Royce.-

Si girò di scatto, meravigliato che gli rivolgessi la parola, senza un motivo apparente.

- Royce, è successa una cosa. Aspetto un bambino.-

Rimase a bocca spalancata per diversi secondi e poi sorrise: sembrava realmente felice.

- Rosie, è una cosa stupenda!! Ma quando l’hai saputo? Da quando?-

- L’ho scoperto oggi e credo di essere incinta da quasi due mesi, ormai.-

- E’ fantastico, ma perché non me l’hai detto prima? Dobbiamo avvisare tutti…-

-No, è meglio aspettare ancora un mese, per sicurezza…non vorrei che succedesse qualcosa.-

- Ma fata, cosa potrebbe succedere? Sono felice, Rosie, moltissimo.-

Lo sembrava davvero. Ma io capivo fin troppo bene perché questa cosa mi facesse stare male, anche se lui non se ne accorgeva.

 

 

Sapevo si stare sognando, ma era tutto così reale che mi rifiutavo di crederlo.

Davanti a me, in quella stessa stanza dormiva un bellissimo bimbo biondo, di circa due anni: mio figlio.

Mi avvicinai e gli accarezzai la guancia e lui aprì appena le labbra, mormorando qualcosa di incomprensibile.

Stavo per uscire dalla stanza quando sentii dei mugolii e mi riavvicinai al lettino.

Mi protesi verso di lui, pronta a prenderlo in braccio, ma in quel momento lui si svegliò e due grandi occhi verdi così familiari e insieme estranei mi fissarono sorridenti.

Riemersi dal mio sogno di soprassalto e fissai l’uomo che mi stava in fianco: mi accarezzai il ventre e realizzai che non avrei voluto che fosse figlio suo.

Eppure non potevo dire che avrei preferito fosse di chiunque altro, perché sapevo fin troppo bene di chi avrei voluto che fosse.

Abbassai la testa e sospirai: non mi importava, mi bastava che il mio piccolo ci fosse.

Riappoggiai la mano sulla pancia.

- Non importa, tesoro, ci siamo io e te-

Mi rigirai nel letto e sotto le palpebre riapparve l’immagine del bimbo con gli occhi verdi: solo in quel momento mi accorsi che i suoi capelli erano ricci e che sotto gli occhi ammiccavano due piccole fossette…. 

 

 

 

Tok tok…posso dire una cosa senza essere appesa al soffitto per il ritardo…

Scusatemi davvero tantissimo!!!! Tantissimissimissimo!! Anzi non fatelo nemmeno perché tanto sono imperdonabile! Maledetta scuola, un accidenti a te e chi ti ha inventata…

Allora, spero che questo nuovo cappi vi piaccia…Emmett è arrivato!!!  Ma quanto adoro quel grizzly!!

 E ora grazie a quegli adorabili angeli che mi hanno recensito....davvero troppi...mamma mia ke bello!!

  • Kumiko_Chan: Ciao, cucciola...grazie, grazie, grazie!!! Anche per l'assillaggio mattutino....ma ke vocabolo assurdo,esiste almeno?? Baci, Miki-mik

  • Hale Lover: Ommioddio....tu sei un vero tesoro, sei troppo buona....ma quanti complimenti!!! Grazie tantissime anche per i commi a Fullmoon...sei davvero gentile!!! E mi hai pure aggiunto ai preferiti...mi hai commosso....grazie tantissimo. Bacio

  • Rosalie_Emmett : Grazie davvero per aver recensito....e anche aggiunto ai seguiti...quanto allo sfogarsi...hai davvero ragione, non lo sopporto quello schifoso, bastardo e qui mi fermo o mi sbattono fuori dal sito...comunque, tieniti un po' di  rabbia per dopo...grazie ancora di cuore. Bacio

  
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