CAPITOLO
6
If
you don't believe me then just look into my eyes
E
sabato arrivò.
Danny
bussò alla porta di camera di Vicky, la trovò china su un libro di
chimica. Odiava ammetterlo ma aveva bisogno del suo aiuto e non
appena si spiegò, sua sorella digrignò la bocca in un sorriso
diabolico ed incrociò le dita con soddisfazione. Danny se
ne stava seduto sul letto, intento a guardarla sventrare il suo
guardaroba alla ricerca della giusta camicia, del giusto maglioncino
e del giusto paio di pantaloni e di scarpe. Ci volle mezzora di
tempo, poi altri minuti per trovare l’abbinamento più consono.
Alla fine, dopo un paio di furiose litigate, Vicky approvò una
camicia con piccoli quadretti celesti, pantaloni e scarponcini scuri.
Danny ebbe poco da ridire, ma si preoccupò quando vide lo sguardo di
lei concentrarsi sui suoi capelli.
“Che
ne diresti se prendessi un paio di forbici e…”
“Assolutamente
no!”, abbaiò Danny, “Nessun taglio ai capelli!”
Portò terrorizzato le mani alla testa e coprì istintivamente le
orecchie.
“Li
posso almeno sistemare per il giusto verso?”, disse Vicky,
“Sembrano solo una massa spettinata e senza senso!”
“Ma
non li tagliare!”, la avvertì ancora, “O ti giuro che vengo in
camera tua, prendo i tuoi trucchi e li metto al sole!”
“Solo
una spuntatina al ciuffo sulla fronte…”, lo pregò lei.
“No!”,
si oppose ancora.
“Ad
Alicia non piaci, con quei capelli…”
Aveva
cercato di evitare il ritardo, ma non le era stato possibile. Suo
padre le aveva fatto un sacco di domande su Danny, aveva voluto farsi
dire dove abitava, si era fatto dare il suo numero di telefono e le
aveva negato il permesso di prendere la macchina. Non c’erano state
parole di Alicia che avrebbero potuto convincerlo, tanto che alla fine
fu costretta a farsi accompagnare da lui. Adrian l’aveva torturata
nello stesso esatto modo anche l’ultima volta che era uscita con un
ragazzo, ma era accaduto quando era stata una bambinetta di quindici
anni, non avrebbe mai pensato che avrebbe bissato le sue
paranoie di genitore.
Aveva
diciotto anni e Jones era un ragazzo a posto.
Ma
non è Ratleg…
Accantonò
il pensiero. Vide Danny seduto su una panchina nei pressi del cinema
e disse a suo padre di fermare il suo grande monovolume a lato della
strada.
“Mi
raccomando, comportati bene.”, le disse Adrian, muovendo il suo
indice da ramanzina, “E non farmi stare in pensiero, chiamami
appena puoi.”
“Ok,
papà.”, disse Alicia stancamente.
Raccolse
la sua borsa.
“Me
lo dai un bacio?”
Voltò
il viso verso suo padre, seduto al volante, che sembrava attendere
una sua risposta positiva.
Alicia
esitò.
Ogni
volta si chiedeva come potesse quell’uomo farsi perdonare con lo
sguardo, con le sue grandi iridi marroni, i capelli brizzolati
di quasi cinquantenne, gli occhiali e la barbetta incolta. In quei
momenti Alicia poteva passare ore a chiedersi cosa stesse accadendo
nella mente di Adrian. Avrebbe voluto sapere cosa pensava, se si
sentiva orgoglioso di lei, se mamma era ancora nella sua testa. Talvolta,
quando litigavano e, in un modo o nell’altro, si trovavano soli e
facevano pace, Alicia aveva notato una certa espressione dipingersi
sul volto di Adrian, a cui lei stessa somigliava molto. Si era
chiesta spesso cosa potesse significare ed una voce lontana sembrava
dirle: ti
crede, ma
era solo un’illusione. Nonostante si sentisse tradita dall’unico
familiare che le era ancora vicino, Alicia non riusciva ad odiarlo.
Chiuse le braccia intorno al suo collo e gli dette un bacio sulla
guancia spinosa.
In
lei c’era ancora la flebile speranza che, prima o poi, Adrian
sarebbe stato dalla sua parte.
“Fai
la brava.”, le disse suo padre, “E non farlo impazzire…”
Prese
quell’ultima raccomandazione e scese dall’auto. Jones la notò
non appena il potente motore si allontanò e la salutò con un cenno
della mano. Alicia lo osservò attentamente finché non gli fu
abbastanza vicina da notare che il grande e spesso ciuffo sulla sua
fronte era stato ridimensionato.
Gli
occhi chiari di Jones erano ben visibili, contornati dal solito paio
di occhiali dalla montatura scura.
Non
è Ratleg…
Ma
era comunque Jones.
Si
sedettero ai posti che erano stati assegnati loro e si prepararono
per la visione del film. Dopo aver scoperto una comune passione
per i popcorn ne avevano comprato una confezione gigante,
accompagnata da grandi bicchieri di coca cola che, sebbene Dougie lo
avesse ammonito sulle bevande gassate, era ottima per dissetarsi dal
sale che mettevano in quantità industriali sui fiocchi di mais.
Avevano scelto un sofisticato thriller fanta-psicologico il cui
protagonista era Denzel Washington, attore che andava a genio ad
entrambi. Danny
si sentiva piuttosto tranquillo, ma degli aghi mostruosi premevano
contro il suo fondoschiena dal primo momento in cui l’aveva vista.
In semplici jeans e in un maglioncino chiaro a collo alto, Alicia era
seduta accanto a lui e guardava lo schermo con aria attenta, infilava
la mano nel grande contenitore e prendeva popcorn, che poi
sgranocchiava lentamente. Anche Danny era molto interessato alla
pellicola, che si stava dimostrando complicata e coinvolgente, ma lei
lo distraeva involontariamente.
Erano
quasi alla fine del primo tempo e si chiedeva quando sarebbe arrivato
il momento giusto per abbracciarla. Voleva davvero farlo, ne sentiva
quasi il bisogno, poi le luci si accesero e lo schermo si abbuiò.
"Abbiamo proprio scelto bene!”, esclamò Alicia, “Questo film mi
piace davvero tanto!”
“Oh,
bene, piace molto anche a me!”
Chiacchierarono
sui possibili risvolti della trama, chiedendosi cosa
sarebbe succedesso al protagonista, quando l’intervallo
finì. Insieme alla
riproduzione del film, tornarono i suoi tormenti. Erano piuttosto
vicini, ma soltanto perché le poltroncine non lasciavano molto
spazio
tra un posto ed un altro; le loro mani si erano incontrate così
tante volte alla ricerca di una manciata di popcorn. Forse non
avrebbe mai avuto il coraggio di chiederle il permesso di
abbracciarla, ma dopotutto aveva preso decisioni molto più
impegnative.
Si
avvicinò ad Alicia.
“P-posso…
Posso…”, le disse, prima di riprendere la concentrazione, “Posso
abbracciarti?”
Alicia
lo guardò, il suo viso era così vicino al proprio che per un attimo
ebbe l’impulso di baciarla, ma si trattenne. Lei gli sorrise.
“Certo.”
Con
un certo impaccio, Danny alzò il suo braccio sinistro e la circondò,
la testa di Alicia si appoggiò sulla sua spalla. Come gli aveva
consigliato Tom, appoggiò il mento sui suoi capelli e ne respirò il
profumo dolce. Chiuse gli occhi, rubò quell’istante e se lo stampò
nella mente, era geloso che qualsiasi cosa potesse cancellarlo come
del gesso sulla lavagna. Era un’emozione bellissima, non avrebbe
mai potuto sperare in qualcosa di meglio. Forse Alicia riusciva a
sentire il suo cuore battere all’impazzata, così forte che avrebbe
potuto lacerargli il petto, spezzare in due lo sterno come in un
vecchio horror di serie B. Da quel momento il film non esisté più.
Se
pensava a poco più di un mese prima, a quando la osservava di
nascosto durante l’ora di matematica pensandola così lontana e
estranea… Era stupido, ma Danny sapeva che una volta usciti da quel
cinema sarebbero ritornati ad essere Jones e Alicia. Voleva godersi
quell’abbraccio fino in fondo e non scordarlo mai più.
I
titoli di coda apparvero e le luci si accesero. L’abbraccio di
Jones l’aveva scaldata per tutto il secondo tempo e si sciolse,
lasciandola lievemente infreddolita e quasi stordita. Alicia si
accomodò sul sedile e sbadigliò, poi si rivolse a lui.
“Gran
bel film.”, disse, mentre si stiracchiava, “Washington al suo
meglio.”
Jones
impiegò qualche attimo per risponderle, Alicia notò subito il
colorito vivace delle sue guance.
“Già…
Sono pienamente d’accordo con te.”, disse poi.
Si
alzarono impacciati ed uscirono gettando via i bicchieri vuoti. Era
diventato buio, durante la proiezioni aveva anche piovuto, potevano
vederlo dall’acqua che bagnava ogni millimetro della città, e lei
non aveva uno straccio di ombrello nella sua borsa.
“Cosa
facciamo adesso?”, gli chiese Alicia, mentre indossava la giacca
che si era portata con sé.
Jones
fece altrettanto, infilandosi il maglioncino e sistemando il colletto
della camicia.
“Hai
fame? Perché la serata prevedeva anche un hamburger.”
“Ho
già detto che non torno a casa per cena.”, gli disse sorridendo.
“Allora
andiamo.”
Si
chiusero in uno dei più famosi fast food del mondo, salutarono il
vecchio clown tutto scarabocchiato ed ordinarono il menù più
classico di tutti. Si sedettero e parlarono. Parlarono, parlarono,
parlarono.
Ma
non è Ratleg.
Ogni
volta che Jones la faceva ridere, Alicia si ricordava quella frase di
quattro parole, poi la ricacciava in fondo alla mente. Era un
memento, un post-it lasciato sulla superficie lucida del frigo, un
fazzoletto legato.
“E
poi Dougie mi disse che dovevo controllare attentamente, ma proprio
attentamente!”
Alicia
scoppiò in una risata più grossa delle altre.
“Io
gli dissi: ma non vedo niente! E lui: coglione, non lo vedi che sei
cieco!”
E
rise ancora, tanto che la famiglia del tavolo accanto si voltò con
aria scocciata. Gli episodi buffi di Jones e la risata di lui, ancora
più stridula e gracchiante della sua, erano un cocktail micidiale.
“Dio,
Jones, ma siete un trio di deficienti!”, esclamò allora Alicia,
una volta che si fu asciugata le lacrime.
“Sì,
lo sappiamo, è per questo che ci divertiamo tanto.”, rispose lui.
Nell’attimo
di silenzio che seguì, Alicia si chiese chi fosse veramente Jones.
Quando era entrata per la prima volta nella classe di matematica non
lo aveva nemmeno visto, era rimasto confuso con il bianco sporco che
ricopriva le pareti. Quando era stato interrogato, oppure quando
aveva ritirato il suo compito in classe, Alicia aveva sempre emesso
uno schiocco di disappunto nel sapere i bei voti che collezionava
uno dopo l’altro, tanto che una volta lo aveva silenziosamente
mandato a fanculo. Poi
l’aveva soccorsa alla lavagna e con semplici passaggi le aveva
fatto capire quello che né il libro né la professoressa Gambler
erano stati in grado di spiegarle con chiarezza. Fletcher le aveva
proposto di andare a farsi aiutare da lui, aveva accettato solo
perché ne aveva avuto veramente bisogno e perché suo padre aveva
dimostrato da subito dubbi sull’utilità di quelle ripetizioni.
Una
lezione dopo l’altra Jones aveva smesso di balbettare, aveva fatto
uscire un po’ di quella parte di lui che non era mai stata messa in
mostra per nessuno dei suoi compagni di scuola, compresa lei ed
esclusi Poynter e Fletcher. Con una specie di tranello, l’aveva
baciata, e poi invitata fuori.
Ma
non è Ratleg!
No,
non era lui.
“Cosa
mi racconti della tua vecchia scuola?”, le chiese Jones,
guardandola sorridente.
Alicia
era ancora sintonizzata su quel pensiero, tanto che anche lui se ne
accorse.
“E’
tutto ok?”
“Sì,
pensavo solo che dovrei mandare un messaggio a papà, così si
tranquillizza.”, gli disse.
“Certo,
fai pure.”, disse Jones, “Intanto mi assento per qualche minuto.”
Si
alzò e la lasciò sola, Alicia prese il cellulare e disse realmente
ad Adrian che la serata stava procedendo bene e che sarebbe tornata
sana e salva. Lui le rispose che nel giro di mezzora sarebbe stato da
lei.
Ed
Alicia si maledisse.
Con
tutta sincerità, non aveva pensato di passare una serata del genere,
non con Jones, con lo strano balbuziente mago dei numeri. Aveva
accettato di uscire con lui quasi d’istinto, senza riflettere.
Jones era gentile, simpatico, divertente… E dolce, molto dolce.
L’aveva tenuta stretta al suo corpo, caldo e profumato di buono,
durante tutto il film. Si era sentita felice, tanto che aveva
rischiato di addormentarsi. Per molto aveva perso il filo della trama
ma non le era importato assolutamente niente.
Ma
non è Ratleg.
Perché
doveva rovinare tutto con quel pensiero? Perché doveva lasciarsi
ossessionare da qualcuno che, in fin dei conti, non esisteva?
Il
tocco sulla sua spalla la fece trasalire.
“Alicia,
non stai bene…”, disse Jones.
Si
sedette accanto a lei sfruttando la poltroncina libera, ed il
braccio che l’aveva tenuta le circondò ancora la vita. Alicia
incontrò i suoi bei occhi blu, quelli nascosti dalle lenti degli
occhiali, e non riuscì ad essere ancora triste.
Ma
non è Ratleg.
“Sto
bene.”, gli rispose, “E’ che papà mi tiene un po’ il muso…”
“Mi
dispiace.”, disse Jones, “Non voglio crearti dei problemi…”
“Ma
no, non preoccuparti!”, lo calmò, “Non c’entri niente, è solo
tanto geloso di me.”
La
cena era ormai finita, potevano anche andarsene. Uscirono dal fast
food e si incamminarono verso il luogo in cui suo padre sarebbe
passata a prenderla.
“Se
non è sconveniente, posso accompagnarti a casa”, le disse Jones,
una volta sul marciapiede, “Così tuo padre non si scomoderà.”
“Una
volta che si è deciso, è meglio non contraddirlo.”, rispose
Alicia.
“Va
bene!”, esclamò lui, alzando le mani in segno di arresa.
Le
insegne erano accese, altre persone passeggiavano per quella stessa
strada e l’acqua si era quasi del tutto asciugata. Il cielo
prometteva altra pioggia ma, a vedere dagli sprazzi stellati, avrebbe
concesso loro una tregua di qualche tempo. Metro dopo metro, le
parole tra di loro erano le uniche a mancare.
“Non
mi sono ancora complimentato con te per il risultato della verifica
semestrale.”, disse ancora Danny, sciogliendo l’attimo di
silenzio, “Quindi complimenti, sei stata molto brava.”
“E’
tutto merito tuo.”, ed era le verità, “Altrimenti non avrei
saputo rispondere a nessuna delle domande.”
“Diciamo
che grazie al ripasso fatto con te, mi sono salvato il culo.”
Alicia
lo guardò di sbieco.
“E
perché?”
“Se
non ci fossi stata tu, gran parte degli argomenti su cui siamo stati
esaminati li avrei saltati a piè pari… E mi sarei segato le gambe
da solo.”
“Che
gran bugiardo che sei!”, esclamò allora Alicia, “Tu sai tutto
della matematica!”
“Non
è vero, andiamo!”, si difese lui, “Non sono il genio che
credete!”
“Ma
piantala!”
Alicia
rise ancora, si coprì la bocca con la mano. Forse stavano camminando
troppo vicini, ma quando quella cadde lungo il suo fianco incontrò
le dita di Jones. Timidamente si intrecciarono tra loro ed Alicia
sentì le sue guance più calde.
“A-Alicia…”,
la chiamò Danny.
Quel
piccolo balbettio la costrinse a fermarsi ed a osservarlo
attentamente. Ecco il vecchio Jones, quello strambo.
“Devo…
Devo dirti una cosa.”
Percepì
le dita della mano di Jones stringersi alle sue ed Alicia prese a
preoccuparsi. L’espressione di Jones era bassa e sfuggente, c’era
qualcosa che non andava?
“Dimmi
pure, Jones.”, lo esortò.
“Beh…
Ecco… Vedi…”, borbottò lui.
Le
dita libere andarono a sistemare gli occhiali sul naso, poi si
intrufolarono tra i capelli e li spettinarono, come se prima non
fossero già stati completamente fuori posto. Jones sospirò
profondamente e sembrò rilassare le spalle: per quel poco che lo
conosceva, Alicia comprese che stava per arrendersi.
“Avanti.”,
gli fece, “Dimmi.”
“Non
ci riesco, è stupido.”, sentenziò lui.
“Fammi
giudicare.”
Jones
scosse la testa.
“No,
lasciamo perdere.”
La
bestiaccia curiosa insorse e protestò.
“Se
è una cosa che mi riguarda, ho il diritto di saperlo.”
Lui
esitò, poi sospirò ancora.
“Alicia…
Io… A me…”
Forse
era solo un'impressione, ma la mano intrecciata alla sua stava
lievemente tremando.
“Mi
piaci… Da sempre.”, sparò lui nel bel mezzo del silenzio.
Alicia
si sentì immobilizzare, pietrificare.
“Io…
Era questo… Quello che ti volevo dire.”, aggiunse Jones, con voce
traballante, “Mi piaci… Non posso farci niente…”
Inaspettatamente
lui lasciò la sua mano e la nascose nella tasca dei jeans scuri,
insieme all’altra. Sfuggì lo sguardo e scrollò le spalle.
“C’è
tuo padre che ti aspetta.”, disse poi, “Si arrabbierà.”
Alicia
era ancora lì, con un palmo di naso, e lo guardava senza essere in
grado di far caso al resto. In fondo lo aveva sempre saputo, ma non
aveva mai voluto pensarci veramente. Solo così spiegava il suo
impaccio, l’arrossire ingiustificato e tanti altri particolari che
aveva notato ed attribuito a quel suo essere strano, alla maniera in
cui solo Jones poteva essere.
Anche
lei mise le mani nelle tasche della giacca ed abbassò lo sguardo,
non sapeva cosa dire.
Ti
piace, ma non è Ratleg.
“Alicia,
tuo padre ha acceso l’auto, vuole andarsene.”, disse ancora
Danny.
Se
lo ripeteva ancora, lo avrebbe schiaffeggiato. Sapeva che quella non
era l’auto di suo padre, c’era caduta anche lei, ma il suv
sportivo della famiglia Lewis non aveva il paraurti anteriore
graffiato. Difatti, l’auto partì con una poderosa sgommata,
lasciandoli soli nella via. Danny si perse.
“Jones,
io…”
Alicia
non aggiunse altro ed alzò le spalle.
Ti
piace, ma non è Ratleg.
“Te
l’avevo detto che era una stupidata.”
No,
non lo era.
“No,
non lo è.”, lo contraddisse subito.
Lo
guardò in viso, trovando il timido Jones che l’aveva accolta in
camera sua, pieno di paura. Nell’incavo vuoto tra le sue braccia e
i fianchi Alicia vi infilò le mani, che si chiusero alle sue spalle;
appoggiò la testa al suo petto e lo trovò pulsante e vivo, come al
cinema. Jones fece altrettanto e la abbracciò.
Ti
piace, ma non è Ratleg.
Non
è Ratleg.
Ti
piace.
“Anche
a me.”, disse Alicia, piano piano.
Qualche
attimo.
“Co-come?”
“Anche
a me… Piaci anche a me.”
Alicia
alzò il mento e lo guardò: era un bel po’ più alto di lei, la
sua fronte arrivava a fatica oltre il profilo delle spalle di Jones.
Si
chiese perché non la stesse baciando.
Perché
non è Ratleg.
Jones
esitò, poi avvicinò le labbra alle sue e le sfiorò. Le baciò
ancora, poi un’altra volta, e di nuovo.
“Vuoi…
V-vuoi stare con me?”
Alicia
gli rispose con un sorriso, poi con un bacio vero.
Non
è Ratleg.
Ma
le piaceva e voleva vivere quell’opportunità.
.*.*.*.
Un
mese dopo quella domanda, Danny era ancora incapace di crederci.
Alicia aveva risposto sì per un’altra volta ed era diventata la
sua ragazza. Alicia Lewis era tuttora la sua ragazza. Poteva
abbracciarla, baciarla quando voleva… Pura e reale fantascienza.
Chiuse gli occhi e lasciò che il cuore si riprendesse dal piccolo
sbalzo che uno dei tanti sorrisi di Alicia aveva causato in lui. Era
quello l’effetto Lewis, la quotidianità che lei era in grado di
dargli e di cui non avrebbe potuto più fare a meno.
L’aveva
davvero desiderata, in ogni modo, ed ora che era la
sua ragazza
Danny avrebbe fatto di tutto.
Di tutto
per lei.
Quando
si era confessato con i suoi amici, Tom e Dougie lo avevano
consigliato di mettere un piede sul freno e calmarsi. Ma
come si può calmare un cuore innamorato?,
si chiedeva Danny. Avrebbe voluto condividere ogni momento con
Alicia, dalla scuola fino ai compiti, alle serate ed ai fine
settimana, ma era realista. La scuola lo costringeva distanziarsi da
lei: vuoi per Judd, che sembrava non aver capito di essere sull’orlo
di un baratro profondo. Vuoi per Tom e Dougie, i due cani bastonati.
Ogni tanto gli rivolgevano occhiati tristi e sconsolate, ricordavano
i momenti felici passati insieme, tanto che la loro amicizia pareva
ormai sul viale del tramonto. Eppure niente era cambiato: il martedì
era tornato ad essere la loro serata cinematica, il sabato lo
passavano davanti ad un tavolo di biliardo. Il tempo che rimaneva lo
dedicava ad Alicia ed a lei soltanto. Al lunedì ed al venerdì
veniva a prendere le solite ripetizioni, stavano insieme, poi
passavano la domenica al parco.
Quindi
perché i suoi due migliori amici continuavano ad avere quei musi
lunghi? Sinceramente non li capiva… Erano forse invidiosi di lui?
Danny
scrollò le spalle.
E
non era gli unici a preoccuparlo…
BecauseTheNight
scrive:
Mi
sta suonando il cellulare :-) e sono anche piuttosto stanca… Ci
sentiamo presto, Ratleg!
I’m
RATLEG scrive:
Ah…
Ok, va bene :-) a presto! Ciaooooo!
Alicia
concluse frettolosamente quella chiacchierata e spense il pc. Era
quella la sua tattica: ogni volta che Ratleg iniziava a parlare di
quanto adorava quella sua cavolo di fidanzata e di come le voleva
bene, Alicia ne approfittava per inventarsi la scusa più stupida e
piantarlo in asso. Prima o poi avrebbe capito che quell’argomento
le stava sullo stomaco.
Non
le interessava alcunché di quello che poteva dirle di lei, Alicia
voleva solo tornare a parlare con il vecchio Ratleg. Voleva provare
di nuovo quella sensazione di sollievo e delicato benessere che aveva
sentito in passato, poco dopo avergli dato la buonanotte ed essersi
accoccolata nel suo letto. Ora, ogni volta che Ratleg appariva on
line, Alicia percepiva la tensione salire, nell’attesa del momento
in cui lui avrebbe tirato fuori la sua splendida e meravigliosa
ragazza. Ratleg, voleva il vecchio Ratleg.
Il
cellulare prese davvero a vibrare, c’era un messaggio in arrivo per
lei. Sorrise e lo aprì, sapeva già chi fosse il mittente.
Che
fai di bello? Mi sento piuttosto solo…’
Erano
anni che Alicia si sentiva sola, sapeva benissimo quello che il suo
ragazzo stava provando. Il suo ragazzo… Jones era squisitamente
perfetto, adorabile e premuroso, tanto che a volte lo rimproverava di
essere troppo stucchevole e poco uomo. Niente a che vedere con le
misere esperienze precedenti.
Stava
bene con lui e, in fondo, gli voleva bene, anche se era presto per
dirlo con certezza. Solo che il solito refrain si presentava nella
sua testa, pronto a ricordarle di quello che stava facendo a quel
povero ragazzo troppo innamorato. Si diceva che prima o poi gli
avrebbe parlato di Mark, ma era certa che non lo avrebbe fatto
presto, soprattutto perché era altrettanto sicura che non sarebbero
durati a lungo. Non poteva essere crudele, ma non era facile stare
con lui e ricordarsi che ogni sorriso, ogni bacio ed ogni carezza
appartenevano a Jones, e non al ragazzo che avrebbe voluto accanto a
lei.
Era
vero che si stava affezionando a quel timido Daniel che le teneva la
mano stretta nella sua, che le cedeva sempre il passo con galanteria
e che le baciava i capelli perché era troppo alto e lei non aveva
sempre la voglia di alzarsi sulle punte e baciarlo sulle labbra…
Sì, si stava affezionando, ma non avrebbe mai saputo corrispondere a
pieno i sentimenti che Jones provava per lei con estrema evidenza.
Non
sei solo, ci sono io con te’,
gli rispose.
Anche
se pronunciava quelle parole con sincerità… Per quanto altro tempo
era in grado di continuare ad illuderlo?
Ad
illudersi?
Alla
fine era successo, l’inimmaginabile si era avverato e tutti
sembravano essere felici e contenti. Tutti.
Danny
era contento, aveva raggiunto la ragazza dei suoi sogni e l’aveva
fatta sua, come piaceva tanto dire agli scrittori romantici di un
tempo. Alicia era contenta… Contenta per fatti suoi. Cosa ne
potevano sapere loro di quello che girava nella mente della ragazza?
Kathy e Vicky erano contente. Il figlio-fratello era uscito dal suo
guscio, pronto a diventare un uomo, questione di giorni. Judd era
contento. I due fidanzatini riempivano la sua giornata.
Gli
unici totalmente scontenti erano loro due, Tom e Dougie. Da buoni
amici non avrebbero dovuto esserlo: dovevano invece sentirti
orgogliosi di se stessi, in fondo erano stati proprio loro due a
mettere Danny sulla strada giusta, quella che lo portava dritto da
Alicia… Ma non era proprio così, non era la verità. Il trio era
il trio e quello che accadeva ad uno accadeva anche agli altri.
Non
si sentivano trascurati o messi da parte, no, fondamentalmente non
era quello il loro problema. Quello che a loro mancava era la luce
che si accendeva negli occhi di Danny non appena Alicia gli era
accanto, o quando veniva anche solo pronunciato il suo nome. Erano un
pochetto invidiosi: sebbene avessero avuto le loro storielle, non
avevano mai conosciuto quella particolare sensazione… Era piuttosto
frustrante non essere al passo di Danny, dovevano innamorarsi anche
loro!
Martedì
sera, la luce era spenta in camera di Jones. Seduto a terra sul
grande cuscino, Tom si sentiva infastidito dallo sguardo insistente
di Dougie, comodo sulla poltrona, che lo osservava da diversi secondi
a quella parte.
“Che
vuoi, cretino…”, borbottò Tom.
“Ti
amo, Fletcher.”
“Prendi
un dito , ficcatelo in culo ed estraiti il cervello”, fu la
risposta del biondo.
“Così
mi ferisci…”, si lamentò Dougie.
“No,
ti farai più male da solo con quel dito.”
“Piantatela
di prendermi indirettamente per il culo.”, li rimbeccò Danny, con
aria monotona, “Voglio vedere il film.”
.*.*.*.
Avevano
disteso la vecchia coperta sull’erba scaldata dal sole, al parco
comunale di Watford, dove passavano quasi tutte le loro domeniche
insieme. Danny aveva portato con sé il suo vecchio pallone e, con
poca modestia, si era rifatto della sconfitta sonora che Alicia gli
aveva inflitto un po’ di tempo fa. Stanchi ed accaldati,
abbandonarono il pallone per stendersi: Danny le circondò le spalle
ed Alicia si accomodò sul suo petto. Non poteva chiedere niente di
meglio.
“Sai
una cosa?”, esordì Alicia, quando entrambi i respiri si furono
calmati, “Mi sa che non vado più in Svezia.”
Danny
cadde dalle nuvole.
“Cosa?”,
le domandò di ripetere.
“Sì…
Non ti ricordi?”, gli fece lei, “Ci sarà presto il compleanno di
mio padre… Ed io me ne dovrei andare con lui per qualche giorno in
Svezia, in vacanza.”
Ora
ricordava tutto: Svezia, compleanno e concerto… E lui che doveva
andarci con Vicky, con sua sorella.
“Come
mai non vuoi andare?”, le domandò.
“Perché…
Mi annoierei.”, rispose Alicia, “Sarò sola con la mia famiglia…”
“Beh,
ma ci saranno tanti posti da vedere.”, si permise di consigliarla,
“I musei, i paesaggi… La città, Stoccolma. Dicono che sia
bellissima e che la gente sia molto accogliente.”
Alicia
non rispose.
“Voglio
andare al concerto.”, disse poi, con espressione imbronciata e
scontenta.
“Possiamo
scambiarci il posto!”, le propose, tanto per farla ridere un po’,
“In fondo, ci somigliamo abbastanza!”
Non
sortì l’effetto sperato. Alicia sospirò, si mise seduta ed
abbracciò le ginocchia. Danny la seguì subito, preoccupato. Per un
attimo aveva pensato ad una reazione troppo infantile da parte sua:
Alicia si rifiutava di partire per un viaggio con suo padre solo per
un concerto. L’aveva quasi stupito, non si era aspettato quel
[i]‘Voglio
andare al concerto…’[/i]
detto con una voce piccola e quasi piangente…
Ad
ogni modo, Danny poteva dire di conoscerla almeno un poco e quello
che il linguaggio non verbale gli trasmetteva era piuttosto evidente.
No, non poteva essere solo per un concerto.
“Allie…”,
la disse.
Alicia
alzò un sopracciglio.
“Scusami…”,
le fece prontamente, forse non le piacevano essere chiamata così.
Gli
era uscito spontaneamente, era solo un nomignolo innocente che non
aveva assolutamente niente a che vedere con la Allie che aveva
conosciuto on line, ma con l'assonanza tra i due nomi.
“Non
ti preoccupare.”, rispose lei, sorridendogli, “Allie va bene.”
Quel
piccolo sorriso lo rincuorò, ma solo per un breve istante.
“Allie,
se c’è qualcosa che non va, puoi parlarmene.”, le disse e la
abbracciò ancora, “Se potrò aiutarti, credimi, lo farò.”
La
sentì sospirare.
“So
che ci sei, Jones. Questo è sufficiente per me.”, rispose lei, “E
comunque sono solo stupidi problemucci familiari.”
“Ne
sei sicura?”, volle accertarsene.
“Certo.”,
rispose Alicia, “Te ne parlerei.”
Sì,
non gli stava mentendo. Le dette un bacio sulla fronte e le sorrise.
“Non
voglio comunque andarci in vacanza con loro.”, ripeté Alicia.
“Vuoi
venire al concerto con me?”, le chiese, “Posso dire a Vicky di
darti il suo biglietto… In fondo non è così entusiasta…”
“Ecco,
sì!”, esclamò lei, senza però togliersi dal viso quel broncio
così carino, “Verrò al concerto con te!”
“Ed
invece andrai in vacanza.”, la ammonì Danny dolcemente, “Vedrai
tanti bei posti e tornerai piena di fotografie.”
Alicia
scosse la testa.
“E’
il compleanno di tuo padre.”, aggiunse Danny, “Starai con lui,
devi farlo.”
Non
avrebbe mai cambiato le sue idee.
“Pensa
a me, che non so nemmeno dove sia il mio!”, le disse comunque
Alicia
schioccò le labbra.
“Scusami,
non volevo offenderti.”, disse poi.
“Ci
sono abituato.”, la rassicurò, “Non sento nemmeno la sua
mancanza. Ma tu che un padre ce l’hai, tienilo stretto.”
“Mi
manca la mamma.”, mormorò lei.
Danny
non seppe cosa dirle. Appoggiò il mento sulla spalla di Alicia e
rimasero così per gran parte di quel pomeriggio. Avrebbe voluto
farla stare meglio, ma non sapeva come.
“Che
belle famiglie che abbiamo, Jones.”, disse ad un tratto lei,
cogliendolo di sorpresa, “Almeno la tua sembra felice.”
“Te
l’ho già detto una volta.”, le rispose, “Sappiamo nascondere
bene quello che ci fa star male.”
“Vorrei
poterlo fare anch’io.”
“Non
devi nasconderti, non con me.”
“Sto
bene, Jones, sto bene.”
Danny
non la capiva. Sembrava voler parlare ma poi si ritraeva, gli
concedeva una parte della sua vita per poi sottrargliela
improvvisamente.
“Come
si chiama la compagna di tuo padre?”, le domandò.
Invece
di rispondergli, Alicia si alzò e gli sorrise.
“Torniamo
al nostro pallone?”, propose, “Voglio la rivincita!”
L’urlo
animale di Vicky squarciò la tranquillità di quella cena. Sua madre
rabbrividì e chiese loro di abbassare i toni, ma non sarebbe stato
per niente facile.
“Toglitelo
dalla testa, pezzo di cretino!”, abbaiò Vicky, “Voglio venire a
quel concerto, costi quel che costi, e non me ne frega un bel niente
se ci vuoi portare la tua fidanzatina!”
Danny
non insistette: si dava il caso che, comunque, Alicia non sarebbe
potuta venire.
“Vicky,
andiamo…”, disse Kathy, “Potresti anche…”
“Non
sapete che cosa mi sono costati quei due biglietti!”, esclamò sua
sorella, incrociando le braccia.
“Avanti,
diccelo!”, Danny la costrinse a parlare, “Così potrò ripagarti
della perdita!”
“No,
scordatelo.”
Con
fare da diva scalpitante, Vicky li abbandonò in cucina e si chiuse
in camera sua. Era come parlare con un muro di cemento armato, e
comunque il calcestruzzo aveva più orecchie di lei. Danny sospirò e
si arrese, ma almeno ci aveva provato, anche se non sarebbe comunque
servito a nulla.
“Come
va con Alicia?”, gli domandò sua madre, cercando di recuperare le
fila della cena, ormai miseramente stracciate e perse.
“Beh…
Piuttosto bene.”, le rispose.
Le
sue parole avevano una capacità di convinzione quasi nulla e lo notò
dall’espressione ovvia di Kathy.
“Non
è vero…”, disse infatti la donna, “Lo so quando mi menti,
Daniel.”
Danny
sbuffò, gettando il tovagliolo sul tavolo.
“Non
lo so cos’è che non va, mamma.”, le disse, in vena di essere
totalmente sincero, aveva bisogno di un suo consiglio, “Non lo so,
credimi.”
“Lo
capisco.”, rispose sua mamma, “C’è qualcosa che non ti
convince.”
“Sì…
Ma non lo so… Non la so focalizzare.”
“Provaci.”
Sospirò
e tentò con tutte le sue forze.
“Per
esempio…”, esordì Danny, “Non capisco se vuole andare al
concerto perché… Perché è il concerto, o se voglia andarci
perché vuole farlo con me.”
Kathy
annuì ma sembrava non bastarle.
“E
poi non potrebbe comunque andarci… C’è il compleanno di suo
padre ed hanno organizzato un viaggio, ma non vuole unirsi alla sua
famiglia.”
“Deve
farlo.”, rispose allora sua madre, “La famiglia è la famiglia.”
“E’
quello che le ho detto anch’io ma…”, Danny si grattò la testa,
come se quel gesto avesse potuto schiarirgli le idee, “Non so,
sembra quasi che ci sia qualcosa che non vada… Intendo, nella sua
famiglia.”
Kathy
si appoggiò allo schienale della sua sedia.
“Beh…
Le mie clienti, al negozio…”, disse, citando una tra le fonti
assolute dell’opinione pubblica di Watford, “Mi hanno detto che
vive con suo padre, che si è risposato.”
“Questo
lo sapevo anch’io.”, le fece, “Sua madre è morta…”
“Oh,
mi dispiace!”, esclamò Kathy, “Questo non me lo hanno detto...”
Danny
le annuì, dispiaceva davvero anche a lui.
“Comunque,
la nuova moglie ha un figlio, di qualche anno più grande di lei.”,
aggiunse sua madre, “Poi non ne ho idea… Magari Alicia va poco
d’accordo con quella donna.”
“Può
essere…”, disse Danny, che non aveva pensato a quella
eventualità.
“Chi
sa la verità, se non lei?”, concluse Kathy.
Suo
padre aveva cosparso lo studio con libri aperti e carte stracciate;
camminava su e giù per la stanza, che somigliava tanto all’ufficio
del preside del liceo, e teneva un vecchio volume tra le mani. Era il
suo modo per riflettere.
“Papà?”,
lo chiamò Alicia.
Si
voltò e chiuse il libro.
“Posso
parlarti?”, gli chiese, “O magari ti disturbo…”
Adrian
le sorrise.
“Certo
che no, entra pure.”
Si
affrettò a liberare il divanetto dall’occupazione abusiva che i
volumi di medicina generale stavano perpetuando ad oltranza e le fece
cenno di accomodarsi accanto a lui.
“Cosa
vuoi dirmi?”, le chiese, sempre sorridente.
Alicia
si concentrò, era andata lì per dirgli del viaggio, del fatto che
non voleva andarci e sapeva in anticipo che suo padre si sarebbe
imbestialito.
“Beh…
Il prossimo venerdì partiamo… Per la Svezia.”, gli anticipò con
tono insicuro.
Suo
padre chiuse gli occhi e strinse i denti, come faceva quando cercava
di trattenere la rabbia ed imporsi al calma. Guai in vista, enormi
guai in vista.
“Vuoi
dirmi che non vuoi venire con noi, ma che vuoi andare al concerto di
Bruce Springsteen?”, le disse.
Alicia,
impaurita, rispose con un cenno positivo della testa.
“Lo
fai perché Mark si è aggregato a noi e non perché ti interessa
davvero il concerto, non è così?”, le chiese ancora suo padre.
“No,
è che vorrei davvero andarci…”, gli disse, “Danny ha un
biglietto per me, sono dei posti stupendi…”
Suo
padre scosse la testa.
“Ok,
vai a questo cazzo di concerto.”, e si alzò dal divano.
“Ma…
Papà…”
Adrian
riprese il volume che stava studiando con attenzione.
“Hai
ottenuto quello che volevi, adesso fammi lavorare.”
Alicia
lasciò il divano, suo padre e lo studio. Andò verso la sua stanza
con viso basso ed occhi pieni di lacrime. In fondo se l’era
cercata, quella reazione rabbiosa di Adrian era pienamente
giustificata: era la fonte di delusione più grande per suo padre,
era giusto che la trattasse in quel modo.
“Brutta
giornata?”, e una risatina ironica.
Lasciò
perdere Mark, lo Stronzo, e si chiuse in camera. Prese il suo i-pod
ed ascoltò tutte le canzoni che conteneva, almeno finché non si
addormentò
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Eccomi di nuovo qua, con un nuovo capitolo :) Grazie a chi legge e
segue questa storia! Sono graditi commenti, di qualsiasi tipo :P
Ruby
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