Ed
eccomi finalmente ad aggiornare questa raccolta, con la
FanFiction che ha partecipato al
"Lost in YaoiLand - Yaoi FanFiction" , indetto
da
Princess21ssj sul Forum di EFP e sul Forum "Lost in YaoiLand" .
Il
risultato non è stato quello che speravo ma
ahimè, non si
può avere tutto dalla vita. XD
Ciò
nonostante amo questa storia, e non è facile
sentirlo dire dalla sottoscritta. Ci ho messo l'anima e spero che
possiate apprezzarla almeno un pochino.
La dedico a Rota23 ( Meg89 );
questa è per te, cara, anche se non è degna. ;_;
Un bacione. <3
>> Genere:
sentimentale,
introspettivo, erotico,
angst, triste
Avvertimenti:
yaoi, lime, what if?
Rating:
arancione
Aforisma
scelto: 19 -
“ Perché non ho parola,
dura come la pietra, che ti ferisca a Morte? Così ti
fermerei, e
potrei disegnarti un arabesco sul cuore ” - Alda Merini
<<
Fragile
Incanto
Egli
pareva
così fragile... tanto che sembrava potersi rompere da un
momento
all'altro. Frantumarsi in mille e più minuscole parti, come
un
mosaico abbandonato all'usura del tempo o ad un violento temporale
d'autunno. Near era così.
Ma una
delle prime lezioni che un giovane uomo dovrebbe imparare è
guardare
al di là delle apparenze, prima di auto-infliggersi una
ferita
impossibile da rimarginare.
Prima di
rompersi al posto suo.
Quando Mello ebbe l'occasione di
conoscerlo, il suo primo pensiero fu
logicamente infantile:
“
Questo
tipo è proprio assurdo! ”
Quel bambino guardava gli altri negli occhi senza timore alcuno,
privo dell'espressione innocente che un individuo della sua
età
avrebbe dovuto mostrare. Era una caratteristica curiosa ed al
contempo triste, chissà che cosa gli era successo prima
d'essere
portato lì. Il suo sguardo era anonimo, scuro come pece o
come una
notte senza luna e stelle; qualcuno gli aveva strappato il sorriso
spontaneo d'una creatura che muove i primi, incerti passi sul mondo,
rimpiazzandolo con qualcosa che si discostava completamente dal resto
del suo essere, così puramente bianco. Sì,
bianco. Non si vestiva
mai di altri colori, e i suoi capelli erano chiaro come la sua pelle
di porcellana.
Era in un certo qual modo affascinante, ma troppo strano; troppo
silenzioso da capire. Sembrava totalmente estraneo a quel che
accadeva attorno a lui, salvo quando si trovava in classe o
nell'ufficio di Roger, momenti in cui dimostrava la
genialità della
sua mente. Come una sorta di bimbo prodigio si era insediato
attirando su di sé antipatie e simpatie, ma probabilmente
chi si
interessava di più a lui era proprio il biondo.
L'uomo è attratto per natura dalle cose che lo confondono,
che lo
rendono schiavo della voglia di sapere, di scoprire segreti celati.
Questo a maggior ragione quando si è piccoli e, seppur
già provati
dalla vita, ancora dolcemente sfacciati nel curiosare. Però
non era
facile sondare quel territorio, tanto Near era chiuso in se stesso;
gli sguardi che regalava erano privi di sfumature, e pareva non
esserci nulla di spontaneo in lui, come se non provasse emozioni.
Dov'erano l'allegria, la paura, la tristezza e l'inquietudine? I
sentimenti fondamentali e tipici dell'essere umano sembravano non
sfiorarlo neanche, relegandolo nel suo angolo perfettamente
immacolato, intoccabile, perso nei suoi pensieri e nel puzzle bianco
che rappresentava la sua unica occupazione quando non era immerso
nello studio.
Aveva
provato più volte a parlargli, ricevendo sempre le solite
risposte:
nella maggior parte dei casi non poteva perder
tempo in conversazioni poco costruttive,
perché doveva impegnarsi coi compiti assegnatigli. Mello
odiava il
suo modo di fare, quell'intrecciarsi i capelli fra le dita come a
voler far capire che non c'era nulla che gli interessasse nei vaneggi
dell'altro; possibile che, a soli undici anni, una persona potesse
essere già così maledettamente piena di
sé, altezzosa, irritante?
Viveva in una dimensione tutta sua, e talvolta il più grande
aveva
provato ad immaginarla, rimanendone abbastanza disgustato: un
universo perfettamente bianco, nessuna forma di vita a parte lui,
piccola macchia candida e al contempo oscura nell'infinito.
Però dovette ammettere che, grazie a lui, aveva avuto
l'occasione di
rispolverare una passione abbandonata dai tempi dell'asilo; non lo
contraddistingueva perché non lo si poteva definire un
artista, ma
comunque non se la cavava male con foglio e matita.
Tutto quel che desiderava in quel periodo era un po' di
considerazione da parte sua, probabilmente perché i suoi
coetanei
erano tutti uguali, una specie di massa informe – a parte il
suo
migliore amico Matt –, mentre lui era diverso, interessante.
Aveva
pensato dunque che, forse, vedersi ritrarre con attenzione e dovizia
di particolari, potesse rallegrarlo un po' o comunque incuriosirlo.
Una sera quindi, chiuso nella sua confortevole stanza, si era seduto
alla scrivania tirando su le maniche del pigiama, poggiando il polso
destro sul freddo legno dello spazioso mobile; con la mano sinistra
teneva una barretta di cioccolato – il suo amore
più grande, se
così lo si poteva definire –, che aveva addentato
avidamente prima
di posare la punta nera sul foglio. Il suo pensiero volò
verso il
volto pallido, i capelli mossi d'un colore indefinibile e gli occhi
d'onice. Non sembrava difficilissimo da riprodurre, alla fin fine.
Iniziò a tracciare delle linee delicate, mentre l'inebriante
sapore
di cacao gli invadeva la bocca e s'infrangeva sul palato,
così
sensibile a quel gusto unico ed immensamente piacevole.
La luce soffusa della lampada illuminava i progressi del lavoro in
cui si stava impegnando a fondo, senza tralasciare alcun particolare,
evidenziando perfino ogni singola ciocca di capelli del soggetto,
rendendole molto simili a quelle reali. S'impuntò con la
determinazione di un bimbo che vuole a tutti i costi rendere felice
un caro amico – anche se, nel loro caso, d'amicizia non si
poteva
certo parlare – , spendendo l'intera nottata a tale scopo.
Fortunatamente il giorno dopo non avrebbero avuto lezioni importanti,
quindi si era permesso di restare sveglio fino al mattino presto,
quando non ce la fece più e si distese sul letto,
addormentandosi
nell'immediato. A terra v'erano gli incarti di almeno quattro o
cinque tavolette di cioccolato fondente, mangiate in preda al
nervosismo o alla gioia, a seconda di come l'opera si sviluppava
sotto i tocchi precisi e calcolati della matita ormai consumata.
Lo aveva disegnato sorridente, trascinandolo in un sogno; e ne era
pienamente soddisfatto, poiché era ancora troppo giovane e
inesperto
per comprendere a fondo il suo Io. Però sapeva quanto
precaria
poteva rivelarsi un'espressione felice assunta per il volere altrui,
indi provò a cercare una spiegazione, qualcosa che la
motivasse. Si
era accorto, osservandolo attentamente, che a Near piacevano molto le
piante che rigogliose e fiere adornavano il giardino della Wammy's
House: così aveva aggiunto una piccola composizione floreale
all'altezza del suo cuore, macchiando di sgargiante colore quel
ritratto così bianco. Era un particolare un po'
confusionario ma di
gradevole aspetto, indubbiamente. In verità, purtroppo, la
persona
che appariva su quel foglio non gli somigliava affatto, ma la sua
mente ancora acerba gli imponeva di credere il contrario.
Quando si era alzato, decisamente insonnolito ma sicuro di
sé, si
era recato in cortile ove aveva incontrato il destinatario di
ciò
che teneva sotto braccio. Quest'ultimo se ne stava seduto sull'erba
immerso nella lettura di un tomo di cui non riusciva a scorgere il
titolo dalla sua posizione. Lo aveva salutato e poi, senza preavviso,
aveva dondolato il ritratto davanti al suo viso.
“
Questo...
”
“
Questo
sei tu. Ti piace il disegno? ” gli aveva chiesto entusiasta,
porgendoglielo.
L'albino lo aveva osservato con attenzione, domandandosi
perché
avesse scelto di ritrarre proprio lui; era bello, su questo non c'era
alcun dubbio, ma egli non si sentiva parte di quel foglio. E
ciò da
un tratto lo faceva star male, ma dall'altro lo aiutava ad andare
avanti e a sperare in futuro migliore per tutti; perché non
si può
vincere se non si è capaci di studiare a fondo l'anima di
chi ci sta
vicino o di chi vogliamo capire. E per far questo è
necessario
calcolare le proprie mosse, senza lasciarsi trascinare dall'euforia
del momento.
Però aveva apprezzato il volere di Mello, infatti aveva
accettato di
buon grado il suo dono.
“
Sì
” aveva risposto, atono come sempre, ma nonostante
ciò l'altro
pareva rincuorato. Forse aveva compiuto il primo passo per
avvicinarsi a lui, per comprendere i suoi più intimi
pensieri e
desideri per poterlo aiutare. Forse. Già, perché
l'apparenza
inganna e perché anche il più splendido degli
idilli è destinato a
svanire, prima o poi.
Infatti,
Near aveva continuato imperterrito a comportarsi come al solito,
evitando qualsiasi discorso lo riguardasse e concentrandosi solo sui
suoi giochi e sui libri trattanti svariati argomenti. In altre
parole, dopo qualche ora era come se il regalo che gli era stato
fatto e che era costato al biondo una notte in bianco, non
significasse più nulla. O forse non aveva mai
significato nulla.
Erano passati due anni ormai, ma il loro rapporto non era mutato se
non per un particolare non proprio trascurabile. Il più
giovane si
era guadagnato il primo posto nella classifica dei probabili
successori di L, il miglior detective in circolazione, anch'egli
cresciuto in quell'Orfanotrofio. E al biondo tal cambiamento non era
andato affatto giù, considerando che da quando si trovava
lì aveva
sempre perseguito proprio quell'obiettivo. Unica ragione di vita,
unica possibilità di vittoria contro colui che alla fine era
divenuto il suo più acerrimo rivale.
Aveva tentato un'infinità di volte di cercare un suo
eventuale punto
debole, ma il ragazzo era paragonabile ad una rocca inespugnabile.
Dunque aveva deciso di provare a ferirlo con le parole, pensando che
non potesse essere un pezzo di ghiaccio o, se lo era, che non potesse
restare tale in eterno. Il ghiaccio si scioglie, questo è il
suo
inevitabile destino. Eppure era come se lui non fosse capace di udire
le frasi che gli venivano rivolte, o come se non ne comprendesse il
senso. Ma la seconda ipotesi era assolutamente da escludere.
“
Near,
sappi che non sei perfetto. E quando inizierai a conoscere il mondo
per quel che è davvero, te ne accorgerai a tue spese
”
“
E
tu, Mello? Neanche tu sei perfetto. E non sai che cosa ci attende
là
fuori, o per lo meno non lo hai mai sperimentato sulla tua pelle
”
Come poteva essere così impassibile in ogni momento? Come
poteva
riuscire a ragionare lucidamente e a rispondere a qualsiasi domanda
gli venisse posta, senza sbagliare mai?
Errare
humanum est.
Perché la solenne legge non valeva per lui?
Lui, l'ostacolo da scavalcare, lo scoglio da arginare; lui, il numero
uno.
Lo guardava spesso ghignando, tanto che pareva divertito dalla sua
condizione d'eterno secondo, sebbene non lo esprimesse a parole; in
realtà non era questo ciò che riusciva a
cambiare, anche solo per
pochi istanti, l'espressione sul suo viso. Quando le sue labbra
sottili si curvavano a quel modo, il biondo aveva colpito proprio uno
dei punti deboli che incessantemente e disperatamente cercava.
Perché
l'albino certe volte si sentiva solo, anche se cercava di non darlo a
vedere e di non pensarci, in quanto ciò avrebbe dimostrato
debolezza. E l'impulsività e l'entusiasmo dell'altro
riuscivano a
farlo sentire per un attimo più leggero, ed era come tornare
bambino; come sentirsi ancora fra le braccia di una madre, calde e
sicure, che troppo precocemente gli erano state negate.
In poche parole, Mello rappresentava una sorta di luce per lui, solo
che non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo. Near che aveva fama
di dire in faccia quel che pensava – dopo averci riflettuto
un bel
po' su, ovviamente – non era ancora stato capace di essere
sincero
con lui, e neppure egli stesso era riuscito a comprendere il motivo
di tanta esitazione.
Fatto sta che alla fine dovette rinunciarvi perché giunse
presto il
giorno in cui, all'età di quindici anni, Mello decise di
lasciare
l'istituto per vivere la propria vita a modo suo. Il loro mito, L,
era morto, deceduto assieme a Watari, il fondatore dell'Orfanotrofio.
Ucciso da Kira, il Serial Killer che stava spargendo terrore in ogni
parte del mondo.
Quel pomeriggio di pioggia, però, il biondo non gli aveva
detto
addio; non lo aveva neanche guardato, in verità. Si era
lasciato
alle spalle il passato – o almeno così sembrava
– sparendo
all'orizzonte con uno zaino in spalla, nel nubifragio e fra i fari
delle auto che affollavano le strade inglesi.
Versare lacrime, però, sarebbe stato inutile. E poi, non era
neanche
più certo di esserne capace.
“
Sappi
che riuscirò a batterti, Near. Prima o poi ci
riuscirò. E quel
bastardo di Kira perirà per mano mia, perché la
tua freddezza non
basterà ad intimorirlo ”
Anno 2010
Una mano calda sulla fronte, un sospiro, così vicino...
“
Svegliati,
Mello! ” esclamò Matt, destandolo dal proprio
sonno. Aveva sognato
molto, una serie di avvenimenti che gli erano accaduti neanche troppi
anni prima, con protagonista sempre e costantemente lui.
Provò ad alzarsi ma l'altro lo spinse di nuovo a sedere sul
letto,
guardandolo severamente.
“ Aspetta,
ti cambio le bende. Cazzo, ma si può sapere per quale motivo
hai
fatto una cosa del genere? ” domandò, visibilmente
preoccupato.
Il suo amico aveva appena rischiato la vita, ritrovandosi –
fortunatamente, visto come sarebbe potuta andare – con
diverse
ustioni in varie parti del corpo.
“
Ti
rimarranno le cicatrici ” lo avvisò poi, e il suo
sguardo si
rattristò un poco.
“
Non
importa. Morire per mano di Kira è l'ultima cosa che voglio
”
Il
ragazzo dai capelli rossi sorrise a quelle parole: Mello era sempre
il solito, determinato e coraggioso, ed egli era estremamente felice
di ciò. Dunque nulla era cambiato, in quegli anni. Nel suo
occhio,
quello non fasciato dalle bende, v'era ancora quella luce che bramava
vendetta, la stessa che brillava la sera in cui gli rivolse un quasi
sussurrato arrivederci,
abbassando poi lo sguardo sulla pozzanghera ai suoi piedi, che
dispettosa gli aveva sporcato le scarpe di fango.
Era sempre il suo migliore amico. Ed era forte, tanto che quasi ne
rimase stupito; il suo volto non si contraeva in smorfie, mai, non si
lamentava del dolore che sicuramente provava. Perché non
poteva, non
era tempo di vacillare, ma di agire. Non aveva ancora dimenticato il
suo obiettivo, e non sarebbe stato soddisfatto finché non
sarebbe
riuscito a raggiungere la meta che si era prefissato e che inseguiva
da anni e anni: uccidere Kira, e surclassare Near. Già. A
proposito...
“
Senti,
Matt... sai niente di Near? ” chiese, e l'altro lo
guardò con
un'espressione a metà tra il depresso e l'infuriato; adesso
aveva
lui di fronte, non quel tizio assurdo con il quale non era mai
riuscito ad instaurare alcun tipo di rapporto. Beh, in
realtà lo
considerava totalmente incapace di relazionarsi con qualcuno. E
soprattutto non sopportava che Mello parlasse sempre di lui, come se
ne fosse ossessionato.
Tuttavia pensò fosse doveroso rispondergli, così
accantonò le sue
prime intenzioni – ovvero, dirgli che non ne sapeva
assolutamente
nulla, mentendo spudoratamente – e parlò, seppur
con una vena di
tristezza nel suo tono di voce:
“
Per
quel che ne so fa parte di un'organizzazione il cui scopo è
scoprire
chi si cela sotto il nome di Kira, e catturarlo. Mi pare si chiami
SPK, o qualcosa di simile ”
Il biondo strinse i pugni fino a farsi del male, odiava pensare di
trovarsi su un letto per giunta neanche troppo comodo, ferito e
così
lontano dalla soluzione dell'enigma. Non poteva permettere al suo
rivale di uscirne vittorioso, per nessun motivo. Doveva rimettersi in
sesto il prima possibile.
“
Matt...
” esordì, “ Puoi farmi un favore?
”
Dannato, irresistibile diavolo camuffato da angelo. Non avrebbe mai
potuto rispondere negativamente. Si sentì debole e
rassegnato al suo
cospetto, e non poté far altro che esaudire il suo
desiderio:
scoprire ove si trovava il luogo in cui il numero uno risiedeva, e
farglielo sapere nell'immediato. Chissà che cos'aveva in
mente...
preferì cercare di non pensarci, mettendosi subito alla
ricerca di
dati utili su internet; finalmente la sua passione per la tecnologia
– anche se in verità alla grande rete preferiva i
videogiochi –
sarebbe tornata davvero utile. Non era contento dell'incarico che gli
era stato assegnato, ma lo fece comunque; dire di no a lui sarebbe
stato come rinunciare al bene più prezioso al quale si possa
ambire.
Nel suo caso ad un sorriso sincero, che valeva più di mille
parole.
Ma purtroppo sapeva bene che, finché sarebbero esistiti
tutti e tre,
l'altro avrebbe sempre avuto la priorità per uno come il
biondo,
pronto a tutto pur di vincere una competizione. Non c'entrava
l'amore, né l'odio al suo stato più puro:
perché l'ossessione è
entrambe queste cose eppure nessuna. E' una condizione dolorosa,
eppure spesso e volentieri non se ne può proprio fare a meno.
Impiegò qualche giorno per trovare i dati richiesti, fra
imprecazioni contro le ferree protezioni dei siti e occhiate fugaci
all'indirizzo del suo coinquilino, che passava le ore a mangiare
cioccolato e a guardare fuori dalla finestra con sguardo vitreo,
osservando le auto che sfrecciavano a tutta velocità. Perso
in un
mondo astratto, in quel momento somigliava addirittura al suo rivale;
il suo sguardo era rivolto al nulla, lontano più che mai, e
il rosso
aveva perfino paura di avvicinarlo per timore di distruggere il suo
fottutissimo sogno. Voleva disperatamente farlo, ne aveva bisogno, ma
non voleva che Mello lo odiasse.
Così, quando giunse il momento fatidico, attese qualche
istante al
fin di godersi la visione dei suoi denti bianchi che spezzavano la
tavoletta scura e fondente.
“
Hai
scoperto qualcosa? ”
E
quella frase, più che una domanda, suonò come un
ordine, o comunque
come uno:
“ Spero per te che la risposta sia affermativa ”.
“
Sì
”
In verità aveva già reperito alcune informazioni
tramite una
persona che conosceva e che era in stretto contatto col suo rivale,
ma aveva preferito non parlargliene. Perché era felice che
Matt si
impegnasse per aiutarlo; ne era felice perché aveva bisogno
di
sapere che lui c'era ancora e che non lo avrebbe abbandonato, che in
quel senso era tutto come un tempo.
Sorrise, deglutendo. Provò una gioia immensa in quel
momento, nessun
ripensamento; non era ancora finita. Anzi, tutto era appena
cominciato, e fu il vederlo ancora una volta a confermarlo.
Giunse alla sua sede portandosi appresso la donna che lo aveva
aiutato, tenendola sotto controllo facendole credere d'esser pronto a
premere il grilletto; probabilmente non lo avrebbe mai fatto, ma
Halle avvertì comunque un brivido lungo la schiena in quel
frangente. Sapeva bene di che pasta era fatto, era perfettamente a
conoscenza del suo invidiabile coraggio misto a pericolosa
impulsività. Eppure nonostante ciò continuava a
lavorare per l'SPK
e a rimanere in contatto con Mello, forse perché era l'unica
che
aveva già capito che, se si fossero alleati, Kira non
avrebbe avuto
alcuna speranza di vincere.
Quando entrarono nella grande stanza lui era lì, seduto per
terra –
quell'immagine gli ricordò subito i vecchi tempi, come se da
allora
non fosse cambiato niente –, lo sguardo chino su una serie di
giocattoli.
“
Ciao,
Near. Incredibile come il tempo per te sembra non essere trascorso;
sei sempre il solito. Un enigma vivente, ma non immortale.
Prima o poi t'incrinerai anche tu, e perirai come tutti gli
altri ”
“
Ciao.
Mi sorprende vederti qui ”
Aveva ancora sul volto la solita espressione, tanto che il ragazzo si
sentì deriso e scrutato come si scruta un reietto, un
rifiuto
dell'odierna società. Con disprezzo malcelato. Era come se
lui, per
quel dannato ragazzino talmente calmo e riflessivo da parere
proveniente da chissà qual misterioso e sconosciuto pianeta,
fosse
solo una misera pedina, il semplicissimo pezzo di un puzzle.
Si trattenne dal puntargli la pistola alla tempia e gli si
avvicinò
lentamente, avvertendo gli sguardi dei suoi compagni su di
sé.
Lui alzò un poco gli occhi, sussultando impercettibilmente
alla
visione della cicatrice che deturpava il viso dell'altro; la
determinazione che lo illuminava, però, non aveva avuto
timore del
fuoco e del dolore. Dunque lo aveva raggiunto e lo stava apertamente
sfidando, fissandolo insistentemente.
“
La
foto ” esordì, “ Tu hai la mia foto, non
è così? ”
Near parve quasi pensarci per un po', sebbene la tenesse ben
custodita e lontana da sguardi indiscreti; la prova ch'egli esisteva
o che comunque un tempo aveva camminato su quel suolo che non gli
apparteneva davvero. Il ritratto sputato fuori da una vecchia
polaroid, ancora perfettamente intatto, come se fosse stato
conservato in una teca.
“
In
effetti sì ” rispose, atono.
“
Dammela.
Immediatamente ”
Al suo ordine Jevanni, membro dell'organizzazione, fece qualche passo
in avanti verso di lui, ma l'albino gli fece cenno di non
preoccuparsi. Sapeva bene come comportarsi con il biondo, indi gliela
porse quasi subito, assieme ad un foglietto ripiegato e un poco
consumato.
“
E
questo che cos'è? ” domandò.
“
Aprilo
”
Lo fece, e in quel preciso istante una miriade di ricordi gli
passarono davanti e lo scossero nel profondo; rivide l'orfanotrofio,
Roger, i ragazzi che giocavano a calcio in cortile e Near che
l'osservava solitario da dietro la grande finestra. E dire che non
aveva mai dato troppa importanza a quel particolare...
Poi rivide la sua stanza, un po' disordinata ma accogliente; e vide
se stesso, seduto alla scrivania, mentre disegnava e sorrideva al
contempo.
Il suo ritratto.
Strinse fra le dita quel pezzo di carta sottile, senza sapere
esattamente cosa dire. Lo aveva ancora, dopo tutti quegli anni...
perché?
Gli lanciò un'occhiata eloquente, che però gli
altri non carpirono.
Solo lui, che per qualche oscuro motivo lo voleva disperatamente, lo
comprese.
“
Lasciateci
soli per un po' ” ordinò, “ Dobbiamo
parlare ”
“
Sei
proprio uno sciocco, Near. Non ti rendi conto di quanto sia
pericoloso rimanere da solo con qualcuno che ti odia a morte? Potrei
ucciderti, se lo volessi ”
“
Non
lo faresti ”
Il più giovane si allungò appena per aprire un
cassetto, estraendo
da esso un foglio abbastanza grande e due o tre matite.
Solo quel semplice movimento scatenò nell'altro una
tempesta, e fu
come se i suoi sensi si acuissero; non v'era nessun altro in quella
grande stanza, solo loro due, e vi regnava un silenzio quasi irreale.
Poteva vederlo, perfino mangiarselo con lo sguardo, e nulla glielo
impediva se non il suo profumo delicato, che lo inebriava. Poteva
addirittura ascoltare il suo respiro regolare, sperando
silenziosamente che esso accelerasse per mostrargli un lato di lui
che sicuramente non aveva donato a nessuno fino ad allora.
Sperò di
poterlo assaggiare, prima o poi, e di soddisfare anche il tatto che
reclamava la sua personale parte di piacere.
“
Che
cosa fai? ”
Lui non parlò. Gli dette il foglio senza indicazione alcuna,
eppure
Mello capì che cosa voleva che facesse. Desiderava essere
disegnato
ancora una volta, per qualche arcano motivo sembrava che la cosa lo
divertisse, o per lo meno che lo incuriosisse. In ogni caso era da
tanto che non si cimentava in tale arte, quindi su un lato
lavorò ad
alcune minuscole brutte copie.
Lo guardò giocare coi propri capelli e sospirò,
trattenendo
l'impulso di saltargli addosso seduta stante. Che diavolo gli stava
succedendo? Lui era il suo rivale, ma aveva appena pensato di
volerlo... baciare? Stringere? Toccare? Assurdo.
Assurdo ma dannatamente vero, tanto che gli si avvicinò
ancora di
qualche metro per poterlo osservare meglio. Lo attraeva come una
calamita, ma pareva non rendersene conto. O forse stava tramando
nell'ombra?
“
A
guardarti da questa distanza mi schifi ancora di più. Hai le
sembianze di un moccioso e ti diverti ancora con quel fottuto
puzzle... mi domando quando crescerai ”
Le parole gli fuoriuscirono dalle labbra socchiuse, taglienti,
probabilmente avrebbero avuto un effetto quasi devastante su una
qualunque personalità che non fosse la sua. Ma Near non si
arrabbiava, restava sempre e costantemente impassibile qualsiasi cosa
gli venisse detta, anche la più crudele.
Il più grande era certo di poterlo ferire in quel modo,
eppure lui
non si scomponeva mai, e ciò non andava affatto bene. Pareva
quasi
inumano ma il suo cuore batteva, lo sentì quando gli
afferrò il
polso in una presa ferrea. Il contatto con la sua pelle
inaspettatamente calda lo fece tremare d'eccitazione repressa, e i
grandi occhi ora fissi nei suoi lo interrogavano sorpresi.
“
Che
vuoi fare? ”
Dio, possibile che fosse davvero così innocente? No, ne era
ancora
fermamente convinto, non poteva essere una fortezza impenetrabile.
Lo
spinse a terra con tutta la forza che possedeva e si distese su di
lui, maledicendosi e provando allo stesso tempo una piacevole
sensazione di libertà, euforia, vittoria. Ma era ben lungi
da
quest'ultimo traguardo, e lo sapeva. Però decise di godersi
comunque
quegli attimi, finché l'altro non pronunciò il
suo nome – oh,
quanto avrebbe voluto sentir uscire da quelle labbra il suo vero nome
di battesimo – con un'inflessione di voce che non lo aveva
mai
contraddistinto. Non la seppe definire ma gli piacque talmente tanto
che lo pregò di ripetere, ma lui si rifiutò.
Scosse il capo e provò
ad allontanarlo, però non chiamo nessuno ad aiutarlo; eppure
avrebbe
potuto farlo, e in quel caso loro sarebbero subito intervenuti
portando via colui che stava cercando di abusare del suo corpo che si
stava rivelando spaventosamente reattivo,
ma tacque.
“
Dì
il mio nome, cazzo! ”
Incollò lo sguardo al suo lasciando cadere le braccia lungo
i
fianchi, e il freddo del pavimento assalì le sue dita
affusolate.
“
Mello...
” mormorò, mentre le sue mani audaci andavano a
sbottonargli la
maglia con urgenza, incontrando difficoltà a volte, a causa
della
foga del momento.
“
Non
possiamo ” disse poi, quando l'altro scoprì il suo
petto glabro e
sfiorò con i polpastrelli la pelle liscia e maledettamente
sensibile.
Le sue gote s'imporporarono quando le carezze si fecero d'improvviso
più spinte, più decise, disegnando un percorso
dalla giugulare fino
all'ombelico; il giovane si divertì con esso, ghignando,
beandosi di
quell'espressione così diversa, così
affascinante. Era chiaro come
il sole che Near si stava eccitando, poteva leggerlo sul suo viso che
però non coprì, continuando a sfidarlo nonostante
l'evidente
posizione di svantaggio.
“
Mel...
” non finì di chiamarlo per l'ennesima volta
perché il biondo lo
zittì con un bacio vorace, assaggiando finalmente le labbra
di colui
che – senza che lui lo volesse – era stato fino a
quel giorno
protagonista delle sue più morbose ed erotiche fantasie.
Le morse senza delicatezza alcuna ma lui non si ribellò, e
ansimò
piano quando dopo le leccò lentamente, come a voler farsi
perdonare.
Dopodiché si stacco e lo fissò per qualche lungo
secondo, cercando
di riprendere fiato.
Agli occhi di Mello egli era talmente bello da desiderarlo in
frantumi, come se in realtà il suo corpo fosse qualcosa da
scomporre
e ricomporre a piacimento, in modo da potervi giocare in eterno.
Però
in pratica sentiva che era esattamente il contrario, e che era Near
che si stava divertendo a ridurlo in pezzi pian piano, senza fretta,
godendosi la sua lenta agonia. Ne era perfettamente consapevole,
eppure non riusciva a sottrarsi a quella dolce ma dolorosa tortura.
Come un autolesionista continuava a baciarlo,a morderlo, a toccarlo
sempre più intimamente.
Non lo sopportava. Possibile che non esistesse parola capace di farlo
star male? Anche mentre lo stringeva perseverava, lo offendeva
volutamente e lui capiva, però non si arrabbiava.
“
Sei
un bastardo, Near ”
Come una droga, come qualcosa di invincibile che crea dipendenza e ti
trascina in un tunnel senza uscita.
E realizzò che quella veramente fragile non era la creatura
stessa
sotto di lui, col respiro affannoso e le labbra sporche di sangue.
Anzi, lo vide come una sorta di demone, un giustiziere fintamente
innocente, il suo personale Dio della Morte. Si spaventò a
tal
visione, ma non si ritrasse. Piuttosto si tolse anch'egli la maglia,
facendo aderire il suo petto a quello dell'altro, meravigliandosi del
suo calore.
Lui odiava perdere, però quando iniziava una cosa era sempre
fermamente deciso a portarla a termine.
Un rivolo di liquido cremisi macchiò la guancia di Near, e
una
goccia si infranse silenziosa sui capelli chiari, eppure lui
continuava a sembrare così puro; una visione completamente
differente da quella che prima si era immaginato. Egli aveva il
potere di confonderlo, era il male e il bene, l'amore e l'odio.
Doveva sporcarlo, ne necessitava, doveva mettercela tutta al fin di
ferirlo nell'orgoglio.
Lo baciò sul collo e la schiena del giovane
s'inarcò, in una muta
richiesta di continuare.
Forse anche lui era stato risucchiato dal vortice e stava vivendo un
conflitto interiore. Fatto sta che gli carezzò i capelli
biondi, non
più il caschetto perfetto di diversi anni prima ma ribelli e
un poco
più lunghi. Poi gli toccò la vistosa cicatrice, e
il volto di Mello
si contrasse in una leggera smorfia, allontanando da quel punto
ancora doloroso la gentile mano.
“
Perché
non la usi per altri scopi? ” gli chiese ammiccando, e si
accorse
per un attimo d'aver messo in difficoltà l'imperturbabile e
perfetto
numero uno. Sorrise a quella piccola e meritata vittoria, esultando
in silenzio.
L'albino si domandò ove l'altro avesse imparato a baciare
così bene
– seppur non avesse mai baciato nessuno prima d'allora e
ritenesse
illeciti certi pensieri –, e lo lasciò vagare con
la lingua umida
sul proprio petto. Un brivido gli percorse la schiena quando si
soffermò sul capezzolo destro, mordicchiandolo. Non aveva
mai
provato simili sensazioni, eppure non provò vergogna a
lungo.
Sapeva che da un momento all'altro qualcuno avrebbe potuto fare
irruzione nella stanza, ciò nonostante non voleva fermarsi.
Dovette ammettere, per lo meno a se stesso, che per lui Mello era
speciale. E sembrava sapere alla perfezione dove toccarlo per farlo
tremare, per fargli perdere anche solo per qualche istante la
compostezza che lo caratterizzava in ogni situazione. E il
più
giovane non si sentì in colpa quando lui gli
abbassò i pantaloni e
l'intimo che indossava, sfiorando quell'eccitazione divenuta oramai
perfino dolorosa.
Quel che accadde poi lo visionò a scatti, perché
alla fin fine era
anch'egli un essere umano. Sentì le mani dell'altro fra le
proprie
gambe, il suo respiro sul collo e i denti sul lobo dell'orecchio.
Fremette quando anche lui si tolse i pantaloni e fece sì che
quelle
due parti così sensibili si incontrassero e scontrassero
regalando
ad entrambi emozioni che si trasformarono ben presto in gemiti
trattenuti a stento per non farsi scoprire.
“
Near,
Near, maledetto... ”
Mello credette di morire quando vide il compagno inarcarsi
sensualmente per l'ultima volta, prima di sbarrare gli occhi e
chiamare il suo nome con tutta la passione che, fino ad allora, aveva
tenuto repressa dentro di sé.
Lo marchiò come suo senza possederlo completamente, anche se
nemmeno
lui stesso riuscì a capire il motivo di tale gesto. Lui si
trovava
alla sua mercé, sotto di lui, sporco e con la fronte madida
di
sudore. Era così bello, così... fragile, in
apparenza. Ma a
dispetto di ciò fu il biondo a crollare, affondando il volto
nella
sua chioma chiara. Sentirlo gemere sotto i suoi tocchi, vederlo
contorcersi in preda al più estatico dei piaceri lo fece
cadere
nella più cupa disperazione: quindi Near gli apparteneva, ma
a
guardarlo sembrava incredibilmente distante. Possibile che per lui
quanto era accaduto non significasse niente? No, tutto ma non questo.
Lo fissò in cerca di una spiegazione, di un segno.
“
Adesso
sei soddisfatto? ”
La sua voce risuonò quasi crudele, accusatoria: fu come se
lo avesse
apostrofato come criminale, evitando di dirlo apertamente.
“
Si
può sapere perché... perché riesci
sempre a restare così
impassibile? ”
Lui abbassò lo sguardo mettendosi a sedere, ricominciando a
giocare
coi propri capelli. Per qualche istante parve non sapere cosa
rispondere, poi fece schioccare le dita e lo guardò
sorridendo
appena, cercando di nascondere quanto meglio poteva quella strana ed
inusuale tristezza che avvertiva e che gli attanagliava il cuore.
“
Guarda
attentamente il ritratto che mi facesti quella volta... cosa noti di
strano? ”
Mello lo riguardò, ma sembrò non capire cosa egli
intendeva.
“
Qui
” indicò il fiore che aveva disegnato sul suo
petto, assumendo la
sua consueta espressione da saccente, “ Cos'è
questo? ” gli
chiese, facendosi curioso.
“
E
me lo domandi adesso? Non potevi farlo subito, il giorno in cui te lo
consegnai? ”
“
Ho
fatto alcune ricerche, avvalendomi dell'aiuto dei volumi che si
trovavano nella libreria della Wammy's House. Sapresti spiegarmi
perché hai scelto proprio il rododendro?
”indagò, e l'altro lo
guardò basito.
“
Rodo...
che? ”
Si tirò su la zip della maglia di pelle nera domandandosi
che
diavolo poteva mai avere in mente, in tutta sincerità non
capiva di
cosa stesse parlando. Quella volta aveva disegnato una specie di
fiore, la prima forma che gli era balenata in mente, senza pensarci
troppo; ed era stato solo l'insignificante gesto di speranza di un
bambino troppo ottimista... oppure no? Ammettere il perché
aveva
apportato al suo lavoro quella piccola modifica sarebbe stato troppo
umiliante in quell'occasione; come poteva dirgli che lo aveva fatto
per ravvivare l'immagine, per farlo sorridere? Near lo avrebbe di
certo preso in giro, e ciò non gli andava proprio, in
special modo
dopo aver consumato quella specie di amplesso “a
metà”. Entrare
in intimo contatto con lui non aveva fatto altro che peggiorare le
cose, eppure si sentiva comunque felice d'averlo fatto, di avere in
un certo senso contravvenuto alle regole.
“
Rododendro,
molto simile all'azalea ” spiegò l'albino, mentre
si puliva e
risistemava, ostentando una calma insolita in un momento simile.
“
Non
sapevo che quella composizione si potesse definire tale... l'ho
disegnata a caso ”
Near lo guardò, presumibilmente cercando di sondarlo, dato
che non
gliela contava giusta.
“
Guarda
che sto dicendo la verità ”
“
Non
lo metto in dubbio, ma vedi... nel linguaggio dei fiori, il
rododendro ha un particolare significato ”
“
Ah...
” reagì Mello, poco convinto, “ E da
quando t'interessi a simili
stupidaggini? ”
“
Da
quando Roger ci chiese di studiarli. Io scrissi una riflessione su
questo fiore ” disse, riportando
alla memoria un assurdo compito che gli era stato affidato dal loro
supervisore.
“
Sì,
mi ricordo... che cazzata. Comunque, quale sarebbe il significato di
cui parli? ” chiese, abbastanza incuriosito.
E l'altro
ghignò, giocherellando con un trenino di legno.
“
Molti
lo considerano una sorta di emblema della prima dichiarazione d'amore
” rispose, e il biondo a quelle parole si sentì
indeciso.
Ridere
o piangere? Perché se da un lato considerava la cultura del
linguaggio
dei fiori un'emerita cretinata, quella definizione era
spaventosamente corretta. Ancora a quell'età non riusciva a
capirlo,
ed aveva fatto tutto inconsciamente. Aveva confessato a Near quel che
provava attraverso un disegno, pur senza essere a conoscenza di cosa
potesse voler dire per alcuni quel piccolo, piccolissimo particolare
che aveva messo in più.
Non sapeva cosa dire, letteralmente spiazzato. Lui aveva ragione, ma
dirgli: “ Sì, ti amo ” sarebbe stato
decisamente contro la sua
natura e soprattutto il suo volere. Questo perché non era
ancora
sicuro di potersi prendere un simile impegno. E poi, si poteva
davvero parlare di amore? E, in verità, cos'era l'amore?
Un interrogatorio che l'umanità si pone fin dalla notte dei
tempi,
il più sublime dei misteri.
“
Oppure...
” continuò, “ ... a causa dei suoi
petali, che appassiscono in
brevissimo tempo, gli viene attribuita la definizione di fragile
incanto ”
Fragile. Come sperava che Near fosse, ma come invece non era affatto.
Fragile e breve come la sua dose di pazienza, come il suo cuore
quando i suoi occhi si specchiavano in quelli dell'altro e come lui
stesso che, per provare a sfuggirgli, tentava di distruggerlo con le
parole.
“
Sai,
inoltre, a cosa si potrebbe avvicinare il tuo disegno? Come concetto,
intendo... ” domandò, mentre Mello imprecava
silenziosamente. A
quanto pareva, il bastardo si trovava di nuovo in netto vantaggio.
Una guerra continua, dettata da molteplici sentimenti.
“
Ad
un arabesco ”
Il suo citare una forma artistica tipicamente araba lo stupì
non
poco. Dunque s'intendeva anche di quello?
“
Ti
sbagli. E' solo uno scarabocchio, nulla di più ”
disse poi,
riacquistando a fatica un po' di freddezza, “ Tu pensi troppo
”
“
Può
darsi, ma dimmi... ” ribatté, giocando stavolta
con un pupazzetto
che somigliava al biondo in maniera impressionante, “ Non
vorresti
riprovare con un nuovo disegno? ”
Mello strabuzzò gli occhi. Che diavolo aveva in quella
testa? Prima
lo scherniva, poi lo stringeva con ardente desiderio e
successivamente lo scherniva ancora, per poi chiedergli una cosa
totalmente assurda: ricreare l' “arabesco” - anche
se non era
affatto convinto di poterlo chiamare così – in un
nuovo ritratto.
Provò
a sondarlo nuovamente, ma senza risultato. Impegnato com'era a
cercare di comprendere ciò che il rivale stava provando non
si
accorse del leggero cambiamento nella sua espressione;
silenziosamente gli stava chiedendo di farlo, di dimostrargli quel
che sentiva per lo meno attraverso quel foglio. Avvertiva il bisogno
di sapere che la persona speciale per lui – anche se la
più
importante in assoluto era ancora L, anche dopo la morte, ma si
trattava d'un sentimento diverso – provava qualcosa nei suoi
confronti. Perché, e neanche lui sapeva spiegarne i motivi,
il
contatto fisico non gli era bastato, seppur fosse stato intenso ed
indubbiamente bello e piacevole. Desiderava una prova indelebile da
poter custodire per sempre, perché in verità
dentro di sé
conosceva già il destino di Mello... non che potesse predire
il
futuro, ovvio, ma sapeva che tipo era il biondo ed era perfettamente
conscio del fatto che egli non si sarebbe fermato davanti a nulla.
Neanche a lui. Neanche
alla Morte.
In quel momento il cellulare del più grande
squillò, squarciando il
silenzio che si era andato a creare; probabilmente si trattava di
Matt. Fatto sta che, conclusa la telefonato, il ragazzo si mise le
mani in tasca, voltandosi.
“
Non
ho tempo per i giochi, Near ”
Nemmeno quelle parole parvero scalfirlo, ma forse era solo apparenza.
Il biondo però si auto-convinse
dell'insensibilità dell'altro,
psicologicamente parlando. Almeno in quel momento, sentì di
non
potersi avventurare all'interno della sua anima inquieta. Ma in quel
cuore, il cui battito regolare scandiva gli ultimi secondi assieme,
lui dominava incontrastato.
“
Ciao,
Mello ”
Lui
si allontanò di qualche passo, combattendo contro la voglia
di
mandare tutto a farsi fottere e tornare fra quelle braccia calde ed
accoglienti – e così piccole, tanto ch'egli pareva
non aver mai
abbandonato la propria infanzia, tanto il suo corpo era tenero
–, scegliendo la via più semplice, almeno secondo
il suo punto di
vista: la fuga. Non era mai scappato da niente e nessuno prima
d'allora, infatti si vergognò del proprio gesto; ma c'era
una cosa
che doveva fare, e a costo della vita avrebbe inseguito il proprio
obiettivo. Qualcosa che sembrava chiamare il suo nome ancor
più
prepotentemente del suo sguardo che, profondo seppur tacito, gli
chiedeva di rimanere.
Kira. Doveva catturarlo in tutti i modi e non sarebbe tornato da lui
finché egli era in circolazione. Una volta consegnato alla
giustizia
sarebbe tutto finito, e si sarebbe potuto dedicare a qualcosa di
effettivamente non meno impegnativo.
Guardò indietro ancora una volta, incontrando gli occhi neri
d'ebano
dell'albino.
“
Non
sono ancora pronto ”
Disse solo ciò; frase emblematica in apparenza, ma Near la
comprese
appieno.
Quand'egli uscì, attirandosi addosso le occhiate sospettose
di
Rester e Jevanni e quella preoccupata di Halle, l'aria si fece
improvvisamente più pesante. Le parole che gli aveva
riferito erano
state decisamente eloquenti: non si sentiva ancora in grado di
disegnargli un arabesco sul cuore e quindi di consacrarsi a lui e al
sentimento che li legava, che continuava a spaventarlo e ad
affascinarlo al tempo stesso.
Il ragazzo si sedette per terra con le gambe incrociate, lasciando
che il pensiero vagasse ancora una volta verso le sue mani bollenti,
i suoi capelli morbidi e quella voce dannatamente sensuale. Ancora
una volta, prima del giorno del giudizio.
Mello se ne andò in un giorno apparentemente come tutti gli
altri.
Non v'era pioggia, né neve, né vento proveniente
dal nord; come se
il tempo fosse fermo tutto ruotava attorno a lui e a colui che lo
aveva seguito nel bene e nel male, più di Near,
più di chiunque
altro.
Eppure, nonostante ciò, questi non era mai stato ripagato.
Mello se ne andò senza poter cantare vittoria addentando una
barretta di cioccolato, ma lo fece accasciandosi sul volante di un
camion incapace perfino di stringere il rosario che portava al collo.
Però, alla fine, il puzzle fu completato.
Nessuno può dire a chi realmente pensò prima che
il suo cuore
cessasse di battere, ma chi lo aveva stretto forte a sé
avvertì un
inusuale brivido percorrergli la schiena.
Mello
se ne andò. Era
stato un fragile, fragile incanto.
Fine
Note
dell'Autore: vorrei
spendere due parole circa i tempi verbali utilizzati. Ho usato nella
prima parte il trapassato passato per evocare ricordi più
lontani
nel tempo ( quindi più adatto ad un sogno ), e nella seconda
il
passato remoto perché lo trovo più consono alle
scene descritte.
Per quanto riguarda ciò che Near dice quando parla del
rododendro, si riferisce alla prima shot che compone questa raccolta.
Anche se, a parte questo particolare e l'elemento fiore, le due storie
non sono collegate.
|