Capitolo 7- Sopra ogni cosa
CAPITOLO 7
SOPRA OGNI COSA
Nota:
il rating arancione apposto a questa storia è dovuto alle scene
di morte apparente di Renée contenute in questo capitolo. Il
codice nero, presente nel triage ospedaliero in rari e gravissimi casi,
si applica a quelle situazioni (ad es., decapitazione, carbonizzazione)
in cui sia stata accertata e manifesta la morte del paziente; è
da notare, però, che solo un medico è autorizzato ad
apporre il cartellino nero, mentre il personale infermieristico
può apporre solo quello rosso, anche in caso di morte manifesta
come nei casi sopra descritti.
In caso di cartellino nero,
ovviamente, non viene eseguita nessuna manovra di rianimazione, ma si
attende l’autorizzazione legale a rimuovere il corpo del deceduto.
Aramis se ne stava con gli occhi sbarrati e vitrei, seduto rigidamente
al suo posto, mentre avrebbe voluto spingere quell’aereo fino a
farlo arrivare a Parigi alla velocità del suo stesso pensiero.
Seduta accanto a lui, Francine gli teneva teneramente la mano.
“Aramis…”.
Nessuna risposta.
“Aramis, ti prego, dì qualcosa…”.
Ancora silenzio.
“Amore mio, ti prego…” gli passò una mano tremante sul viso, a mò di carezza.
“… L’ho persa…”,
“Aramis, non l’hai persa!”,
“… Ed è solo colpa mia…”,
“E’ solo ferita, è in ospedale…”,
“Se solo avessi portato con me il cellulare… lo zio avrebbe potuto contattarmi…”,
“Amore mio…”,
“Ci dovrei essere IO al suo posto, ora!!” scoppiò a piangere.
“Non fare così, Ara, ti sentiranno tutti! E poi, devi
smetterla con questo pessimismo: tu la dài già per morta,
e magari non lo è!!”.
Ma l’uomo continuava a singhiozzare, disperato.
Era stato difficile trovare quel volo last-minute
diretto a Parigi, poco prima di Capodanno, quando gli aerei sono, di
solito, al completo; erano riusciti solo a trovare due posti su di un
volo in partenza la mattina successiva, soltanto perché una
coppia di passeggeri aveva rinunciato al suo viaggio. La notte che
aveva preceduto il ritorno, Aramis aveva dormito pochissimo, ed in modo
abbastanza sofferto: continuava ad avere incubi in cui si trovava al
funerale dei genitori, da solo, ed avvicinandosi alla bara aperta del
padre vi trovava, invece, … Renée!
Inutile dirlo, si era svegliato di soprassalto, urlando; e Fran lo
aveva abbracciato ed accarezzato, mentre lui si lasciava andare alle
lacrime.
Arrivarono a Parigi dopo un’ora e mezza che ad Aramis parve un
secolo; per prima cosa chiamarono un tassì e si precipitarono
immediatamente all’ospedale, dove sapevano che avrebbero trovato
Athos e gli altri.
Per il momento, lasciarono i loro bagagli al deposito dell’aeroporto, non c’era tempo per andare a casa per posarli.
Il piazzale dell’ospedale era pieno di ambulanze, quel giorno
c’erano state parecchie emergenze a causa delle prove dei botti
di Capodanno, che molti usavano senza prendere alcuna precauzione;
fermo all’ingresso, ad aspettarli, c’era Porthos.
“Eccoci! Siamo qui!” gridò Aramis non appena lo vide.
I due amici si abbracciarono; “Venite, seguitemi” fece poi Porthos.
Attraversarono interminabili corridoi gremiti di infermieri, medici e
personale vario che odorava di etere e medicinali, quell’odore di
sofferenza ed angoscia che ad Aramis ricordava troppo da vicino la
camera ardente dei genitori, tanto tempo prima. Il suo cuore sanguinava
il doppio.
Li avevano portati al pronto soccorso del più vicino ospedale
non appena ritornati in Francia, lo ricordava benissimo; lì, era
stata allestita una piccola camera ardente; e mentre lo zio sbrigava le
penose formalità di riconoscimento dei bagagli, lui e
Renée erano rimasti immobili ed in silenzio di fronte a quelle
due bare che chiudevano per sempre dentro di sé la loro
spensieratezza di bambini.
Lui e Renée…
Strizzò gli occhi, che si erano riempiti di lacrime.
Non mi lasciare, sei tutta la mia famiglia!, pensò.
Raggiunsero la stanza dove si trovava la ragazza: giaceva in un letto,
una maschera d’ossigeno sul viso ed una macchina che segnava i
suoi battiti cardiaci ed i segnali del cervello accanto.
Il primo volto che Aramis vide entrando fu quello di Athos.
Anche i suoi occhi erano vitrei, inespressivi.
Spinto da una rabbia cieca, che solo il dolore poteva generare, gli si scagliò addosso.
“Bastardo!! Perché non l’hai protetta? Tu mi avevi detto di amarla!”.
L’uomo si lasciò afferrare, senza aver la forza di
reagire; solo, disse con voce rotta da un pianto a stento soffocato
“Non lo sapevo… perdonami, Aramis… non potevo
credere che fosse davvero lei…”.
Per calmarlo, intervennero D’Artagnan e De Treville, che
cercarono di separarli. Il commissario disse: “E’ vero! Tua
sorella è stata eroica! E’ solo grazie a lei se abbiamo
potuto prendere quel furfante! Tu non avresti potuto fare di
meglio!”,
“Ha salvato la mia vita e quella di Costance!” aggiunse D’Artagnan.
Aramis mollò la presa, e si buttò in ginocchio, al lato del letto della sorella.
“Ritorna, ti prego… ritorna tra noi…!”.
Scoppiò di nuovo a piangere; Francine gli si accovacciò accanto e lo abbracciò, in silenzio.
Tutti lo guardavano, mesti e senza parole.
Più di tutti, Athos lo fissava, smarrito. Si sentiva in colpa
per non averla riconosciuta, per non averla saputa proteggere; lei, la
donna che amava!! Sì, ormai ne era certo, lui l’amava,
soprattutto adesso che aveva scoperto che meravigliosa donna forte,
coraggiosa ed appassionata fosse.
E proprio come Aramis, desiderava una sola cosa: riaverla lì con loro.
Sopra ogni cosa.
**********
Le ore passavano, lente.
I toni altamente drammatici e la concitazione dei primi momenti si
erano lentamente stemperate, lasciando il posto ad una composta,
serpeggiante ed opprimente angoscia.
Tutti sedevano nella stanzetta di Renée, in silenzio. Nessuno osava fiatare.
Persino il sempre allegro Porthos sembrava aver perso improvvisamente la voce assieme al suo proverbiale appetito.
Aramis era imbambolato su di una poltroncina, i suoi bellissimi occhi
azzurri divenuti vitrei e fissi a terra, privi di espressione.
Francine gli si avvicinò, una tazza di caffè fumante in mano.
“Ara…” gli sussurrò in un orecchio.
Lui non rispose, e nemmeno si mosse.
“Ara, ti prego, prendi qualcosa, non mangi niente da ieri…”;
lui scosse lievemente la testa “Non ho fame”, disse.
La donna si accovacciò accanto a lui.
“Amore, credi che serva a qualcosa far così? Renée
è in coma, e non si sveglierà certo solo perché tu
ti lasci andare così! Per il tuo bene, cerca di buttare
giù qualcosa!”.
Nell’altro lato della stanza, D’Artagnan e Costance sedevano su due sedie vicine, lei con le mani in quelle di lui.
“Ma perché non ci dicono niente?” fece lei
“Quattro dottori diversi sono venuti qui, e nessuno ci ha detto
una parola sulle sue condizioni! Perché non fanno
qualcosa?”. Aveva sussurrato all’orecchio del fidanzato, ma
il silenzio nella stanza era talmente pesante da avere quasi
un’eco; Aramis la sentì, e le rispose ad alta voce,
rompendo quella coltre di mutismo.
“Perché è morta, ecco perché!! Clinicamente
morta! Morta! Morta! Morta!”, gridò, prima di scoppiare a
piangere. Francine gli accarezzò la testa, mentre due silenziose
lacrime le scendevano giù per le guance.
Nella stanza tornò il silenzio: nessuno aveva saputo cosa dire.
Il solo rumore che riprese a regnare era il bip-bip del respiratore che
teneva in vita Renée.
De Treville era rimasto seduto accanto al letto della nipote a
vegliarla, Aramis non ne aveva avuto la forza: non voleva vederla tanto
da vicino mentre si spegneva, non ci riusciva.
L’anziano commissario guardava con gli occhi di un padre la
ragazza, scostandole ogni tanto una ciocca di capelli dalla fronte in
una lieve carezza.
Gli occhi di Aramis erano troppo vitrei persino per piangere.
Io son qua, e ti sento
…
Ma è troppo stanca quest’illusione
di ciò che ho perso e che vorrei…(1)
La mia ferita che cosa è
aiutami a guarire
perché tu sei la luce
ma anche l’ombra del dolore
dentro me(1)
…E resta qua, vicino a me!
non lasciarmi mai solo
ho paura che senza te
non vivrò mai davvero…(1)
Se Renée era ridotta in quello stato, la colpa era soltanto sua,
e della sua stupida leggerezza! Perché non aveva portato con
sé il cellulare?
Per Aramis era inconcepibile vivere senza la sorella. Non averla
più accanto, non sentire più la sua voce, la sua risata
fresca, non vedere più i suoi occhi pieni di vita e di gioia di
vivere: non era qualcosa di anche lontanamente concepibile, per lui.
Lei era la parte mancante di sé stesso, l’altra
metà della sua anima, era tutta la sua famiglia! Come avrebbe
fatto se lei fosse davvero… morta?
Sentì un’ondata di dolore soffocante salirgli su per il
petto, fino a chiudergli la gola in una morsa; pronunciò
un “NO” in modo tanto flebile che alle orecchie degli
altri apparve solo come un gemito confuso.
Athos non era nella stanza assieme a loro. Si sentiva in colpa per non
esser riuscito a proteggerla, e non si sentiva quindi di tollerare lo
sguardo pietosamente accusatore di Aramis.
Dentro di lui albergava una rabbia sorda contro sé stesso, che
sfociava di tanto in tanto nel dolore, il dolore bruciante di aver
perso per sempre il suo… amore! Sì, Renée era il
suo amore, lo aveva ormai capito! E non poteva, non poteva morire senza
averlo neanche saputo da lui!
Continuava a camminare su e giù per il corridoio, ogni tanto
avvicinandosi ad una finestra aperta per accendersi una sigaretta;
fuori dal cupo ospedale, si respirava l’aria delle
Festività Natalizie, quell’aria di festa spumeggiante e
spensierata che gli piaceva da sempre. Mancavano pochi giorni al
Capodanno, e non era certamente così che avevano immaginato di
viverlo!
Un infermiere che spingeva una barella entrò nella stanzetta,
insieme ad un dottore. Entrambi avevano un’aria mesta e sconfitta.
Tutti si alzarono, e si rivolsero loro: “Allora?”,
“La portiamo in Pronto Soccorso. Uscite, prego” disse un dottore.
“No che non esco, sono suo fratello!” disse con veemenza Aramis.
“Signore, per favore, non ostacoli il nostro compito. Ci aiuti ad
aiutare sua sorella”, poi si rivolse all’infermiere
“Jussac! Sposti la signora sulla barella, coraggio!”.
Il ragazzo biondo tremava; Athos era rientrato nella stanza, alla vista
del gruppo di medici ed infermieri, ed ora stava a sentire con gli
occhi sbarrati.
Aiutò gli altri a tirar fuori dalla stanza un letteralmente isterico Aramis.
La porta si richiuse dietro di loro.
“Che cosa le faranno?” gemette Aramis.
Lo zio gli pose una mano su di una spalla “Dobbiamo essere forti. Per Renée” gli disse.
Dopo un tempo che a loro parve interminabile, la porta si
riaprì, ed il gruppetto sanitario ne uscì, spingendo la
barella che, ora, non era più vuota.
Renée vi giaceva sopra.
Tutti la seguirono con gli occhi, mentre il gruppetto si faceva sempre più piccolo, fino a sparire in fondo al corridoio.
“Andiamo!”, Aramis prese Athos per un braccio e fece cenno agli altri con l’altra mano.
Tutti lo seguirono fino al piano terra, dove si trovava il Pronto Soccorso.
La ragazza era già dentro.
Si radunarono accanto alla porta, fissando la luce rossa accesa. I minuti parevano non passare mai.
All’improvviso, la porta si riaprì, la luce si spense.
Non erano passati che pochi minuti.
I dottori furono i primi ad uscire; Aramis ed Athos quasi si gettarono loro addosso.
“Allora? Allora, dottore? Come sta?”.
L’uomo fece un sospiro; poi rispose “La riportiamo in camera”.
Non l’aveva nemmeno guardato negli occhi.
L’attenzione dei presenti si spostò alla donna sulla
barella che veniva portata fuori dall’infermiere. Aramis e gli
altri poterono notare che non era più attaccata alle macchine;
sulle prime, si sentì sollevato.
“Sta meglio, forse. Non ha più bisogno di quegli affari” disse.
Poi notò che anche l’infermiere, come prima i dottori, aveva un’aria sconfitta e triste.
L’uomo indirizzò la barella verso una nuova stanza,
diversa dalla precedente; tutti si domandarono il perché.
Quando entrarono, si accorsero che la stanza era buia e fredda, che le
serrande erano chiuse e non c’erano sedie per sedersi.
“Ma perché l’hanno portata qui?” si chiese Aramis.
Athos fermò l’infermiere che stava uscendo, dopo aver
lasciato in un angolo la barella “Scusi, ma perché qui? E
come sta Renée?”.
Quello mantenne lo sguardo basso “Dovete attendere l’arrivo del medico…”,
“Le avete tolto i respiratori: significa che sta meglio?” insistette Athos,
“Jussac! Venga, presto!!” una voce richiamò altrove l’infermiere.
“Scusate” fece quello, scansando Athos per uscire. Lui non
sapeva dire perché, ma aveva l’impressione che
l’infermiere si fosse sentito sollevato dal non dovergli
rispondere.
Rientrò nella stanza, nella quale regnava una strana atmosfera:
era come se tutti si sentissero gravati da un oscuro presentimento
senza nome, avvolti dalla penombra della stanza.
Perché quella stanza era così defilata rispetto al viavai
del Pronto Soccorso, si chiedeva Aramis, e perché erano
lì già da un quarto d’ora buono, ma nessuno veniva?
“Basta! Vado a chiamare un dottore!”, il tenente
sbottò, uscendo dalla stanza, prima che Athos e gli altri
potessero fermarlo, compresa Francine.
Percorse il lungo corridoio, fino alla sala degli infermieri; vi entrò.
“Signore, cosa fa lei qui?” chiese un’infermiera,
“C’è un dottore, qui? Qualcuno deve venire a vedere
come sta mia sorella; sembra che ci abbiano abbandonati!”,
“Sua sorella è già stata in sala emergenza?” la ragazza gli si avvicinò,
“Sì, è uscita da un poco”,
“Allora stanno aspettando il suo turno in base al codice”,
“Quale codice?” chiese Aramis,
“Il codice-colore. In ospedale, il colore indica la priorità di accesso alle cure”,
“Qual è il codice di mia sorella?”,
“Guardi il cartellino che le hanno messo sul polso”,
“Grazie”.
Il ragazzo tornò indietro, nella stanza dove lo aspettavano gli amici.
“Dunque?” chiese Francine.
Aramis non la sentì nemmeno; si diresse al letto della sorella e le prese il polso, vedendo un cartellino nero.
Cosa vorrà dire?, si chiese.
Si voltò e raggiunse una bacheca appesa al muro che elencava il significato dei vari codici-colore.
Li scorse tutti, uno alla volta: bianco, azzurro, verde… fino a raggiungere quello che gli interessava.
Ed allora lesse:
CODICE NERO: PAZIENTE DECEDUTO/NON RIANIMABILE
Si sentì gelare il sangue nelle vene, e venire meno all’istante. Le sue gambe si erano fatte di piombo.
Perse i sensi e cadde a terra.
“Aramis! Aramis, che cos’hai? Che succede, per l’amor di Dio?”.
Francine era stata la prima ad accorrere, seguita da De Treville e da Athos.
“Figliolo, svegliati!” faceva il commissario.
“… Morta… la dànno per morta… per loro è morta!” gemette Aramis,
“Cosa? Ma che dici, Ara?” Francine non capiva.
Ma Athos aveva già capito. Gli era bastato dare
un’occhiata alla tabella e poi al braccialetto di cartone al
polso di Renée.
“Non può essere…” mormorava,
“… Persa! L’ho persa per sempre! Addio, Renée!” singhiozzava Aramis,
“Calmati, non fare così!” Francine lo abbracciava, assieme allo zio e a D’Artagnan.
“Ci deve essere qualcosa da poter fare!” sbottò
Athos; immediatamente, corse fuori dalla stanza, alla cieca: DOVEVA
tentare qualcosa, per salvare la sua Renée!
Afferrò per un braccio un’infermiera di passaggio “Chiami un dottore, presto!” gridò.
Quella, impaurita di fronte a tanta foga, rimase interdetta.
“Ha sentito quello che ho detto?” incalzò Athos,
“Certo… certo, signore… vado subito…”,
si liberò il braccio, e si diresse verso una donna in
camice che veniva dal fondo del corridoio “Dottoressa
Chevreuse!” la chiamò.
Poco dopo, le due donne si diressero nella triste stanzetta, con Athos che faceva loro strada.
La dottoressa si inginocchiò accanto alla brandina di Renée, e le prese il polso.
“Ma questa donna è viva! Il polso è impercettibile,
ma c’è ancora! Per quale ragione l’hanno portata in
obitorio?” chiese, quasi scandalizzata; poi, si rivolse ai
presenti “Chi l’ha portata qui?”,
“Un dottore magro e stempiato” fece Costance, torcendosi le mani.
“Il dottor Vassinette. Dov’è ora?” chiese, rivolta all’infermiera,
“Sta operando, dottoressa”,
“Molto bene. Vorrà dire che faremo a meno di lui. Vado a
chiamare i miei assistenti, lei faccia preparare la sala operatoria B,
non c’è un minuto da perdere!”.
Uscì dalla stanza, mentre nel petto di Aramis si era riaccesa una speranza viva quanto una fiamma.
Dopo pochi minuti, Renée fu portata in sala operatoria.
**********
Per due volte, le lancette fecero il giro del quadrante
dell’orologio appeso al muro; alle sette paia di occhi rivolte su
di esso, quei giri parvero un’eternità.
Infine, la porta della sala operatoria si aprì, e la dottoressa Chevreuse fu la prima ad uscirne, madida di sudore.
Aramis ed Athos le andarono immediatamente incontro, investendola quasi.
“Allora, dottoressa? Come sta?” chiesero, all’unisono.
La donna sorrise debolmente “Ce la farà. E’ forte, la vostra amica! Ha lottato come una tigre!”.
I due uomini si sentirono immediatamente sgravati da un enorme peso,
mentre la dottoressa li superava per proseguire il suo percorso lungo
il corridoio, togliendosi i guanti.
“Aspetti un minuto!”, la fermò Aramis, “Si è già svegliata?”.
La donna rivolse verso di lui uno sguardo carico di stanchezza
“Non ancora. E’ ancora in coma, ma non corre più
pericolo di vita”,
“E… quando si sveglierà?” incalzò il giovane,
“Sta a voi. Il cervello di una persona in coma, come sapete,
può essere richiamato alla vita solo da qualcosa a cui ella
tiene molto, qualcosa che per lei è molto importante”.
Athos ed Aramis si guardarono negli occhi “Qualcosa per cui valga
la pena vivere” si dissero l’un l’altro.
Ritornarono dagli altri per comunicare loro le belle notizie, mentre
tre infermieri portavano fuori dalla sala operatoria la barella di
Renée.
**********
Fu sistemata in una stanza del reparto rianimazione, dove i suoi amici,
il fratello e lo zio presero accanitamente a vegliarla, facendo dei
turni.
Il commissario De Treville era colui che poteva trattenersi di meno, la
sua assenza prolungata dalla gendarmeria stava creando già
abbastanza caos con il tribunale; dato che era una libera
professionista, Francine era l’unica a poter fare ciò che
voleva, quindi rimaneva più a lungo, soprattutto la notte,
quando in quella sezione femminile era proibito agli uomini rimanere.
Lo stesso valeva per il giovane gendarme D’Artagnan, che non
ricoprendo un alto grado tra i commilitoni, era più libero degli
altri: avrebbe potuto rimanere di giorno, ma Aramis non volle sentir
ragioni, e fece fuoco e fiamme per farsi sostituire da lui nelle sue
mansioni lavorative, mentre lui, da bravo fratello, rimaneva accanto a
Renée.
Costance non poteva allontanarsi dal praticandato, pena la perdita del
punteggio già acquisito per l’Università; lo stesso
valeva per Porthos, assegnato alle ronde di quartiere quasi ogni notte.
Quanto ad Athos, fece di tutto per restare accanto a Renée;
insieme ad Aramis le parlava, le pettinava i capelli sparsi sul
cuscino, le bagnava le labbra con dell’acqua. Una sera, Costance
si commosse a vedere i due uomini, l’uno da una parte del letto,
e l’altro dall’altra, che si erano addormentati tenendo
ciascuno una mano di Renée.
Ma i giorni passavano, e lei non si svegliava.
Athos la guardava affranto; le aveva persino comperato un CD del suo
cantante preferito, quel Baglioni, e glielo faceva ascoltare da un paio
di cuffie.
E fu in uno di quegli interminabili pomeriggi, che, approfittando del
momentaneo allontanamento di Aramis, il composto Athos si lasciò
andare allo sconforto.
“Amore…”, le teneva la mano, come al solito, “
Torna fra di noi! Ci sentiamo così soli, senza di te! Ci mancano
le tue risate, il tuo sguardo, la tua vivacità… il tuo
coraggio! E’ così, hai dimostrato un grande coraggio,
Renée! Tuo fratello non avrebbe saputo far di meglio! E’
solo grazie a te se quegli imbroglioni non faranno più del male
a nessuno. Sei una donna coraggiosa e splendida, credi nell’amore
e nella giustizia, e non lasceresti mai il tuo dovere per nulla al
mondo; è accanto ad una donna come te che io voglio passare il
resto della mia vita: io ti amo, Renée!”.
Gli sfuggì una lacrima mentre le carezzava la fronte; prese le cuffie in mano e gliele mise addosso, facendo partire Strada facendo.
“Non sei più sola, Renée. Noi tutti siamo la tua
famiglia, Aramis ti adora ed io ti amo. Torna, ci manchi tanto,
Renée!”. Si girò coprendosi gli occhi, e si
avviò verso la porta.
Appoggiato allo stipite, Aramis aveva assistito a tutta la scena; prese
fra le braccia l’amico che gli cadde letteralmente addosso mentre
piangeva, e sospirò.
“Le vogliamo bene, Athos. Ritornerà presto, vedrai!”.
Strada facendo vedrai
che non sei più da sola…
Strada facendo troverai
un gancio in mezzo al cielo(2)
… Vedrai più amore, vedrai…(2)
… Perché domani sia migliore, perché domani…(2)
Aramis stava ancora abbracciando Athos in lacrime, quando la loro
attenzione fu attirata da un lieve fruscìo proveniente dal
letto; Athos smise di piangere, ed entrambi si girarono in quella
direzione, rimanendo senza parole.
Renée sollevava e richiudeva lievemente le palpebre, come risvegliandosi da un sonno pesante.
Si precipitarono sul letto “Renée!”,
“Ara…mis” gemette piano la ragazza,
“Sei sveglia, sei viva! Bentornata tra noi, Renée!”
il fratello scoppiò in un pianto dirotto, accarezzandole la
testa.
“Cosa sta succedendo, Ara?”, Francine era entrata proprio
in quel momento, “Renée si è svegliata! La nostra
Renée si è svegliata!!” Aramis quasi scoppiava
dalla gioia,
“Dio, ti ringrazio” mormorava Athos.
La ragazza osservava le persone a lei più care dagli occhi semiaperti, un lieve sorriso sulle labbra.
**********
Febbraio 2010.
“Allora, ragazze, siete pronte?”, sbuffava Athos,
“Un attimo ancora!”, la voce di Francine gli rispose da dietro la porta chiusa.
Athos sbuffò di nuovo “Un’ora e mezza là
dentro… ma quanto accidenti ci vuole ad indossare uno stupido
costume?”,
“Non è facile indossare un vestito del Seicento! Le dame
dell’epoca impiegavano ore intere a vestirsi, sai!”, Aramis
gli era venuto incontro, ridendo e rigirandosi tra le mani un cappello
blu a falda larga con una piuma bianca,
“A proposito, chi ha scelto la festa a tema?”,
“Porthos: ha detto che in quella sala da ballo ci sarebbe stato un banchetto pantagruelico”,
“Come al solito! E l’ha scelta infischiandosene del tipo di
costumi che avremmo dovuto indossare! Tanto, a lui importa solo dei
dolci…”.
Aramis rise di nuovo “Guarda che non stai tanto male vestito da
moschettiere, sai! E sono ansioso di vedere le nostre ragazze con una
crinolina ed un busto!”,
“Eccoci qui, ci avete chiamato?”, la porta si era aperta, e Francine era stata la prima a parlare.
Aramis rimase senza fiato.
“Amore! Ma… ma… sei bellissima!!”.
Francine gli sorrise, facendogli una piccola riverenza “Grazie, messere! Sono lusingata!”.
Indossava un magnifico abito amaranto, molto scollato sul seno e sulla
schiena e con bordature di pizzo alle maniche ed alla scollatura; la
gonna era ampia ed il bustino attillato.
“Ci siamo anche noi!”, Renée e Costance uscirono
dalla stanza dietro a Francine. Renée portava un abito rosa
molto semplice con maniche a sbuffo corte e guanti, ed aveva i
capelli raccolti in un diadema di perle dalla foggia antica.
“Ma dove lo hai trovato, quello?” le chiese Athos, avvicinandosi,
“Ad una rivendita di costumi teatrali, come il vestito”,
“Amore, sei stupenda! Una perfetta dama del ‘600. Anche se
credo che tu preferiresti stare nella tua solita
uniforme…”,
“Certo che lo preferirei, starei più comoda!!” rispose lei, mettendo su un finto broncio.
Dopo la bruttissima avventura, Renée si era guadagnata la stima
di tutta la gendarmeria per il suo coraggio e la sua abilità, e
lo zio le aveva proposto di entrare all’Accademia per poter
diventare gendarme, cosa che lei aveva accettato quasi subito. In quei
pochi giorni, aveva capito davvero cosa voleva fare: combattere le
ingiustizie assieme a suo fratello, in fondo, era sempre stato il suo
desiderio segreto.
E poi, adesso c’era anche Athos, il suo ragazzo: e questo era un buon modo per stargli accanto tutto il giorno!
“Allora, siamo pronti?” erano arrivati D’Artagnan e Porthos, anche loro vestiti da moschettieri,
“Certo, andiamo” fece Costance sprimacciandosi la gonna del suo ampio abito verde acqua.
Davanti all’ingresso della sala da ballo, quella sera, il
fotografo della festa municipale immortalò un gruppo di sette
persone, in perfetto costume d’epoca: quattro moschettieri e tre
dame del XVII secolo; proprio il Seicento era il tema della festa in
maschera.
Fu un Carnevale indimenticabile, per tutti loro, ma soprattutto per
Aramis, che aveva ritrovato miracolosamente uno dei suoi due più
cari affetti (l’altro era Francine) dopo aver rischiato di
perderlo, e per Renée, che dal Capodanno precedente aveva
iniziata davvero una nuova vita.
In tutti i sensi.
Strada facendo vedrai
che non sei più da solo
strada facendo troverai, anche tu
un gancio in mezzo al cielo!(2)
La ragazza sorrise ad Athos, che la stringeva alla vita mentre ballavano: aveva trovato la sua anima gemella.
Perché domani sia migliore, perché domani tu…(2)
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(1)Credits: E io verrò un giorno là, Patty Pravo
(2)Credits: Strada facendo, Claudio Baglioni
E così, ho concluso: spero che la storia vi sia piaciuta, e di non aver deluso nessuno.
Vi ringrazio tutti per la vostra attenzione a questo mio modesto
lavoro, e per le vostre bellissime recensioni che mi hanno commosso:
GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE!
Ninfea 306: avevo
immaginato che tu avessi capito le intenzioni di Renée, ma ho
preferito non rovinarti la sorpresa; inoltre, dato che questa è
la seconda volta che parlo di un coma in una mia fic, penso che tu ti
sia convinta che io sia un medico; no, non sono un medico (lavoro in
tutt'altro settore), ma ho alcune conoscenze di chimica e biochimica, e
poi una mia ex-collega lavora in ospedale come volontaria;
Bay: scusami ancora se
ti ho fatto aspettare, ma una cosa attesa più a lungo si gode di
più, no? XD Quanto alla promozione, come avrai capito il nostro
Aramis non l'ha avuta, ma riavere accanto la sorella, e per di
più anche come collega, è stato per lui il più
grande dei regali!
Lady Lina 77: sono
lieta che la storia ti sia piaciuta, ho cercato di ricongiungerla
all'anime proprio per accontentare i patiti della storia "classica";
spero di esserci riuscita;
ShessomaruJunior: se hai letto anche il finale, che te ne pare? Ti è piaciuto?
Un bacione a tutti.
Tetide.
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