Questa fanfic è un tentativo di
Questa fanfic è un tentativo di indagare i
pensieri di Ciel negli ultimi drammatici momenti del capitolo 41 e in seguito
contiene una serie di mie personali ipotesi su quello che potrebbe essere il
seguito della vicenda. Per quanto riguarda questa seconda parte, però, devo
riconoscere un’enorme parte di merito alla mia sis: il 99% delle idee su cui ho
costruito questa fic, infatti, è il risultato della nostra personale partita a
Cluedo per risolvere i delitti (dato che, per ovvie ragioni, il colpevole non
può essere il maggiordomo! XD)
Prima di lasciarvi alla lettura, vi segnalo che
le prime quattro battute di Ciel sono tratte dal manga, mentre i restanti
dialoghi sono farina del mio sacco. I versi riportati nel testo sono invece
tratti dalla canzone "Promise of a Lifetime" di Kutner, che ho scoperto
grazie ad un AMV omonimo, beccato per caso su YouTube.
Kuroshitsuji è proprietà di Yana Toboso.
(Un)Breakable
“Signorino, si calmi. Ormai è… morto.” 1
Bard ti stringe il polso in una presa stanca,
che sembra reggersi solo sull’incredulità allucinata e dolente di cui di cui è
preda - lui come anche Tanaka e gli altri domestici, che si lasciano andare
senza ritegno ad un pianto puerile e insensato.
Non riesci nemmeno ad infuriarti per essere
stato preso per un braccio e fermato da un servo, come il più comune dei
mocciosi di strada. Hai solo la forza di guardare per un attimo il cuoco con
un’espressione assente, poi il tuo sguardo cade giù, sfinito e incredulo,
desideroso di scoprire che non può essere successo di nuovo: la Morte non può
aver preso di nuovo la persona a te più vicina, lasciandoti di nuovo
indietro.
No, la Morte non è così crudele… lei offre
sollievo alle anime devastate come la tua, non se ne fa beffe in quel modo,
godendo nel vederle contorcersi nel dolore - anche se sono anime promesse ad un
demone…
E poi, la Morte non può aver preso Sebastian
prima che lui prendesse te. Non era questo il patto, il vostro accordo era un
altro.
“Sei davvero morto, Sebastian…?” 2
Non ci credi: non ci puoi e non ci vuoi credere.
Eppure quel corpo longilineo su cui ti sei messo a cavalcioni, quel viso eburneo
macchiato di rosso, che hai schiaffeggiato per ottenere un’ormai irricevibile
attenzione, quel corpo e quel viso non mentono.
Stendi la mano tremante, con le dita sporche di
sangue (del suo sangue) a deporre una carezza sulla sua guancia fredda,
cercando di convincerti che è solo per calare, in un gesto di nobile pietà, le
palpebre su quegli occhi di brace ora così spenti.
Sai di aver perso la calma in maniera indegna
poco fa, e una parte di te se lo rimprovera aspramente - sei sempre e comunque
il Conte di Phantomhive, prima che un ragazzino su cui il fato si è accanito con
inusitata crudeltà. In realtà in questo momento non riesci a vedere l’importanza
di quel ruolo, la necessità di salvare un’apparenza ormai svuotata, se non di
qualunque significato, di certo di qualsiasi efficacia. Perché, per quanto tu ti
ostini a negarlo, nei giorni tremendi passati con quei bifolchi del circo ti sei
reso conto benissimo che, senza Sebastian accanto a te, sei davvero soltanto un
bambino.
E allora perché per una volta non puoi
concederti di comportarti come tale? Ti chini sul corpo freddo del demone,
stringendo forte la sua camicia e poggiandogli quasi la testa sulla spalla, le
ginocchia e i piedi ormai lordi di sangue. Non ti sei mai avvicinato così tanto
a Sebastian di tua spontanea volontà, tu che hai sempre rifuggito il contatto
fisico con chiunque, ma ora davvero non vedi proprio motivo di opporti a quel
qualcosa (qualunque cosa sia non ti interessa) che ti attira inesorabilmente
verso di lui.
“Tu, il mio maggiordomo… tu, solo tu… tu che
avresti dovuto restare al mio fianco fino alla fine…” 2
Era quello il vostro contratto, no? E Sebastian
ti ha sempre detto che non ti avrebbe mai mentito… invece anche la sua parola
era una volgare menzogna! Come tutte le parole del mondo!
Stringi i denti, avvicinandoti ancora un po’ al
suo collo, lì dove tante volte (troppe per il tuo orgoglio di adulto infante)
lui stesso ti ha invitato con grazia a posare il capo mentre si prendeva cura di
te. Ti avvicini, ma permetti solo ai tuoi capelli di sfiorarlo - forse perché
inconsciamente sai che, se cedessi ora, poi davvero non saresti più in grado di
rialzarti.
E allora rimani lì, sospeso in quell’istante
immobile, mentre davanti ai tuoi occhi il nero della sua giacca e delle tue
palpebre strette si confondono, ma senza che quel finto buio possa difenderti
dalla consapevolezza dell’orrore. In realtà, e tu lo sai bene, il buio non è una
difesa quanto piuttosto un nemico infido, capace solo di celarne di peggiori.
Rimani lì, e ci potresti rimanere per sempre,
dimentico del freddo, del pavimento duro e indifferente sotto di voi, dimentico
persino degli sguardi di chi ti sta attorno, increduli forse più per aver
assistito al tuo miserevole tracollo emotivo che per la morte di un semplice
maggiordomo, per quanto truculenta.
Rimani lì, cercando di venire a patti per
l’ennesima volta con un mondo a cui non sembra importare niente di te, con una
realtà crudele che ancora una volta si diletta nel portarti via tutto ciò che
faticosamente avvicini al tuo cuore in frantumi.
Potresti anche farcela, la tua forza di volontà
potrebbe avere di nuovo la meglio sulla tua anima fragile e ferita, quell’anima
su cui Sebastian da tempo ha posato i suoi occhi languidi e felini, il pegno
della sua finta sottomissione (l’unico motivo per cui lui è stato al tuo fianco
finora).
Potresti, ma le braccia di Meyrin, goffe e
gentili, che cercano di sollevarti e strapparti dal solo posto in cui vorresti
stare, quelle braccia e quella voce tremula e preoccupata spezzano l’equilibrio,
facendoti precipitare di nuovo nell’orrore.
“Non osare lasciarmi indietro, Sebastian! Questo
è un ordine! Un ordine!” 3
I have fallen
to my knees
as I sing a
lullaby of pain.
I'm feeling
broken in my melody
as I sing to
help the tears go away. 4
Ti allontani, rifiutando con sdegno artefatto e
nascostamente fragile l’aiuto di chiunque della servitù: ne hai abbastanza di
essere oggetto della loro pietà sincera o di quella ipocrita degli altri
presenti, pronti ad avventarsi su di te come iene su una carogna ad ogni tuo
minimo passo falso, per il solo gusto di poter raccogliere e poi diffondere
qualche altra diceria infamante sul conte bambino.
Stai per dirigerti verso le tue stanze, ma è con
ulteriore stizza (mista a qualcos’altro cui non vuoi dare un nome) che ti torna
in mente la cortesia rispettosa con la quale Sebastian ieri notte ti ha chiesto
di andare a dormire in un’altra camera, per accontentare le ridicole ossessioni
dei tuoi ottusi ospiti, convinti che fossi tu il colpevole dell’assassinio di
quel Lord Siemens che quasi nemmeno conoscevi.
Cominci a sentire freddo, con solo la vestaglia
e la camicia indosso, e né il parquet né tantomeno il marmo dei pavimenti sotto
i piedi nudi sono d’aiuto - ma di certo non chiamerai nessuno per vestirti.
Irritato, devii dal tuo percorso per dirigerti
nell’unico luogo rimasto veramente tuo in quell’immensa magione.
Quando raggiungi lo studio, è con un certo
malcelato sollievo che ti chiudi la porta alle spalle, rimanendo per un attimo
appoggiato al legno, a lottare contro la tentazione di lasciar cadere la
maschera che forzatamente ti stai premendo sul viso. Quella maschera dietro cui
contieni tutte le tue emozioni e che, ne hai piena coscienza, ormai è l’unica
cosa che tiene insieme i cocci di quel che sei. Non puoi crollare, non ora che
non c’è nessuno (che non c’è Sebastian) che può aiutarti a rimetterti in piedi.
Non è tua abitudine parlare da solo unicamente
per non farti soffocare dal mutismo dell’aria - al contrario: ami il silenzio e
hai sempre ritenuto la sua compagnia molto più interessante di quella della gran
parte della gente con cui sei costretto ad avere a che fare. Ora però avresti
davvero bisogno di sentire delle voci attorno a te, fosse anche soltanto la tua,
e lasceresti volentieri fluire i tuoi pensieri in parole, con l’unico scopo di
far spazio nella tua mente ormai satura e quasi asfittica. Lo faresti, ma
l’accorgerti di non essere solo in quella stanza ti congela in una smorfia di
sorpresa le labbra già schiuse, tarpandoti ogni suono in gola.
“Buongiorno, Conte!”
La persona che ti ha appena salutato, seduta
alla tua scrivania, rimane nascosta dietro lo schienale della tua poltrona,
disegnato in controluce sull’ampia vetrata. Ma non ti serve vederne il viso per
riconoscere la voce, sebbene tu non riesca a credere che possa essere proprio
lui. È solo quando quell’inatteso visitatore con incredibile facilità gira la
sedia su se stessa e ti si mostra apertamente, che non puoi più fare a meno di
accettare l’evidenza.
Immediatamente la tua espressione si indurisce.
È dal giorno in cui hai ereditato il titolo di Conte di Phantomhive che ti sei
ripromesso di non mostrare mai dubbio, cedimento o incertezza alcuna di fronte
ad estranei e oggi hai già disatteso fin troppo quel giuramento fatto a te
stesso.
Ti raddrizzi e fai un passo avanti, staccandoti
dal legno della porta; sei in vestaglia, scalzo e sporco di sangue, ma nondimeno
dalla tua persona tornano a trasparire solo dignità e determinazione, ogni
turbamento emotivo relegato da qualche parte nel fondo del tuo animo. E il
sorriso così ambiguo del tuo ospite ti dice che anche lui si è accorto del tuo
cambiamento e ne è rimasto affascinato.
Non gli chiedi neppure cosa sia venuto a fare in
casa tua, né cosa voglia da te: sai già che presto te lo dirà lui - è un tipo
estremamente loquace, quando vuole.
“Ava~nti, cos’è quella faccia? Siete forse
stupito di vedermi qui? Ihihihi!”
Sì, lo sei, ma non hai certo l’intenzione di
dargli la soddisfazione di sentirtelo ammettere.
Stringi leggermente gli occhi, mettendoti sulla
difensiva, mentre passi in rassegna - scartandoli uno ad uno - tutti i possibili
motivi che potrebbero aver spinto quell’essere così francamente assurdo a venire
a farti visita proprio in questa circostanza.
Continui a fissarlo senza dire niente, né
muoverti dalla tua posizione. Ti limiti ad incrociare le braccia e stringere le
labbra in una linea sottile, in attesa che sia lui a spiegarti il perché di
questa visita quantomeno inopportuna - già la situazione è abbastanza delicata
di suo (e sei solo ad affrontarla), non hai bisogno anche di eccentrici
visitatori in vena di scherzare.
Il sorriso di Undertaker si allarga, facendosi
se possibile ancora più inquietante, mentre punta i gomiti sulla scrivania e
posa il mento sulle mani intrecciate.
“Non dovreste, sapete? In fondo, io sono il
maggiordomo di Madama Morte e dove va la mia signora, io la seguo. Non ci sono
forse stati dei morti in casa vostra, Conte?”
L’uso di quel plurale ti turba più di quanto
vorresti: non riesci ancora a credere a ciò che hai visto, eppure il corpo di
Sebastian (almeno quello) non mente…
Contrai la mascella per dominare ogni pensiero e
impedirgli di riflettersi sul tuo viso, alterandone l’espressione ieratica.
“Immagino sia inutile chiederti come hai fatto a
venire a conoscenza di questo accadimento assolutamente disdicevole.”
“Ihihihi! Sapete meglio di me che le
informazioni sono merce mo~lto preziosa, Conte… non posso dirvelo!”
Infastidito dalla sua risposta, lasci che una
smorfia di stizza ti deformi per un attimo il viso, quindi vai a sederti su una
delle poltroncine in un angolo - visto e considerato che Undertaker non si è
ancora spostato dalla tua scrivania.
“Come pensavo. Allora dimmi piuttosto questo:
sei qui perché hai della «merce» in vendita o solo per attendere al tuo compito
di beccamorto e liberare la mia casa dal lezzo del cadavere di Lord Siemens?”
“Lord Siemens? O~h, quindi è questo il nome del
vecchio che è stato così barbaramente ucciso stanotte!”
La replica del becchino, comodamente poggiato
allo schienale e con un dito che picchietta infantilmente sulle labbra, suona
alle tue orecchie come l’ennesima presa in giro di quell’uomo di cui non sei mai
riuscito a fidarti, nonostante tu sappia che godeva della stima di tuo padre.
Artigli i braccioli della poltrona; vorresti
gelarlo con una sola frase, così che la smetta una buona volta di farsi beffe di
te e ti dica finalmente cos’è venuto a fare in casa tua, ma lui ti precede e
continua a parlare, rivolgendoti un altro di quei suoi sorrisi indecifrabili.
“Certo che posso occuparmi di lui, Conte! E~ del
corpo del vostro caro maggiordomo che mi dite?”
“Lascia perdere Sebastian e fa’ il tuo dovere.”
Rispondi subito freddamente, senza renderti
conto che la tua frase contiene una contraddizione intrinseca - o forse più che
altro non vuoi rendertene conto.
Undertaker, però, non è così magnanimo come tu
sei con te stesso e, prima che tu te ne sia accorto, è chino di fronte a te. La
pelle del viso pizzica nella traccia disegnata dall’angolo appuntito della sua
lunga unghia nera, mentre la sua risata lucidamente folle ti penetra nel
cervello, confondendoti.
“Io mi occupo dei morti, Conte… quindi anche del
vostro maggiordomo, no? O forse~…”
Inaspettatamente, il becchino si interrompe e si
raddrizza, infilando le mani nelle ampie maniche della tunica e chinando la
testa sulla spalla; il suo sempiterno ghigno aleggia ancora sulle labbra fini
ed esangui, ma ora ha un qualcosa di oscuramente maligno che ti trasmette
un’inquietudine sottile. Perché quella frase interrotta a metà in una vocale
strascicata, quel «forse» lasciato lì a galleggiare nel silenzio, sulla sua
bocca assumono tutt’altro spessore - o magari sei solo tu che cerchi di
aggrapparti a qualunque cosa per dare un senso diverso ad una realtà altrimenti
inconfutabile. Solo che stavolta quel filo di ragnatela sembra troppo fragile e
lontano perfino per te.
“Smettila di fare l’evasivo con me. Se hai
qualcosa da dire, dilla apertamente!”
Ribatti irritato, scattando in piedi e
pentendotene un attimo dopo, quando Undertaker ti circonda il viso con le dita
magre e cineree e si avvicina, soffiandoti sulla pelle una replica
incredibilmente sibillina.
“Conte, Conte… voi vi state dibattendo in un
dubbio del quale conoscete già la risposta, solo che non siete in grado di
vederla. Se volete udirla da me, sapete quali sono le condizioni, no?”
Per quanto le sue parole e la posizione in cui
ti ha costretto ti infastidiscano e imbarazzino oltremodo, non gli ordini di
allontanarsi (sai che non lo farebbe), né tenti un’indegna fuga, ma lo affronti
con lo sguardo.
Sei certo di non correre alcun rischio con lui:
nonostante le assurde clausole che pone ogni volta che si tratta di fornirti
delle informazioni, Undertaker è pur sempre un uomo di fiducia della tua
famiglia almeno da due generazioni.
Intuendo il baluginio divertito nei suoi occhi
dorati, nascosti dietro la frangia, un angolo della tua bocca si solleva in un
sorrisetto di sfida.
“Lo so. E a tempo debito farò la mia parte. Ora
parla!”
Il becchino ride di nuovo e ti lascia andare.
Poi si accomoda sulla tua scrivania, cava dalla manica della veste un biscotto e
inizia a sgranocchiarlo con gusto.
“Vi dirò una cosa soltanto, Conte: non sempre
ciò che è appare, né ciò che appare è… tenetelo bene a mente prima di accusare
qualcuno di mentire.
Ihihihi!”
I still
remember the pledge you made to me…
I am holding
on to the hope
I have
inside.
and I am
comforted 5
Quando rientri nella tua stanza, lanci
un’occhiata infastidita al letto dove la notte appena passata ha dormito uno dei
tuoi ospiti - e la cosa ti innervosisce di per sé, ma anche per quel che ti
ricorda.
L’occhiataccia successiva, altrettanto
infastidita, è alle tue spalle, alla persona che (nonostante le tue rimostranze)
ti ha accompagnato.
“Si può sapere cosa vuoi?”
“Ihihihi! Voi mi avete fatto una domanda, Conte,
e io sono qui per darvi una risposta, no~?”
Una risata scuote le spalle scheletriche del
becchino, fermo sulla soglia, e fa oscillare le maniche lunghissime della sua
tunica. Lo fulmini con lo sguardo, ma lui non si scompone né sembra curarsi
particolarmente della palese irritazione che traspare dalla tua espressione
contratta e dalle braccia conserte.
“Vedi di fare in modo che stavolta sia una
risposta esauriente, Undertaker! Non sono disposto a tollerare altre prese in
giro.”
“Se volete una risposta esauriente Conte, anche
la vostra domanda dovrebbe esserlo altrettanto…”
Ti volti di scatto verso di lui, i pugni stretti
lungo i fianchi, infuriato per l’insolenza di quell’uomo assurdo. Eppure,
osservando la linea disegnata dalle sue labbra strette e l’espressione di quelle
iridi quasi invisibili, hai la chiara e terribilmente fastidiosa percezione di
come, in questo momento, tu non sia altro che un arrogante topolino che quel
gatto dagli artigli neri si sta divertendo a stuzzicare - senza alcun intento
predatorio, ma con il solo scopo forse di farlo uscire di senno.
Forzatamente ti imponi di recuperare il
controllo e chiudi per un istante gli occhi, obbligandoti a sgombrare la mente
per riuscire a pensare con lucidità. Per quanto sia seccante per te ammetterlo,
il becchino ha ragione: non gli hai posto un quesito preciso, quindi non puoi
pretendere che ti dia subito le informazioni che cerchi.
Il problema è che nemmeno tu sai esattamente
cosa vuoi sapere. O meglio, una domanda c’è, ma sei perfettamente consapevole
che nessuno potrà mai darvi risposta - molti ti direbbero che quella risposta ce
l’ha solo Dio e che in vita l’uomo la può trovare solo nella fede. Peccato che
tu di Dio e della fede non sappia proprio che fartene.
Mascherando un sospiro esasperato, cerchi di
ignorare la presenza di Undertaker e ti dirigi verso la stanza da bagno con
l’intenzione di ripulirti alla meglio, per poi vestirti e tornare dai tuoi
invitati - per quanto siano noiosi e insulsi, devi pur sempre attendere ai tuoi
doveri di anfitrione e tenere alta la nomea dell’ospitalità di casa Phantomhive.
Anche dietro la porta chiusa, continui a
sentirti i suoi occhi puntati addosso, sebbene lui sia rimasto immobile dov’era,
senza far altro che sgranocchiare con un sogghigno i suoi stupidi biscotti.
Una volta uscito, noti con una certa
soddisfazione (e vuoi far caso solo a quella, ignorando tutto il resto) che già
dalla sera prima, pur con tutto il trambusto che si è verificato, un completo
pulito è stato preparato per te sull’appendiabiti.
Il tuo indesiderato ospite invece è ancora lì
dove l’avevi lasciato; ma è quando ti vede intento a lottare con i bottoni in
madreperla della camicia che ti si avvicina e, in un movimento talmente rapido
da non permetterti nemmeno di notarlo, ti porta le mani al collo. Ti sfugge
un’involontaria esclamazione di sorpresa.
“Ma che…?! Smettila immediatamente!”
Alla tua protesta imperativa, le dita del
becchino si fermano sul secondo bottone, l’unghia dell’indice a tormentare
noncurante la piccola asola. Poi lui fa un sorriso sfacciato e accenna una
risata, quindi continua il suo lavoro mentre ti risponde quasi cantilenando.
“Di cosa vi preoccupate, Conte? Sapete~,
vestire un corpo vivo non è molto diverso che vestire un cadavere…”
“Tieni per te le tue osservazioni di pessimo
gusto.”
Ribatti irritato, ma lo lasci fare finché non ha
finito - benché tu sia consapevole del fatto che poi ti detesterai per questa
debolezza. Quando anche il fiocco grigio è a posto e ben stretto, ti scosti di
scatto e ti allontani da lui di qualche passo, andando a prendere la giacca.
Mentre la abbottoni e poi calzi le scarpe (che,
per fortunata coincidenza, sono un paio senza lacci - non avresti sopportato di
essere costretto a farti aiutare di nuovo da quel pazzo), non dici una parola,
limitandoti ad osservarlo di sottecchi.
Infilato al pollice l’anello di famiglia, alzi
lo sguardo verso il becchino, la mascella contatta e in viso la tua solita
espressione determinata. Da che ti sei chiuso nella stanza da bagno non hai
smesso un attimo di pensare, provocato anche dalla sua osservazione insolente, e
ora sei finalmente riuscito a dare una forma onorevole ai mille dubbi che ti
asfissiano la mente: ora sai cosa vuoi sapere e sai esattamente cosa chiedergli.
“Undertaker, rispondi a questa domanda:
Sebastian è veramente morto?”
Il becchino ti guarda per un attimo senza
fiatare. Sei pressoché certo di averlo colto almeno un po’ di sorpresa con
quella domanda e intimamente te ne compiaci; poi sul suo viso si allarga pian
piano un ghigno e un tremito quasi isterico inizia a scuoterlo, finché non
esplode in una risata.
L’uomo è talmente preso a ridere di chissà cosa,
che non nota nemmeno l’occhiata di fuoco che gli lanci, offeso da quella che
consideri un’imperdonabile mancanza di rispetto da parte sua.
Infine si calma e, asciugandosi perfino una
presunta lacrima all’angolo dell’occhio, Undertaker torna a concentrarsi su di
te, sempre con quel sorrisetto sfacciato sulle labbra.
“Ihihihi! Non avrei ma~i
creduto che l’avreste capito, Conte… nemmeno che vi sarebbe venuto anche solo il
dubbio. Mi sorprendete ogni volta, ve l’assicuro!”
“Smettila di divagare! Se è il problema è la tua
ricompensa ti darò tutto quel che chiedi, ma ora rispondimi! È un ordine!”
“Non siate co~sì impaziente! Mi stavo solo
complimentando per il vostro acume: vi siete reso conto che nella «morte» del
vostro maggiordomo c’è qualcosa di particolare… non è da tutti!”
Vorresti replicare, ma le sue parole, sebbene
ancora così dannatamente allusive, iniziano a prospettarti un quadro della
situazione che, per onestà intellettuale (nonché per il tuo conclamato e
giustificato pessimismo), avevi evitato fin dal principio di considerare,
sebbene qualcosa dentro di te (forse era il tuo cuore, o forse la speranza -
anche se li ritieni entrambi morti e sepolti da tempo) ti avesse urlato di non
farlo.
Stai con lo sguardo fisso in un punto
indefinito, la mente a rincorrere il senso della frase del becchino, cercando di
afferrarlo compiutamente, tanto assorto da non accorgerti nemmeno che Undertaker
ti si è fatto accanto e ti ha posato sulle spalle le sue mani ossute.
“Venite Conte, voglio mostrarvi una cosa che vi
darà mo~lte risposte…”
Mentre ti parla, ti sospinge verso l’enorme
specchio appeso alla parete. Tu ti fai condurre docile attraverso la stanza,
finché la cornice dorata in stile Luigi XIV non accoglie la tua figura snella,
che sembra ancora più minuta avvolta da quella alta e sottile del becchino.
Contrai la mascella e lo fissi negli occhi
attraverso il riflesso. Lui ghigna e poi si china, fino ad affiancare il volto
cinereo al tuo; lo interroghi in silenzio con sguardo duro.
In risposta, Undertaker afferra dolcemente uno
dei capi del fiocco che stringe la benda che indossi e, prima che tu riesca a
fermarlo, lo scioglie.
Colto di sorpresa, scarti rapidamente di lato,
premendoti la mano sull’occhio destro, come se ti avesse ferito.
“Cosa stai facendo, maledetto?!”
“Vi sto mostrando che il vostro diavolo di
maggiordomo non ha tradito né mentito, Conte. Conosco bene i termini del
Contratto tra voi e il demone che chiamate Sebastian Michaelis, e vi posso
assicurare che le cose stanno come vi dico.”
Ora nella voce di Undertaker non c’è più nulla
del tono canzonatorio di prima e anche il suo onnipresente sorriso ha assunto
una sfumatura inquietante. Tu però non hai la lucidità necessaria per far caso a
questi dettagli - quasi non riesci nemmeno ad ascoltare le sue parole, a
renderti conto delle loro implicazioni, la tua attenzione tutta catturata dal
fatto che quell’uomo sappia del Contratto tra te e Sebastian…
Segui come trasognato il suo dito che ti indica
lo specchio.
“Se non mi credete, guardate voi stesso: il
marchio demoniaco è ancora impresso nella vostra iride, quindi il patto è ancora
valido. E voi sapete cosa significa, vero?”
I know you're always
there.
Looking back
at me,
I know you
can see my heart is holding to
the promise of a lifetime
6
Anche adesso che Undertaker non è più con te
(non puoi dire con certezza se se ne sia andato oppure no), le sue parole
sconvolgenti continuano a risuonarti ossessive in testa.
Sei tornato a chiuderti nello studio,
volutamente dimentico dei tuoi doveri di ospite - che quegli idioti dei tuoi
invitati stiano pure radunati tutti assieme, a guardarsi a vista pronti a
scannarsi come galli in un pollaio, se questo li rende più tranquilli. Tu per
ora hai solamente bisogno di stare solo, a riflettere su quanto ti ha rivelato
il becchino prima di sparire, mettendoti in mano quel macabro bastone con il
pomolo a forma di teschio che ti stai rigirando tra le mani.
Sebastian non è morto, è solo… sospeso. E questo
grazie al potere di un segnalibro che Undertaker (lui che in realtà è uno
Shinigami) ha inserito all’interno del volume che contiene il Cinematic Record
del demone, per poi modificarlo a suo piacere secondo le istruzioni che
Sebastian medesimo gli aveva dato, inviandogli un messaggio legato alla zampa di
una civetta. Quella stessa civetta che Meyrin ti ha confermato stupita di aver
liberato questa mattina all’alba, dietro pressanti raccomandazioni proprio del
maggiordomo.
«Ma se Sebastian è ancora vivo… allora perché
non ha risposto ai miei ordini?!»
«Non è esattamente vivo~… e non è esattamente
morto~…»
«Non dire assurdità! O si è vivi o si è morti,
non esiste una situazione intermedia!»
«Ihihihi! È qui che vi sbagliate, Conte: il
tempo delle creature viventi, demoni inclusi, può essere sospeso. Tuttavia,
questa è una facoltà riservata solo agli Shinigami più potenti.»
«E tu cosa c’entri in tutto questo?»
«Diciamo~… che io posso fare qualcosina a
riguardo… Ihihihi!»
Un involontario brivido ti coglie ripensando al
momento in cui, mentre Undertaker rispondeva a quella tua domanda impaziente,
hai potuto vedere con chiarezza, anche se solo per un attimo, i suoi occhi
brillare di una conoscenza e di un potere sterminati. Quella luce, così simile a
quella che a volte vedi nelle iridi di Sebastian quando le sue pupille si fanno
feline e lui rivela la sua vera natura, quella luce ti ha fatto comprendere,
prima ancora che ti fosse detto apertamente, che il becchino non è solo un uomo.
A livello inconscio, ti rendi conto di averlo in
un certo senso sempre saputo; così come sei perfettamente consapevole che una
notizia di questo genere richiederebbe un’attenta valutazione da parte tua - sai
per esperienza che trattare con entità ultraterrene comporta rischi e benefici
ugualmente amplificati.
Ma per adesso hai tutt’altro per la testa e, in
una scelta forse folle e avventata, preferisci ignorare totalmente la questione.
Finché non rivedrai Sebastian accanto a te e non avrai deciso come comportarti
rispetto a questa sua iniziativa personale, che esula in toto da qualsiasi tuo
ordine e della quale non riesci a comprendere le motivazioni (il che la rende
solo più inaccettabile), fino a quel momento sei conscio del fatto che sarai
ostaggio della tua maledetta emotività.
Ti senti un re schiavo del suo cavaliere
ribelle, incapace per questo di portare avanti la sua fatale marcia verso
l’obiettivo prefissato, e tutti questo ti fa insieme paura e rabbia.
«Quando riprenderà a scorrere normalmente il
tempo di Sebastian?»
«Ihihihi! Questo dovreste chiederlo a lui,
Conte. Per quanto mi riguarda, il mio incarico è già concluso.»
«Che significa?!»
«Chiamatelo e chiedetelo a lui. Vedrete che
verrà: un demone torna se~mpre dalla preda che ha marchiato col suo sigillo…
Ihihihi!»
Ti porti davanti allo specchio, questa volta più
piccolo di quello della tua stanza ma con una cornice ugualmente preziosa, e
sciogli il laccio della benda, scostando i capelli. Alla luce, resa metallica
dalle nubi, che entra dalla finestra il marchio demoniaco si staglia con il suo
bianco immacolato nel violetto della tua iride destra.
La sfida che ti ha lanciato Undertaker (perché
di questo per te si tratta), «Chiamatelo e vedrete che verrà», ti tenta.
Ma nello stesso tempo devi ammettere di aver paura di fallire: non sai in che
modo potresti reagire se Sebastian non si presentasse come sempre al tuo
comando, inchinandosi con quel suo sorriso rispettoso e insolente sulle labbra.
Probabilmente per te sarebbe una sensazione molto simile ad uno shock di portata
devastante, come un uccellino cui un cacciatore sadico si diverta a spezzare le
ali, per poi liberarlo nuovamente nel bosco.
Tuttavia sei consapevole che non è con la paura
di fallire che sei diventato quello che sei, ma è il coraggio di farti tentare
dalle sfide che ti ha permesso di sopravvivere al tuo personale inferno, dandoti
la forza di afferrare saldamente quel filo di ragnatela così lontano e sottile
grazie al quale ti sei trascinato fuori dalla Geenna.
Stringi i pugni e fissi gli occhi nel tuo
riflesso.
Il re è ancora sulla scacchiera, la partita non
è ancora finita: avanti, sempre avanti, qualunque cosa succeda.
“Sebastian!”
“Yes, my Lord?”
I know you're
always there
To hear my
every prayer inside, I'm clinging to
The promise
of a lifetime.
I hear the
words you said
To never walk
away from me and leave behind
The promise
of a lifetime 7
Nota della beta:
Tutto comincia una bella sera, quando Mistral
finisce di leggere il capitolo 41 e ci ritroviamo a discuterne via msn. Chiari
sia arma che luogo del delitto, ci siamo ovviamente perse a discutere e
analizzare il «caso», dando inizio alla nostra personalissima partita a Cluedo.
L’essere arrivate a una probabile soluzione
dell'enigma, però, non ha soddisfatto il lavoro delle celluline grigie di
Mistral: avendo terminato quella piccola missione, infatti, ha pensato bene di
avventurarsi anche nella contorta psiche del giovane Conte di Phantomhive.
Eggià, perché di sicuro questa vicenda ha tutte
le carte in regola per essere un punto cruciale dell'intera storia, soprattutto
dal punto di vista del particolarissimo rapporto tra Ciel e Sebastian, non
credete?
Lety
1-
Cap. 41, pagg. 31/32
2-
Cap. 41, pag. 33
3-
Cap. 41, pag. 34
4-
Sono caduto in ginocchio
Mentre cantavo una ninnananna di dolore.
Ho sentito la mia melodia andare in frantumi
Mentre cantavo per aiutare le lacrime ad
asciugarsi
5-
Ricordo ancora la promessa che mi hai fatto
Mi aggrappo alla speranza
Che ho dentro
E mi sento confortato
6-
So che sarai sempre qui.
Guardando indietro verso di me
So che potrai vedere il mio cuore che si
aggrappa
Alla promessa che dura una vita
7-
So che sarai sempre qui
Per ascoltare ogni mio desiderio nascosto, mi
aggrappo
Alla promessa che dura una vita.
Ho sentito le parole con cui mi hai detto
Che non mi lascerai mai né dimenticherai
La promessa che dura una vita
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