#6
#6
Titolo:
Ritardo
Genere:
Malinconico
Avvertimenti:
One
Shot – Shonen Ai
Ambientazione:
Konoha.
Almeno sessant’anni dopo la serie Shippuden.
Musica:
Alone
Piano Version – Saiyuki Original Soundtrack
Note: Lievissimo Accenno
NaruHina
Ringraziamenti:
a Silentsky ovviamente, che prima o poi
dovrò pagare per tutto il lavoro che fa, Pimplemi_chan
per il commento e per gli scleri su MSN e Sushipreocotto_chan per il commento^^ Ringrazio inoltre Pimplemi chan, Seiten Taisei90, Shairah e Sushiprecotto per aver messo la Raccolta fra le Preferite, e Amicamia, Lady Moon, Lusty, meg89 e Pimplemi per averla messa fra le Seguite.
Dedica:
Sono
due, ma per me valgono per mille! Sono Silentsky
e Pimplemi_chan!
Le fronde degli alberi vibravano
pigre, scosse dal soffio sottile del vento.
I raggi del sole scivolavano scarlatti
sul cielo tinto di rosso, posandosi con delicatezza sulla via lastricata del
cimitero di Konoha, e le tombe brillavano candide sotto il loro tocco passeggero.
Le lapidi bianche erano circondate da
corolle di fiori profumati e da mazzi e corone i cui petali colorati,
staccandosi, si erano lasciati cadere sulla superficie levigata; bacchi di
incenso odoroso spandevano il loro fumo pungente e dolciastro, abbracciando le
tombe fra le proprie spire spruzzate di violetto.
Tutto era immerso nel silenzio e non
vi era nessuno a fare visita ai defunti.
Nessuno, tranne un’ombra seduta a
gambe incrociate davanti alla tomba di un giovane ninja, caduto molti anni
prima durante la sanguinosa guerra contro Akatsuki.
In verità, non era raro che la figura
si attardasse lì davanti, il viso rivolto al cielo azzurro, le braccia distese
dietro la schiena, i grandi occhi neri scintillanti e le ciocche scure del
taglio a scodella scosse dal vento.
Non faceva nulla, non diceva nulla.
Rimaneva fermo, seduto sull’erba, in
silenzio.
E aspettava.
Nessuno sapeva cosa, nessuno sapeva il
perché.
Nessuno gli aveva mai rivolto la
parola, a onor del vero, e alcuni dicevano persino che fosse solo frutto della
fantasia dei bambini che venivano ad occuparsi delle lapidi.
C’era stato, però, molto tempo prima,
qualcuno che per anni si era fermato davanti alla tomba, spinto da quelle voci
insistenti, dal pigolare eccitato di qualche piccolo ninja che raccontava di
aver visto l’ombra e di essere quasi riuscito a rivolgerle la parola.
Ma gli anni erano passati,
accavallandosi l’uno sull’altro e confondendosi, passato e futuro, presente e
ricordo, speranza e delusione, e alla fine, quell’uomo stanco, coi capelli
scuri tagliati a scodella ingrigiti dal tempo, si era accasciato ai piedi della
lapide, le spalle piegate dall’età e dal dolore della perdita.
Lo avevano deposto con tutti gli onori
accanto a quella candida tomba con l’incisione di un fiore di loto posta sotto
il simbolo di Konoha.
Il giorno del funerale del povero
Maestro privato di ogni speranza, i bambini giurarono di aver visto l’ombra dal
taglio a scodella carezzarne la lapide, ridendo e piangendo insieme.
Ma nessuno aveva creduto alle storie
di quei piccoli guerrieri.
Era bastato l’esempio del loro amico
adulto e piegato dal dolore per dissuaderli dal provare qualche speranza di
rivedere, anche solo per una volta, il loro compagno dai capelli neri e le
folte sopracciglia.
La fantasia non era reale, come invece
lo erano il dolore e la morte. Era inutile rincorrere un ricordo.
La perdita del Maestro lo aveva
dimostrato.
Però quella figura c’era.
Era lì.
E aspettava.
Aspettava da molti anni, ma non era
impaziente.
Sapeva che prima o poi, la sua attesa
sarebbe stata ricompensata, doveva stare solo lì, fermo, immobile, in silenzio,
ad aspettare senza fretta.
E in quel tramonto rosseggiante, la
sua attese ebbe finalmente fine.
Levò gli occhi verso il ragazzo dai
capelli rossi e gli occhi di ghiaccio comparso d’improvviso davanti a lui, che
lo fissava in silenzio.
L’ombra, quieta, sorrise.
-Ti perdono il ritardo, questa volta-
Da quella sera, i bambini non videro
più ricomparire la figura solitaria davanti alla lapide del Loto.
Dapprima si rattristarono, perché per
loro era come aver perso un amico silenzioso che li guardava sempre con un
sorriso radioso sul viso, poi si rallegrarono e risero, risero tanto, perché l’ombra
dal taglio a scodella aveva finalmente trovato ciò che cercava.
Rideva anche la piccola nipote
dell’Hokage Uzumaki, mentre trotterellava verso casa con la manina stretta in
quella rugosa della nonna Hinata, che le sorrideva dolcemente attraverso le
labbra secche, gli occhi simili a specchi perlati, arrossati per il pianto.
La piccola rideva e la nonna piangeva.
Piangeva,
perché solo qualche giorno prima era arrivata al Palazzo dell’Hokage la notizia
che il Kazekage Sabaku no Gaara si era spento nel silenzio della sua stanza.
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