La voce rimbalzò lungo I gradini d’ingresso mescolandosi al
canticchiare concitato di un bimbetto che saltellava accanto a un
cumulo di valige.
Il giovane che aveva parlato aveva grandi occhi nocciola ed un sorriso aguzzo, sghembo.
Diede un’occhiata al bambino che giocava con le valige e lo accarezzò
con lo sguardo, prima di rivolgere la sua attenzione ad un tremulo sole
che sonnecchiava tiepido, semi-riparato dalle fronde degli alberi.
“Sicuro di non aver dimenticato niente?” la donna si avvicinò al
giovane e lo scrutò con aria assorta. Nei suoi occhi era appena
percepibile una leggera ombra di apprensione.
“Shaun…” la voce era docile e lieve, simile al tocco di una carezza.
“Va tutto bene mamma.” Il ragazzo dagli occhi nocciola le prese la mano
e sorrise con dolcezza, mentre altre due figure, quella di un uomo e di
una ragazzina bionda, scendevano i gradini d’ingresso semi-illuminati
dalla luce tenue del tramonto.
“Te ne vai senza di me!” la bambina era ormai a pochi passi di distanza dal giovane.
Chiara lasciò oscillare i codini a destra e sinistra portando le braccia al petto con espressione offesa.
Shaun sorrise con fare divertito scompigliando la frangetta della sorellina minore.
“Ti telefonerò tutte le sere. Promesso piccola.”
La bambina distolse lo sguardo, lasciandosi catturare dal ritmico TUM
TUM emesso dai piedini del bimbo che saltava, le braccia avvolte con
energia attorno al peluche che stringeva tra le braccia.
“Chiara..” Shaun richiamò la sua attenzione e si inginocchiò di fronte
a lei, mentre la piccola rivolgeva gli occhioni blu verso di lui,
simili ad aggraziate gocce di rugiada.
“Lo so che in questo momento sei arrabbiata. Ma devi capire che il
viaggio che sto per fare ha un grande significato per me. Lo sai dove
sto andando?”
Chiara lanciò un’occhiata incerta in direzione dei genitori.
Lentamente annuì.
“Stai andando nel paese dove sei nato.” Mormorò la piccola tirando su
con il naso ed appoggiandosi al fianco del padre che strinse la
minuscola manina della figlia, accarezzandone il dorso con il pollice.
Shaun sorrise e la fievole luce del tramonto parve incastonarsi nel candore della sua dentatura.
“Esatto Chiara. Nel paese dove sono nato. Si chiama
.
Io e papà ci siamo conosciuti lì tanti anni fa. Prima che tu e Xander
nasceste. E adesso ci devo tornare. È il mio cuore che me lo chiede. Lo
capisci?”
Domandò dolcemente sfiorando la punta del nasino di Chiara con tenerezza.
A malincuore la bimba annuì.
“Ad Haiti…” Shaun si interruppe per un attimo.
Le iridi nocciola andarono a combaciare con un altro paio di occhi incredibilmente simile ai suoi.
Gli occhi di suo padre.
“Ad Haiti ci sono tanti bambini poveri e soli. Non hanno una mamma, né
un papà e sicuramente hanno molta, molta paura. Noi siamo stati
fortunati.” Aggiunse lanciando un’occhiata in direzione dei suoi
genitori e sorridendo con lo sguardo.
“Io e te abbiamo una mamma, un papà ed un fratellino che ci vogliono
tanto bene. Ma loro no Chiara. Loro sono soli. Però forse posso fare
qualcosa io per quei bimbi. Posso andare a regalare un po’ di amore a
quei bambini. Così …”
Sorrise e nel suo cuore avvertì il melodioso arpeggio di una chitarra e le tinte color pastello di un cartellone.
“Così come è successo a me.” Concluse accarezzando con dolcezza la testolina bionda della sorellina.
Chiara si fissò le punte dei piedi in silenzio, mentre lacrime gemelle sgorgarono dai suoi occhi di rugiada.
“Shaun…” mormorò improvvisamente con voce fievole.
“Prendi..” rimirò con attenzione il suo lupacchiotto di peluche, lo
baciò sul musetto e lo depose fra le braccia del fratello maggiore.
“Prendi Mr Provolo. Così lo puoi imprestare a un bambino se è solo.
Perché io non voglio che un altro bambino è impaurito.” Le piccole
labbra tremarono leggermente al pronunciare quelle parole.
Shaun le sorrise con dolcezza prima di depositare un bacio sulla fronte di Chiara.
“Facciamo così.”
Improvvisamente si sollevò. Una mano scivolò bruna lungo un lembo della
sua felpa ed il giovanotto se la sfilò, porgendola alla sorellina.
“Questa felpa è speciale per me. Ha significato tutto quando ero
piccolo ed avevo più o meno la tua età. Questa felpa mi ha fatto
sentire coccolato, amato. Sempre al caldo e mai solo. Voglio che la
tenga tu.”
Aggiunse con dolcezza annodando le maniche bianche al collo della bambina.
“Così sarà come se fossi io a stringerti. Va bene sorellina?”
Chiara singhiozzò. Abbandonò la manina del padre e si gettò tra le braccia del fratello maggiore.
“Torni presto Shaun? Torni presto vero?” mormorò tra le lacrime mentre Shaun la stringeva con tenerezza.
“Più presto di quanto immagini. Te lo prometto.”
“Saun!” il bimbo che saltava decise finalmente di avvicinarsi al resto della famiglia.
“Ehy fratellino!” Shaun tese le braccia e sollevò il fratellino minore con facilità.
Xander era un piccoletto dal visetto ridente ed i capelli corvini: gli
occhi erano nocciola, lo stesso identico taglio di quelli del padre.
Lo stesso di Shaun.
“Saun voio bene io!” commentò il piccolo stampando un bacio sulla guancia del fratello e ridendo gioioso.
“Anche io te ne voglio Pulce.” commentò strofinando il naso contro quello del piccolo, facendolo ridere.
Coccolò il bimbo ancora per qualche istante, accarezzando con lo
sguardo i volti dei presenti, lottando con una leggera fitta di
malinconia che gli martellava in petto con insistenza.
Ma sapeva, che stava facendo la cosa giusta.
“Il taxi è arrivato tesoro.”
Sua madre gli riservò un’occhiata satura di affetto e tenerezza, prima
di prendere per mano i suoi figli minori e dirigersi verso le valige.
“Posso aiutarti con le valige mamma?”
“Acche io mamma!Acche io!”
Lo sguardo di Shaun inseguì le tre figure allontanarsi, mentre le ombre
dei suoi familiari tinteggiavano immagini distorte sul marciapiede.
“Ehy.”
Erano rimasti loro due: due paia di occhi scuri che si cercano e si incontrano rischiarati dalla lucentezza del tramonto.
Lo sguardo di un padre, lo sguardo di un figlio.
Joe e Shaun.
“Sei pronto per partire?”
Joseph sorrise.
Un sorriso sghembo, malandrino. Il sorriso che aveva conquistato il cuore di sua moglie, facendolo battere come un tamburo.
Quel sorriso, piaceva molto anche a Shaun.
Lo sapeva, quel ragazzo, che anche le sue labbra si inarcavano alla stessa maniera?
“Sono pronto papà.”
La parola papà risuonò candida e ben scandita sovrastando il vociare
concitato dei suoi fratellini ed il chiacchierio sommesso della madre
con il taxista.
“Forse sono pronto da sempre.”
Joseph annuì lentamente.
Con le mani in tasca e lo sguardo assorto, impenetrabile ma vispo,
ricordava quasi il Joe ragazzo, quello che aveva conosciuto una gelida
mattina di quattordici anni prima.
Lui, uno sperduto bambino senza più madre, né speranza.
Joseph,il suo Joe, un giovanotto che pronunciava parole dal suono buffo ed indossava una felpa bianca.
Era questo il ricordo di lui che il ragazzo serbava nel cuore.
Questo ed il primo sorriso che gli aveva rivolto. Screpolato, tremulo, ma vero.
“Mi chiamerai, non è vero?”
Il padre rimirò con calcolata ammirazione lo sguardo nitido e
determinato del figlio, soffermandosi sui lineamenti vigorosi e
marcati; riconoscendo in quei tratti il volto di un giovane uomo.
Non più un bimbo debole e sperduto, ma un meraviglioso principe.
“Non appena arriverò a Port-Au-Prince. Promesso.”
La voce di Shaun era malinconica e rassicurante al tempo stesso.
Matura, ma rischiarata da una nota cristallina che sottolineava sprazzi di purezza e candore.
E un’innocenza che quel giovane uomo aveva conservato in un angolo del suo cuore.
La tenerezza che l’aveva avvicinato a lui.
“Vieni qui.
Pulce.”
L’ultima parola venne accolta da un risolino limpido del giovane che si
strinse nelle spalle e si lasciò accogliere dal tiepido abbraccio del
padre.
Shaun rimase immobile per qualche istante ad assaporare il calore
emanato dalle sue braccia vigorose e da quel cuore che scandiva i
propri battiti ad un ritmo lento e regolare, dirigendo l’eco dei suoi
respiri.
Era dolce,quell’abbraccio.
“Te la ricordi Shaun?” lo sguardo di Joseph indugiò,
per un attimo distante, adagiato tra le rovine di un Paese lontano.
“Haiti.”
Shaun sorrise ed il sorriso sghembo plasmò il proprio riflesso incastonato tra le labbra del padre.
Shaun e Joe erano molto diversi:
Erano la notte e il giorno.
Il padre e il figlio.
Il salvatore ed il salvato.
Ma erano anche simili.
Lo dimostravano quegli occhi dal taglio così particolare. Quello sguardo sognante tempestato di sprazzi luminosi.
E quel sorriso: perché quando si ama tanto qualcuno, è così semplice
raccogliere un pezzo di quella persona e custodirlo dentro di sé, in un
frammento di anima.
E Shaun aveva rubato il suo sorriso.
Il sorriso di Joseph.
“Certo che me la ricordo papà.”
Si separò dall’abbraccio del padre e fece un passo indietro per lasciar coincidere le iridi gemelle.
“Ricordo ogni più piccolo dettaglio della mia
infanzia,anche se alcuni sono sfumati, opachi. Come polverosi.”
Inclinò leggermente il capo verso destra ed individuò con un sorriso i
giochi infantili di Chiara e Xander che si rincorrevano poco distante,
inseguiti dallo sguardo vigile della madre.
“Mi ricordo della mamma.” Dichiarò infine lasciando che il suo sguardo
ritornasse ad incrociare quello di Joseph, mentre la testa si riempiva
di piccoli fiotti di immagini.
“Di Zhara.Della sua voce docile e delicata. Del suo sorriso di vetro soffiato. E dei miei fratellini.”
Aggiunse in tono tenero, quasi paterno.
“E mi ricordo di noi.” Riprese allungando una mano verso le nocche abbronzate del padre.
“Di me e di te, papà. Del giorno che ci siamo conosciuti. Di come ho
avuto paura, salvo poi ricredermi,quando la tua mano ha afferrato la
mia.”
Ripeté lo stesso gesto, sorridendo con dolcezza.
Joseph avvertì un leggero tremolio nel profondo, dentro l’anima, al
rivivere quei momenti che gli erano penetrati in un angolo del cuore,
ma rimasti immobili per così a lungo.
“Non tel’ho mai detto papà.” Shaun riprese il
suo discorso individuando distratto il ridondare delle campane.
“Pensavo fossi un angelo. E che ti aveva mandato la mamma. Per cercarmi.”
Sprazzi di luce simile a minuscole stelle brillarono incastonati fra le iridi nocciola del giovane di
Haiti.
I suoi occhi rilucevano in quelli del padre, catturandoli.
“Shaun.” Joseph scosse il capo lentamente, mentre una lacrima, un’unica
e sottile gemma di rugiada scivolava limpida lungo il profilo del suo
naso.
Shaun sorrise.
“Porterò ad Haiti i tuoi saluti.” Aggiunse
allentando la presa sulla mano del padre ed osservandolo, impacciato.
“La nostra Haiti.”
Joseph incrociò lo sguardo del figlio ed accolse con affetto
l’aura fiera,ma mite al tempo stesso contenuta nel suo sguardo.
“Io ci conto.” Il padre adagiò una mano sulla spalla
del figlio e si batté un pugno sul petto, ammiccando.
“Dille che io l’ho sempre portata qui.” Aggiunse sfiorandosi il cuore con i polpastrelli.
“E ringraziala…” aggiunse rivelando un sorriso sghembo, ma terso di
sensazioni che a Shaun parvero meravigliose, ma impossibili da
districare.
“Per avermi donato uno dei suoi figli.” Sfiorò il volto del giovane con un buffetto scherzoso.
Le due paia di occhi si incrociarono e dal cozzare degli sguardi ebbe
origine una risata, pura e sincera: ridevano ancora per un nonnulla i
nostri Shaun e Joe.
“Ti voglio bene papà.”
Un ultimo abbraccio. Le lancette sull’orologio del campanile si
spinsero ancora di qualche millimetro ad indicare che era giunto il
momento di andare.
“Grazie per avermi salvato.”
Joseph accolse l’abbraccio del figlio con orgoglio ed un leggero
fastidio dalle parti del cuore: lasciar partire un figlio non è poi
così semplice.
“Grazie a te figliolo.” Le parole rifluirono docili e scivolarono languide in balia di un sottile alito di vento
“Grazie a te.”
Dieci minuti più tardi, una famiglia era raccolta ai margini di un
marciapiede sventolando mani e nascondendo lacrime, mentre il taxi si
allontanava con a bordo un ragazzo, un figlio e un fratello.
“Se la caverà non è vero?” la madre sospirò e sorrise debolmente,
mentre il capo si adagiava rassegnato sulla spalla dell’uomo alla sua
destra.
Joseph accarezzò la chioma chiara della moglie con dolcezza, lo sguardo
rapito dalle corse dei suoi figli più piccoli che avevano preso a
rincorrere il taxi: senza più lacrime, ma solo spensierate risate,
agitavano le braccia in segno di saluto
“Certo. Che se la caverà.” Sorrise e la felpa bianca che circondava le
spalle di Chiara attirò la sua attenzione, riportandolo a pensieri che
coincidevano con vocaboli in francese e manine piccole: manine color
cioccolato.
“ Perché è
meraviglioso.”
Le campane rintoccarono una seconda volta e le sfumature rosee del
cielo vennero assorbite dall’inchiostro blu della notte che la luna sta
incominciando a versare.
“Lo è
davvero.”
Come il flashback di qualcosa che si era manifestato in passato e che
stava per tornare, a quasi quattordici anni di distanza, un aereo
viaggiava rapido contornato di nuvole candide.
Il veicolo
scivolava agile in un cielo trapuntato di stelle, trasportando il
frutto di un Paese in rovina, ma che grazie all’amore era riuscito a
rinascere.
Era il germoglio che cura e pazienza, attenzioni ed affetto avevano aiutato a fiorire,a maturare, a vivere.
Era un ragazzo dallo sguardo assorto e le iridi nocciola che brillavano, avvolto dal rassicurante ronzio di un paio di cuffie.
Era Shaun:il miracolo di Haiti.
You're so amazing you shine like the stars
You're so amazing the beauty you are
You came blazing right into my heart
You're so amazing