Londra, Autunno 1531 – Real danger
“Joàn!! Aiutatemi, vi
supplico..”
Isabel non fece nemmeno in
tempo ad afferrar la giubba di velluto del giovane che svenne, afflosciandosi
come un sacco vuoto. Il nobiluomo spagnolo la prese immediatamente fra le
braccia.
Zuppo di
pioggia e sporco di terra e fango, non meno che Isabel, nemmeno
si curò della traccia che entrambi avevano lasciato da che avevano messo piede
a palazzo. L’unica cosa che gli premeva in quel momento era arrivare agli
appartamenti della Regina. Isabel doveva esser immediatamente asciugata e messa
a letto.
Non aveva nemmeno ripreso a
camminare che, a meno di venti passi, scorse due figure femminili. Erano la Regina e lady Willoughby.
Il giovane accennò un
leggero cenno del capo, ma poi pensò unicamente alla Principessa e riprese a camminare
a passo più svelto che poté.
Caterina sembrò avere la
stessa idea, perché, afferrò i lembi della veste da camera e corse verso di
loro.
Per un attimo, essa sembrò
voler prendere Isabel dalle braccia di Joàn e portarla lei stessa nelle proprie
stanze, invece restò pietrificata ad osservare il volto devastato della figlia.
Ci vollero diversi istanti perché si riprendesse del tutto, ma quando avvenne, prese
tra le mani il viso gelido e tumefatto di Isabel, lo esaminò con estrema
attenzione, quindi aprì il doppio mantello in cui era avvolta. Subito da esso
grondò a terra una miscela pesante e molle di acqua, ghiaccio e fango, che
sporcò ulteriormente gli stivali di Joàn e le pantofole da notte di Caterina. La Sovrana non sembrò farci
nemmeno caso, tutt’attenta come era a tastare le mani e il polso della figlia.
“Il mio medico, e quello
del Re!!, immediatamente.” Ordinò ad una dama poco dietro di lei, che sparì
all’istante. Un valletto si avvicinò senza nemmeno la necessità di un richiamo
e prese Isabel dalle braccia di Joàn, quindi la Regina si voltò verso Maria
de Salinas e le diede precise istruzioni su come trattare la figlia fino
all’arrivo dei medici. Al pari dei due prima di lei, anche la dama spagnola
sparì, e Caterina e Joàn restarono soli.
“Grazie, sir..” Disse
unicamente la Regina.
“Maestà, la Principessa vostra
figlia è arrivata.”
Fu sir More in persona ad
entrare nello studio privato di Enrico, annunciandogli l’arrivo di Isabel. Il
Sovrano, che stava esaminando alcune carte importanti, sollevò gli occhi dai
fogli e poi si alzò di scatto.
“Perché nessuno mi ha
avvertito? E dov’è ora? Come sta? Chi è con lei? Avete chiamato sir Linacre?”
Chiese in rapida successione, slanciandosi poi verso la porta. Il Cancelliere
lo raggiunse in due passi e lo fermò, cercando di farlo calmare.
“Enrico, calmatevi..” Gli
disse, guardandolo in volto. “C’è la
Regina con lei, ed entrambi i dottori delle Loro Maestà. Ora
calmatevi, Enrico. Non vorrete entrare nella camera di vostra figlia in queste
condizioni..”
Il Re restò in silenzio, ma
annuì alle sensate parole del suo amico e Cancelliere. Oramai Thomas era preziosissimo,
non solo come uomo di Stato, ma anche, e soprattutto, come amico. Raramente le
sue posizioni non erano condivisibili, e ancora più raramente esse erano
contrarie al bene del suo Paese.
“Come stava?” Chiese, dopo
un po’ e dopo aver riacquistato un po’ di calma.
“Tutto considerato, bene.”
Rispose sir More, dopo diversi istanti.
Non sapeva davvero cosa
dire per preparare il Re a quel che avrebbe visto. Quando aveva intravvisto
Isabel, deposta sul letto, come padre si era sentito letteralmente strizzare le
budella, e il suo cuore aveva dato un tuffo. Poi i suoi occhi si erano posati
sul viso pallido e sgomento della Regina che attendeva il responso dei due
medici, ed era corso via, incapace di sostenere quella situazione. Forse per la
prima volta in vita sua, aveva provato una sensazione di rabbia cieca e di
impotenza assieme. Isabel si era senza dubbio infilata in un matrimonio
palesemente sbagliato, incoraggiata e sostenuta dai genitori, ma non era né la
prima né sarebbe stata l’ultima Principessa a trovarsi in una situazione
spiacevole e con un marito con cui non aveva nulla in comune. Quel che era
accaduto, invece, era a dir poco assurdo, e nessuno dei tre, Isabel in primis,
meritava un conto tanto salato da pagare, per quanto si fosse comportato con
troppa leggerezza in una materia tanto delicata.
“Avranno finito i medici?”
Chiese Enrico, mettendo da una parte i fogli che aveva ripreso in mano.
“Vale la pena di andare a
vedere..” mormorò pensieroso sir Thomas, sperando che lo stato del viso della
Principessa fosse peggiore delle sue condizioni reali, e che potesse rimettersi
presto.
“Temo la Principessa abbia la
febbre, Maestà. Tuttavia, siamo riusciti ad asciugarla del tutto e stiamo
provvedendo a riscaldarla..”
Il dottor Griffith, assieme
al dottor Linacre, andarono immediatamente incontro a Caterina che, dopo aver
parlato con sir Fernandez, raggiunse i propri appartamenti, quindi Isabel.
Quelle parole non le piacquero affatto, ma se non altro ora la sua creatura era
in un ambiente caldo ed asciutto, circondata da persone che si sarebbero prese
cura di lei.
“Per quanto riguarda i
lividi, Maestà.” Mormorò il dottor Griffith a voce più bassa, e con evidente
imbarazzo. Caterina tornò a guardarlo in attesa che parlasse. “Non sembrano
esserci ossa rotte, ma sarà da valutare bene lo stato di vostra figlia quando
si sveglierà e si riprenderà del tutto..” Spiegò, e fece capire che i colpi
presi da Isabel erano stati duri e di una certa forza. La Sovrana annuì e poi si
avvicinò al letto della figlia. Discretamente ed in silenzio le dame e i due
medici uscirono dalla stanza, permettendo una certa privacy.
Caterina si sedette sul
letto e guardò Isabel in un’altalena di sentimenti. Non la vedeva né sentiva da
nove mesi, ed era visibilmente più magra. Zigomo ed orbita sinistri erano gonfi
e lividi, e l’arcata sopraccigliare era stata suturata. Anche la bocca e il
naso della fanciulla non avevano la loro naturale linea ed erano illividiti, ma
di sicuro il freddo e le condizioni di disagio avevano accentuato notevolmente
il tutto. Completava il quadro l’occhio destro, gonfio e, a differenza di
quello sinistro, chiuso. La
Regina non osò nemmeno toccarla per timore di svegliarla o
farle male. Si limitò a prenderle la mano sinistra nella propria,
accarezzandole le dita, lentamente. Era gelida e le dita erano rosse e
leggermente gonfie. Con delicatezza se la posò in grembo, quindi cominciò ad
accarezzarle piano il braccio, cercando di abituarsi allo stato del suo viso.
All’improvviso si udì un
frastuono di passi e di voci concitate dall’anticamera antistante la porta.
Caterina si girò appena in tempo per vedere suo marito entrare come una furia
nella stanza.
“Oh, mio Dio!! No!! NO!!
NOOO!!!” Eruppe il Sovrano, incapace di contenere il proprio terrore. Subito si
slanciò verso il letto in cui la figlia riposava, e quasi certamente l’avrebbe
presa fra le braccia, se Caterina non l’avesse fermato, abbracciandolo e
tentando di calmarlo.
“Amore mio, calmatevi..”
Mormorò, con dolcezza, sostenendolo nonostante fosse più minuta di lui. Il
pianto del Re non si fece attendere ed esplose, inconsolabile. Abbracciato alla
moglie, cadde in ginocchio, trascinando anche lei con sé.
Caterina lo strinse fra le
braccia, quasi a proteggerlo da quella visione terrificante. Mentre Enrico
piangeva calde lacrime, lei ripensò a tutte le volte che era stato cinico e
freddo nei confronti di Isabel. Lui preferiva Maria, più obbediente e solerte nei
suoi riguardi; tutta la corte lo sapeva, e perfino le due ragazze. Non si era
mai nemmeno premurato di essere almeno discreto in questa sua preferenza. L’aver
visto Isabel in quelle terribili condizioni, sembrava aver fatto nascere una
sorta di amore paterno, tanto violento e immediato, quanto pericolosamente
momentaneo. Caterina sapeva come andavano le ‘passioni’ del marito; quanto più
erano accese ed esplosive, tanto più erano fugaci e momentanee.
“Dov’è Linacre?” Chiese
Enrico, rompendo quel momento di vicinanza fra loro. Dopo aver sciolto
l’abbraccio con la moglie, si tirò su in piedi e poi le porse la mano,
aiutandola a ritrovare la posizione eretta.
“Penso sia fuori, Enrico..”
Rispose lei, andando con lo sguardo su Isabel. “Restate qui con me, ve ne prego..”
Chiese.
Il marito si voltò verso di
lei e fece anche un paio di passi nella sua direzione, ma poi i suoi occhi si
posarono sul viso devastato della figlia e si sentì tremare.
“No. Devo vedere Linacre..”
Rispose all’improvviso, ed uscì.
Caterina sospirò,
sconsolata. In realtà, non si aspettava che Enrico rimanesse, ma vederlo
fuggire a quel modo le spiaceva molto. Sapeva che la sua speranza non aveva
fondamento alcuno. Il Re temeva tutto ciò che aveva a che fare con le malattie,
o con uno stato di salute non perfetto. Vedere Isabel in quelle condizioni non
aveva aiutato per nulla, e non appena aveva ripreso il controllo di sé, egli
era scappato.
A passi lenti tornò accanto
al letto di Isabel e si sedette proprio mentre lei gemeva di dolore. Dopo un
attimo aprì l’occhio sinistro, e la fissò.
“Majestad..” Mormorò dolorosamente la fanciulla, guardandosi intorno
e riconoscendo la camera da letto della madre.
“Come ti senti, Isabel?”
Mormorò Caterina, avvicinandosi e poi chinandosi ancora un po’ verso di lei.
Era sorpresa, spaventata e tesa assieme. Isabel si era ripresa, certo, ma le
sue condizioni erano tutt’altro che buone. Non badò nemmeno a sorriderle o a
mostrarle la sua gioia nel vederla cosciente e in grado di parlare. Al momento
le importava sapere come stesse e se potesse far qualcosa per lei.
“Perdonatemi..” Rispose
Isabel, evitando la sua domanda. Con sorprendente energia, chiuse la mano che
era posata in grembo a sua madre, sul ginocchio di lei, stringendolo
leggermente. “Perdonatemi, per favore..” Ripeté con fatica, aumentando la
stretta.
“Shht, Isabel, zitta..”
Rispose la Regina,
cercando di allentare la presa della mano e allo stesso tempo di calmarla. “Non
ci pensare, ora, bambina..”
Isabel la fissò
intensamente e riaprì la bocca per provare di nuovo a chiedere perdono. Caterina
vide l’occhio aperto colmarsi di lacrime che presero a scendere lungo entrambe
guance, rigando il viso della figlia.
“Perdonatemi, vi prego..” Tornò
a chiedere la fanciulla, scossa dai singhiozzi.
Caterina scosse la testa.
Non stava bene che Isabel si agitasse a quel modo. Senza pensar di poter essere
fraintesa e che la sua determinazione potesse essere scambiata per durezza,
posò la propria sulla mano della figlia, sciogliendo la stretta che ancora
esercitava.
“Basta, Isabel, devi
calmarti e riposare..” Disse decisa, ma con una nota apprensiva nella voce. La
figlia scosse la testa e riprese a stringere la gamba materna.
“Per favore… per favore..”
Implorò
La Sovrana chiuse
gli occhi, sconfitta dall’insistenza della figlia. Nel tentativo di farla calmare,
si chinò su di lei e, più ferma che poté, cercò di rassicurarla.
“Certo che ti perdono,
Isabel.” Mormorò, stringendole la mano e ricevendo una stretta pari alla propria.
Le lacrime sul volto di
Isabel, anziché arrestarsi, continuarono a scorrere senza tregua. La giovane
Principessa prese allora la mano della mamma e se la portò alla bocca,
baciandola ripetutamente. Caterina si abbassò ulteriormente su di lei, le prese
i lati della mandibola, accarezzandoli, quindi chiuse le dita sul mento.
“Ora dormi. Devi riposare e
riprenderti, Isabelita.” Mormorò, abbassando
la mano della figlia e preparandola al sonno ristoratore. Avrebbe voluto
prenderla fra le braccia e tenerla stretta a sé, ma per via della febbre e del
suo stato generale, non era davvero il caso di agitarla ulteriormente. Così, a
malincuore, le impose con decisione il sonno. Ci sarebbe stato modo e tempo di
stare vicine ancora una volta, di parlare, di spiegare le reciproche posizioni,
ma mai come quella volta la Sovrana
sentì forte il desiderio e l’urgenza di parlar con Isabel, di spiegarsi con
lei, di dare e ricevere perdono.
“Beneditemi, Majestad.” Mormorò Isabel, fissando sua
madre. “Vi prego, mia signora..”
A quella richiesta la Sovrana pensò di non
riuscire a mantenere il contegno che fin lì si era imposta, riuscendoci
perfettamente. Chiuse gli occhi e deglutì, col pollice destro fece un piccolo
segno di croce sulla pelle calda e poi posò la mano sul volto della figlia
ribelle, che, finalmente soddisfatta, chiuse gli occhi senza dire nulla.
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“Dottor Griffith, diteci..”
La mattina seguente, il
medico personale di Caterina visitò Isabel assieme a quello di Enrico. Passarono
quasi un’ora dalla Principessa, ad esaminare, valutare e tracciare il quadro
delle sue condizioni, prima di uscire e raggiungere i Sovrani, in attesa. I due
si scambiarono un’occhiata, quindi il dottor Griffith parlò.
“Vostre Maestà, la Principessa è in
condizioni serie. Ha la febbre alta, i suoi polmoni sono congestionati,
verosimilmente a causa del freddo e della pioggia. In una persona in buona
salute una cavalcata, pur con un tempo inclemente, non arrecherebbe danno
alcuno, ma vostra figlia è magra, debole e.. bè, diciamo non in perfetta
salute..” Spiegò guardando la
Sovrana, e facendole capire che la questione era decisamente
seria. “Per ora le daremo del laudano e faremo in modo di abbassare la
temperatura. Speriamo essa scenda in tempi brevi..”
“Voglio entrare da lei.. vi
prego, fatemi passare, dottor Griffith.” Disse risoluta Caterina. Ciò che aveva
sentito era stato così tremendo che non voleva perdere un minuto di più fuori
dalla stanza in cui Isabel era stesa. Subito il medico le lasciò il passaggio,
a differenza di sir Linacre, il medico di Enrico, che rimase fermo davanti alla
porta.
“Maestà, io credo che voi
dobbiate restare fuori e lasciare noi medici dentro con vostra figlia.” Azzardò
a dire, pur in tono deferente e gentile. Caterina lo fulminò con lo sguardo e
fece per proseguire oltre, senza nemmeno darsi la pena di rispondergli.
“Maestà, vi prego..” Insisté ancora. “Lasciate fare a noi..” Consigliò
avvicinando una mano al braccio della Regina, come se volesse fermarne il
cammino. Caterina gli lanciò un’occhiata severa.
“State parlando di mia
figlia, signore.” Sibilò. “Non azzardatevi a fermarmi..” E detto questo, passò
oltre, andando verso la stanza.
Non appena la videro, le
dame intorno al letto di Isabel la riverirono, e si allontanarono, lasciandole
lo spazio per avvicinarsi.
Incosciente ed inerte,
Isabel era distesa sul letto, un lenzuolo di lino ed una coperta leggera le
arrivavano fino al petto. Caterina si sedette accanto a lei e le prese la mano,
portandola alle labbra.
“Maestà..”
Charles Brandon gli toccò
la spalla, e il Sovrano sussultò, spaventato. Per provare a non pensare alla
figlia e riprendersi un pochino, dopo le notizie ricevute, si era diretto nella
parte di giardino su cui si affacciava il suo studio. Qui passeggiò per ore, nel
tentativo di togliersi dalla mente il viso di Isabel.
Quando la moglie era
entrata nella sua stanza, l’aveva intravisto, e la voragine che dal giorno prima gli si era aperta nel cuore e
nello stomaco, si era addirittura spalancata. Il volto della Principessa gli
era apparso quasi una maschera nera e viola. Non c’era nulla di umano e di
riconoscibile. Nemmeno il respiro, solitamente calmo e regolare, che ora era
quasi un rantolo affannato e faticoso. Incapace di gestire quell’immenso dolore
che gli era piombato tutto in una volta, era corso a nascondersi lì. Ogni ora
si rinnovava quello strazio tremendo, ogni momento che vedeva i volti dei
consiglieri, dei cortigiani, dei servi, delle dame di Caterina, di chiunque
fosse a palazzo in quei giorno. I loro occhi lo compativano e avevano pietà di
lui, della moglie e del loro dolore. In fondo non erano che due genitori,
accomunati a tanti altri che avevano, o avevano avuto, un figlio ammalato o
sofferente.
“Io non sapevo che fosse
così..” Mormorò, prendendosi la testa fra le mani. Chiuse gli occhi,
strizzandoli. Non c’era nulla che potesse farlo stare meglio, nemmeno pensare
che Isabel fino a quel momento gli aveva dato più grattacapi che gioie, e che
tutto quanto era successo era stato un suo tragico errore di valutazione.
Aveva evidentemente pensato
che quell’imbecille di svedese potesse essere il marito giusto e se l’era
sposato di colpo, nonostante le perplessità che lui le aveva mostrato, e il
fatto che la Regina
avesse scatenato l’inferno ed avesse litigato furiosamente con lei. Ma in
realtà Enrico biasimava se stesso. Per mesi interi Caterina non aveva fatto
quasi altro che mettergli sotto il naso le continue deficienze di sir Sture, la
sua mancanza di classe e di stile, il fatto che nemmeno riuscisse a comunicare
con Isabel. Pensando che lei esagerasse e che volesse, come sempre, mettere
becco in tutte le faccende che riguardavano le figlie, e specialmente Isabel,
non aveva fatto altro che negare, prendendo le parti del nobile svedese,
finendo per litigare con la
Sovrana, fino a imporle la sua volontà. Quando la figlia
aveva annunciato la sua volontà di sposare quell’uomo assurdo, lui non aveva
fatto altro che opporre una minima resistenza. Ora il risultato di quell’atto
coraggioso stava disteso sul letto della moglie, incosciente. Dio sapeva se si
sarebbe mai ripresa, e quale sarebbe stata l’eredità di quel pestaggio.
Senza pensarci mollò un
cazzotto all’albero che aveva di fronte. Il dolore fu intenso, e la pelle fra
le nocche di indice e medio si scalfì. Prima che Brandon, che gli stava dietro
di cinque metri, potesse fermarlo, allungò il braccio e colpì di nuovo
l’albero, una seconda, poi una terza, quindi una quarta volta. La pelle della
mano si aprì e cominciò a sanguinare in modo copioso. Temendo che si facesse
male sul serio, il duca di Suffolk gli si accostò, alzando il braccio per
fermarlo.
“Enrico..” Lo chiamò
l’amico; dopo un ultimo pugno, le mani a pugno posate sul tronco della pianta e
la testa china, il Re crollò in ginocchio, gridando tutto il suo dolore e la
sua angoscia.
“Maestà, dovreste
mangiare..” Maria de Salinas si avvicinò
alla Sovrana e le toccò con delicatezza la spalla.
“Non ho fame, Maria..”
Rispose Caterina, dandole appena un’occhiata.
L’amica scosse la testa e
con un rapido cenno della mano, mandò via Grace Isabel, che era entrata ed era
pronta a portare il pranzo alla Sovrana.
“Mia signora, non va bene
così..” Azzardò la dama spagnola. “Finirete per indebolirvi sul serio e
ammalarvi. Quando vostra figlia si riprenderà avrà bisogno di voi, e dovrete
essere in perfetta salute.” La esortò, posando una mano sulla sua spalla, e
sperando che la Regina
staccasse gli occhi da Isabel e le desse retta.
“Vi prego di uscire, lady
Willoughby..” La voce della Sovrana fu poco più che un sussurro, ma la sua dama
prediletta la sentì fin troppo bene. “Lasciatemi sola!!” Aggiunse con uno
scatto di impazienza che, pur leggero, non era da lei, sempre così calma e
pacata. Maria de Salinas si affrettò ad obbedire in silenzio e, dopo averla
riverita, uscì da lì.
“Non vuole mangiare?”
Chiese Grace, al vedere la dama. Lady Willoughby scosse la testa sconsolata.
“Ma non può!!” Eruppe.
“Miss Plummer, Sua Maestà è
stata fin troppo chiara.” La stoppò la nobildonna spagnola. Grace non rispose
nulla, ma chinò in capo. Per quasi quattro ore restò in attesa che la Regina emergesse da quella
sorta di limbo in cui era precipitata, ma non accadde nulla. Così, disobbedendo
all’ordine che le era stato impartito e disattendendo la volontà della stessa
Caterina, si diresse verso le cucine, fece preparare un pasto veloce ma
nutriente, e lo portò nella stanza dove era distesa Isabel.
Quando vide la Sovrana inginocchiata
accanto al letto della figlia, quasi totalmente china su di essa e
completamente presa dalla sua creatura, la giovane dama ebbe per un attimo dei
seri dubbi sulla validità del suo proposito e temette di mettersi in guai molto
seri. La Regina
era stata più che categorica nell’esprimere la propria volontà, e opporsi come
stava facendo lei poteva essere assai pericoloso.
“Cosa desiderate, miss
Plummer?” Chiese all’improvviso Caterina. Grace, che stava ormai uscendo, si
fermò, quasi paralizzata. Non aveva ‘scampo’, né altra scelta che voltarsi
verso di lei e portare avanti l’idea che aveva pensato.
“Maestà, ecco io..”
Biascicò, la gola secca per il terrore di fare altri danni. Al solo vedere il
vassoio con il piatto, lo sguardo della Sovrana si incupì inesorabilmente.
“Ho detto che non avrei
mangiato!!” Sibilò furente, mentre Grace riprendeva a mormorare qualcosa. “Vedo
che non vi siete presa la briga di ascoltare, miss Plummer!!” La giovane dama
impallidì e abbassò lo sguardo. Era in un mare di guai, lo sapeva benissimo.
Non solo non osò rispondere, ma nemmeno provò ad alzare lo sguardo su di lei.
“Andatevene via!” La scudisciò infine.
“Maestà, io ho sbagliato, e
me ne prenderò le conseguenze. E’ giusto e sono pronta. Ma, vi prego, non
trascuratevi. Fatelo per vostra figlia.” Era ormai sulla porta, quando si voltò
e provò un ultimo appello a Caterina. Per alcuni minuti, la Sovrana stette in totale
silenzio, poi si volto verso Grace.
“Se non voglio crollare
sarà il caso che mangi, almeno un po’..” Commentò. Senza farselo ripetere due
volte, la ragazza corse verso di lei e posò il vassoio su un tavolino vicino al
caminetto.
“Quando avete terminato,
non esitate a chiamarmi..” Mormorò, chinandosi di fronte a lei e prendendo
congedo.
“Lo farò, miss Plummer..”
Rispose Caterina, ritrovando un certo piglio nella voce. “E non discuteremo
solo del mio pranzo..” La avvertì, facendole capire che la sua iniziativa non
le era per niente piaciuta, e che doveva attendersi una dura reprimenda.
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“Maestà, il dottor Griffith
vorrebbe parlarvi..”
Impegnato a fare colazione,
Enrico guardò prima la moglie seduta accanto a lui, e poi il valletto che era
entrato nel suo salottino privato.
“Fatelo entrare, dunque..”
Rispose il Sovrano, finendo di masticare un pezzo di frutta.
“Maestà.. mi scuso per
l’improvvisata..” Salutò il medico personale della Regina, non appena entrò
nella sala. I due sovrani risposero al saluto, e poi Caterina sorrise un poco,
come a dire che non c’era alcun problema. “Son passati tre giorni da quando la Principessa è arrivata
a palazzo e due da quando ha cominciato a stare male; la sua febbre non è mai
scesa e siamo sinceramente preoccupati.” Cominciò a spiegare. Enrico, che aveva
ripreso a mangiare, si fermò di colpo. Quelle notizie erano inaspettate e lo
turbarono non poco. Non che ignorasse le condizioni di Isabel, ma pensava che
il suo stato fosse dovuto in buona parte alle condizioni in cui aveva viaggiato
ed era arrivata a Londra, oltre al pestaggio subito. Aveva pensato che i due
medici potessero curarla e farla stare meglio in poche ore, ed invece… Mentre
attendeva che il medico terminasse di spiegare, lanciò un’occhiata alla moglie.
Nonostante il suo solito, incredibile, perfetto autocontrollo, Enrico poteva infatti
vedere il suo labbro inferiore tremare appena, ed una leggera ombra di sudore
bagnarle quello superiore. Con ostentata calma, le andò a fianco e le prese la
mano. Lei gliela strinse immediatamente, e chiuse gli occhi. Era evidente
quanto fosse terrorizzata e questo lo accese.
“Volete dire che non sapete
fare il vostro mestiere, dottor Griffith?” Lo accusò, nemmeno troppo
velatamente. Il medico deglutì un paio di volte, e tentò un sorriso.
“No, Maestà..” Disse,
ritrovando la sua abituale compostezza. “Dico solo che io e il vostro medico non
sappiamo cosa fare per far riprendere vostra figlia e che, forse, la nostra
medicina non è all’altezza..” Ammise, con un leggero tremore nella voce. Col
collega aveva deciso che sarebbe stato lui ad andare dai sovrani, a perorare
una certa causa. Essendo il medico personale di Caterina, avrebbe avuto più
facilmente la Regina
dalla loro parte, ed era assolutamente vitale che lei si schierasse al loro
fianco.
“Allora parlate, perdio!!!”
Esplose il Re, lasciando la mano di Caterina, e facendo un passo verso il
medico. “State lì a tergiversare!!, ad attendere!!”
“Enrico..” Mormorò la Regina, con voce appena
percettibile, la mano posata su quella del marito, e stretta intorno al polso
di lui, lo invitava alla moderazione ed alla calma.
Il Sovrano non rispose alla
moglie, né diede altro segno, ma tacque, e il dottor Griffith poté così
proseguire.
“Vorremmo che a prendersi
cura della Principessa fosse Yousuf al bin Ismail, sire.” Disse deciso il
medico. Enrico aggrottò leggermente le sopracciglia, ma non fiatò, dando così
al proprio interlocutore la possibilità di proseguire. “E’ un medico davvero molto
capace, da quando la sua scienza è al servizio di Vostra Maestà, lo spedale di
Lambeth è diventato..”
“E’ cristiano?” Chiese
Enrico, alzando all’improvviso la mano e fermando il prevedibile discorso che
sarebbe continuato.
Il medico si zittì subito.
Interdetto scambiò uno sguardo con la
Regina, ma, anche lei, era rimasta spiazzata dalla domanda
del marito.
“Maestà, ecco..” Replicò
sir Griffith, in evidente imbarazzo. “E’ un uomo di scienza, valido e
preparato; credetemi..”
“Allora, non se ne parla
nemmeno.” Sentenziò il Sovrano, afferrando al volo l’antifona.
Sgomenta per le parole
appena udite, la Regina
si voltò verso il marito, che fissava, torvo in viso, il proprio ‘antagonista’.
“No, Enrico.. vi supplico,
sire..” La Sovrana
gli prese le mani, stringendole forte, e quasi inginocchiandosi di fronte a
lui.
Re Enrico riuscì a liberare
una mano e la sostenne prontamente,
“Vi scongiuro, Maestà,
salvatela. Salvate la mia bambina..”
In silenzio la ascoltò,
imbarazzato e sorpreso dalla sua reazione, così forte ed appassionata, ma così dolce
e materna, proprio come era lei. Gli occhi blu della moglie divennero rossi in
un attimo, ma lei riuscì a non cedere al pianto. Solo le sue mani si chiusero
attorno a quella del marito, in una preghiera muta, ma implorante.
Il Re chiuse gli occhi,
vinto. Yousuf al bin Ismail era un infedele, lui lo sapeva. Fino a che toccava
i suoi sudditi, poveracci condannati e di cui non gli importava nulla, era un
conto. Ma Isabel... per un attimo si vide di fronte al Diavolo. Per un solo istante
vide gli occhi rossi e gialli del Maligno ghignare di soddisfazione, la bocca
aperta in un sorriso orrendo e le mani pronte ad arraffare la sua creatura. Era
terrorizzato, paralizzato dalla paura, ma sapeva fin troppo bene che
l’alternativa era consegnarla nelle mani tremanti e, fino a quel momento,
incapaci dei medici di corte. Al punto in cui era, avrebbe tentato di tutto,
pur di salvare Isabel.
“E va bene..” Mormorò,
sentendosi sconfitto. Immediatamente Caterina e il dottor Griffith sorrisero,
sollevati. Il medico fece quasi per voltarsi a dare immediate disposizioni. Il
tono perentorio della voce del Re lo fermò, facendolo restare col piede a
mezz’aria, sia pure per pochi secondi. “Ma badate.. un solo passo falso, una
purga o un salasso di troppo, e giuro che finirà a Tyburn, appeso, eviscerato,
evirato e squartato come la più infame delle carogne!” La minaccia andò a
segno, perché sia sir Reginald che Caterina persero il sorriso che ancora
illuminava i loro volti. “Fate in modo che Yousuf al bin Ismail sappia, e non
mancate di ripetergli ogni momento il mio ammonimento!!” Il dito ancora puntato
verso il medico, Enrico quasi soffiò quelle parole, rosso in volto e con il
respiro affannoso.
“Non dubitate, sire..”
Rispose quello, pallido e leggermente colpito dalle parole del Re. Quella
minaccia avrebbe colpito anche lui e sir Linacre, se qualcosa fosse andato
storto, lo sapeva fin troppo bene. Tuttavia cercò di non pensarci e, dopo aver
riverito i Sovrani, si affrettò a lasciare la piccola sala. Meno tempo perdeva,
meglio sarebbe stato.
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“Lasciate, sir, faccio
io..”
Caterina prese dalle mani
di Yousuf una pezzuola imbibita di acqua, e la passò sulla fronte bollente di
Isabel.
Da quando il medico arabo
era entrato in scena ed aveva cominciato a prendersi cura della Principessa,
quasi tre giorni, la situazione non era per niente migliorata, tutt’altro.
Le finestre della stanza
dove la fanciulla era sistemata erano state aperte fin da subito, in modo che
l’aria fredda delle giornate autunnali circolasse per gran parte della
giornata, le bende umide che i due medici inglesi avevano sistemato sulla fronte
e le braccia di Isabel, che venivano cambiate ogni otto ore, erano state quasi
quadruplicate e venivano sostituite ogni quattro ore. Con somma sorpresa di sir
Linacre, il medico musulmano aveva bandito salassi e purghe, e preferiva che
due volte al giorno le fosse somministrato un po’ di vino, in modo che le desse
forza. Tutti quei metodi, strani e ben poco ortodossi per gli inglesi, non
avevano portato benefici e nelle ultime quarantotto ore il corpo della
Principessa era quasi diventato una fornace. La parte superiore delle guance si
era arrossata fin quasi a diventare paonazza, il volto, pur diventando sempre
più scavato e sofferente, non si era sgonfiato, né i lividi si erano attenuati,
cambiando colore. Da quando aveva chiuso gli occhi, dopo la benedizione della
mamma, Isabel non s’era più svegliata e l’intero Paese era in uno stato di
angoscia e trepidazione. Come loro consuetudine, i due sovrani vivevano anche
questa situazione in modi diametralmente opposti.
Il Re alternava scatti
d’ira pazzeschi ad altrettanto sorprendenti crisi in cui minacciava le lacrime.
In quei tre giorni aveva tenuto una seduta del Consiglio al giorno, ma tutte
erano state interrotte bruscamente, ora in un momento ora in un altro, non
appena qualche valletto era entrato ad annunciare la situazione delle
condizioni di Isabel. Charles Brandon l’aveva spesso trovato nei giardini più
appartati di Greenwich, in ginocchio con la testa fra le mani, oppure intento a
passeggiare fra un vialetto e l’altro, con i nervi a fior di pelle.
La Regina, invece, si
era praticamente ritirata dalla vita pubblica, non aveva lasciato mai il
capezzale della figlia, divenendo lei stessa assistente di Yousuf, che la
aggiunse ai due che aveva già. La tenue speranza di saperla in mani capaci,
speranza che l’aveva sostenuta per quasi due giorni, era tuttavia pian piano diminuita,
fino a spegnersi quasi del tutto, di fronte al sempre più evidente
peggioramento delle condizioni della fanciulla. Isabel non reagiva, non
migliorava, non dava alcun cenno di ripresa e vederla immobile nel letto era
tremendo. La Sovrana
le parlava spesso, pregava a voce alta accanto a lei, o le raccontava di quando
era piccola, ma nulla cambiava.
“Gracias, Majestad..” Mormorò Yousuf. Caterina chiuse gli occhi per
un attimo, cercando di dimenticare che l’ultima volta che aveva sentito parlare
spagnolo era stato quando Isabel le aveva fatto capire che si era svegliata e
che, almeno momentaneamente, si era ripresa. Con dolcezza, la Regina aveva preso il
piccolo canovaccio in lino e l’aveva passato sul collo della figlia, nella zona
delle clavicole, fino alle spalle, poi sulle braccia e le mani, fino a
rinfrescarle la pelle bollente. Come al solito, Isabel non aveva reagito in
alcun modo e per un attimo, un solo brevissimo istante, la Sovrana era stata quasi tentata
di afferrarla per le spalle e provare a scuoterla. Era incredibilmente doloroso
vederla così passiva e ferma; se pensava alla quotidiana energia e vivacità che
metteva in ogni cosa che faceva, il confronto diveniva crudele e terribile.
“Amore mio, ti prego, torna
da me..” Mormorò in spagnolo la
Sovrana, chinandosi sulla figlia e parlandole amorevolmente.
Yousuf, che udì la sua voce,
e ne intuì la carica emotiva, chiamò a sé gli assistenti ed uscì, lasciandola
tranquilla e libera di parlare.
“Angelo mio, devi
riprenderti.” La incoraggiò, prendendo la sua mano ed accarezzandola. “Devi
farti coraggio e resistere, bambina mia adorata.. Mi senti, amore? Devi
resistere..” Mormorò, accarezzandole un fianco e sentendo fortissimo l’impulso di
prendere la figlia fra le braccia.
Così la trovò Enrico
quando, pochi istanti dopo, fece capolino nella stanza.
Nell’avvicinarsi a lei, notò
una cosa cui in tutti quegli anni non aveva mai badato: la parte terminale di
una cicatrice che Isabel aveva sul braccio destro. Pochi secondi, e il Re
ricordò perfettamente come si era ferita.
Era estate, Isabel aveva
poco più di sei anni e Maria quasi undici. Di ritorno dalla Francia, dove lui e
la moglie avevano incontrato i Sovrani francesi, e fidanzato Maria col Delfino,
le due sorelline avevano preso ad aver litigi e discussioni a ripetizione;
Enrico non ricordava quando tutto fosse iniziato, sapeva solo che questi
scontri erano arbitrati da Caterina che, ora con la dolcezza, ora con la
severità, cercava di far capire loro che dovevano e potevano confrontarsi e
perfino litigare, ma senza che venisse mai meno il rispetto reciproco. Maria,
pur essendo la maggiore, contava sul suo aiuto e sul suo sostegno, e lui era
sempre pronto a scusarla ed a supportarla, sovente a scapito di Isabel; con una
punta di rimorso il Re si rese conto che la maggiore delle sue figlie non
esitava allora a tiranneggiare la sorella, spesso raccontando bugie sul reale
svolgimento dei fatti. Quando quel che accadeva arrivava alle sue orecchie, a
nulla servivano le intercessioni di Caterina a favore di Isabel; la piccola
veniva invariabilmente punita, con carichi di studio supplementari,
accompagnati da lunghi e solenni rimproveri.
Quella volta non faceva
eccezione: Maria,preso alla sorella un libro, aveva cominciato a correre qua e
là per il giardino, inseguita senza sosta da Isabel che, a sua volta, cercava
di recuperare ciò che le apparteneva. Lady Salisbury e lady Thorston,
governanti di Maria e di Isabel, rispettivamente, seguivano quell’ennesima
lotta, e avevano più volte comandato loro di smettere, ma nessuna delle due
aveva minimamente dato retta agli ammonimenti ricevuti. Maria continuava a
correre, ed Isabel ad inseguire.
All’improvviso le voci
erano cessate ed il momentaneo, apparente silenzio era stato squarciato
dall’urlo di dolore e di terrore di Isabel.
Lady Joan non ci aveva
pensato due volte ed era partita in soccorso della principessa a lei affidata;
con orrore l’aveva trovata accanto ad un cespuglio, con un piccolo ramo
infilato nel braccio. In un attimo si era accosciata e l’aveva presa in
braccio, poi si era diretta verso il palazzo, seguita sia dalla governante di
Maria che dalla bambina, la quale, alla vista della madre, non aveva osato nemmeno
fiatare.
Quando il Re aveva
raggiunto la moglie, tutto era finito.
“Come sta?” Aveva chiesto, avanzando
a piccoli passi nella stanza. Era strano, si sentiva colpevole per la
disobbedienza di Maria, come fosse stata la propria. Caterina gli aveva detto
mille volte che viziarla oltremodo non avrebbe aiutato nessuna delle loro
figlie, ma lui aveva regolarmente fatto spallucce. Ora temeva il suo
rimprovero, almeno quanto da bambino temeva quelli di suo padre.
Ed invece, Caterina aveva alzato
lo sguardo e rilassato il viso in una sorta di sorriso. Seduta in un’enorme
sedia, teneva sulle ginocchia Isabel che, sfinita dalla paura, dalle lacrime e
dal dolore, dormiva tranquilla. Il braccio della bambina, avvolto in un panno
candido di lino, era coperto, in corrispondenza della ricucitura, di
macchioline di sangue.
“Non pensi sia meglio
stenderla?” Chiese ancora, ma contrariamente al suo solito, stavolta non c’era
rimprovero né astio nella sua voce.
“Lo so, Enrico..” Rispose lei,
posando le labbra sulla fronte della piccola e riprendendo a cullarla
dolcemente. “Non riesco a lasciarla. Mi sembra un miracolo che quel ramo non
sia finito in un occhio..”
Il Sovrano aveva annuito in
silenzio e si era seduto accanto alla moglie, restando accanto a lei, per ore,
in attesa che Isabel si svegliasse.
Mentre avanzava verso il
letto di Isabel, titubante adesso come allora, non poté far a meno di ripensare
a quella vicenda. Adesso come allora, Caterina era intenta a coccolare Isabel,
standole accanto ogni momento libero della giornata, e riversando su di lei
tutto l’affetto di cui si sentiva capace.
Dopo essersi segnato,
l’ambasciatore Chapuys avanzò lungo la navata. L’odore di incenso era come
sempre intenso, e l’unica luce era quella che proveniva dalle alte vetrate
istoriate e dalle innumerevoli candele. Inginocchiato e con la fronte posata
sulle braccia, un’unica figura abitava quel luogo solitario, ed era
evidentemente in preghiera o in raccoglimento.
“Joàn..” Mormorò il legato,
posando una mano sulla sua spalla. Come colto di soprassalto, egli alzò di
scatto il capo e si voltò alla propria sinistra.
“Eccellenza.. ci sono
novità?” Chiese preoccupato, alzandosi e spostandosi leggermente alla propria
destra, in modo che l’ambasciatore potesse accomodarsi.
“No, nessuna novità..”
Rispose Eustace Chapuys con un sospiro ormai rassegnato. “Il medico arabo sta
facendo del proprio meglio, ma non ci sono miglioramenti..”
Joàn serrò la mascella e
deglutì il groppo che, a quella notizia, sentì arrivare subito su.
“Cosa possiamo fare,
Eccellenza?” Chiese di slancio. “Io mi metto al servizio della Regina, e se
posso dare una mano lo faccio volentieri. Non ce la faccio più a stare qui, con
le mani in mano..”
A quelle parole, il buon
Chapuys posò una mano sul braccio del suo giovane protetto.
“Non spetta a noi, amico
mio. Non spetta a noi.” Gli rispose calmo. Joàn guardò davanti a sé e poi chinò
il capo, quasi sconfitto. “La
Regina sa che le siamo fedeli e che può, qualora lo ritenga giusto
ed opportuno, chiamarci, in qualunque momento.”
“Non è giusto, sapete?” Mormorò
Joàn. Non voleva contraddirlo, o mettersi contro i due Sovrani, ma sentiva la
pesantezza di quell’attesa. “Io vorrei davvero…”
“Mio giovane amico, Re
Enrico, e soprattutto la Regina,
vi sono incredibilmente grati per aver riportato la Principessa in
Inghilterra. Dobbiamo aver pazienza, caro Joàn, e attendere che la Principessa si
riprenda..” Riprese Chapuys, stringendo leggermente il suo braccio. Joàn
rispose unicamente con un sospiro. Poi, annuì silenziosamente. “E non
dimenticate che dovete tornare presso l’Imperatore, per concludere le
trattative..”
A quelle parole Joàn ebbe
un improvviso tremito e si adombrò.
“Vorrei non dover concludere
proprio nulla..” Ammise, sconsolato.
“Farewell, vain world! I'm going home!”
Al sentire quel canto
sommesso Caterina si guardò intorno, cercando di capire chi osasse fare una
cosa del genere, in quella situazione poi. Grande fu la sua sorpresa quando si
rese conto che era Isabel! Subito posò ciò che aveva in mano e raggiunse il
letto.
“Amore, sei sveglia!” Proruppe, sorridendo di sollievo. “Lady
Joan, chiamate il medico, vi prego!!” Esclamò. Subito prese le mani di Isabel e
le baciò, poi le accarezzò il viso.
“My Savior smiles.. I don't care to stay here long! Sweet angels beckon
me away, I don't care to stay here long!” Cantò sommessamente la fanciulla.
Non guardò, né rispose a sua madre. La Regina la fissò, perplessa. C’era qualcosa di
strano nel suo comportamento. Era come se non fosse presente a se stessa.
“Amore, guardami..” Le
disse, cominciando a sentirsi ansiosa. Con delicatezza prese per il mento il
viso di Isabel e tentò di girarlo in modo che la guardasse per bene. “Isabelita, sono io..” Mormorò in
spagnolo. “Sono la tua mamma, angelo mio..”
Ma Isabel non rispondeva.
Il viso era girato verso di lei, gli occhi della figlia erano nei suoi, ma non
la guardavano. Isabel sembrava non rendersi nemmeno conto di averla di fronte.
Tutto quel che faceva era ripetere quel canto in modo ossessivo. In attesa di
Yousuf, tese le orecchie e cercò di afferrare se non le parole, almeno il
concetto che esprimeva. Uno degli assistenti del medico arabo si avvicinò al
letto, ma Caterina lo fulminò con lo sguardo.
“Non vi azzardate..” Sibilò
con un tono tale che quello si piantò come un palo, non osando nemmeno
risponderle. “Mi cielo, sono qui..
sono qui accanto a te, mi preciosa hija..”
Con dolcezza, ma anche con
decisione, Caterina riprese a cercare un contatto visivo con Isabel. Non capiva
che cosa le stesse succedendo e cosa potesse fare per modificare la situazione.
“Lei non mi vuole..”
Mormorò la fanciulla. “Lei non mi vuole..”
A quelle parole la Sovrana si bloccò. A chi
si stava riferendo Isabel? Di chi stava parlando?
“Amore mio, di chi parli?”
Le chiese prendendole le braccia e facendo in modo che lei la guardasse. Per tutta
risposta, Isabel agitò il braccio, tentando di scioglierlo dalla presa materna.
In quella entrò Yousuf; non
gli bastarono che pochi secondi per capire che la Principessa era preda
di uno strano delirio. In un istante le tastò la fronte con la mano, e poi il
collo; quindi guardò Caterina perché la lasciasse. La Sovrana obbedì prontamente
e lui poté prenderla in braccio. La fanciulla si agitò un paio di volte, ma la
presa del medico era forte e salda, e non la lasciò andare.
“Non mi vuole!!! La
spagnola mi ha venduta!!” Riprese a gridare Isabel mentre Yousuf attraversava
la vetrata ed il giardino. La
Regina, che era dietro di loro, si paralizzò.
Le parole di Isabel erano
dettate evidentemente dalla febbre e dal delirio, ma forse proprio per questo
più genuine, meno artefatte. Il suo dolore era così radicato da farle gridare
una cosa tanto infamante; tutti in Inghilterra sapevano quanto Caterina
adorasse entrambe le sue figlie, e tutti sapevano che per Isabel avesse una
predilezione del tutto speciale.
Paralizzata dalle parole
della figlia, che ancora si agitava e faceva sentire la propria voce disperata,
Caterina la guardò mentre Yousuf la immergeva per diversi lunghi minuti in un
cumulo di neve. All’improvviso la fanciulla tacque, il volto pallido; cominciò
a tremare visibilmente, le labbra divennero leggermente blu e gli occhi
minacciarono di chiudersi. Come un fulmine lady Joan passò accanto alla Regina,
la superò e si diresse verso Yousuf ed Isabel. Non appena il medico sollevò di
nuovo fra le braccia la fanciulla, la dama cercò di avvolgerla in una coperta,
poi i due sfrecciarono davanti e di fianco a Caterina, diretti nuovamente verso
il palazzo.
“Che cosa pensavate di
fare? Ditemi, signore, cosa diavolo pensavate di fare con mia figlia?” Enrico
non attese nemmeno che Yousuf e lady Joan rimettessero a letto Isabel, che
subito lo aggredì. Il medico terminò quel che stava facendo e poi alzò il viso
sul Sovrano, puntandogli addosso i suoi occhi nerissimi.
“Salvarle la vita, sire.”
Rispose semplicemente.
Tre ore dopo un urlo
straziante svegliò di soprassalto Yousuf al bin Ismail. Si era appisolato per
poco meno di mezz’ora, vinto dalla terza notte consecutiva praticamente in
bianco, dalla fortissima tensione accumulata in quei giorni ed infine anche dal
recente diverbio con il Sovrano, a proposito dei suoi ‘metodi curativi’. In
fretta balzò in piedi dalla poltrona su cui si era seduto e corse a perdifiato in
direzione di quella voce.
“Dio, no!! Oh, mio Dio
NO!!!” A mano a mano che correva, il medico arabo sentiva sempre più forte
quella voce straziata. “Amore mio, svegliati!! Svegliati, angelo mio!!
Parlami!!!”
Quando spalancò la porta
della stanza dove Isabel dormiva, trovò la Regina che, seduta sul letto e mani strette sulle
sue spalle, scuoteva con foga la figlia. La testa della fanciulla era del tutto
reclinata all’indietro, gli occhi chiusi e sul viso era diffuso un pallore
mortale.
Isabel era morta.
“Svegliati, amore!
Svegliati, ti prego; svegliati amore mio..” Continuava a gridare Caterina. “Non
mi lasciare, angelo! Non mi lasciare, non mi lasciare…”