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Autore: Bardunfula    13/03/2010    0 recensioni
Devo parte dell’ispirazione per questa fanfiction a ‘The Portrait of the Unknown One’, una fanfiction che l’utente Lemondropseverus ha pubblicato sul sito www.fanfiction.net .
Il resto è opera mia.
La fiction è ambientata nell'Inghilterra di Enrico VII, ma non segue necessariamente il corso 'veritiero' degli avvenimenti storici che tutti noi conosciamo.
Caterina d'Aragona ed Enrico Tudor sono sposati da cinque anni. Hanno già una primogenita, Maria, e sono in attesa del loro secondogenito.
Sarà, finalmente, un maschio?
I personaggi della fic, alcuni sono realmente esistiti, altri no.
Buona lettura, e commentate :)
Genere: Generale, Storico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
Capitoli:
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A Queen's Daughter - Real Danger

Londra, Autunno 1531 – Real danger

 

“Joàn!! Aiutatemi, vi supplico..”
Isabel non fece nemmeno in tempo ad afferrar la giubba di velluto del giovane che svenne, afflosciandosi come un sacco vuoto. Il nobiluomo spagnolo la prese immediatamente fra le braccia.

Zuppo di pioggia e sporco di terra e fango, non meno che Isabel
, nemmeno si curò della traccia che entrambi avevano lasciato da che avevano messo piede a palazzo. L’unica cosa che gli premeva in quel momento era arrivare agli appartamenti della Regina. Isabel doveva esser immediatamente asciugata e messa a letto.
Non aveva nemmeno ripreso a camminare che, a meno di venti passi, scorse due figure femminili. Erano la Regina e lady Willoughby.
Il giovane accennò un leggero cenno del capo, ma poi pensò unicamente alla Principessa e riprese a camminare a passo più svelto che poté.
Caterina sembrò avere la stessa idea, perché, afferrò i lembi della veste da camera e corse verso di loro.
Per un attimo, essa sembrò voler prendere Isabel dalle braccia di Joàn e portarla lei stessa nelle proprie stanze, invece restò pietrificata ad osservare il volto devastato della figlia. Ci vollero diversi istanti perché si riprendesse del tutto, ma quando avvenne, prese tra le mani il viso gelido e tumefatto di Isabel, lo esaminò con estrema attenzione, quindi aprì il doppio mantello in cui era avvolta. Subito da esso grondò a terra una miscela pesante e molle di acqua, ghiaccio e fango, che sporcò ulteriormente gli stivali di Joàn e le pantofole da notte di Caterina. La Sovrana non sembrò farci nemmeno caso, tutt’attenta come era a tastare le mani e il polso della figlia.
“Il mio medico, e quello del Re!!, immediatamente.” Ordinò ad una dama poco dietro di lei, che sparì all’istante. Un valletto si avvicinò senza nemmeno la necessità di un richiamo e prese Isabel dalle braccia di Joàn, quindi la Regina si voltò verso Maria de Salinas e le diede precise istruzioni su come trattare la figlia fino all’arrivo dei medici. Al pari dei due prima di lei, anche la dama spagnola sparì, e Caterina e Joàn restarono soli.
“Grazie, sir..” Disse unicamente la Regina.

“Maestà, la Principessa vostra figlia è arrivata.”
Fu sir More in persona ad entrare nello studio privato di Enrico, annunciandogli l’arrivo di Isabel. Il Sovrano, che stava esaminando alcune carte importanti, sollevò gli occhi dai fogli e poi si alzò di scatto.
“Perché nessuno mi ha avvertito? E dov’è ora? Come sta? Chi è con lei? Avete chiamato sir Linacre?” Chiese in rapida successione, slanciandosi poi verso la porta. Il Cancelliere lo raggiunse in due passi e lo fermò, cercando di farlo calmare.
“Enrico, calmatevi..” Gli disse, guardandolo in volto. “C’è la Regina con lei, ed entrambi i dottori delle Loro Maestà. Ora calmatevi, Enrico. Non vorrete entrare nella camera di vostra figlia in queste condizioni..”
Il Re restò in silenzio, ma annuì alle sensate parole del suo amico e Cancelliere. Oramai Thomas era preziosissimo, non solo come uomo di Stato, ma anche, e soprattutto, come amico. Raramente le sue posizioni non erano condivisibili, e ancora più raramente esse erano contrarie al bene del suo Paese.
“Come stava?” Chiese, dopo un po’ e dopo aver riacquistato un po’ di calma.
“Tutto considerato, bene.” Rispose sir More, dopo diversi istanti.
Non sapeva davvero cosa dire per preparare il Re a quel che avrebbe visto. Quando aveva intravvisto Isabel, deposta sul letto, come padre si era sentito letteralmente strizzare le budella, e il suo cuore aveva dato un tuffo. Poi i suoi occhi si erano posati sul viso pallido e sgomento della Regina che attendeva il responso dei due medici, ed era corso via, incapace di sostenere quella situazione. Forse per la prima volta in vita sua, aveva provato una sensazione di rabbia cieca e di impotenza assieme. Isabel si era senza dubbio infilata in un matrimonio palesemente sbagliato, incoraggiata e sostenuta dai genitori, ma non era né la prima né sarebbe stata l’ultima Principessa a trovarsi in una situazione spiacevole e con un marito con cui non aveva nulla in comune. Quel che era accaduto, invece, era a dir poco assurdo, e nessuno dei tre, Isabel in primis, meritava un conto tanto salato da pagare, per quanto si fosse comportato con troppa leggerezza in una materia tanto delicata.
“Avranno finito i medici?” Chiese Enrico, mettendo da una parte i fogli che aveva ripreso in mano.
“Vale la pena di andare a vedere..” mormorò pensieroso sir Thomas, sperando che lo stato del viso della Principessa fosse peggiore delle sue condizioni reali, e che potesse rimettersi presto.

 

“Temo la Principessa abbia la febbre, Maestà. Tuttavia, siamo riusciti ad asciugarla del tutto e stiamo provvedendo a riscaldarla..”
Il dottor Griffith, assieme al dottor Linacre, andarono immediatamente incontro a Caterina che, dopo aver parlato con sir Fernandez, raggiunse i propri appartamenti, quindi Isabel. Quelle parole non le piacquero affatto, ma se non altro ora la sua creatura era in un ambiente caldo ed asciutto, circondata da persone che si sarebbero prese cura di lei.
“Per quanto riguarda i lividi, Maestà.” Mormorò il dottor Griffith a voce più bassa, e con evidente imbarazzo. Caterina tornò a guardarlo in attesa che parlasse. “Non sembrano esserci ossa rotte, ma sarà da valutare bene lo stato di vostra figlia quando si sveglierà e si riprenderà del tutto..” Spiegò, e fece capire che i colpi presi da Isabel erano stati duri e di una certa forza. La Sovrana annuì e poi si avvicinò al letto della figlia. Discretamente ed in silenzio le dame e i due medici uscirono dalla stanza, permettendo una certa privacy.
Caterina si sedette sul letto e guardò Isabel in un’altalena di sentimenti. Non la vedeva né sentiva da nove mesi, ed era visibilmente più magra. Zigomo ed orbita sinistri erano gonfi e lividi, e l’arcata sopraccigliare era stata suturata. Anche la bocca e il naso della fanciulla non avevano la loro naturale linea ed erano illividiti, ma di sicuro il freddo e le condizioni di disagio avevano accentuato notevolmente il tutto. Completava il quadro l’occhio destro, gonfio e, a differenza di quello sinistro, chiuso. La Regina non osò nemmeno toccarla per timore di svegliarla o farle male. Si limitò a prenderle la mano sinistra nella propria, accarezzandole le dita, lentamente. Era gelida e le dita erano rosse e leggermente gonfie. Con delicatezza se la posò in grembo, quindi cominciò ad accarezzarle piano il braccio, cercando di abituarsi allo stato del suo viso.
All’improvviso si udì un frastuono di passi e di voci concitate dall’anticamera antistante la porta. Caterina si girò appena in tempo per vedere suo marito entrare come una furia nella stanza.
“Oh, mio Dio!! No!! NO!! NOOO!!!” Eruppe il Sovrano, incapace di contenere il proprio terrore. Subito si slanciò verso il letto in cui la figlia riposava, e quasi certamente l’avrebbe presa fra le braccia, se Caterina non l’avesse fermato, abbracciandolo e tentando di calmarlo.
“Amore mio, calmatevi..” Mormorò, con dolcezza, sostenendolo nonostante fosse più minuta di lui. Il pianto del Re non si fece attendere ed esplose, inconsolabile. Abbracciato alla moglie, cadde in ginocchio, trascinando anche lei con sé.
Caterina lo strinse fra le braccia, quasi a proteggerlo da quella visione terrificante. Mentre Enrico piangeva calde lacrime, lei ripensò a tutte le volte che era stato cinico e freddo nei confronti di Isabel. Lui preferiva Maria, più obbediente e solerte nei suoi riguardi; tutta la corte lo sapeva, e perfino le due ragazze. Non si era mai nemmeno premurato di essere almeno discreto in questa sua preferenza. L’aver visto Isabel in quelle terribili condizioni, sembrava aver fatto nascere una sorta di amore paterno, tanto violento e immediato, quanto pericolosamente momentaneo. Caterina sapeva come andavano le ‘passioni’ del marito; quanto più erano accese ed esplosive, tanto più erano fugaci e momentanee.
“Dov’è Linacre?” Chiese Enrico, rompendo quel momento di vicinanza fra loro. Dopo aver sciolto l’abbraccio con la moglie, si tirò su in piedi e poi le porse la mano, aiutandola a ritrovare la posizione eretta.
“Penso sia fuori, Enrico..” Rispose lei, andando con lo sguardo su Isabel. “Restate qui con me, ve ne prego..” Chiese.
Il marito si voltò verso di lei e fece anche un paio di passi nella sua direzione, ma poi i suoi occhi si posarono sul viso devastato della figlia e si sentì tremare.
“No. Devo vedere Linacre..” Rispose all’improvviso, ed uscì.
Caterina sospirò, sconsolata. In realtà, non si aspettava che Enrico rimanesse, ma vederlo fuggire a quel modo le spiaceva molto. Sapeva che la sua speranza non aveva fondamento alcuno. Il Re temeva tutto ciò che aveva a che fare con le malattie, o con uno stato di salute non perfetto. Vedere Isabel in quelle condizioni non aveva aiutato per nulla, e non appena aveva ripreso il controllo di sé, egli era scappato.
A passi lenti tornò accanto al letto di Isabel e si sedette proprio mentre lei gemeva di dolore. Dopo un attimo aprì l’occhio sinistro, e la fissò.
Majestad..” Mormorò dolorosamente la fanciulla, guardandosi intorno e riconoscendo la camera da letto della  madre.
“Come ti senti, Isabel?” Mormorò Caterina, avvicinandosi e poi chinandosi ancora un po’ verso di lei. Era sorpresa, spaventata e tesa assieme. Isabel si era ripresa, certo, ma le sue condizioni erano tutt’altro che buone. Non badò nemmeno a sorriderle o a mostrarle la sua gioia nel vederla cosciente e in grado di parlare. Al momento le importava sapere come stesse e se potesse far qualcosa per lei.
“Perdonatemi..” Rispose Isabel, evitando la sua domanda. Con sorprendente energia, chiuse la mano che era posata in grembo a sua madre, sul ginocchio di lei, stringendolo leggermente. “Perdonatemi, per favore..” Ripeté con fatica, aumentando la stretta.
“Shht, Isabel, zitta..” Rispose la Regina, cercando di allentare la presa della mano e allo stesso tempo di calmarla. “Non ci pensare, ora, bambina..”
Isabel la fissò intensamente e riaprì la bocca per provare di nuovo a chiedere perdono. Caterina vide l’occhio aperto colmarsi di lacrime che presero a scendere lungo entrambe guance, rigando il viso della figlia.
“Perdonatemi, vi prego..” Tornò a chiedere la fanciulla, scossa dai singhiozzi.
Caterina scosse la testa. Non stava bene che Isabel si agitasse a quel modo. Senza pensar di poter essere fraintesa e che la sua determinazione potesse essere scambiata per durezza, posò la propria sulla mano della figlia, sciogliendo la stretta che ancora esercitava.
“Basta, Isabel, devi calmarti e riposare..” Disse decisa, ma con una nota apprensiva nella voce. La figlia scosse la testa e riprese a stringere la gamba materna.
“Per favore… per favore..” Implorò

La Sovrana chiuse gli occhi, sconfitta dall’insistenza della figlia. Nel tentativo di farla calmare, si chinò su di lei e, più ferma che poté, cercò di rassicurarla.
“Certo che ti perdono, Isabel.” Mormorò, stringendole la mano e ricevendo una stretta  pari alla propria.
Le lacrime sul volto di Isabel, anziché arrestarsi, continuarono a scorrere senza tregua. La giovane Principessa prese allora la mano della mamma e se la portò alla bocca, baciandola ripetutamente. Caterina si abbassò ulteriormente su di lei, le prese i lati della mandibola, accarezzandoli, quindi chiuse le dita sul mento.
“Ora dormi. Devi riposare e riprenderti, Isabelita.” Mormorò, abbassando la mano della figlia e preparandola al sonno ristoratore. Avrebbe voluto prenderla fra le braccia e tenerla stretta a sé, ma per via della febbre e del suo stato generale, non era davvero il caso di agitarla ulteriormente. Così, a malincuore, le impose con decisione il sonno. Ci sarebbe stato modo e tempo di stare vicine ancora una volta, di parlare, di spiegare le reciproche posizioni, ma mai come quella volta la Sovrana sentì forte il desiderio e l’urgenza di parlar con Isabel, di spiegarsi con lei, di dare e ricevere perdono.
“Beneditemi, Majestad.” Mormorò Isabel, fissando sua madre. “Vi prego, mia signora..”
A quella richiesta la Sovrana pensò di non riuscire a mantenere il contegno che fin lì si era imposta, riuscendoci perfettamente. Chiuse gli occhi e deglutì, col pollice destro fece un piccolo segno di croce sulla pelle calda e poi posò la mano sul volto della figlia ribelle, che, finalmente soddisfatta, chiuse gli occhi senza dire nulla.

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“Dottor Griffith, diteci..”
La mattina seguente, il medico personale di Caterina visitò Isabel assieme a quello di Enrico. Passarono quasi un’ora dalla Principessa, ad esaminare, valutare e tracciare il quadro delle sue condizioni, prima di uscire e raggiungere i Sovrani, in attesa. I due si scambiarono un’occhiata, quindi il dottor Griffith parlò.
“Vostre Maestà, la Principessa è in condizioni serie. Ha la febbre alta, i suoi polmoni sono congestionati, verosimilmente a causa del freddo e della pioggia. In una persona in buona salute una cavalcata, pur con un tempo inclemente, non arrecherebbe danno alcuno, ma vostra figlia è magra, debole e.. bè, diciamo non in perfetta salute..” Spiegò guardando la Sovrana, e facendole capire che la questione era decisamente seria. “Per ora le daremo del laudano e faremo in modo di abbassare la temperatura. Speriamo essa scenda in tempi brevi..”
“Voglio entrare da lei.. vi prego, fatemi passare, dottor Griffith.” Disse risoluta Caterina. Ciò che aveva sentito era stato così tremendo che non voleva perdere un minuto di più fuori dalla stanza in cui Isabel era stesa. Subito il medico le lasciò il passaggio, a differenza di sir Linacre, il medico di Enrico, che rimase fermo davanti alla porta.
“Maestà, io credo che voi dobbiate restare fuori e lasciare noi medici dentro con vostra figlia.” Azzardò a dire, pur in tono deferente e gentile. Caterina lo fulminò con lo sguardo e fece per proseguire oltre, senza nemmeno darsi la pena di rispondergli. “Maestà, vi prego..” Insisté ancora. “Lasciate fare a noi..” Consigliò avvicinando una mano al braccio della Regina, come se volesse fermarne il cammino. Caterina gli lanciò un’occhiata severa.
“State parlando di mia figlia, signore.” Sibilò. “Non azzardatevi a fermarmi..” E detto questo, passò oltre, andando verso la stanza.
Non appena la videro, le dame intorno al letto di Isabel la riverirono, e si allontanarono, lasciandole lo spazio per avvicinarsi.
Incosciente ed inerte, Isabel era distesa sul letto, un lenzuolo di lino ed una coperta leggera le arrivavano fino al petto. Caterina si sedette accanto a lei e le prese la mano, portandola alle labbra.


“Maestà..”
Charles Brandon gli toccò la spalla, e il Sovrano sussultò, spaventato. Per provare a non pensare alla figlia e riprendersi un pochino, dopo le notizie ricevute, si era diretto nella parte di giardino su cui si affacciava il suo studio. Qui passeggiò per ore, nel tentativo di togliersi dalla mente il viso di Isabel.
Quando la moglie era entrata nella sua stanza, l’aveva intravisto, e la voragine che dal  giorno prima gli si era aperta nel cuore e nello stomaco, si era addirittura spalancata. Il volto della Principessa gli era apparso quasi una maschera nera e viola. Non c’era nulla di umano e di riconoscibile. Nemmeno il respiro, solitamente calmo e regolare, che ora era quasi un rantolo affannato e faticoso. Incapace di gestire quell’immenso dolore che gli era piombato tutto in una volta, era corso a nascondersi lì. Ogni ora si rinnovava quello strazio tremendo, ogni momento che vedeva i volti dei consiglieri, dei cortigiani, dei servi, delle dame di Caterina, di chiunque fosse a palazzo in quei giorno. I loro occhi lo compativano e avevano pietà di lui, della moglie e del loro dolore. In fondo non erano che due genitori, accomunati a tanti altri che avevano, o avevano avuto, un figlio ammalato o sofferente.
“Io non sapevo che fosse così..” Mormorò, prendendosi la testa fra le mani. Chiuse gli occhi, strizzandoli. Non c’era nulla che potesse farlo stare meglio, nemmeno pensare che Isabel fino a quel momento gli aveva dato più grattacapi che gioie, e che tutto quanto era successo era stato un suo tragico errore di valutazione.
Aveva evidentemente pensato che quell’imbecille di svedese potesse essere il marito giusto e se l’era sposato di colpo, nonostante le perplessità che lui le aveva mostrato, e il fatto che la Regina avesse scatenato l’inferno ed avesse litigato furiosamente con lei. Ma in realtà Enrico biasimava se stesso. Per mesi interi Caterina non aveva fatto quasi altro che mettergli sotto il naso le continue deficienze di sir Sture, la sua mancanza di classe e di stile, il fatto che nemmeno riuscisse a comunicare con Isabel. Pensando che lei esagerasse e che volesse, come sempre, mettere becco in tutte le faccende che riguardavano le figlie, e specialmente Isabel, non aveva fatto altro che negare, prendendo le parti del nobile svedese, finendo per litigare con la Sovrana, fino a imporle la sua volontà. Quando la figlia aveva annunciato la sua volontà di sposare quell’uomo assurdo, lui non aveva fatto altro che opporre una minima resistenza. Ora il risultato di quell’atto coraggioso stava disteso sul letto della moglie, incosciente. Dio sapeva se si sarebbe mai ripresa, e quale sarebbe stata l’eredità di quel pestaggio.
Senza pensarci mollò un cazzotto all’albero che aveva di fronte. Il dolore fu intenso, e la pelle fra le nocche di indice e medio si scalfì. Prima che Brandon, che gli stava dietro di cinque metri, potesse fermarlo, allungò il braccio e colpì di nuovo l’albero, una seconda, poi una terza, quindi una quarta volta. La pelle della mano si aprì e cominciò a sanguinare in modo copioso. Temendo che si facesse male sul serio, il duca di Suffolk gli si accostò, alzando il braccio per fermarlo.
“Enrico..” Lo chiamò l’amico; dopo un ultimo pugno, le mani a pugno posate sul tronco della pianta e la testa china, il Re crollò in ginocchio, gridando tutto il suo dolore e la sua angoscia.

 

“Maestà, dovreste mangiare..”  Maria de Salinas si avvicinò alla Sovrana e le toccò con delicatezza la spalla.
“Non ho fame, Maria..” Rispose Caterina, dandole appena un’occhiata.
L’amica scosse la testa e con un rapido cenno della mano, mandò via Grace Isabel, che era entrata ed era pronta a portare il pranzo alla Sovrana.
“Mia signora, non va bene così..” Azzardò la dama spagnola. “Finirete per indebolirvi sul serio e ammalarvi. Quando vostra figlia si riprenderà avrà bisogno di voi, e dovrete essere in perfetta salute.” La esortò, posando una mano sulla sua spalla, e sperando che la Regina staccasse gli occhi da Isabel e le desse retta.
“Vi prego di uscire, lady Willoughby..” La voce della Sovrana fu poco più che un sussurro, ma la sua dama prediletta la sentì fin troppo bene. “Lasciatemi sola!!” Aggiunse con uno scatto di impazienza che, pur leggero, non era da lei, sempre così calma e pacata. Maria de Salinas si affrettò ad obbedire in silenzio e, dopo averla riverita, uscì da lì.
“Non vuole mangiare?” Chiese Grace, al vedere la dama. Lady Willoughby scosse la testa sconsolata. “Ma non può!!” Eruppe.
“Miss Plummer, Sua Maestà è stata fin troppo chiara.” La stoppò la nobildonna spagnola. Grace non rispose nulla, ma chinò in capo. Per quasi quattro ore restò in attesa che la Regina emergesse da quella sorta di limbo in cui era precipitata, ma non accadde nulla. Così, disobbedendo all’ordine che le era stato impartito e disattendendo la volontà della stessa Caterina, si diresse verso le cucine, fece preparare un pasto veloce ma nutriente, e lo portò nella stanza dove era distesa Isabel.
Quando vide la Sovrana inginocchiata accanto al letto della figlia, quasi totalmente china su di essa e completamente presa dalla sua creatura, la giovane dama ebbe per un attimo dei seri dubbi sulla validità del suo proposito e temette di mettersi in guai molto seri. La Regina era stata più che categorica nell’esprimere la propria volontà, e opporsi come stava facendo lei poteva essere assai pericoloso.
“Cosa desiderate, miss Plummer?” Chiese all’improvviso Caterina. Grace, che stava ormai uscendo, si fermò, quasi paralizzata. Non aveva ‘scampo’, né altra scelta che voltarsi verso di lei e portare avanti l’idea che aveva pensato.
“Maestà, ecco io..” Biascicò, la gola secca per il terrore di fare altri danni. Al solo vedere il vassoio con il piatto, lo sguardo della Sovrana si incupì inesorabilmente.
“Ho detto che non avrei mangiato!!” Sibilò furente, mentre Grace riprendeva a mormorare qualcosa. “Vedo che non vi siete presa la briga di ascoltare, miss Plummer!!” La giovane dama impallidì e abbassò lo sguardo. Era in un mare di guai, lo sapeva benissimo. Non solo non osò rispondere, ma nemmeno provò ad alzare lo sguardo su di lei. “Andatevene via!” La scudisciò infine.
“Maestà, io ho sbagliato, e me ne prenderò le conseguenze. E’ giusto e sono pronta. Ma, vi prego, non trascuratevi. Fatelo per vostra figlia.” Era ormai sulla porta, quando si voltò e provò un ultimo appello a Caterina. Per alcuni minuti, la Sovrana stette in totale silenzio, poi si volto verso Grace.
“Se non voglio crollare sarà il caso che mangi, almeno un po’..” Commentò. Senza farselo ripetere due volte, la ragazza corse verso di lei e posò il vassoio su un tavolino vicino al caminetto.
“Quando avete terminato, non esitate a chiamarmi..” Mormorò, chinandosi di fronte a lei e prendendo congedo.
“Lo farò, miss Plummer..” Rispose Caterina, ritrovando un certo piglio nella voce. “E non discuteremo solo del mio pranzo..” La avvertì, facendole capire che la sua iniziativa non le era per niente piaciuta, e che doveva attendersi una dura reprimenda.

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“Maestà, il dottor Griffith vorrebbe parlarvi..”
Impegnato a fare colazione, Enrico guardò prima la moglie seduta accanto a lui, e poi il valletto che era entrato nel suo salottino privato.
“Fatelo entrare, dunque..” Rispose il Sovrano, finendo di masticare un pezzo di frutta.
“Maestà.. mi scuso per l’improvvisata..” Salutò il medico personale della Regina, non appena entrò nella sala. I due sovrani risposero al saluto, e poi Caterina sorrise un poco, come a dire che non c’era alcun problema. “Son passati tre giorni da quando la Principessa è arrivata a palazzo e due da quando ha cominciato a stare male; la sua febbre non è mai scesa e siamo sinceramente preoccupati.” Cominciò a spiegare. Enrico, che aveva ripreso a mangiare, si fermò di colpo. Quelle notizie erano inaspettate e lo turbarono non poco. Non che ignorasse le condizioni di Isabel, ma pensava che il suo stato fosse dovuto in buona parte alle condizioni in cui aveva viaggiato ed era arrivata a Londra, oltre al pestaggio subito. Aveva pensato che i due medici potessero curarla e farla stare meglio in poche ore, ed invece… Mentre attendeva che il medico terminasse di spiegare, lanciò un’occhiata alla moglie. Nonostante il suo solito, incredibile, perfetto autocontrollo, Enrico poteva infatti vedere il suo labbro inferiore tremare appena, ed una leggera ombra di sudore bagnarle quello superiore. Con ostentata calma, le andò a fianco e le prese la mano. Lei gliela strinse immediatamente, e chiuse gli occhi. Era evidente quanto fosse terrorizzata e questo lo accese.
“Volete dire che non sapete fare il vostro mestiere, dottor Griffith?” Lo accusò, nemmeno troppo velatamente. Il medico deglutì un paio di volte, e tentò un sorriso.
“No, Maestà..” Disse, ritrovando la sua abituale compostezza. “Dico solo che io e il vostro medico non sappiamo cosa fare per far riprendere vostra figlia e che, forse, la nostra medicina non è all’altezza..” Ammise, con un leggero tremore nella voce. Col collega aveva deciso che sarebbe stato lui ad andare dai sovrani, a perorare una certa causa. Essendo il medico personale di Caterina, avrebbe avuto più facilmente la Regina dalla loro parte, ed era assolutamente vitale che lei si schierasse al loro fianco.
“Allora parlate, perdio!!!” Esplose il Re, lasciando la mano di Caterina, e facendo un passo verso il medico. “State lì a tergiversare!!, ad attendere!!”
“Enrico..” Mormorò la Regina, con voce appena percettibile, la mano posata su quella del marito, e stretta intorno al polso di lui, lo invitava alla moderazione ed alla calma.
Il Sovrano non rispose alla moglie, né diede altro segno, ma tacque, e il dottor Griffith poté così proseguire.
“Vorremmo che a prendersi cura della Principessa fosse Yousuf al bin Ismail, sire.” Disse deciso il medico. Enrico aggrottò leggermente le sopracciglia, ma non fiatò, dando così al proprio interlocutore la possibilità di proseguire. “E’ un medico davvero molto capace, da quando la sua scienza è al servizio di Vostra Maestà, lo spedale di Lambeth è diventato..”
“E’ cristiano?” Chiese Enrico, alzando all’improvviso la mano e fermando il prevedibile discorso che sarebbe continuato.
Il medico si zittì subito. Interdetto scambiò uno sguardo con la Regina, ma, anche lei, era rimasta spiazzata dalla domanda del marito.
“Maestà, ecco..” Replicò sir Griffith, in evidente imbarazzo. “E’ un uomo di scienza, valido e preparato; credetemi..”
“Allora, non se ne parla nemmeno.” Sentenziò il Sovrano, afferrando al volo l’antifona.
Sgomenta per le parole appena udite, la Regina si voltò verso il marito, che fissava, torvo in viso, il proprio ‘antagonista’.
“No, Enrico.. vi supplico, sire..” La Sovrana gli prese le mani, stringendole forte, e quasi inginocchiandosi di fronte a lui.
Re Enrico riuscì a liberare una mano e la sostenne prontamente,
“Vi scongiuro, Maestà, salvatela. Salvate la mia bambina..”
In silenzio la ascoltò, imbarazzato e sorpreso dalla sua reazione, così forte ed appassionata, ma così dolce e materna, proprio come era lei. Gli occhi blu della moglie divennero rossi in un attimo, ma lei riuscì a non cedere al pianto. Solo le sue mani si chiusero attorno a quella del marito, in una preghiera muta, ma implorante.
Il Re chiuse gli occhi, vinto. Yousuf al bin Ismail era un infedele, lui lo sapeva. Fino a che toccava i suoi sudditi, poveracci condannati e di cui non gli importava nulla, era un conto. Ma Isabel... per un attimo si vide di fronte al Diavolo. Per un solo istante vide gli occhi rossi e gialli del Maligno ghignare di soddisfazione, la bocca aperta in un sorriso orrendo e le mani pronte ad arraffare la sua creatura. Era terrorizzato, paralizzato dalla paura, ma sapeva fin troppo bene che l’alternativa era consegnarla nelle mani tremanti e, fino a quel momento, incapaci dei medici di corte. Al punto in cui era, avrebbe tentato di tutto, pur di salvare Isabel.
“E va bene..” Mormorò, sentendosi sconfitto. Immediatamente Caterina e il dottor Griffith sorrisero, sollevati. Il medico fece quasi per voltarsi a dare immediate disposizioni. Il tono perentorio della voce del Re lo fermò, facendolo restare col piede a mezz’aria, sia pure per pochi secondi. “Ma badate.. un solo passo falso, una purga o un salasso di troppo, e giuro che finirà a Tyburn, appeso, eviscerato, evirato e squartato come la più infame delle carogne!” La minaccia andò a segno, perché sia sir Reginald che Caterina persero il sorriso che ancora illuminava i loro volti. “Fate in modo che Yousuf al bin Ismail sappia, e non mancate di ripetergli ogni momento il mio ammonimento!!” Il dito ancora puntato verso il medico, Enrico quasi soffiò quelle parole, rosso in volto e con il respiro affannoso.
“Non dubitate, sire..” Rispose quello, pallido e leggermente colpito dalle parole del Re. Quella minaccia avrebbe colpito anche lui e sir Linacre, se qualcosa fosse andato storto, lo sapeva fin troppo bene. Tuttavia cercò di non pensarci e, dopo aver riverito i Sovrani, si affrettò a lasciare la piccola sala. Meno tempo perdeva, meglio sarebbe stato.

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“Lasciate, sir, faccio io..”
Caterina prese dalle mani di Yousuf una pezzuola imbibita di acqua, e la passò sulla fronte bollente di Isabel.
Da quando il medico arabo era entrato in scena ed aveva cominciato a prendersi cura della Principessa, quasi tre giorni, la situazione non era per niente migliorata, tutt’altro.
Le finestre della stanza dove la fanciulla era sistemata erano state aperte fin da subito, in modo che l’aria fredda delle giornate autunnali circolasse per gran parte della giornata, le bende umide che i due medici inglesi avevano sistemato sulla fronte e le braccia di Isabel, che venivano cambiate ogni otto ore, erano state quasi quadruplicate e venivano sostituite ogni quattro ore. Con somma sorpresa di sir Linacre, il medico musulmano aveva bandito salassi e purghe, e preferiva che due volte al giorno le fosse somministrato un po’ di vino, in modo che le desse forza. Tutti quei metodi, strani e ben poco ortodossi per gli inglesi, non avevano portato benefici e nelle ultime quarantotto ore il corpo della Principessa era quasi diventato una fornace. La parte superiore delle guance si era arrossata fin quasi a diventare paonazza, il volto, pur diventando sempre più scavato e sofferente, non si era sgonfiato, né i lividi si erano attenuati, cambiando colore. Da quando aveva chiuso gli occhi, dopo la benedizione della mamma, Isabel non s’era più svegliata e l’intero Paese era in uno stato di angoscia e trepidazione. Come loro consuetudine, i due sovrani vivevano anche questa situazione in modi diametralmente opposti.
Il Re alternava scatti d’ira pazzeschi ad altrettanto sorprendenti crisi in cui minacciava le lacrime. In quei tre giorni aveva tenuto una seduta del Consiglio al giorno, ma tutte erano state interrotte bruscamente, ora in un momento ora in un altro, non appena qualche valletto era entrato ad annunciare la situazione delle condizioni di Isabel. Charles Brandon l’aveva spesso trovato nei giardini più appartati di Greenwich, in ginocchio con la testa fra le mani, oppure intento a passeggiare fra un vialetto e l’altro, con i nervi a fior di pelle.

La Regina, invece, si era praticamente ritirata dalla vita pubblica, non aveva lasciato mai il capezzale della figlia, divenendo lei stessa assistente di Yousuf, che la aggiunse ai due che aveva già. La tenue speranza di saperla in mani capaci, speranza che l’aveva sostenuta per quasi due giorni, era tuttavia pian piano diminuita, fino a spegnersi quasi del tutto, di fronte al sempre più evidente peggioramento delle condizioni della fanciulla. Isabel non reagiva, non migliorava, non dava alcun cenno di ripresa e vederla immobile nel letto era tremendo. La Sovrana le parlava spesso, pregava a voce alta accanto a lei, o le raccontava di quando era piccola, ma nulla cambiava.
Gracias, Majestad..” Mormorò Yousuf. Caterina chiuse gli occhi per un attimo, cercando di dimenticare che l’ultima volta che aveva sentito parlare spagnolo era stato quando Isabel le aveva fatto capire che si era svegliata e che, almeno momentaneamente, si era ripresa. Con dolcezza, la Regina aveva preso il piccolo canovaccio in lino e l’aveva passato sul collo della figlia, nella zona delle clavicole, fino alle spalle, poi sulle braccia e le mani, fino a rinfrescarle la pelle bollente. Come al solito, Isabel non aveva reagito in alcun modo e per un attimo, un solo brevissimo istante, la Sovrana era stata quasi tentata di afferrarla per le spalle e provare a scuoterla. Era incredibilmente doloroso vederla così passiva e ferma; se pensava alla quotidiana energia e vivacità che metteva in ogni cosa che faceva, il confronto diveniva crudele e terribile.
“Amore mio, ti prego, torna da me..” Mormorò in spagnolo la Sovrana, chinandosi sulla figlia e parlandole amorevolmente.
Yousuf, che udì la sua voce, e ne intuì la carica emotiva, chiamò a sé gli assistenti ed uscì, lasciandola tranquilla e libera di parlare.
“Angelo mio, devi riprenderti.” La incoraggiò, prendendo la sua mano ed accarezzandola. “Devi farti coraggio e resistere, bambina mia adorata.. Mi senti, amore? Devi resistere..” Mormorò, accarezzandole un fianco e sentendo fortissimo l’impulso di prendere la figlia fra le braccia.
Così la trovò Enrico quando, pochi istanti dopo, fece capolino nella stanza.
Nell’avvicinarsi a lei, notò una cosa cui in tutti quegli anni non aveva mai badato: la parte terminale di una cicatrice che Isabel aveva sul braccio destro. Pochi secondi, e il Re ricordò perfettamente come si era ferita.
Era estate, Isabel aveva poco più di sei anni e Maria quasi undici. Di ritorno dalla Francia, dove lui e la moglie avevano incontrato i Sovrani francesi, e fidanzato Maria col Delfino, le due sorelline avevano preso ad aver litigi e discussioni a ripetizione; Enrico non ricordava quando tutto fosse iniziato, sapeva solo che questi scontri erano arbitrati da Caterina che, ora con la dolcezza, ora con la severità, cercava di far capire loro che dovevano e potevano confrontarsi e perfino litigare, ma senza che venisse mai meno il rispetto reciproco. Maria, pur essendo la maggiore, contava sul suo aiuto e sul suo sostegno, e lui era sempre pronto a scusarla ed a supportarla, sovente a scapito di Isabel; con una punta di rimorso il Re si rese conto che la maggiore delle sue figlie non esitava allora a tiranneggiare la sorella, spesso raccontando bugie sul reale svolgimento dei fatti. Quando quel che accadeva arrivava alle sue orecchie, a nulla servivano le intercessioni di Caterina a favore di Isabel; la piccola veniva invariabilmente punita, con carichi di studio supplementari, accompagnati da lunghi e solenni rimproveri.
Quella volta non faceva eccezione: Maria,preso alla sorella un libro, aveva cominciato a correre qua e là per il giardino, inseguita senza sosta da Isabel che, a sua volta, cercava di recuperare ciò che le apparteneva. Lady Salisbury e lady Thorston, governanti di Maria e di Isabel, rispettivamente, seguivano quell’ennesima lotta, e avevano più volte comandato loro di smettere, ma nessuna delle due aveva minimamente dato retta agli ammonimenti ricevuti. Maria continuava a correre, ed Isabel ad inseguire.
All’improvviso le voci erano cessate ed il momentaneo, apparente silenzio era stato squarciato dall’urlo di dolore e di terrore di Isabel.
Lady Joan non ci aveva pensato due volte ed era partita in soccorso della principessa a lei affidata; con orrore l’aveva trovata accanto ad un cespuglio, con un piccolo ramo infilato nel braccio. In un attimo si era accosciata e l’aveva presa in braccio, poi si era diretta verso il palazzo, seguita sia dalla governante di Maria che dalla bambina, la quale, alla vista della madre, non aveva osato nemmeno fiatare.
Quando il Re aveva raggiunto la moglie, tutto era finito.
“Come sta?” Aveva chiesto, avanzando a piccoli passi nella stanza. Era strano, si sentiva colpevole per la disobbedienza di Maria, come fosse stata la propria. Caterina gli aveva detto mille volte che viziarla oltremodo non avrebbe aiutato nessuna delle loro figlie, ma lui aveva regolarmente fatto spallucce. Ora temeva il suo rimprovero, almeno quanto da bambino temeva quelli di suo padre.
Ed invece, Caterina aveva alzato lo sguardo e rilassato il viso in una sorta di sorriso. Seduta in un’enorme sedia, teneva sulle ginocchia Isabel che, sfinita dalla paura, dalle lacrime e dal dolore, dormiva tranquilla. Il braccio della bambina, avvolto in un panno candido di lino, era coperto, in corrispondenza della ricucitura, di macchioline di sangue.
“Non pensi sia meglio stenderla?” Chiese ancora, ma contrariamente al suo solito, stavolta non c’era rimprovero né astio nella sua voce.
“Lo so, Enrico..” Rispose lei, posando le labbra sulla fronte della piccola e riprendendo a cullarla dolcemente. “Non riesco a lasciarla. Mi sembra un miracolo che quel ramo non sia finito in un occhio..”
Il Sovrano aveva annuito in silenzio e si era seduto accanto alla moglie, restando accanto a lei, per ore, in attesa che Isabel si svegliasse.
Mentre avanzava verso il letto di Isabel, titubante adesso come allora, non poté far a meno di ripensare a quella vicenda. Adesso come allora, Caterina era intenta a coccolare Isabel, standole accanto ogni momento libero della giornata, e riversando su di lei tutto l’affetto di cui si sentiva capace.

 

Dopo essersi segnato, l’ambasciatore Chapuys avanzò lungo la navata. L’odore di incenso era come sempre intenso, e l’unica luce era quella che proveniva dalle alte vetrate istoriate e dalle innumerevoli candele. Inginocchiato e con la fronte posata sulle braccia, un’unica figura abitava quel luogo solitario, ed era evidentemente in preghiera o in raccoglimento.
“Joàn..” Mormorò il legato, posando una mano sulla sua spalla. Come colto di soprassalto, egli alzò di scatto il capo e si voltò alla propria sinistra.
“Eccellenza.. ci sono novità?” Chiese preoccupato, alzandosi e spostandosi leggermente alla propria destra, in modo che l’ambasciatore potesse accomodarsi.
“No, nessuna novità..” Rispose Eustace Chapuys con un sospiro ormai rassegnato. “Il medico arabo sta facendo del proprio meglio, ma non ci sono miglioramenti..”
Joàn serrò la mascella e deglutì il groppo che, a quella notizia, sentì arrivare subito su.
“Cosa possiamo fare, Eccellenza?” Chiese di slancio. “Io mi metto al servizio della Regina, e se posso dare una mano lo faccio volentieri. Non ce la faccio più a stare qui, con le mani in mano..”
A quelle parole, il buon Chapuys posò una mano sul braccio del suo giovane protetto.
“Non spetta a noi, amico mio. Non spetta a noi.” Gli rispose calmo. Joàn guardò davanti a sé e poi chinò il capo, quasi sconfitto. “La Regina sa che le siamo fedeli e che può, qualora lo ritenga giusto ed opportuno, chiamarci, in qualunque momento.”
“Non è giusto, sapete?” Mormorò Joàn. Non voleva contraddirlo, o mettersi contro i due Sovrani, ma sentiva la pesantezza di quell’attesa. “Io vorrei davvero…”
“Mio giovane amico, Re Enrico, e soprattutto la Regina, vi sono incredibilmente grati per aver riportato la Principessa in Inghilterra. Dobbiamo aver pazienza, caro Joàn, e attendere che la Principessa si riprenda..” Riprese Chapuys, stringendo leggermente il suo braccio. Joàn rispose unicamente con un sospiro. Poi, annuì silenziosamente. “E non dimenticate che dovete tornare presso l’Imperatore, per concludere le trattative..”
A quelle parole Joàn ebbe un improvviso tremito e si adombrò.
“Vorrei non dover concludere proprio nulla..” Ammise, sconsolato.

 

“Farewell, vain world! I'm going home!”
Al sentire quel canto sommesso Caterina si guardò intorno, cercando di capire chi osasse fare una cosa del genere, in quella situazione poi. Grande fu la sua sorpresa quando si rese conto che era Isabel! Subito posò ciò che aveva in mano e raggiunse il letto.
“Amore, sei sveglia!”
Proruppe, sorridendo di sollievo. “Lady Joan, chiamate il medico, vi prego!!” Esclamò. Subito prese le mani di Isabel e le baciò, poi le accarezzò il viso.
“My Savior smiles.. I don't care to stay here long! Sweet angels beckon me away, I don't care to stay here long!”
Cantò sommessamente la fanciulla. Non guardò, né rispose a sua madre. La Regina la fissò, perplessa. C’era qualcosa di strano nel suo comportamento. Era come se non fosse presente a se stessa.
“Amore, guardami..” Le disse, cominciando a sentirsi ansiosa. Con delicatezza prese per il mento il viso di Isabel e tentò di girarlo in modo che la guardasse per bene. “Isabelita, sono io..” Mormorò in spagnolo. “Sono la tua mamma, angelo mio..”
Ma Isabel non rispondeva. Il viso era girato verso di lei, gli occhi della figlia erano nei suoi, ma non la guardavano. Isabel sembrava non rendersi nemmeno conto di averla di fronte. Tutto quel che faceva era ripetere quel canto in modo ossessivo. In attesa di Yousuf, tese le orecchie e cercò di afferrare se non le parole, almeno il concetto che esprimeva. Uno degli assistenti del medico arabo si avvicinò al letto, ma Caterina lo fulminò con lo sguardo.
“Non vi azzardate..” Sibilò con un tono tale che quello si piantò come un palo, non osando nemmeno risponderle. “Mi cielo, sono qui.. sono qui accanto a te, mi preciosa hija..”
Con dolcezza, ma anche con decisione, Caterina riprese a cercare un contatto visivo con Isabel. Non capiva che cosa le stesse succedendo e cosa potesse fare per modificare la situazione.
“Lei non mi vuole..” Mormorò la fanciulla. “Lei non mi vuole..”
A quelle parole la Sovrana si bloccò. A chi si stava riferendo Isabel? Di chi stava parlando?
“Amore mio, di chi parli?” Le chiese prendendole le braccia e facendo in modo che lei la guardasse. Per tutta risposta, Isabel agitò il braccio, tentando di scioglierlo dalla presa materna.
In quella entrò Yousuf; non gli bastarono che pochi secondi per capire che la Principessa era preda di uno strano delirio. In un istante le tastò la fronte con la mano, e poi il collo; quindi guardò Caterina perché la lasciasse. La Sovrana obbedì prontamente e lui poté prenderla in braccio. La fanciulla si agitò un paio di volte, ma la presa del medico era forte e salda, e non la lasciò andare.
“Non mi vuole!!! La spagnola mi ha venduta!!” Riprese a gridare Isabel mentre Yousuf attraversava la vetrata ed il giardino. La Regina, che era dietro di loro, si paralizzò.
Le parole di Isabel erano dettate evidentemente dalla febbre e dal delirio, ma forse proprio per questo più genuine, meno artefatte. Il suo dolore era così radicato da farle gridare una cosa tanto infamante; tutti in Inghilterra sapevano quanto Caterina adorasse entrambe le sue figlie, e tutti sapevano che per Isabel avesse una predilezione del tutto speciale.
Paralizzata dalle parole della figlia, che ancora si agitava e faceva sentire la propria voce disperata, Caterina la guardò mentre Yousuf la immergeva per diversi lunghi minuti in un cumulo di neve. All’improvviso la fanciulla tacque, il volto pallido; cominciò a tremare visibilmente, le labbra divennero leggermente blu e gli occhi minacciarono di chiudersi. Come un fulmine lady Joan passò accanto alla Regina, la superò e si diresse verso Yousuf ed Isabel. Non appena il medico sollevò di nuovo fra le braccia la fanciulla, la dama cercò di avvolgerla in una coperta, poi i due sfrecciarono davanti e di fianco a Caterina, diretti nuovamente verso il palazzo.
“Che cosa pensavate di fare? Ditemi, signore, cosa diavolo pensavate di fare con mia figlia?” Enrico non attese nemmeno che Yousuf e lady Joan rimettessero a letto Isabel, che subito lo aggredì. Il medico terminò quel che stava facendo e poi alzò il viso sul Sovrano, puntandogli addosso i suoi occhi nerissimi.
“Salvarle la vita, sire.” Rispose semplicemente.


 

Tre ore dopo un urlo straziante svegliò di soprassalto Yousuf al bin Ismail. Si era appisolato per poco meno di mezz’ora, vinto dalla terza notte consecutiva praticamente in bianco, dalla fortissima tensione accumulata in quei giorni ed infine anche dal recente diverbio con il Sovrano, a proposito dei suoi ‘metodi curativi’. In fretta balzò in piedi dalla poltrona su cui si era seduto e corse a perdifiato in direzione di quella voce.
“Dio, no!! Oh, mio Dio NO!!!” A mano a mano che correva, il medico arabo sentiva sempre più forte quella voce straziata. “Amore mio, svegliati!! Svegliati, angelo mio!! Parlami!!!”
Quando spalancò la porta della stanza dove Isabel dormiva, trovò la Regina che, seduta sul letto e mani strette sulle sue spalle, scuoteva con foga la figlia. La testa della fanciulla era del tutto reclinata all’indietro, gli occhi chiusi e sul viso era diffuso un pallore mortale.
Isabel era morta.
“Svegliati, amore! Svegliati, ti prego; svegliati amore mio..” Continuava a gridare Caterina. “Non mi lasciare, angelo! Non mi lasciare, non mi lasciare…”

  
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