TITOLO:
THE VAMPIRE DIARES: MERLIN STYLE
PAIRING:
ARTHUR/MERLIN
RATING:
R
BETA: Miky-camba --
Suicidal_love
DISCLAIMER:
naturalmente
tutti i personaggi appartengono alla BBC. Questa storia è
liberamente ispirata a “The Vampire Diares”, una
serie che mi ha travolto come un fiume in piena. Sicuramente
riconoscerete molte parti del telefilm originale nei primi capitoli ma,
non temete, piano piano la trama comincerà a divergere verso
nuovi e appassionanti lidi. Altrimenti come faremo ad avere una
Merlin/Arthur che si rispetti?
Ho
cercato di adattare i personaggi di Merlin ai ruoli che dovranno
interpretare, quindi perdonatemi se vi apparranno un tantino OOC, ma
sto facendo del mio meglio.
Suicidal_love,
mia deliziosa Kry, questa è per te. Grazie per aver betato,
ascoltato i miei scleri e avermi sostenuta passo dopo passo.
THE VAMPIRE DIARES: merlin style
“Per
più di sei secoli ho vissuto nel segreto, nascosto
nell’ombra, solo al mondo… fino ad ora.
Sono
un vampiro e questa è la mia storia”.
Era
una notte buia a tempestosa.
No,
stop. In realtà, era una semplice notte d’inizio
settembre, ma
questo non mi sembra il modo più adatto per iniziare a
narrare una buona storia dell’orrore.
Ne
ignoro il motivo, ma è parere comune che i mostri della
notte (quelli che si annidano sotto i letti dei vostri bambini per
intendersi) decidano di uscire dalle loro tane solo durante lo
scatenarsi di chissà quale tempesta secolare.
Potrei
attenermi a tale credenza, ma non lo farò. Se iniziassi a
mentire adesso, su di un dettaglio tanto insignificante per giunta,
sono sicura che molti di voi ben presto mi darebbero della bugiarda.
Ciononostante,
per quanto siano sconvolgenti i fatti che sto per illustrarvi, vi
chiedo di credermi: tutto quello che sto per narrarvi è la
pura verità. I vampiri sono reali, in carne ed ossa come me
e voi, e sono qui.
Camminano
tra noi come gente comune. Potreste addirittura conoscerne qualcuno
senza saperlo.
Amano,
odiano, provano amicizia e desiderio di vendetta. Sono molto
più umani di quanto voi possiate crederli capaci. Forse
è proprio questo il loro punto debole.
Prometto
di non tralasciare nulla, neanche i
dettagli più scabrosi e raccapriccianti: siete avvertiti. La
storia che sto per narrarvi è speciale, diversa. Vale la
pena essere raccontata in tutti i suoi particolari ed è
proprio ciò che ho intenzione di fare.
Questo
è il mio impegno. Ora tocca a voi giudicare.
Era
una notte d’inizio settembre.
Il
cielo coperto.
Piovigginava;
l’aria già pregna del freddo del prossimo autunno.
L’estate era oramai lontana, mentre un’auto
sportiva sfrecciava su di una strada deserta.
Una
strada deserta, che cliché.
Musica
rock squarciava il silenzio di quella via di campagna, una stradina
buia e isolata sconosciuta ai più se non per qualche mappa
GPS particolarmente accurata.
Una
rada pioggia batteva da ore, eppure
la luna provava a far capolino tra quelle coltri spesse.
Una
strada isolata che costeggiava un fitto bosco… un panorama
ideale per iniziare.
“Un’ora
di macchina per ascoltare quella schifezza. Non era nemmeno un gruppo,
giusto un tizio che suonava la chitarra. Un’ora ad andare e
un’altra a tornare”.
“Non
è stato così male”.
Una
coppietta felice faceva ritorno da un concerto, se tale lo si voleva
definire. Non era molto tardi e gli animi erano alquanto su di giri.
Ridevano,
scherzavano, si lanciavano battute e dolci commenti come una qualsiasi
altra coppia di fidanzati di ritorno da un banale appuntamento.
Perché mai quella sera avrebbe dovuto essere diversa dalle
altre?
“Sembrava
James Blunt!”.
“E
che c’è di male?”.
“Ce
n’è già uno di James Blunt ed
è più che sufficiente!”.
La
ragazza, una biondina dai lunghi e ricci capelli biondi,
sbuffò a quel commento. A lei, in fondo, quel concerto era
piaciuto. Finalmente qualcosa di diverso, un evento ben lontano da
tutti quei raduni di band schiamazzanti che Kaanan adorava. Era stato
soft, dolce. Molto romantico. “Allora perché sei
venuto?”
“Perché
ti amo”.
“Che
carino che sei!”. Dopo tutto quel tempo, il suo ragazzo
riusciva ancora a stupirla. Erano solo piccoli gesti, ma
avrebbe mentito se avesse detto che non le facevano piacere.
Si
strinse nelle spalle, strofinando le mani in un vano tentativo di
scaldarle. Il riscaldamento era al massimo, ma un freddo improvviso le
fece venire la pelle d’oca.
Era
come se l’inverno fosse giunto di colpo, inaspettato e
crudele almeno quanto quella fitta nebbia che di colpo aveva avvolto la
loro auto nelle sue spire impenetrabili.
“Come
mai tutta questa nebbia?”.
“Se
ne andrà in un attimo”. Preoccuparsi per un
po’ di foschia era da idioti. In un paesino sperduto nel
nulla come il loro, la nebbia era il male minore.
Kaanan
stava allungando una mano per cambiare la stazione radio quando accadde.
“Attento!”.
Una
macchia indistinta si parò innanzi a loro, bloccando la
strada.
Lui
sterzò di colpo a destra, tentando di evitare quello che
sembrava soltanto un povero cervo sceso troppo a valle.
L’auto prese a ruotare su se stessa sulla strada bagnata e,
per quanti sforzi Kaanan facesse, non riusciva a riprenderne il
controllo.
Si
sentiva il cuore martellare in gola quando l’auto finalmente
si fermò.
“Stai
bene?”. Kaanan si slacciò veloce la cintura di
sicurezza, assicurandosi che Cora non si fosse fatta nulla. Diamine,
che spavento! Proprio un bello scherzo doveva giocargli quel cervo.
Si
girò rapido, cercando di vederne delle tracce dal lunotto
posteriore, ma
dietro di loro vi era solo il nulla. Dell’animale nessuna
traccia.
“Abbiamo
appena investito qualcuno. Oh, mio dio! Oh, mio dio!”.
Stava
iper-ventilando, doveva calmarla. Sicuramente la bestiaccia era
riuscita a scappare lesta, ma era sempre meglio controllare.
“Chiama
aiuto!”. Kaanan scese dall’auto, avviandosi con
passo sicuro nella nebbia. Avrebbe dato uno sguardo veloce, giusto per
zittirla. Se avesse deciso di lasciare quella minaccia pelosa per
strada ferito, la sua ragazza non gli avrebbe dato pace.
Cora,
frattanto, prese ad armeggiare col cellulare. Doveva chiamare i
soccorsi stradali, la guardia forestale, ma quello stupido aggeggio non
aveva campo. Schiacciò un pulsante dopo l’altro, ma
il telefono continuava a rifiutarsi di funzionare. Erano
isolati.
I
secondi diventarono minuti, ma Kaanan non si decideva a tornare
all’auto. Se fosse riuscito a trovare il cervo, a quel punto
avrebbe dovuto già fare ritorno, no?
TUM
TUM TUM
Quella
paura che lentamente era penetrata in lei la teneva in ostaggio,
paralizzando ogni suo pensiero. Cora sentiva il petto pronto ad
esplodere mentre un brivido gelido le fece ghiacciare il sangue nelle
vene. Doveva andare a cercarlo, aveva un brutto presentimento.
Si
slacciò la cintura e con fare cauto scese
dall’auto.
Bastò
un solo passo perché nebbia la avvolgesse lesta, pericolosa.
Quasi a volerla inghiottire tra i suoi artigli.
“Kaanan?
Kaanan, dove sei? Non è il momento di fare stupidi
scherzi!”. La voce della giovane era titubante, stridula,
carica di angoscia.
Un
tentativo completamente inutile: la nebbia la inghiottiva senza alcuno
sforzo.
“KAANAN!”.
SDONK
Un
tonfo.
Lentamente
Cora si voltò verso l’auto, gli occhi verdi
spalancati dal terrore.
“AHHHHHHHHHHHHHHHH!!!”.
Kaanan,
il suo Kaanan, giaceva riverso sul tettuccio della loro macchina col
collo squarciato. I suoi occhi erano sprangati e vitrei, la bocca
aperta in un ultimo muto grido d’orrore.
“AHHHH!!!”.
Urlò ancora con tutto il fiato che aveva in corpo. Peccato
che non servisse a nulla.
Se
me lo chiedete, fu un modo molto sciocco di sprecare i suoi ultimi
minuti di vita prima che la bestia nata dalla nebbia agguantasse anche
lei.
Non
ci fu alcuna lotta. Finì tutto in pochi secondi.
Restava
solo un’auto vuota su di una strada deserta in una notte buia
e piovigginosa.
Capitolo
I: Il Ritorno di Arthur
“Non
sarei dovuto tornare a casa. So i rischi che corro, ma non ho scelta.
Lo devo conoscere”.
L’alba
era appena sorta.
Uno
spettacolo sempre straordinario da vedere, soprattutto se goduto dal
tetto dell’antica magione che s’innalzava solitaria
tra la fitta vegetazione della foresta di Gedref.
Era
trascorso molto tempo dall’ultima volta che aveva gioito del
sorgere del sole, ma quello gli era sembrato un ottimo modo per
inaugurare la sua nuova vita. Quasi un rituale scaramantico contro le
difficoltà che avrebbe dovuto affrontare.
Il
pallido color rosato lasciò presto spazio al tenue azzurro
terso di quel cielo di settembre, segnalandogli la necessità
di sbrigarsi. Non aveva un orologio con sé, ma non era mai
stato un problema per lui avere coscienza dell'orario .
Molto probabilmente erano già le sette passate.
Gli
bastò un balzo felino per coprire i numerosi metri che
separavano il tetto di quell’antica magione dal suolo appena
coperto di foglie ingiallite. Un solo balzo.
Per
un comune mortale quell’azione era a dir poco impensabile da
compiere. Ma non era un comune mortale, quel
giovane che fino a pochi attimi primi era stato perso nei suoi pensieri
innanzi allo splendore dell’alba.
Con
grazia e un briciolo d’arroganza, il nostro eroe estrasse dei
vecchi occhiali da sole dal taschino della sua giacca, inforcandoli con
sicurezza.
Quello
era l’inizio di un nuovo giorno.
Era
l’inizio di una nuova vita.
******
“Caro diario, oggi sarà
diverso… deve essere diverso. Sorriderò e
sarò credibile. Il mio sorriso dirà: sto bene,
grazie. Sì, mi sento molto meglio. Non sarà
più il ragazzo triste che ha perso i genitori.
Ricomincerò da zero, sarò una persona nuova.
È l’unico modo per superare tutto”.
Una
scodella del famoso porridge di Gaius faceva la sua bella presenza sul
tavolo della cucina. Grumoso e insipido, lo fissava circospetto, come a
voler sfidare il suo coraggio. Prova a mangiarmi, pareva sussurrargli.
Merlin
lo scrutava di rimando con fare guardingo, sforzando le meningi per un
rapido ed indolore piano di fuga.
Era
il primo giorno di scuola e non poteva permettersi di trascorrere le
successive otto
ore a tentare inutilmente di digerirlo. Ci aveva già provato
in passato e le conseguenze erano state disastrose.
“Posso
farti un toast, se vuoi”. Il sopracciglio dello zio aveva
iniziato quella sua lenta ascesa verso la folta chioma nivea che non
prometteva nulla di buono.
Gaius
non prendeva molto bene le lamentele alla sua cucina. Ogni volta,
ripeteva loro come ai suoi tempi le cose fossero diverse e come loro
dovessero essere grati di quello che avevano. Merlin non poteva dargli
torto su quel punto, tuttavia era convintissimo che anche la carne di
dinosauro avesse avuto un sapore migliore di… di quello.
“Prendo
solo del the, zio Gaius. Morgana sarà qui a momenti e sai
quanto detesta aspettare”.
Il
sopracciglio del terrore salì di un altro mezzo centimetro,
soppesando la sua risposta. Quando sei nel dubbio, metti in ballo la
scuola. Come scusa funziona sempre.
L’uomo
annuì senza aggiungere altro, più interessato
all’abbigliamento del nipote che ad un futile e monotono
alterco sulle proprie doti culinarie.
Abiti
ancora completamente neri.
Merlin.
Un
nome inusuale per una persona apparentemente come tante. Ma quante
volte alla realtà corrispondono le apparenze
di un primo approccio?
Merlin
Ambrosius aveva diciassette anni. Alto, magro, dai grandi occhi sinceri
color del mare e… beh, non poteva di certo nasconderle
quelle, orecchie sicuramente troppo grandi.
A
descriverlo così non sarebbe sembrato un granché
come personaggio, ma c’era qualcosa in lui che lo rendeva
stranamente attraente alla popolazione femminile del suo
liceo… come a molti membri di quella maschile.
Sarà
stata la carnagione chiara messa in risalto dai perenni abiti scuri; i
tratti un po’ elfici con quegli zigomi sporgenti e la bocca
carnosa incorniciata da una massa arruffata di capelli corvini ma, al
tirar delle somme, Merlin Ambrosius era davvero un bel ragazzo.
Studioso,
responsabile e tremendamente educato. Mai scortese o di cattivo umore.
“C’è
del caffè?”.
Suo
fratello Will, invece, era diverso da lui in tutto almeno quanto il
giorno lo era dalla notte. Quell’anno che li separava era
più vasto dell’intera Via Lattea.
Guance
paffute, capelli castano-ramati, abiti sempre di un paio di taglie
troppo grandi. Will era brusco, sciatto, tremendamente chiuso in se
stesso. Ad un occhio esterno che li avesse minimamente conosciuti
quattro mesi prima, poteva sembrare che i due fratelli avessero per un
crudele scherzo del destino invertito i loro caratteri.
Will,
che era stato il buonumore fatto persona, era divenuto schivo e
taciturno; in perenne compagnia di quei quattro sgallettati che
trascorrevano le loro giornate, fatti d’erba, sul tetto della
scuola.
Già.
In altri tempi quel suo viso lentigginoso sarebbe stato illuminato da
un caldo sorriso. In altri tempi, purtroppo.
“Non
vorrai bere solo quello per il tuo primo giorno di scuola. Ti
verrà un’ulcera ad andare avanti
così”. Diagnosi e raccomandazioni erano
all’ordine del giorno. Ecco cosa succedeva ad avere uno zio
medico.
Will,
invece, si limitò ad ignorarlo completamente, infilandosi le
cuffiette dell'onnipresente
mp3. Li stava facendo impazzire con quell’atteggiamento fuori
dal mondo.
“Prendete
i soldi della colazione. Io ho un intervento fra due ore ed ora devo
proprio sbrigarmi ad andare”. Il vecchio medico ripose la sua
scodella vuota nell’acquaio e si preparò ad
uscire.
Lottare
con Will era totalmente futile e serviva soltanto a peggiorare i loro
rapporti già tesi. Respira forte e va avanti, ecco cosa il
vecchio medico soleva ripetersi.
Merlin
era del medesimo parere.
Era
stanco di fare la prima mossa. Quando Will fosse stato pronto a parlare
lui sarebbe stato lì, presente. Ma non poteva fossilizzarsi
sul timore per suo fratello, doveva pensare anche un po’ a
sé.
Al
futuro.
A
sopravvivere alla cucina di Gaius.
Magari
la sua salute di ferro era dovuta proprio a quegli intrugli che si
ostinava a chiamare cibo.
“Tranquillo,
zio Gaius. Noi ce la caveremo. Tu va in ospedale a tagliuzzare quei
poveri malcapitati”.
Era
stata una battuta infelice, ma quello doveva essere un nuovo giorno.
Niente manifestazioni di dolore, niente tristezza. Se l’era
promesso!
Un
brusio li raggiunse dal salottino adiacente. Will doveva aver lasciato
di nuovo la TV accesa.
“Notizie
dell’ultima ora: Kaanan Ealdor, 27 anni, è stato
ritrovato senza vita nei pressi del bosco di Gedref. Il suo corpo
presenta segni di profonde lacerazioni, probabilmente dovute al morso
di un animale selvaggio. Si prega la cittadinanza di fare
attenzione”.
Gli
occhi di Merlin fissavano perplessi le immagini che il telegiornale
locale mandava sovra impressione. Chissà quale animale
poteva lasciare dei segni del genere?
Il
suono di un clacson lo riscosse tuttavia da quei lugubri pensieri:
Morgana era arrivata.
“Allora,
passa una buona giornata zio Gaius. Will, vuoi un passaggio? Sono
sicuro che a Morgana non dispiacerà”.
L’altro,
per tutta risposta, si limitò a scuotere la testa e a
sbuffare, spazientito alla sua offerta.
Allora
li stava ascoltando! Non aveva messo la musica a palla. Cristo,
c’era da impazzire a capirlo!
Will
uscì dalla porta sul retro afferrando al volo il suo zaino
buttato in un angolo. Merlin lo vide tirar su il cappuccio della sua
felpa verde militare ed inforcare la bicicletta.
Era
andato via senza salutare, che altro poteva aspettarsi?
“MERLIN,
ALZA LE TUE CHIAPPETTE D’ORO E MUOVITI SUBITO! NON HO
INTENZIONE DI FAR TARDI IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA!”.
Ecco,
il momento della verità era finalmente giunto.
La
sua nuova vita stava iniziando.
******
Sembrava
una modella.
Davvero,
non stava scherzando. Con quella camicetta stile hippy e la gonna lunga
fino ai piedi che lasciava intravedere le unghie smaltate di viola, era
davvero splendida e con un'aria sofisticata.
Peccato
che non gli interessasse in quel senso. Dopotutto, Morgana Le Fay era
la sua migliore amica praticamente da sempre.
Alta
1.75 m, dai lunghi e ricci capelli corvini tagliati rigorosamente a
Manhattan, era una delle ragazze più belle della Avalon High
School. Eppure non era mai riuscito a provare per lei un sentimento
diverso da quella profonda amicizia che li univa. Nulla di romantico o,
peggio, sessuale. A discapito di quello che si diceva per
l’amicizia tra sessi diversi, il loro rapporto funzionava
alla grande.
“Allora,
mia nonna dice che sono una veggente. Le nostre antenate erano
sacerdotesse druide o qualcosa del genere. Lo so, è follia,
ma lei insiste. Io mi dico: chiudetela in una casa di riposo! Poi,
però, ci ho pensato. Ho predetto Michael Jackson, il
matrimonio di Brad Pitt e tra poco la Florida si staccherà e
diventerà un’isoletta turistica”.
Provava
a prestarle ascolto, sul serio, ma non poteva fare a meno di lasciar
scorrere liberi i suoi pensieri, lontano da quella cittadina sperduta
che gli aveva causato tanto dolore.
Immagini
scolorite si susseguivano, rapide davanti ai suoi occhi come il
panorama fuori dal finestrino. Stavano costeggiando il cimitero di
Avalon, con le sue tombe e rovine. Col suo silenzio così
invitante, rassicurante.
“Merlin!
Torna in macchina”.
“L’ho
rifatto, vero?”. Un sospiro sfuggì da quelle
labbra rosse e piene mentre un’ombra scese sui suoi occhi
azzurri. “Mi dispiace, Morgana. Mi stavi dicendo?”.
“Che
ora sono una veggente”. Gli rispose con un sorriso
rassicurante. Per quanto si comportasse in modo assente, lei non lo
aveva mai giudicato.
Quest’affermazione
lo rasserenò in un attimo. “Giusto, una veggente.
Allora prevedi qualcosa su di me, avanti”.
Morgana
tornò a fissare la strada mentre si mordicchiava un labbro,
concentrata. Breezy, la sua adorata Volvo, scivolava sulla strada senza
problemi.
“Io
vedo…”
Di
colpo un’ombra scura tagliò loro la strada,
costringendo Morgana a una brusca virata.
Fortunatamente
la carreggiata era ancora libera a quell’ora, quindi non ci
furono danni se non un bello spavento.
“Che
cosa è stato?”.
Le
mani di Merlin si erano irrigidite subito, saldate al cruscotto come
alla loro sola ancora di salvezza.
“Merlin,
come stai? Era un uccello, mi dispiace, non l’ho proprio
visto”.
Il
ragazzo, anche se con molta fatica, riuscì a distendere i
nervi dei suoi arti. Aveva ancora il fiato corto ma stava facendo di
tutto per non strapparsi via la cintura di sicurezza e scendere di
corsa. Tutto ok, era tutto ok. Solo uno sciocco spavento, tutto ok.
Raccogliendo
tutto il suo coraggio, le rivolse un sorriso mesto, tentando di
infonderle una calma che lui stesso non aveva.
“Va
bene, Morgana. Non posso aver paura delle auto per il resto della mia
vita”.
Morgana
annuì, non molto convinta ma disposta a regalargli il
beneficio del dubbio. Il suo viso s’illuminò di
un’aria birichina, segnalandogli l’arrivo di una
bella frecciatina pungente. “Prevedo che
quest’anno sarà fantastico, che i tempi bui sono
finiti e che d’ora in poi tutto andrà per il
meglio”. Gli strinse una mano per donargli un po’
della sua carica positiva.
“Grazie,
Morghy”.
Le
parole erano del tutto irrilevanti, ora. Breezy
ripartì quindi verso la loro prigione personale mentre un
corvo solitario lanciò il suo richiamo roco da un vecchio
segnale stradale.
******
L’Avalon
High era un classico liceo di periferia. Stesse facce, stesse auto
scolorite. Il tempo pareva non trascorrere mai tra quelle mura di
pietra.
In
passato era stato un palazzo di giustizia: i muri di mattoni rossi e le
alte finestre in stile palladiano incutevano parecchia soggezione.
Non
erano ancora le otto e mezzo del mattino e l’aria era
frizzante, sebbene quel sole settembrino emanasse ancora un
po’ di calore.
Gruppi
di ragazzi chiacchieravano allegri davanti alla scalinata di pietra,
mentre Morgana e Merlin salutavano qua e là con distratti
cenni della mano. Entrarono subito e fu davvero un peccato. Ancora un
minuto e avrebbero notato una folta capigliatura bionda avanzare con
fare sicuro fra i loro vecchi amici.
“Grande
assenza di fauna maschile, bah. Sempre i soliti brufoli. Cielo, ma cosa
si è messa addosso Mary Collins, una tovaglia?”.
“Morgana”.
“Concedimi
almeno questo, cucciolo. Una dolce donzella come la sottoscritta
dovrà pure avere un hobby, vista la carenza di
distrazioni”. La ragazza aprì il suo armadietto
per i libri della prima ora. Uffa, certe volte Merlin sembrava proprio
un vecchietto.
Una
piccola testa bruna le passò accanto senza voltarsi, il capo
chino come a non averli visti.
“Freya,
io…”.
A
quella scena, Merlin si lasciò andare contro il proprio
armadietto mentre la frangia ribelle gli copriva gli occhi tristi. Per
essere un nuovo giorno, non era poi tanto diverso da quelli precedenti.
“Mi odia”.
“Non
ti odia. Quello è un - mi hai mollato ma io ti amo ancora
anche se insieme sembravamo la brutta copia di Dawson e Joey, con
più affetto fraterno e meno attrazione sessuale
-”.
“Sarà
così , ma
io ci sto lo stesso da schifo”.
“Ora
dimmi la verità”. Lei gli puntò un dito
accusatore contro il petto. “Tu la amavi? O ci uscivi
perché non c’erano aspettative in quella
relazione?”.
Il
silenzio che seguì quella domanda era tutto ciò
che la ragazza aveva bisogno di sapere.
Non
si possono fingere sentimenti inesistenti.
“MERLIN!”.
Avrebbe
voluto saperle dire qualcosa (se per
giustificarsi… discolparsi… non aveva ancora
deciso), ma non ebbe il tempo di farlo giacché un uragano
biondo lo investì in pieno, stringendolo in una morsa
d’acciaio.
“Ciao,
Vivianne”.
“Oh,
tesoro, mi dispiace tanto. Perché non mi hai avvertito che
tornavi a scuola?”. Lo rimproverò la nuova
arrivata. Poi, poiché parlare con lui non le avrebbe
procurato una risposta soddisfacente, la biondina appena incontrata si
rivolse direttamente alla sua addetta stampa: Morgana. “Sta
bene, non è vero? Questa sua fase da emo finirà
presto?”.
“Vivianne,
sono qui. Puoi chiedere anche a me, sai. Sto bene, non ti
preoccupare”.
Lei
lo liquidò con un cenno frettoloso. “Zitto,
biscottino. Lascia parlare le signore, su”.
“Per
il momento sta bene”.
“Okay.
Allora ci vediamo dopo, ragazzi. Un bacione, kiss kiss”.
Vivianne
Warren era tutto quello che si poteva dire di una ragazza bionda:
bella, distratta e a tratti anche un po’ stupida. Ma sotto
sotto aveva un cuore d’oro.
“No
comment sul biscottino”.
Morgana
non riuscì a soffocare quella risata che le stava nascendo
sulle labbra.
“Sul
serio, Morghy. No comment!”.
******
“Non
prenderne più di un paio nel giro di due ore”.
Dall’altra
parte del campus, Will Ambrosius stava distribuendo le sue adorate
“caramelle” alla combriccola di adolescenti
problematici che soleva frequentare.
Non
era un mistero per nessuno che quel ragazzo si facesse, anzi. Se
cercavi qualcosa con cui sballarti, Will era la persona giusta cui
chiedere.
Sophia
Knight lo sapeva più di chiunque altro. Si poteva sempre
contare sul buon Will.
Mandò
giù le pasticche senza nemmeno curarsi di cosa fossero. La
cosa importante era solo sfuggire a quel continuo grigiore che
imbrattava con la sua tinta unita ogni giorno della sua vita.
“Lo
sapevo di trovarti qui, con i drogati”.
Lancelot
Du Lac la afferrò per un braccio, allontanandola da
quell’essere così infimo.
Non
stavano insieme, lui e Sophia. Nonostante quello che gli studenti
bisbigliavano tra i corridoi, non erano nemmeno mai usciti
ufficialmente insieme: solo qualche pomiciata senza conseguenze dopo il
lavoro e nulla più. Non era tipo da legami duraturi, Lance;
ma questo non voleva dire che le avrebbe permesso di autodistruggersi
con quelle schifezze di cui non poteva fare a meno.
“Ma
guarda, guarda. È arrivato il cane da guardia”.
Avrebbe
voluto spaccargli il muso, però Sophia fu più
lesta. Si parò tra i due, poggiando le mani sul caldo petto
di Lance.
“Su,
tesoro. Lascialo stare, è pur sempre il fratellino di
Merlin”.
“Lo
so chi è. Per questo che non è ancora finito in
ospedale”.
Lei
sorrise maliziosa a quella battuta. Attirò il giocatore di
football a sé per qualche carezza proibita prima delle
lezioni, completamente cieca all’espressione sofferente del
povero Will.
******
“Aspetta!”.
Morgana si arrestò di colpo proprio lì, innanzi
alla porta della segreteria. E lo fece con tanta rapidità
che il povero Merlin rischiò di finirle addosso.
“Quello chi è?”.
“Vedo
solo un fondoschiena”.
A
dare retta a Morgana, bastava camminare su due gambe ed avere un minimo
senso della moda per essere considerati un buon partito. Certo, se poi
il tipo di turno non emanava le “giuste”
vibrazioni, veniva "scartato" subito ma
questa era un’altra storia.
“E
che fondoschiena”. Ci risiamo, si ritrovò a
pensare Merlin, sempre la solita Morgana! Eppure non poté
ignorare l’oggetto di cotanta ammirazione.
Era
un volto nuovo, quello. Per quanto si potesse definire
“volto”, giacché dava loro le spalle.
Tuttavia,
in una cittadina come Avalon, in cui potevi tranquillamente dire di
conoscere tutto di tutti, in cui avevi condiviso con i tuoi migliori
amici in pratica la stessa culla, quel nuovo arrivato era sul serio una
succosa notizia.
Non
era vestito in maniera appariscente: jeans scoloriti ed una vecchia
giacca di pelle nera dall’aria vissuta; ciononostante
c’era qualcosa in lui, qualcosa di sconvolgente. Una sorta di
aura antica che lo rendeva diverso da tutto ciò che avesse
mai conosciuto.
Un
raggio di sole birichino, filtrato da qualche finestra semi-aperta, gli
illuminò i corti capelli biondi che risplendettero di puro
oro. Sembrava… quel giovane sembrava emanare una luce
propria.
Fu
una reazione istantanea, la sua.
Incontrollabile,
potente, devastante. Il cuore di Merlin prese ad accelerare come
soggiogato da un’oscura forza. Non si era mai sentito
così prima d’ora.
“Il
tuo file è incompleto. Mancano i certificati delle
vaccinazioni ed anche quelli scolastici”.
“La
prego, guardi meglio”. Il nuovo studente si sfilò
gli occhiali da sole con un gesto lento e calcolato mentre quella sua
voce calda, dai toni rassicuranti, riusciva a malapena mascherare la
potenza di un vero e proprio ordine. “Sono certo che
c’è tutto quello che le serve”.
Lo
sguardo della segretaria scolastica si perse totalmente in
quell’azzurro cielo che le stava di fronte. Era un colore
diverso, quasi inumano. Un azzurro cielo che per un battito di ciglia
fu sostituito dall’oro puro.
Bastarono
pochi secondi prima che l’attenzione della donna tornasse a
concentrarsi sul fascicolo che aveva di fronte. “Hai ragione:
c’è tutto”. Rispose, infine, con voce
meccanica convenendo che tutti i moduli erano stati compilati in modo
corretto.
“Sento
che è di Albion e suona la chitarra”.
“Ti
sei fatta prendere la mano dalla storia della veggente?”.
“Esatto”.
Era
bello scherzare con Morgana come ai vecchi tempi; come se tutto quel
dolore, quella sofferenza non fosse mai accaduta.
“Diamine,
spostati”.
Insulti
vari lanciati alla sua destra mentre Will si faceva largo a suon di
spintoni tra gli studenti che si accalcavano nei corridoi, il viso cupo
che tradiva le sue intenzioni. S’infilò lesto nel
bagno degli uomini senza guardare in faccia nessuno.
“Torno
subito, Morghy”.
Le
si limitò ad annuire tornando a rimirare quel bel
fondoschiena.
“Single,
single. Deve essere single”.
******
“Hey,
la porta. Guarda dove vai!”.
Merlin
si fiondò in bagno come un cane da caccia in azione,
trovando suo fratello intento a mettersi delle gocce di collirio in un
occhio. Dannazione, dannazione, dannazione!
Gli
afferrò il viso, studiandolo con disgusto.
“Perfetto! È il primo giorno di scuola e tu sei
fatto!”. Gli strappò il collirio dalle mani,
spingendo Will contro il lavabo di porcellana.
“Non
è vero”.
“Ce
l’hai con te? Eh?”. Iniziò a tastargli
le tasche della felpa, dei jeans, alla ricerca di qualche bustina
sospetta. Come poteva essere così idiota!
“Smettila,
mi fai male! Rallenta”. Will lo spinse via. Detestava quando
si comportava così. Quando faceva finta che gli importasse
di lui, che la morte dei loro genitori non lo toccasse. Lo odiava
quando provava a fargli la paternale.
“Cos’è,
un modo di dire da drogati? Bello, sei proprio forte”.
“Smettila,
va bene! Devi lasciarmi in pace!”.
“Sono
tuo fratello, diamine. Mi preoccupo per te”.
“Ecco
appunto”. Will lo afferrò per la stretta t-shirt
attillata, convogliando tutta la sua rabbia sorda in quegli occhi di
mare che gli facevano andare il sangue alla testa. “Tu non
sei mio padre. Non puoi dirmi cosa fare! Mi credi stupido? Stupido da
portarmela appresso?”.
“Tu
non hai capito niente!”. Merlin gli ghermì i polsi
con forza riuscendo ad allontanarlo da sé. “Finora
ti ho lasciato fare, ma la pacchia è finita. Ti
starò addosso per rovinarti lo sballo, costi quel che
costi!”.
Uno
studente uscì da uno dei cubicoli, interrompendo per un
attimo il loro scontro.
“Tu
non sei così, Will. La droga non cancella il
dolore”.
“Lasciami
in pace, Merlin! Lasciami in pace”.
Non
disse nient’altro prima di uscire da quel bagno maledetto.
Lasciandolo solo con i suoi pensieri proprio come aveva fatto poche ore
prima a casa.
“Will!”.
Non
ci stava. Non ci stava a lasciarlo andare così. Aveva
già perso i suoi genitori, non poteva perdere anche il suo
fratellino.
Merlin
sbucò di colpo dal bagno. Voleva inseguire Will: parlargli,
farlo sfogare. Tutto pur di riaverlo indietro. Purtroppo non ci
riuscì.
“Auch”.
Qualcosa
di duro gli era venuto addosso, facendogli perdere
l’equilibrio. Stava per cadere al suolo quando una bianca e
fredda mano gli afferrò un polso, rimettendolo in piedi
senza alcuno sforzo.
“Hey.
Stai bene?”.
“Scusami,
non ti avevo…”. Le parole gli morirono in gola.
Bellissimo.
Semplicemente
bellissimo.
Un
dio sceso in terra, quello che gli aveva appena evitato la sua prima
figuraccia del giorno.
Nemmeno
le statue degli antichi greci possedevano tanta perfezione.
Capelli
biondi più del grano, più dell’oro.
Sguardo
magnetico di un azzurro intenso che non aveva mai visto prima.
Lo
sconosciuto lo fissava divertito, come se fosse a conoscenza di
chissà quale comico segreto che Merlin non riusciva a
cogliere.
La
bocca rossa era dischiusa in un sorriso sghembo e, non lo avrebbe mai
ammesso neanche sotto tortura, Merlin si scoprì a chiedersi
se quelle labbra erano davvero così morbide come apparivano.
Un
tale pensiero lo fece avvampare.
“Stai
bene?”. Il dio greco gli chiese ancora.
“Oh…
oh, sì… s-scusami”. Iniziava anche a
balbettare adesso? “I-io devo a-andare”.
Si
spostò di lato per passare ma l’altro lo
precedette, bloccandogli il passaggio. Provò a sinistra ma
quello fece altrettanto.
Cristo,
che imbarazzo!
“Scusami,
io…”.
“Certo,
va' pure”.
Senza
voltarsi indietro, Merlin schizzò via tra gli studenti
mentre il nuovo arrivato continuò nella direzione opposta.
Lo sguardo dell’intera popolazione della Avalon High fisso su
di lui.
Davvero
un bel modo per iniziare una nuova vita.
******
IN MEMORIA DI BALINOR E HUNITH AMBROSIUS
GENITORI AMOREVOLI ED AMICI FEDELI
MAGGIO 2009
“Caro diario, ho superato questa
giornata. Credo di aver detto ‘Sto bene,
grazie’ almeno 37 volte. E non era vero neanche una volta, ma
non se n’è accorto nessuno. Quando
qualcuno ti chiede come stai non vuole una vera risposta”.
Per
quanto tentasse di scacciarla, l’immagine di quel sorriso
sghembo tornò ad affacciarsi con prepotenza nella sua mente.
Merlin
iniziò a mordicchiare il cappuccio della penna, provando con
scarsi risultati a contenere quel rossore che minacciava di
impossessarsi nuovamente di lui.
Scrivere
un diario in un cimitero poteva sembrare un’occupazione
lugubre, però lui stava bene in quel luogo. Gli pareva di
riuscire ancora a sentire i suoi genitori; a percepire il loro amore,
il loro appoggio. Starsene seduto per delle ore contro una fredda
lapide di marmo riusciva a cancellare il caos che aveva dentro, anche
solo per un po’.
Tuttavia
quel giorno nemmeno visitare la tomba dei suoi genitori arrivava a
calmarlo. Non riusciva a spiegarsi quella reazione, quelle sensazioni;
ma più ci pensava, più tutto non aveva senso.
Lo
aveva sentito su di sé.
Quello
sguardo, quel sorriso. Lo avevano seguito per tutto il giorno, anche se
aveva tentato di far di tutto per ignorarli. Per qualche strana,
incredibile, fortunata congiunzione cosmica, il
biondino era stato presente in ognuna delle sue classi.
Morgana
aveva anche temuto di vederlo tramutarsi nel primo caso di combustione
spontanea.
Superata
la minaccia di una febbre improvvisa, aveva sogghignato divertita
quando si era resa conto che il suo rossore aveva una causa di
tutt’altra e piacevole natura.
E
questo era male, molto male.
Se
lei si metteva in testa qualcosa, era capace di tutto per portare a
termine uno dei suoi piani assurdi.
Alzò
gli occhi al cielo, lasciandosi trasportare dalla brezza pomeridiana.
Era sopravvissuto un altro giorno, forse sarebbe davvero riuscito a
farcela e a superare tutto.
CROW
CROW
Un
corvo solitario svolazzò fino alla tomba dei suoi genitori,
atterrando con grazia. Lo fissava con i suoi occhietti tenebrosi quasi
a volerlo studiare.
Un
corvo che voleva studiarlo… doveva essere proprio impazzito.
“Buon
giorno anche a te, signor corvo”.
Silenzio.
“Hey,
ora va' via, su”.
Ancora
silenzio.
Indispettito,
Merlin si avvicinò all’animale per scacciarlo ma,
nel momento esatto in cui le sue mani stavano per sfiorare quelle penne
corvine, una fitta nebbia prese a salire dal suolo.
Si
formò dal nulla, senza alcun preavviso, avvolgendo la tomba
dei suoi genitori con il suo manto candido.
CROW
CROW CROW
Per
un attimo, un pensiero assurdo gli balenò nella testa:
possibile che fosse stato il corvo?
Ok,
stop: era ufficialmente impazzito.
Un
brivido gelido gli salì lungo la schiena. Una sensazione
strana, di morte. La pace di quel luogo era stata profanata.
CROW
CROW CROW
Il
corvo si scagliò contro di lui senza alcuna ragione
apparente. Lo attaccò con foga e solo dei riflessi pronti
riuscirono a salvare il dito che stava per essere beccato.
Doveva
andarsene, subito!
Merlin
si chinò a raccogliere il diario, incamminandosi a passo
spedito per il sentiero.
Tremava.
Più
volte si voltò indietro, quasi si aspettasse di veder
comparire chissà quale mostro, ma la nebbia era
impenetrabile. Lo avvolgeva senza lasciargli scampo.
Il
sangue gli pulsava con forza nelle vene, dirompente . il respiro si
fece sempre più accelerato.
Via!
Doveva andare via!
Senza
neanche rendersene conto i suoi passi divennero più svelti,
finché iniziò a correre sul serio. Qualcuno era
dietro di lui. Non poteva scacciare la sensazione di essere spiato.
“Ah!”.
Stupida radice.
Inciampò
per poi ruzzolare fra le foglie ingiallite. La gamba… la
gamba gli bruciava.
“Questa
è la seconda volta che cadi ai miei piedi. Mi stai forse
corteggiando?”.
Quella
voce.
Merlin
sollevò lentamente lo sguardo per trovarsi innanzi a quegli
occhi di cielo che erano stati la sua maledizione per tutto il giorno.
Il
biondo gli offrì una mano per rialzarsi con un che di
preoccupato nei gesti. Il giovane Ambrosius la afferrò
rapito, stupendosi egli stesso di quell’azione.
“Asino”.
Non riuscì a trattenersi dal borbottare
quell’insulto. Credeva di averlo fatto in maniera quasi
impercettibile ma l’altro lo udì ugualmente.
“Idiota”.
“Mi
stavi forse seguendo?”. Sebbene la presenza del nuovo venuto
lo avesse inaspettatamente rassicurato, la tentazione di voltarsi a
guardare di nuovo dietro di sé era troppo forte. Il suo
cuore non ne voleva sapere di calmarsi.
“No,
ti ho solo visto cadere”.
“E
tu, naturalmente, stavi passeggiando in un cimitero?”.
“Veramente…”.
L’altro sembrava quasi imbarazzato. “Ero in visita.
Ho dei familiari, qui”.
“Oh”.
Che figura! Gli era andata bene una volta, era naturale che dovesse
toppare prima o poi. “Scusami. È colpa della
nebbia… e c’era quel corvo… molto alla
Hitchcock… mi sono… spaventato”.
Il
biondo continuava a fissarlo senza dire nulla.
“Io…
io sono Merlin”. Tese la mano nella speranza di rimediare.
“Arthur”.
“Sì,
lo so. Abbiamo storia insieme”. Non riusciva a guardarlo in
viso. Lo metteva dannatamente a disagio.
“Ed
inglese, matematica, francese”.
“Già”.
“Oh”.
Un filo di erba faceva capolino tra i suoi capelli d’ebano ed
Arthur con fare premuroso glielo tolse.
“G-grazie”.
Merlin
prese a guardarsi intorno, tentando di superare l’imbarazzo.
Non sapeva cos’era peggio, se il terrore di prima o il
ritrovarsi da solo con quel dio greco.
Non
era gay, diamine!
“Bell’anello”.
Ed
era davvero un bell’anello. Arthur lo indossava sul dito
medio della sua mano destra; era diverso da qualsiasi altro ninnolo che
Merlin avesse mai visto. Era di un argento così puro da
scintillare al sole, intarsiato minuziosamente e con una meravigliosa
pietra azzurra al centro.
“È
un cimelio di famiglia”. Rispose il proprietario
dell’anello, prima che una strana ombra facesse capolino sul
suo bel viso. “Sei ferito?”.
“Cosa?”.
“Sei
ferito?”. Gli chiese ancora, con insistenza.
“Oh”.
Aveva completamente dimenticato il dolore alla gamba.
L’arrivo di Arthur aveva cancellato tutto ciò che
non fosse lui.
Merlin
sollevò l’arto offeso su di una vecchia lapide,
alzando i neri jeans fin sopra al polpaccio.
Stava
sanguinando.
“Accipicchia,
non ha un bell’aspetto”.
Preso
com’era dalla sua ferita, non vide Arthur arretrare.
Non
lo vide voltare il suo bel viso perfetto mentre gli occhi gli si
tingevano d’oro e la pelle intorno ad essi si ritraeva come
scottata.
“Dovresti
medicarla”.
“No,
sul serio. Non è nulla”.
Sollevò
lo sguardo per ringraziarlo, ma solo allora Merlin si accorse che
Arthur era scomparso lasciandolo solo nella nebbia che andava
diradandosi.
Quel
ragazzo era sul serio un bel mistero.
Senza
attendere oltre, il giovane Ambrosius riprese il sentiero che
attraversava tutto il cimitero per tornare a casa, ignaro di aver
lasciato qualcosa di nero e prezioso al suolo.
******
“Tutto
quello che mi tenevo dentro è riaffiorato con violenza. Non
sono in grado di resistergli”.
L’antica
magione dei Pendragon era avvolta nel più assoluto silenzio.
Aveva un che di spettrale, sovrannaturale.
Si
ergeva, antica e immutata, al centro del bosco e pochi erano a
conoscenza della sua esistenza.
In
città si diceva che fosse abitata da un vecchio bislacco,
troppo intento nei suoi studi per
curarsi di ciò che gli stava intorno.
Una
luce fioca illuminava la soffitta, che occupava l’intero
attico della vecchia casa in stile vittoriano.
Il
soffitto spiovente era di legno antico, intervallato qua e
là da piccoli lucernari di vetro colorato. Anche il
pavimento era di legno non levigato, scuro, e le pareti erano rivestite
di assi non verniciate dello stesso materiale.
Sotto
un piccolo abbaino c’era una scrivania antica sulla quale
erano poggiati tanti e tanti libri.
Anzi,
c’erano libri ovunque in quella stanza. Le pareti ne erano
piene.
C’era
giusto lo spazio per un piccolo caminetto acceso e un guardaroba in un
angolo, nonché per l’antico letto in ferro battuto
che campeggiava al centro.
Più
che una stanza da letto, quello sembrava lo studio di uno storico.
Arthur
era seduto alla scrivania.
Continuava
a rigirare tra le mani un piccolo libricino dalla copertina in pelle,
mordendosi la nocca di un dito in preda a mille dubbi. Si era
comportato bene quel giorno, ma non riusciva a decidersi
sulla prossima mossa da fare. Non poteva permettersi alcun errore e non
era sicuro di come Merlin l’avrebbe presa.
Quel
diario… quel diario che non gli apparteneva.
******
Finita
la prima interminabile giornata scolastica, come tradizione,
l’intera Avalon High si riversò
nell’unico grill della città: il Red Kill. Per
l’intera popolazione studentesca del paese era naturale
ritrovarsi lì al calare del sole: un luogo per mangiare e
chiacchierare lontano dalla famiglia. Un’assurda routine
anche quella.
“Ciao,
Sophia”.
Le
mani di Sophia strinsero con forza un piatto sporco. Faceva la
cameriera per arrotondare e di certo non ne andava fiera.
Lei
doveva sudarseli i soldi, doveva faticare. Non era la povera e piccola
principessina Freya cui tutto era dovuto e condonato. Sua
sorella le faceva venire il voltastomaco.
“Che
diavolo vuoi, Will?”. Quel ragazzino stava diventando davvero
fastidioso con la sua ossessione. Era stato carino per un giorno o due,
ma adesso non voleva di certo che tutta la scuola la vedesse in sua
compagnia. Non era un tipo da fare la carità a quel caso
umano, lei.
“Tavolo
7, Sophia!”. Lo ignorò, sperando che afferrasse
l’antifona e la lasciasse in pace. Il cuoco le fece
cenno di avvicinarsi al bancone per una nuova ordinazione.
Lasciò
la stoviglia sporca per un piatto di hamburger con doppia cipolla e
patatine fritte. Non doveva essere un’indovina per capire a
chi servirli: suo fratello, naturalmente. Abitudinario anche nel cibo.
Infatti,
proprio come aveva immaginato, Leon era seduto al solito posto,
chiacchierando con un bel ragazzo moro che avrebbe riconosciuto fra
mille. Con fare civettuolo la ragazza si avvicinò al loro
tavolo, offrendo il suo sorriso più smagliante.
“Tieni, fratellone”.
Leon
le posò un piccolo bacio sulla guancia mentre Lance le
rivolse un cenno con la mano, fissandola decisamente più del
dovuto. Bene, bene, bene. Presto sarebbe stato suo, se lo sentiva.
Li
lasciò ai loro noiosi discorsi di sport ancheggiando con
fare, a suo parere, seduttivo. Lance non avrebbe potuto fare a meno di
guardarla.
“Ti
prego, amico. Dimmi che non ci stai provando con mia
sorella”. Leon si portò una mano alla fronte,
spostandosi una ciocca ribelle. Aveva già abbastanza grilli
per la testa con Morgana, la sua ex (ma non proprio ragazza) ,
e con la sparizione di sua madre. Non aveva bisogno di altre rogne da
sbrogliare.
“Non
ci sto provando con tua sorella”. Fu la risposta rapida
dell’amico. Forse anche troppo rapida.
“Sei
davvero un coglione, Lance”. Sperò di cuore che
l’altro avesse capito di tenere le mani apposto.
Amico o non, sua sorella era off-limits per tutti.
******
L’aveva
vista flirtare con Lance Du Lac e questo gli aveva fatto andare il
sangue al cervello. Che aveva da offrirle quel bell’imbusto
che lui non aveva?
Perché
non voleva capire? Lui l’amava, L’AMAVA! Questo non
contava nulla?
“Hey,
che ti prende? D’estate ti comporti in un modo e poi, appena
comincia la scuola, fai la fulminata?”. Will l'aveva sorpresa
alle spalle, imprigionando la sua mano minuscola in una presa che non
lasciava scampo. Doveva farla ragionare.
Ne
era sicuro: lui le avrebbe aperto il suo cuore, si sarebbero chiariti e
poi tutto sarebbe andato apposto. Anche Will avrebbe avuto il suo lieto
fine. Non aveva dubbi in merito.
“Will,
ti sono grata per tutte quelle pasticche, ma non puoi continuare a
seguirmi come un cagnolino”.
Sophia
si guardò intorno sperando che nessuno si fosse accorto di
loro. Quel ragazzino, in fondo, era "dolce"
quando voleva. Carino, ma questo non voleva dire che avrebbe accettato
di recitare quegli strampalati filmini mentali che si era fatto su di
loro.
Quella volta
fu lei ad afferrarlo per una mano, a trascinarlo in una zona in ombra.
La musica continuava a martellare costante. Bene, nessuno li avrebbe
spiati.
“Però
hai fatto sesso con un cucciolo smarrito!”.
“Shh,
abbassa la voce. Non voglio che si sappia che ho sverginato il
fratellino di Merlin”.
Non
che le importasse molto di Merlin Ambrosius, sia chiaro. Era solo uno
sfigato come un altro, per lei, ma restava pur sempre il migliore amico
di Morgana Le Fay… e nessuno si metteva contro Morgana.
“E
sverginato e sverginato”.
Proprio
non voleva capire!
“Siamo
stati insieme mentre eravamo fatti, e allora? Sta' lontano, prima di
rovinarmi il rapporto con Lance”.
Lance
era bello, atletico, popolare. Tutto ciò che poteva
desiderare. Quale ragazza avrebbe lasciato il principe azzurro per il
giullare di corte? Ci voleva tanto a capirlo?
“Quel
tipo è un cazzone. Ti vuole solo per le tue
chiappe!”.
“Ah,
sì. E tu per cosa mi vuoi?”. Lo fissò
con aria superiore, come si scruta qualcosa di così infimo
da non essere nemmeno degno di leccarti le scarpe. Will Ambrosius
sarebbe rimasto sempre Will Ambrosius. E non c’era nessun
trono per uno come lui nella rigida gerarchia del liceo.
******
“Si
chiama Arthur Pendragon e vive con lo zio alla vecchia Magione dei
Pendragon. Non tornava qui da quando era piccolo. Famiglia di militari:
si trasferivano di continuo. È dei gemelli e il suo colore
preferito è il rosso”.
Morgana
non poté non provare una certa ammirazione nei confronti di
Vivianne. Quella ragazza era un’enciclopedia vivente quando
ci si metteva. Si erano sedute al tavolo da più di
mezz’ora e in quel breve lasso di tempo la biondina le aveva
snocciolato vita, morte e miracoli del bel bocconcino appena trasferito.
Se
Merlin non si decideva a comparire, si sarebbe messa ad urlare.
“Non mi dirai che hai scoperto tutto in un giorno?”.
“Non
dire sciocchezze: ho scoperto tutto fra la terza e la quarta ora.
Pensandoci bene, penso proprio che ci sposeremo a giugno”.
Non
era una cattiva ragazza, Viv. Anzi, era anche una buona
amica… ma bisognava prenderla con le molle altrimenti
avrebbe steso anche un pugile dei pesi massimi.
Dove
diavolo sei, Merlin?
“Freya
Knight ci sta fissando”.
Morgana
si voltò verso il tavolino in un angolo buio che Viv le
stava indicando. Rannicchiata nel suo giaccone troppo grande,
c’era la piccola Freya. Ecco, ora ci mancava anche il pulcino
scaricato.
Freya
le faceva pena, sul serio. Era una ragazza dolce e tranquilla, non
aveva nulla contro di lei. Ma persino un cieco avrebbe visto che tra
lei e Merlin non c’era alchimia, attrazione, nulla.
Alle
volte, continuava ancora a chiedersi cosa fosse passato per la testa al
suo amico quando aveva accettato di uscire con lei.
Erano
stati solo un paio di appuntamenti e non erano andati oltre qualche
casto bacio sulla guancia e un minimo sfiorarsi di labbra, lei lo
sapeva. Aveva costretto Merlin a raccontarle tutto. Tuttavia le faceva
una pena infinita vedere quella ragazza ancora in attesa che il moretto
cambiasse idea. Cielo, erano passati più di quattro mesi!
Doveva andare avanti!
Non
voleva essere crudele, Morgana. Questo no. Ma Merlin aveva
già abbastanza sensi di colpa. L’amore non
corrisposto di una ragazzina di due anni più piccola non era
ciò di cui aveva bisogno per tornare a vivere.
******
Jeans
neri attillati? Check.
Maglia
aderente dei Sex Pistols? Check.
Capelli
perfettamente arruffati in maniera apparentemente casuale? Doppio Check.
Finalmente
era pronto per uscire. Un solo minuto in più e Morgana lo
avrebbe scuoiato vivo.
“Zio
Gaius, io mi vedo con Morgana e Viv al Red Kill”. Dopo tutta
la fatica che aveva fatto per rendersi almeno decente, sperava solo che
il sopracciglio del terrore non avesse nulla da obiettare.
Gaius
si affacciò dalla porta del salotto, dov’era
rimasto completamente affascinato da un documentario su qualche
schifoso insetto dal nome impronunciabile.
Sopracciglio
sinistro: era passato.
“Non
fare tardi e vedi di recuperare tuo fratello. Domani avete
scuola”.
Merlin
annuì appena, aprendo la porta di colpo. Meglio uscire prima
che suo zio cambiasse idea.
SDENG
Diamine!
Chi aveva avuto la brillante idea di piazzare un muro proprio davanti
alla sua porta?
Era
la seconda volta in un giorno. Stava diventando un’abitudine!
“Oh”.
Si tastò la fronte in cerca di qualche danno. Bene, nulla di
serio.
“Scusa,
stavo per bussare”. Oh… mio… Dio!
Arthur! “Ero venuto qui a scusarmi per l’essere
sparito oggi al cimitero”.
Merlin
respira. Va tutto bene. È soltanto il nuovo studente della
Avalon High, bello come un Adone e con cui hai la tendenza a
comportarti come un emerito idiota. Stai calmo!
Sfoggiò
il suo sorriso più smagliante, nel vano tentativo di
mascherare la tensione.
Non
riusciva davvero più a capirsi. Nessuno aveva mai avuto un
effetto così sconvolgente su di lui e conosceva Arthur da
appena un giorno.
“Tranquillo.
Ho capito che il sangue ti dava la nausea, non devi
vergognarti”.
Arthur
sembrò soppesare quella risposta prima di distendere le
labbra in un piccolo cenno d’assenso.
“Sì, diciamo così. Come va la
gamba?”. Sembrava sul serio preoccupato per quel piccolo
taglio. Cosa che stranamente riempiva Merlin di gioia.
Perché?
“Tutto
ok, era solo un graffio”. Solo in quel momento si accorse di
una cosa che avrebbe dovuto notare molto prima. “Come sapevi
dove abito?”.
Il
biondo si strinse nelle spalle, come se quello che gli avevano appena
chiesto fosse la cosa più ovvia del mondo.
“È una piccola città. Ho chiesto alla
prima persona che ho incontrato”.
Gli
volse un nuovo sguardo carico di… di qualcosa cui Merlin non
riusciva a dare un nome.
Era
come se Arthur gli stesse leggendo dentro e, anziché
spaventarlo, questo era per lui naturale come respirare. “Ho
pensato che avresti voluto riaverlo”.
Tirò
fuori dalla tasca posteriore dei jeans un quaderno rivestito di pelle
nera dall’aria tremendamente familiare.
“Oh,
mi sarà caduto. Ti ringrazio”. Merlin
l’ho afferrò con entrambe le mani, stringendoselo
al petto con tutta la forza che aveva. Che imbarazzo!
Quasi
a intuire cosa gli passasse per la testa, le labbra di Arthur si
curvarono rassicuranti verso l’alto. “Non
preoccuparti, non l’ho letto”.
Se
non fosse stato già tremendamente in imbarazzo, sarebbe sul
serio cascato al suolo per la vergogna. “No? Chiunque altro
lo avrebbe fatto”.
“Io
non vorrei che qualcuno leggesse il mio”.
“Hai…
un diario”. Sicuramente lo stava prendendo in giro! Lui?
Lui aveva un diario?
Arthur
continuava a sorridergli con quel suo tono confortante e presto tutte
le sue preoccupazioni scomparvero di colpo. “Sì,
se non scrivo dimentico le cose. È importante
ricordare”.
“Sì…
io dovrei… non serve che resti qui fuori”.
Merlin
rientrò un secondo in casa per riporre il suo preziosissimo
carico. Aveva corso un bel rischio: non tutti erano così
sinceri come quel ragazzo misterioso.
Arthur
si avvicinò alla soglia di casa Ambrosius, ma scelse di non
oltrepassarla. Si limitò ad appoggiare le mani sugli
stipiti, come a voler solo sbirciare dentro senza dare però
l’impressione di voler entrare.
Che
strano tipo.
“Sto
bene”. Gli mormorò quando pochi secondi dopo
Merlin tornò sull’uscio.
“Scusa, stavi uscendo? Non volevo disturbarti”.
“Sì,
dovevo vedermi con Morgana”. Pensarci era inutile.
Quell’invito gli partì proprio da dentro.
“Vuoi venire?”.
******
“Se
Merlin non entra da quella porta entro i prossimi 10 secondi, ho
intenzione di legarlo alla portiera di Breezy e portarlo a spasso per
tutta Avalon!”.
Un
leggero ritardo era un conto. Come appartenente al genere femminile,
Morgana sapeva bene che per ogni appuntamento era bene presentarsi con
un lieve indugio, ma qui si esagerava.
Era
arrivata già alla sua terza coca e tutta quella dannata
caffeina le rovinava la pelle. Gliene avrebbe dette quattro.
“Per
Dior!”.
Sollevò
gli occhi di smeraldo dalle bollicine nel suo bicchiere per vedere il
volto candido di Vivianne iniziare ad assomigliare tremendamente
all’Urlo di Munch.
Che
aveva mai?
Solo
allora notò Merlin Ambrosius ed Arthur Pendragon fare il
loro reale ingresso al Red Kill come una coppia di vecchi amici.
Vecchi
amici o…?
Fu
una scintilla quella, quella bizzarra teoria che balenò
fulminea nella sua testolina affollata e che fece notare alla furba
Morgana quanto, in fondo, fossero davvero una bella coppia.
Proprio
vero che quelli affascinanti erano già accasati, oppure
dell’altra sponda.
“Hey,
Merlin!!! Noi siamo qui!”. Se Viv continuava a sbracciarsi in
quel modo, il vestito scollato che aveva addosso non avrebbe retto a
lungo.
I
due si fecero strada in mezzo ai tavoli tra gli sguardi stupiti di
tutti i presenti. Si accomodarono accanto alle ragazze senza alcuna
incertezza o disagio per tutta l’attenzione ricevuta e, in
meno di 30 secondi, Viv dette il via al suo questionario verbale.
“Quindi
sei nato ad Avalon?”
“Sì,
i miei si sono trasferiti quando ero molto piccolo”. Arthur
aveva preso a giocare con la cannuccia nel suo bicchiere, senza far
nulla per nascondere quanto il suo interesse fosse
completamente rapito dal bel moretto che gli stava di fianco.
“I
tuoi genitori?”.
“I
miei genitori sono morti”. Non c’era espressione in
quella risposta. Era come se la cosa non lo toccasse minimamente.
“Mi
dispiace. Fratelli o sorelle?”. Viv avrebbe potuto condurre
un talk-show, per tutto il suo tatto.
“Nessuno
con cui abbia rapporti. Io vivo con mio zio”. Qui, per un
istante, uno strano nervosismo offuscò il suo sguardo
limpido, ma svanì in fretta come se non fosse mai comparso.
“Allora,
Arthur... sei nuovo, quindi non saprai della festa di
domani”. Vivianne stava tessendo la sua rete di conquista, ma
Morgana decise subito che non gliel’avrebbe permesso. Le
premesse erano troppo buone per essere sprecate: aveva ben altri piani
per Arthur Pendragon.
“È
la festa di inizio anno. Alle Cascate”.
“Tu
ci vai?”. Il biondo chiese a Merlin, ignorando completamente la
sua interlocutrice.
“Certo
che ci va”. Ma guarda un po’, Morgana rise tra
sé. Sarà più facile di quanto
pensassi. Merlin, ti sei trovato proprio un bello spasimante.
******
Che
idiota.
Si
sentiva come una banale ragazzina dopo il suo primo appuntamento.
Avrebbe dovuto trascorrere ancora un’intera giornata prima
della festa alle Cascate, ma la tensione era troppo forte da poter
essere ignorata.
Doveva
essere tutto perfetto.
Provava
e riprovava maglie e camicie nella speranza di trovare il look giusto.
Era davvero patetico.
Sfilò
la t-shirt scura dal suo corpo scolpito, lasciando che l’aria
pungente della sera gli accarezzasse la pelle. Ne indossò
un’altra: erano talmente simili da distinguersi a malapena.
Tuttavia anche un solo dettaglio avrebbe fatto la differenza.
Sorrise
sardonico a quel pensiero. Se lui
fosse
stato lì a vederlo, lo avrebbe deriso per almeno un paio di
secoli.
“Avevi
promesso!”.
Era
stato così preso dalla scelta sul vestiario da ignorare
l’ingresso di Uther nella sua camera. L’uomo
più anziano non aveva bussato, cosa alquanto strana. Doveva
essere accaduto qualcosa di davvero grave per spingerlo ad entrare
nella sua stanza senza annunciarsi.
“Zio
Arthur!”.
Uther
brandiva un quotidiano al pari di un’antica spada medievale.
Nei suoi occhi chiari brillava un fuoco di disgusto e ira che conferiva
al suo viso, già solcato da profonde rughe,
un’aria ancor più minacciosa.
Aveva
solo una cinquantina d’anni, ma in quel momento ad Arthur
parve molto, molto più vecchio.
Gli
prese il giornale, leggendo con voce chiara il titolo che campeggiava
in prima pagina tra le foto di una giovane coppia. “Trovati
cadaveri mutilati da un animale”. Non capiva il
perché di tutto quel trambusto: era solo una notizia locale.
“ È stato un animale”.
“Non
ci provare”. La rabbia di Uther prese a ribollire sempre di
più. “Li riduci così male che non fanno
altro che sospettare di chissà quale bestia sconosciuta.
Avevi promesso di controllarti!”.
“Ed
è così”. Poteva capire il sospetto di
suo nipote ma quella non era opera sua. Lo aveva giurato sulla vita di quella
persona. Mai
più. Mai più.
“Ti
prego, zio Arthur”. Di colpo l’ira divenne
preghiera. “Avalon è un posto tranquillo ed
è così da anni, ma c’è gente
che ancora ricorda. La tua presenza qui agiterà molto le
acque”.
“Non
era nelle mie intenzioni”. Che cosa avrebbe potuto dirgli?
Lui stesso non riusciva a comprendere appieno il motivo per cui era
tornato. Troppi dubbi, troppe domande cui non sapeva o poteva dar
ancora una risposta.
“Perché
sei tornato dopo tutto questo tempo? Perché ora?”.
“Non
devo spiegarti nulla, Uther”. Quello non era un discorso che
poteva affrontare adesso. Volevo solo divertirsi e passare delle belle
giornate. Voleva solo conoscere meglio Merlin. “Sappi solo
che non sono stato io”. E con quell’affermazione la
discussione era chiusa.
“Lo
so che non puoi cambiare quello che sei”. Uther, tuttavia,
non si dava per vinto. Forse non poteva dire di amare Arthur, ma
riusciva sicuramente a nutrire un profondo rispetto per lui. Ed era
proprio per quel rispetto che voleva evitare un nuovo, cruento bagno di
sangue inutile. “Il tuo posto non è
più qui, zio Arthur”.
Quelle
parole gli fecero male, molto male. “E qual è il
mio posto?”.
Per
anni aveva cercato una risposta a quell’interrogativo, un
segno, ma la pace cui agognava continuava a sfuggirgli, elusiva come un
ladro.
Per
un attimo, Uther fu mosso a profonda compassione per quel
ragazzo…, per quell’uomo, che gli stava davanti.
Avrebbe voluto aiutarlo, ma quelle erano cose che andavano ben oltre la
sua comprensione. Tuttavia non poteva lasciarsi impietosire. Un solo
passo falso e sarebbero stati tutti spacciati.
“Non
posso dirti cosa fare, ma tornare qui è stato uno
sbaglio”. Gli diede le spalle, avviandosi verso
l’uscita. Chiuse dietro di sé la pesante porta di
mogano, mentre Arthur tentava di far luce su quella moltitudine di
sentimenti e paure che si agitavano dentro di lui.
Un
tempo ci sarebbe stato lui a
rispondere ai suoi dubbi. Lui
a
dar pace alla sua anima stanca.
Ma
lui
non c’era più. Era solo, adesso.
Si
avvicinò ad un vecchio scaffale, sollevando il coperchio di
un intarsiato cofanetto di metallo.
C’era
qualcosa in quel cofanetto: un ritratto. Il ritratto di un ragazzo dai
capelli corvini accompagnato da un lupo.
Accarezzò
quel viso dipinto, come un amante premuroso fa col viso della sua
bella. Sentiva una morsa stringergli il cuore, come sempre quando
ripensava a lui.
“Che
devo fare Emrys? Tu puoi dirmelo?”.
******
Un’altra
noiosa giornata di scuola.
Un’altra
noiosa lezione di storia.
Chi
stravaccato sul banco e chi poggiato con la testa al muro, un gruppo di
stanchi adolescenti tentava di resistere a quella tortura che si
rivelava essere l’ultima lezione del venerdì
pomeriggio.
Cedric,
poi, era uno di quegli insegnanti che si divertiva sul serio a
torturare i suoi studenti. A rinfacciare loro la sua posizione di
potere, il suo controllo non solo sui loro volti,
ma anche sul loro futuro.
Era
viscido con quel suo sorriso tanto falso quanto lo erano i suoi occhi
acquosi.
“Signor Knight, preferisce sfatare il mito del palestrato
senza materia grigia?”.
Torturare
i giocatori era il suo passatempo preferito. Chissà, magari
un modo come un altro per sfogare tutta la rabbia accumulata durante la
sua adolescenza da banale secchione.
“No,
signor Cedric. Preferisco rimanere una zucca vuota”.
Gli
altri tentarono di soffocare una risata. Meglio non gettare altra carne
al fuoco e dare al loro aguzzino altri armi con cui scatenarsi.
“Merlin,
potresti illuminarci su uno dei più importanti eventi
storici di questa città, per favore?”.
Sapeva
bene di essere stato preso in trappola.
“Mi
spiace, non lo so”.
La
smorfia del professor Cedric si tramutò lesta in un ghigno
di malcelato disgusto che scatenò le ire di Morgana. La
ragazza dovette mordersi il labbro pur di non urlare contro quella
pallida imitazione di un professore tutto il suo ribrezzo. Prendersela
con Merlin era troppo.
“Sono
stato disposto ad essere indulgente con te l’anno scorso, per
ovvi motivi. Ma le scuse personali sono finite con le vacanze estive,
signor Ambrosius”.
“Ci
furono 346 vittime senza contare i civili del luogo”.
Una
voce nuova attirò l’attenzione
dell’insegnante, lasciando al povero Merlin un attimo di
respiro. Una voce proveniente dall’ultimo banco dove un
ragazzo dai capelli d’oro dava l’impressione di
star sonnecchiando da un po’.
“Esatto,
signor...?”. Cedric non riuscì a celare totalmente
la sua irritazione nell’essere stato interrotto, ma non
poteva di certo mostrarsi debole davanti a quella combriccola di
mocciosi ancora maleodoranti di latte materno.
“Pendragon”.
Arthur aveva drizzato la schiena, mettendo in mostra tutto il suo
fisico muscoloso sotto la leggera t-shirt nera.
“Pendragon.
È imparentato con i primi coloni giunti qui ad
Avalon?”.
Il
biondo si strinse nelle spalle. “Lontanamente”.
Cedric
finse di annuire interessato, pronto a colpire con una sua frecciatina
saccente. “Tranne il fatto che non ci furono vittime civili
in questa battaglia…”.
“A
dire il vero, signore, ce ne furono 27”. Il ragazzo lo
interruppe di proposito, godendo appieno quell’espressione di
stizza mista a stupore che ora campeggiava sul volto di quel misero
omuncolo anoressico. “I soldati del re spararono contro la
chiesa pensando che ci fossero delle armi”.
Continuò con voce limpida e sicura, quasi come se fosse lui
l’insegnante intento a tenere la lezione. “Ma si
sbagliavano: fu una notte di grandi perdite. Gli archivi dei fondatori
sono in comune”. Piccola pausa per raccogliere la suspance.
“Nel caso volesse aggiornare i suoi dati, signor
Cedric”.
Stavolta
le risate di scherno verso Cedric non poterono essere trattenute. Se le
era meritate in pieno.
L’uomo
era rimasto completamente di sasso a quelle parole, stringendo i libri
che aveva sempre consultato in modo quasi spasmodico.
Merlin
si volse a guardare il suo nuovo compagno di classe seduto diversi
banchi più in là, lanciandogli un piccolo sorriso
d’approvazione.
Arthur
rispose strizzando a malapena l’occhio e ancora una volta,
come capitava spesso in quei giorni, Merlin dovette combattere il
rossore che minacciava di conquistare le sue guance.
BIP
Un
sms.
“IL
NUOVO ARRIVATO NON FA ALTRO CHE FISSARTI IL SEDERE. WAY
TO GO, BABY!”
C-Che???
Il
povero soggetto interessato chinò il capo sul banco,
tentando di frenare quella lieve combustione spontanea che stava per
stroncare la sua giovane vita.
MORGANA!
Finalmente
il suono della campana: quell’interminabile giornata era
finita.
******
Le
poche ore che avevano separato la fine delle lezioni
dall’inizio dei festeggiamenti erano volate in un istante.
Il
party aveva preso il via da poco, ma moltissimi dei ragazzi presenti
erano già ubriachi. Birra, vodka, droga: tutto quello che un
adolescente avrebbe potuto desiderare.
Due
amici si stavano scaldando vicino al falò, sebbene, per gli
argomenti trattati, Merlin si sentisse pervadere da una febbre fin
troppo conosciuta.
“Merlin”.
Quel ragazzo era più cocciuto di un mulo. Era il ventunesimo
secolo, che diamine! Non lo faceva così tradizionalista!
“D’accordo,
è carino”. Il terreno spoglio aveva un che di
attraente. Non riusciva a smettere di fissarlo.
Non
era omofobo, cazzo. Aveva sempre accettato l’idea che non si
può scegliere chi amare… sul serio! Ma non aveva
nemmeno mai pensato di potersi interessare ad un altro uomo!
“Sembra
uscito da un romanzo: con il suo sguardo penetrante, Arthur gli
trafisse l’anima. Che aspetti a prendere
l’iniziativa?”.
Morgana
si lasciò sfuggire una smorfia pregna di significati non
proprio nascosti.
Non
riusciva sul serio a capire il perché di tutte quelle
remore. Arthur era bello, sexy e palesemente attratto da lui.
Perché voleva negarsi tutto quel ben di dio, sciocco Merlin!
Se si fosse trattata di lei, Morgana non avrebbe esitato a sfoderare
tutto il suo repertorio.
Arthur
era l’aria fresca di cui il suo amico aveva disperatamente
bisogno.
E
poi… loro due insieme… cielo, che coppia!
E
proprio Arthur, intanto, avanzava tra i ragazzi ubriachi proprio alla
ricerca di Merlin.
Eccolo!
Lo aveva trovato. Aveva trovato il motivo per cui aveva accettato di
sottoporsi a quel supplizio. In altri tempi, avrebbe amato tutto quello
sfoggio di giovani ed incoscienti vite. Ma quei tempi erano ormai
trascorsi e non avrebbe desiderato per nulla al mondo di poterli
rivivere.
“Ah,
sei arrivato”. Un botolo di capelli platinati e camiciola di
seta: Vivianne.
“Già”.
Doveva riuscire a seminarla, oppure non avrebbe potuto eseguire
ciò che si era prefisso.
Il
suo scopo, il suo obiettivo. Il sogno che tante notti lo aveva lasciato
sveglio.
“Andiamo
a prendere da bere”. Vivianne lo cinse per un braccio,
accompagnandolo verso il grande tavolo posto al centro del gazebo.
Doveva
lasciarla fare se non voleva svelare il suo segreto.
“Beh,
no”.
“Oh,
coraggio”.
Quella
ragazza emanava un forte odore di feromoni: eccitata! Ci mancava solo
questa.
******
“Dove
sarà finito?”. Morgana continuava a guardarsi
intorno alla ricerca del bel principe azzurro per il suo migliore
amico. Come osava farlo aspettare? Non aveva un minimo di ritegno quel
ragazzo?
“Dimmelo
tu”. Lo stomaco era in subbuglio. Se avesse potuto
nascondersi sotto un masso, lo avrebbe fatto volentieri, povero
Merlin. Peccato che Morgana non glielo avrebbe mai perdonato. Oramai
per lei quello era diventato un fatto personale. “Sei o non
sei una veggente?”.
“Giusto,
l’avevo dimenticato. Dammi un momento; la nonna dice che devo
concentrarmi”.
“Aspetta:
ti serve una sfera di cristallo”. Il ragazzo
afferrò una bottiglia di birra portagli da chissà
chi offrendola alla sua amica. C’era sul serio gente che
credeva ancora alla magia?
Tuttavia,
in quel momento, accadde una cosa stranissima. Avvertì come
un contatto elettrico, una scossa attraversare le loro dita che si
sfioravano. Una scintilla che fece spalancare gli occhi Morgana per la
sorpresa.
Per
un attimo, il respiro le venne meno.
“Che
c’è? Che succede, Morgana”.
Morgana
si portò una mano al petto, sopra il ciondolo a forma di
fenice che le scendeva all’altezza del cuore.
“È strano. Quando ti ho toccato, ho visto un
corvo”.
“Che
cosa?”.
“Un
corvo. C’era la nebbia e un uomo ti osservava”. Non
sembrava nemmeno lei a proferire quelle parole. Il suo tono era
distante, vuoto. Quasi come se non fosse davvero lì. Ma fu
solo un attimo prima che tornasse quella di sempre. “Sono
ubriaca, è l’alcool. Qui la magia non
c’entra niente”. Eclissò sulla cosa con
un cenno della mano. “Ok, vado a prendere da bere”.
“Morgana!”.
Ma
lei era già sparita.
“Ciao”.
Qualcuno
gli era arrivato alle spalle, facendolo sobbalzare.
“Ciao”.
Dio che imbarazzo! Ma perché doveva sempre fare la figura
dell’idiota con lui? Arthur doveva averlo scambiato per un
ritardato con tutte le sue figuracce.
“Io...
io l’ho rifatto, vero?”. In realtà, il
bel biondino era mortalmente più in imbarazzo di lui. Non
sapeva come comportarsi in quelle situazioni. Era passata
un’eternità da quando si era trovato in un
contesto simile e gli faceva male pensare a quei momenti.
Un
fastidioso silenzio calò tra loro mentre nessuno dei due si
decideva a fare la prima mossa.
Prendi
l’iniziativa!
Ora
la sua coscienza parlava pure come Morgana?
“Hey,
Arthur”. Poteva farcela, sì. “Ti va di
fare una passeggiata?”.
******
In
mezzo a tutti quegli ormoni impazziti, Sophia cingeva il collo di Lance
sfiorandogli le labbra ruvide con le sue.
Lance
sapeva di sale e dei caldi raggi del sole. Lo voleva, lo bramava.
Avrebbe fatto di tutto affinché fosse divenuto suo.
Si
strusciava sinuosa sui suoi muscoli scolpiti, tentando di incantarlo
come un fachiro indiano fa con il suo bel serpente letale. Era una
danza antica, quella. Una danza che molte donne prima di lei avevano
già compiuto con successo.
La
sua lingua birichina scattò curiosa mentre percorreva umida
il contorno del lobo del suo orecchio. Quei capelli neri
così folti e lucenti le facevano venir voglia di stringerli.
Chissà…
magari presto lo avrebbe fatto in preda alla passione.
“Voglio
stare sola con te”.
Lancelot
era totalmente rapito da lei. Era sbagliato, lo sapeva. Leon
gliel’avrebbe fatta pagare cara, ma era pur sempre un uomo.
Come poteva resisterle?
Lei
lo prese per mano, incurante di quegli occhi carichi
d’invidia che seguivano ogni sua mossa.
Lo
prese per mano, allontanandosi fra gli alberi verso una comoda alcova,
voltandosi ogni tanto per qualche fuggevole bacio.
Camminarono
a lungo, presi com’erano l’uno
dall’altra, dimentichi di tutto il resto.
Stava
per accadere, stava per accadere.
Quando
ritenne di aver raggiunto una distanza adeguata, Sophia si
lasciò scivolare contro un albero. I suoi occhi brillavano
di lussuria anche al buio.
Stava
per accadere.
Uno
ad uno prese a slacciare i bottoncini della sua camicetta rossa,
lasciando che un velato tessuto di pizzo nero venisse allo scoperto.
“No,
dai. Non farò sesso contro un albero. Non è
giusto. Che dirà Leon!”.
“Non
m’importa nulla di Leon”.
Lo
attirò a sé, facendo scivolare nuovamente le sue
mani fra quei capelli d’ebano che tanto la affascinavano.
Stava
per accadere.
“Hey,
lasciala stare!”.
Balzò
dalla boscaglia come una bestia inferocita facendoli sobbalzare. Il
volto di Will era irriconoscibile, completamente trasfigurato da quella
gelosia opprimente e cieca che non lasciava spazio se non alla violenza.
“Stai
iniziando a darmi sui nervi, Ambrosius”.
Non
lo avrebbe mai ammesso, ma una parte di Lance si sentì
sollevato a quella interruzione. Sapeva che stare con Sophia era
sbagliato. Era la sorella del suo migliore amico, la conosceva da
bambina. Ma, Dio, quant0’era eccitante.
Comunque,
questo non dava il permesso a quella patetica mezza tacca di alzare la
voce con lui.
“Dai,
Lance, lascialo stare. È solo un ragazzino”.
Sophia gli incorniciò il viso velato da un’ombra
di barba, cercando in ogni modo di ritrovare la magia che si era
così malamente infranta.
Ci
era andata così vicina!
“Cos’è,
Du Lac? Hai paura?”. Quel corpo nascosto dagli ampi vestiti
da skater fremeva di collera. Voleva fare a pugni, dargli una lezione.
Insegnare a quel bell’imbusto qual era il suo posto e a chi
apparteneva la bella Knight.
Lance,
invece, sbuffò carico di disprezzo. Quel ragazzino aveva
davvero oltrepassato ogni limite. Lo mandava in bestia ma non gli
avrebbe dato questa soddisfazione. Lui non valeva nemmeno uno dei pugni
che tanto bramava.
“Va
a farti fottere, Ambrosius. Non sarò sempre così
magnanimo”. Lo spinse contro un tronco senza sforzo,
riprendendo il sentiero da cui erano venuti. Aveva bisogno di una birra.
“Ma
sei idiota! Che diavolo ti è preso?”. Fu Sophia a
colpirlo, invece. Lo schiaffeggiò con una forza inaudita,
lasciando il povero Will completamente spiazzato.
“Pensavo
che ti stesse saltando addosso. Volevo aiutarti!".
“Beh,
pensavi male: ero io a volerlo. Perché non mi lasci in pace?
Tutto questo tuo voler parlare, aprirmi il tuo cuoricino e poi scopare,
scopare, scopare. Cosa ti fa credere che tu m’interessi
ancora?”.
“È
questo quello che pensi di me?”. Perché gli
mostrava tanta sufficienza? Che fine avevano fatte quelle ore stretti
stretti giù al lago?
“Svegliati,
Will. È solo la verità. Abbiamo scopato, stop.
Fra di noi non c’è niente!”.
Lo
lasciò così, più solo che mai.
L’ultima sua speranza infranta senza alcuna pietà.
******
Il
vecchio ponticello di legno era il posto ideale per parlare. Tutto il
fracasso della festa sembrava lontano mille miglia: c’era
solo la natura. Le lucciole danzavano sull’acqua scura,
illuminando quello specchio in terra della stessa luce delle stelle nel
firmamento.
Si
erano allontanati dagli altri a poco a poco, quasi fosse naturale per
loro due il ritrovarsi vicini e separati da tutti gli altri. Era una
sensazione strana, quella che Arthur gli comunicava: una
sorta… una sorta di pace interiore che Merlin non era sicuro
di aver mai provato prima.
Un
silenzio di cui aveva disperatamente bisogno ma che, al tempo stesso,
mandava il suo cuore in subbuglio.
E
non perché Arthur fosse dannatamente
carino, nonostante quello che Morghy pensava.
“In
città parlano tutti di te”.
“Ma
davvero?”. Il biondo teneva un ginocchio alto,
circondandolo con le sue braccia forti. Vi teneva sopra il viso,
scrutando ogni più piccolo dettaglio del volto del suo nuovo
amico.
“Mhmhm,
il nuovo ragazzo del mistero. Hai fatto notizia”. Merlin gli
sedeva accanto, poco distante, eppure poteva giurare di riuscire a
sentire il calore che quella giacca di pelle scura emanava.
“Non
sono nulla di speciale”. Arthur si strinse nelle spalle,
posando quel suo sguardo di cielo si di lui. Si sentiva nudo sotto
quello sguardo. “Tu, invece, Merlin. C’è
qualcosa in te…”.
“Cosa?”.
Si sforzò di allentare la tensione con un piccolo riso.
“La mia affascinante personalità?”.
Il
volto di Arthur era serio e quella risata si spense subito.
“La
tua tristezza”.
“Cosa
ti fa pensare che io sia triste?”. Un nodo fin troppo
familiare gli serrava la gola. Quelle parole avevano avuto su di lui
l’effetto di mille volt.
“Beh”.
Pendragon doveva essersene accorto perché stavolta fu lui a
sorridere sghembo. “Ci siamo conosciuti in un
cimitero”.
Quel
groppo si sciolse subito così com’era comparso.
“Giusto. Anche se, tecnicamente, ti sono venuto addosso fuori
dal bagno degli uomini. Ma lasciamo stare, non è una
conversazione adatta ad una festa”.
Il
silenzio calò nuovamente tra loro, ma non li divise
com’era accaduto in precedenza, anzi. Era confortante,
sicuro. Come una calda trapunta di soffice piuma.
“Non
sono mai stato bravo a conversare. Tutti qui mi fanno mille domande ma,
sul serio, non c’è nulla di speciale in un tipo
come me”.
“Allora
sei fortunato. Io farei di tutto per tornare ad essere il ragazzo
insignificante che ero prima. Prima della scorsa primavera, prima che
l’auto dei miei genitori volasse giù da un ponte
nel lago. Prima che io sopravvivessi e loro no”.
“Non
sarai triste per sempre, Merlin”.
In
tanti glielo avevano detto prima ma non ci aveva mai creduto. Cosa ne
sapeva la gente di quello che aveva passato? Di quello che stava
provando? Del senso di colpa che lo attanagliava impedendogli di
respirare?
Eppure…
Eppure
il tono con cui Arthur pronunciò quelle parole valeva
più di un giuramento solenne. Avrebbe creduto a tutto
ciò che gli avesse detto.
“Grazie”.
Ancora
silenzio, ancora quel tacito conforto.
“Morgana
sembra una buona amica”.
“È
la mia migliore amica”. Non c’erano abbastanza
parole per descrivere Morgana. Lei era questo e molto di
più. Definirla amica era quasi riduttivo. “Ci
conosciamo praticamente da sempre”. Merlin si era
tolto i pesanti anfibi militari per giocare con l’acqua del
lago.
Era
fredda e si sentiva anche un po’ sciocco, ma una vocina
continuava a sussurrargli che Arthur non avrebbe riso di lui.
“E
Freya sembra non riesca a toglierti gli occhi di dosso”.
Auch, tasto dolente. Un argomento che avrebbe preferito dimenticare per
almeno un paio di secoli.
Merlin
si passò una mano sulla nuca, tentando di trovare le parole
giuste per descrivere quella situazione così dannatamente
complicata. Che si era scatenata solo per colpa sua. Sapeva di non
provare nulla per Freya, o almeno non in quel senso, ma aveva voluto
illuderla lo stesso.
“Freya
è l’amica d’infanzia con cui, per vedere se
c’è dell’altro, provi a mettertici
insieme”. Infondo era andata così, detto nel modo
più semplicistico possibile.
“E...?”.
“E
le cose non hanno funzionato. Era chiaro come il sole che non avrebbero
funzionato”. Rise senza umorismo. “Lo
sapevano tutti che non avrebbero funzionato. Morgana mi ha dato una
bella strigliata al riguardo. Ma, prima che potessimo rompere, i miei
sono morti e tutto è cambiato. Non lo so: io e Freya
insieme… non c’era… non
c’era…”.
Che
cosa non c’era tra lui e Freya?
“Passione”.
Rispose per lui Arthur, quasi ad avergli letto nel pensiero. Lo stava
fissando con una tale intensità che ancora una volta Merlin
si sentì avvampare.
“No,
non c’era passione. Ho provato e riprovato a convincermi che
anche senza passione le cose avrebbero potuto funzionare ma mi stavo
solo prendendo in giro”. Rise ancora, tentando di scordare le
lacrime di Freya, la sua delusione, quel maledetto senso di colpa che
gli stringeva la bocca dello stomaco ogni volta che incontrava quegli
occhi color nocciola nei corridoi della scuola. “Cristo,
quanto sono patetico”. Merlin si lasciò cadere sul
legno scuro, coprendosi con un braccio il viso. Stava facendo
proprio una bella figura. “Mi dispiace costringerti a
sorbirti i miei problemi, amico”.
Arthur
liquidò la cosa con un mezzo sorriso.
In
quel momento un lieve venticello si sollevò dalla foresta,
increspando l’acqua nera del lago. Fu solo una piccola brezza
ma tanto gli bastò.
Era
un odore inebriante.
Di
distese sconfinate.
Di
ruscelli limpidi.
Di
sangue dolce e caldo.
“Hey,
stai bene?”. Il mondo intorno a loro si era ammutolito di
colpo. Merlin si sollevò a sedere, alla ricerca di quello
sguardo di cielo sereno che lo aveva accompagnato tutta la sera e per
un attimo, un solo attimo, gli parve di scorgervi un bagliore dorato al
suo interno. Il bagliore di una fiera pronta al balzo. “I
tuoi occhi sono…”.
Arthur
scattò in piedi con un gesto quasi innaturale, voltando il
viso nell’ombra.
“Oh.
Non è niente. Hai sete? Vado a prendere da bere”.
Prima che Merlin potesse controbattere, il biondo sparì nel
fitto della boscaglia.
“Arthur!”.
Che era successo?
Prima
che il suo cervello potesse afferrare gli ultimi eventi, si era
già lanciato al suo inseguimento, tentando di capire che
diavolo avesse detto o fatto per scatenare una reazione simile.
Le
foglie degli alberi secolari sferzavano sul suo viso come fruste mentre
tentava di farsi strada verso i suoi compagni. Arthur era sparito
così rapidamente che era quasi impossibile stargli dietro.
“Oh”.
Sophia
gli passò accanto, guardandolo con quel sordo disprezzo che
soleva riservare apposta per lui. Il giovane ignorò come
sempre quello sprezzo e continuò ad avanzare verso il centro
della festa. La musica lo investì in pieno, disorientandolo.
Offuscando i suoi sensi e rendendoli sordi alle urla soffocate in
lontananza. Urla che provenivano proprio lì, dalla via da
cui era giunto e dove Sophia era scomparsa.
Ma
Merlin non aveva sentito nulla di tutto ciò.
C’erano solo dei corpi accaldati e sudati che si contorcevano
a destra e a sinistra, spingendolo senza una meta precisa. Si
guardava intorno nella vana speranza di trovare il suo nuovo amico.
Tutto inutile.
“Cerchi
qualcuno?”.
Si
voltò di scatto, tentando di calmare il suo povero cuore che
ancora una volta minacciava di balzargli fuori dal petto. Sul serio,
volevano farlo morire d’infarto?
“Diamine,
Freya. Mi hai fatto spaventare”. Doveva parlare con Arthur,
capire cosa gli era capitato. C’era solo il giovane Pendragon
nei suoi pensieri e persino il senso di colpa nei confronti di Freya
pareva ammutolire innanzi alla voglia di ritrovare il biondo.
Era
da codardi rimandare quel confronto, lo sapeva bene. Ma sul serio non
sapeva cosa dirle. I mille discorsi che si era studiato per
quell’occasione erano stati cancellati come da un tocco di
spugna.
Arthur,
intanto, era riuscito a calmarsi e aveva preso a fissarli
all’ombra di un pino secolare.
Era
stato incauto con Merlin, ma non avrebbe mai pensato che il suo odore
potesse scatenare in lui una simile frenesia. Era stato
troppo… troppo invitante.
Per
questo era dovuto fuggire, nascondersi. Il profumo di Merlin lo aveva
letteralmente sconvolto, aveva minacciato di mandare
quell’autocontrollo, di cui andava tanto fiero, alle ortiche.
Doveva
fare più attenzione. Non si sarebbe mai perdonato se gli
avesse causato ulteriori sofferenze. Merlin era troppo prezioso.
E
poi… un angolo buio era un buon posto per spiare quella
ragazzina invadente.
“Quando
mi hai lasciato, mi hai detto che volevi trovare te stesso. Che non
volevi legami stabili. Eppure non mi sembra che tu sia solo. Pendragon
è arrivato solo da un paio di giorni e già siete
inseparabili”. Si torceva le mani nervosamente, mordendosi il
labbro.
“Freya,
Freya, tu non capisci. Arthur è un amico e con lui sto bene.
Non c’è nulla di quel genere tra noi
due”. Per la millesima volta in due giorni, Merlin si chiese
perché tutti si ostinassero a vedere più del
dovuto nella sua conoscenza con Arthur. Che diavolo avevano?
“Merlin,
fa' quello che devi fare. Ma sappi che io ti aspetterò per
sempre”.
Freya
gli sfiorò appena le labbra con le dita prima di voltarsi e
raggiungere suo fratello. Lasciando il povero Merlin con solo quella
frase sibillina carina di significati reconditi che non voleva cogliere.
“Freya!”.
Bene, se n’era andata anche lei! Che serata assurda.
Arthur
socchiuse gli occhi, appoggiando la schiena alla vecchia corteccia
nodosa. Merlin.
Sapeva
che un coinvolgimento eccessivo sarebbe stato pericoloso per entrambi,
però… una chance. Anche solo il miraggio di una
chance lo rendeva euforico.
Uscì
dal suo nascondiglio visibilmente ricaricato, avvicinandosi al tavolo
delle birre ed afferrandone due. Doveva avere un sorriso ebete stampato
sul volto, ma al momento non gliene importava.
“Hey,
sei qui”. Vivianne finse di afferrare la sua stessa bottiglia
mentre un profumo dolciastro di vaniglia lo investiva. Non aveva mai
amato i cibi troppo dolci. Nulla a che vedere con quello di Merlin.
“Ti va di vedere la cascate? Dicono che di notte siano
bellissime”.
Gli
occhi della ragazza scintillavano di lussuria e alcool. Pessimo mix.
“Credo
che tu abbia bevuto troppo”.
“Certo
che ho bevuto, e troppo”. Lei prese a giocare con un boccolo
biondo, incurante dei mille segnali di rifiuto che Arthur le stava
mandando. Chissà, forse quell’atteggiamento
ostinato andava ancora di moda tra i ragazzi. Doveva essere ancora
valido per rimorchiare; Arthur avrebbe voluto ricordarselo, ma non se
ne era mai curato molto negli anni.
C’era
stata una donna, molto
tempo prima, che
era riuscita ad avvicinarlo in quel modo, ma per lui oramai esistevano
solo quegli occhi color del mare. Un sorriso semplice e puro. Una
sincerità che sapeva stregarti l’animo.
“Vivianne,
tra te e me non ci sarà mai niente. Mi spiace”.
Vivianne
lo fissò quasi a non capire, finché non scorse un
paio di orecchie decisamente troppo familiare. “Uff, stupide
checche”. Un tipo del genere che batteva per
l’altra sponda? Che spreco! Ma questo di certo non la
fermò, anzi. Già si preparò a puntare
la sua prossima vittima.
“Mi
stavo chiedendo chi ti avesse rapito. Ora lo so”. Merlin lo
aveva infine raggiunto, chinandosi in avanti per riprendere fiato.
“Fa
così con tutti i ragazzi?”. Il biondo
sollevò un sopracciglio indicando Viv che si era avviluppata
come un polpo al nuovo povero malcapitato.
“No,
tu sei carne fresca, ma prima o poi si stancherà”.
Arthur
rise a quell’osservazione. Sentirlo ridere lo rasserenava, lo
faceva sentire normale. Merlin era davvero speciale. Era così
che lo voleva: sempre felice, sempre sorridente.
Tuttavia,
quel caldo sorriso si spense subito mentre gli occhi di mare
concentrarono la loro attenzione oltre la figura muscolosa di
Pendragon. Un ragazzo sui sedici anni e dai vestiti troppo ampi
barcollava verso un sentiero buio.
Will,
maledizione! Lo aveva fatto di nuovo.
“Oh, ma stiamo scherzando?”. La furia
s’impadronì di quel corpo esile, facendolo vibrare
di collera mal celata.
Subito
i sensi di Arthur si allertarono in cerca di pericoli. Nulla. La sua
acutissima vista notturna non gli rivelava nulla.
Solo
uno sciocco adolescente sbronzo.
“Che
c’è?”. Finse di non averlo riconosciuto
ed attese che fosse Merlin a fare la prima mossa.
“Mio
fratello”.
“Quello
ubriaco?”.
“Già,
proprio lui. Scusa un attimo”. Merlin gli sfiorò
un braccio in segno di saluto e subito entrambi furono pervasi da una
sensazione di profondo calore. Un calore tanto intenso che li fece
allontanare di qualche passo come scottati.
Cercando
di riprendere il controllo, Arthur si offrì di aiutarlo.
“Fidati.
Non sarà un bello spettacolo. Will!”.
Doveva
allontanarsi da Arthur.
Merlin
non capiva bene il perché, ma sapeva solo che doveva
allontanarsi da lui: per respirare, calmarsi e tentare di riprendere
possesso di quel briciolo di autocontrollo che gli era rimasto.
Arthur
lo confondeva.
Quando
gli era vicino, tutto il resto del mondo scompariva; e questo gli
faceva dannatamente paura.
“Will!”.
Suo
fratello lo ignorò completamente, continuando a camminare a
passo svelto verso il folto del bosco.
“Will,
dove diavolo stai andando!”.
“Non
ti voglio sentire, Merlin. Lasciami in pace!”.
“Will,
dannazione, fermati!”.
Merlin
gli afferrò un braccio facendolo ruotare su se stesso
affinché potessero affrontarsi lì, in quel
momento. Finalmente faccia a faccia.
“Will,
stammi a sentire!”.
“Fottiti,
Merl!”. Il sedicenne strattonò la presa riuscendo
infine a liberarsi. Merlin non gli avrebbe rovinato la sua ultima
pasticca.
Purtroppo
quella mossa fu alquanto incauta. Il suo piede inciampò in
qualcosa, qualcosa di grosso e morbido che quella sottile nebbia,
comparsa da chissà dove, celava ai loro sguardi.
In
un attimo, Will cadde al suolo, ma il suo viso non toccò mai
terra. Qualcosa di soffice e dal forte odore metallico frenò
la sua discesa.
“Sophia!
Oh, mio Dio è Sophia!”.
Sophia
Knight giaceva riversa sul terreno spoglio, una profonda lacerazione
che le squarciava il collo magro.
Sangue,
tanto sangue, gli occhi vacui rivolti verso il cielo.
La
reazione di Merlin fu istantanea. Il ragazzo si tolse la felpa scura
tentando, quanto poteva, di tamponare quella ferita.
“Aiuto!
Qualcuno ci aiuti!”.
Will
era immobile accanto a lui, sporco di sangue e con la bocca contorta in
un grido muto.
Non
urlava, non respirava. Lo shock era stato troppo grande.
Merlin
continuò ad urlare fino a farsi scoppiare i polmoni. Ancora
e ancora e ancora.
Urlava
e urlava, mentre la sua felpa diveniva sempre più intrisa di
quel liquido vitale.
“AIUTO!”.
Finalmente,
le sue grida furono ascoltate. I ragazzi si precipitarono in massa,
accalcandosi gli uni su gli altri per assistere a quel macabro
spettacolo.
“Qualcuno
chiami un’ambulanza, maledizione”.
“Guardatele
il collo, sta perdendo molto sangue!”.
“Non
state lì a fissarmi come idioti, chiamate i
soccorsi!”.
Morgana
si fece strada a gomitate tra quegli stupidi curiosi, prendendo subito
in mano la situazione. Tirò fuori dalla tasca il suo
cellulare per iniziare ad urlare frasi smorzate e rapide indicazioni a
chiunque la stesse ascoltando dall’altra parte.
La
festa era decisamente finita.
Solo
uno se ne restava in disparte: Arthur. L’odore del sangue lo
circondava, schiacciandolo col suo richiamo.
Poteva
sentire i ragazzi strepitare contro un misterioso animale selvaggio
anche da dove si trovava, ancora accanto al gazebo, ma lui
sapeva… sapeva qual era la verità.
Solo
un essere poteva aver lasciato un segno simile.
Vampiro.
Doveva
parlare con Uther.
Sparì
tra la folla come un fantasma senza fare alcun rumore, anche se con
tutta quella commozione, dubitava che qualcuno si sarebbe accorto della
sua scomparsa.
******
Trovò
Uther lì dove lo aveva lasciato, seduto all’antica
scrivania di quercia con la sola compagnia di un buono scotch e di un
vecchio testo appartenuto a chissà quale avo. Probabilmente
proprio ad Arthur.
Era
rientrato in casa sbattendo la porta, infuriato con se stesso e con la
mala sorte che perseguitava ogni suo passo su questa strana Terra.
Le
sue mani erano rigide, serrate, mentre unghie dure come
l’acciaio andavano a conficcarsi nella sua carne.
Una
cosa da nulla, un dolore che nemmeno sentiva.
“Che
succede?”. L’uomo più anziano si
sfilò gli occhiali da lettura. Uno strano presentimento lo
percorse tutto, facendogli venire la pelle d’oca.
“È
stata attaccata un’altra persona. E non sono stato
io”.
Ma
Arthur non gli lasciò il tempo di replicare, no. Non avrebbe
resistito ad altre parole di accusa. Gli serviva un piano, subito.
Doveva salvaguardare Merlin e tutte le persone cui voleva bene.
Se
fosse capitato qualcosa a Will, a Morgana, il suo Merlin non avrebbe
potuto sopportarlo.
Non
riusciva a crederci. Ci aveva parlato solo un paio di volte e
già lo considerava suo!
Doveva
controllarsi, maledizione!
Tali
erano i pensieri che affollavano la sua mente irata e caotica da
renderlo ignaro a tutto ciò che lo circondava. Un grave
errore che mai avrebbe dovuto verificarsi.
Infatti,
Arthur non la vide.
Non
la vide, quell’ombra.
Quell’ombra
scura e ghignante riflessa sul suo specchio.
“Ciao,
fratellino”.
Quella
voce… non poteva essere lui.
Tutti
ma non lui.
Lui
che in 500 anni si era augurato di non dover mai più
rivedere .... "MORDRED!”.
******
I
paramedici avevano caricato Sophia sull’ambulanza con il
fratello Leon, che le teneva una mano mentre lei lottava tra la vita e
la morte.
Vivianne
teneva Freya stretta a sé mentre le sussurrava mille e
più rassicurazioni: Sophia se la sarebbe cavata, tutto
sarebbe finito bene. Ma erano parole vuote, nemmeno lei ci credeva.
Merlin
era rimasto seduto su di un vecchio tronco, la felpa sporca di sangue
lasciata chissà dove. Continuava a fissarsi le mani
macchiate di rosso, tentando di trovare un significato a quello che era
accaduto.
“Hey”.
Per
un attimo, il cuore prese a martellargli in petto, in trepidazione,
nell’attesa di perdersi nuovamente in quell’oceano
di azzurro terso. Fu una cosa istintiva. Per un solo secondo,
desiderò di averlo nuovamente accanto con la sua presenza
rassicurante e tranquilla.
“Merlin,
stiamo andando a prendere un caffè in attesa di notizie.
Vuoi venire?”. Peccato, era solo Morgana.
Si
dette dell’idiota da solo, dell’ingrato a sminuire
la sua migliore amica così. Ma sarebbe stato un bugiardo se
non avesse ammesso di desiderare che la mano che ora gli sfiorava il
viso preoccupato fosse di qualcun altro. Qualcuno appena conosciuto ma
che sentiva di conoscere da un’eternità.
“Devo
riportare Will a casa”. Suo fratello era seduto poco distante
ancora sotto shock. Aveva bisogno di Gaius per farlo riprendere.
“Morgana?”.
“Si,
cucciolo?”.
“Per
caso hai visto Arthur? In mezzo a tutto questo caos l’ho
perso di vista”.
La
ragazza scosse la testa in segno di diniego. “Sarà
qui intorno, non ti preoccupare”.
“Fa
nulla. Il sangue deve averlo impressionato troppo”. Era una
magra giustificazione, ma non poteva pretendere troppo dal bel
biondino.
“Merlin…”.
Quel filo di pensieri brutti fu interrotto bruscamente da qualcosa nel
tono di voce di Morgana che era diverso dal solito. Più
oscuro, preoccupato e preoccupante al tempo stesso. E questo gli faceva
dannatamente paura, perché Morgana non aveva mai timore di
nulla. Nulla la faceva indietreggiare. “È
impossibile che io sia una veggente, lo so bene. Ma qualunque cosa io
abbia visto, o creda di aver visto…”.
“Morgana…”.
Come
appartenenti a un oracolo antico, le parole fuoriuscite da quelle
labbra carnose avevano un sapore di morte. “Merlin, questo
è solo l’inizio”.
******
“Mi
ha lasciato senza fiato: Merlin. È identico al tuo
preziosissimo Emrys”.
Mordred
Pendragon era l’essere più spaventoso che avesse
mai conosciuto. I tratti del viso erano cesellati come quelli di una
statua di Michelangelo; lo sguardo sempre aguzzo, la mente perennemente
pronta e sadica.
Tanto
bello quanto crudele, si era più volte augurato di non
doverlo più incontrare sul suo cammino. Quello che un tempo
aveva chiamato con affetto fratello, ora era divenuto il suo
più spietato nemico.
Arthur
non riusciva a muoversi.
Sotto il peso di quegli occhi di ghiaccio si sentì
nuovamente piccolo e insignificante, come quando da bambino vedeva suo
fratello cavalcare uno degli stalloni da guerra del padre in un modo
che nulla sembrava
poterlo abbattere.
Mordred
non aveva mai avuto eguali agli occhi di Arthur: era invincibile.
E
Mordred lo sapeva, aveva sempre saputo di questa inconscia paura che
scatenava in lui, e ora se ne beava come di un liquore pregiato.
Gli
girava intorno; la pantera con la sua esile preda, tessendo la sua
trama di menzogne e odio.
“Funziona,
Arthur? Stare con lui, far parte del suo mondo? Ti fa sentire
vivo?”.
Mordred
conosceva il suo punto debole e lo avrebbe sfruttato senza
pietà.
“Non
è Emrys”. Il biondo scandì quelle
parole con odio, pur sapendo che i giochetti di suo fratello erano
appena iniziati.
“Beh,
speriamo di no”. L’altro si
portò una mano al cuore, quasi ad arginare chissà
quale inesistente dolore. “Sappiamo entrambi
com’è andata a finire con lui. Questi umani sono
così dannatamente fragili! Ci vuole un nonnulla per
ucciderli. Ma dimmi: quand’è che hai mangiato
qualcosa di meglio di uno scoiattolo? Se vuoi spassartela con il tuo
bello, ti ci vorrà più di qualche roditore per
tenere il passo. Sai come si dice: sono sempre i verginelli
apparentemente innocenti quelli che ti sconvolgono di
più!”.
“Conosco
il tuo gioco, Mordred, ma non funzionerà”.
“Andiamo.
Non muori dalla voglia? Averlo sotto di te mentre lo fai godere.
Vederlo dimenarsi in preda all’estasi, invocando il tuo nome
come quello di un dio? Al diavolo. Unisciti a me, fratellino. Torna ad
essere ciò che eri e ti permetterò persino di
conservare il tuo giocattolino mortale. Insieme saremmo invincibili.
Proprio come ai vecchi tempi!”.
I
vecchi tempi.
I
vecchi tempi.
Un
gracile corpicino esangue fra le sue braccia.
Occhi
caldi e pieni d’amore che gli sussurravano di speranze per il
futuro.
Mani
bruciate dal Potere che gli carezzavano il viso per consolarlo, anche
quando la vita le stava abbandonando.
I
vecchi tempi.
A
quel pensiero, la furia di Arthur esplose selvaggia e primordiale.
Voleva il sangue di suo fratello sulle proprie mani, la sua carne tra i
propri artigli.
Arthur
Pendragon aveva falciato molte vite nella sua lunga esistenza, ma in
quel momento, se avesse preso anche quella di Mordred, non avrebbe
fatto alcuna differenza.
Afferrò
il maggiore per la sua costosissima giacca di pelle scura italiana,
stringendo la presa fino a sollevarlo da terra.
“Smettila!”.
Ruggì carico d’odio.
“Smettila!”.
“Immagina
il sapore del suo sangue”. Però lui non si
fermava. Bramava di vederlo preda dell’ira per tastare quei
poteri che da tanti secoli lo ossessionavano.
Gli
occhi di Arthur si tinsero d’oro, mentre le labbra si
ritraevano per lasciar spazio a zanne mortali.
“Io
ci riesco. Sangue appetitoso, giovane. Sangue di un puro”.
“Ti
ho detto di smetterla!”.
Voleva
farla finita una volta per tutte. Non doveva permettersi di nominare
Merlin.
Tant’era
la rabbia che gli animava le membra, che Arthur scaraventò
Mordred contro la finestra chiusa, cospargendo il suolo di mille e
più frammenti di vetro aguzzo mentre suo fratello volava
fuori dalla tenuta.
Non
era abbastanza! Voleva vederlo soccombere!
Oramai
la ragione lo aveva totalmente abbandonato e, come un animale affamato,
il biondo si gettò all’inseguimento di suo
fratello, pronto a sferrare il colpo successivo.
Peccato
che il suo avversario si fosse già ripreso.
Sul
serio, il fratellino doveva davvero aggiornare il suo repertorio. Un
attacco frontale era quanto di più ovvio potesse
fare. Nello stesso istante in cui Arthur si lanciò su di
lui, Mordred gli balzò incontro.
I
loro corpi cozzarono a mezz’aria scatenando un boato, che
risuonò sinistro nella frizzante aria serale.
Mani
adornate di artigli tentavano di colpire punti vitali per abbattere
l’avversario, in una lotta che sapeva di danza tanto antica
quando letale. Colpo su colpo, parata su parata.
Erano
eguali in forza e capacità. Non c’era via di
uscita in quella lotta.
Atterrarono
al suolo senza sforzo, studiandosi nell’attesa del prossimo
attacco.
“Ti
do un sei, Arthur. Non hai molto stile ma sono piacevolmente sorpreso.
Ti credevo più arrugginito, fratellino caro. La cosa del
GRRR della faccia, ohhhh. Molto divertente”.
Questo
suo infischiarsi della vita umana gli mandava il sangue alla testa.
“Per
te questo è solo un gioco! Ovunque tu vada le persone
muoiono, e a te non importa nulla!”.
Mordred
si strinse nelle spalle. Quegli insulti non lo toccavano minimamente:
erano vampiri, perché negarlo?
“È
quello che siamo, Arthur. Vampiri, non-morti hai presente?”.
Cielo, quanto metteva su quel broncetto era quasi adorabile.
“Mai letto Anna Rice? Dracula, Lestat? Eccoci qua! Persino
quella sviolinata di Twilight parla di noi! Mi sorprendi, davvero.
Credevo che i giovani d’oggi leggessero di
più”.
“Non
ti permetterò di distruggere questa città. Ti
fermerò, lo giurò!”.
A
quell’affermazione, il vampiro più anziano
chinò la testa all’indietro, lasciando sfogo ad
una sonora risata. Quando tentava di fare il duro, il suo fratellino
riusciva sempre a divertirlo.
“Tu?
Tu non me lo permetterai?”. Un attimo prima aveva ripreso a
ridere, solo un attimo prima.
Nell’istante
successivo, il maggiore dei Pendragon si era avventato sul fratello
minore sbattendolo al suolo.
Teneva
il volto di Arthur serrato nella morsa della sua mano, impedendogli di
rialzarsi. Voleva vederlo dimenarsi per liberarsi da quella presa.
Voleva che gli dimostrasse che in tutti quegli anni non si era
rammollito del tutto.
Si
chinò a sfiorargli il viso, sibilando parole di vendetta e
di oscuri presagi.
“I
poteri di quello stregone da strapazzo non ti proteggeranno per sempre.
Ti ho promesso un’eternità di dolore e sofferenza,
fratellino. Non scordare mai chi ti ha strappato il tuo adorato
Emrys”.
Lasciò
la presa, prima di pizzicare le guance liscia del biondo e andarsene
per la sua strada, fischiettando nella notte.
******
BIP
BIP BIP
Il
rumore di quelle dannate macchine era per lui una pugnalata al petto.
Non
era riuscita a proteggerla, l’aveva lasciata sola.
Subito
dopo l’intervento dei paramedici, Sophia era stata portata
d’urgenza al Camelot Hospital. Trasfusioni, esami,
accertamenti. Nessuno riusciva a spiegarsi cosa l’avesse
aggredita.
Quale
orribile creatura fosse stata capace di portarle via quasi tutto il
sangue che circolava nel suo corpo, lasciandola poco più di
un guscio vuoto.
A
tratti, la ragazza era riuscita a mormorare parole sconnesse, ma nulla
di quello che aveva sussurrato aveva un senso.
Ora
poteva finalmente riposare tra lenzuola inamidate, mentre una grossa
medicazione le copriva gran parte del collo.
Leon
le teneva la mano.
Erano passati molti anni dall’ultima volta in cui aveva
pregato, eppure da alcune ore il ragazzo si era chiesto se quello non
fosse il momento giusto per ricominciare.
Non
era mai stato un tipo religioso, ma aveva davvero bisogno di un
miracolo.
“Cosa
ti ha attaccato, tesoro? Che ti hanno mai fatto?”.
Un
lieve mugolio si levò da quelle labbra bluastre, e per un
istante la giovane aprì gli occhi. Solo un attimo, giusto il
tempo di mormorare una singola parola.
“Vampiro”.
******
“Caro diario, non potevo sbagliare di
più. Credevo di poter sorridere e andare avanti, fingendo
che andasse tutto bene”.
La
notte era infine scesa e una calma apparente pareva essere tornata
nella tranquilla cittadina di Avalon.
Merlin
se ne stava seduto sul davanzale della finestra, lo sguardo perso nel
vuoto, in un ultimo disperato tentativo di dare un significato agli
eventi assurdi di cui era stato partecipe.
Intanto,
in una vecchia stanza di una magione nascosta nel bosco, Arthur fissava
il ritratto del suo Emrys. Il dolore che gli straziava
l’animo ora più vivo che mai. Vivo, bruciante
com’era sempre stato negli ultimi cinquecento anni, sebbene
con una novità.
Un
senso di colpa nuovo, mai provato prima. La colpa
dell’egoistico desiderio di voler provare ad andare avanti.
“Avevo
un piano. Volevo cambiare ciò che ero. Creare una vita ed
una persona nuova. Una persona senza passato…”.
“Senza dolore”.
La
penna scivolava rapida, veloce come i mille pensieri che si affollavano
dentro di lui.
“Una
persona viva”.
Un
ultimo sguardo a quella foto lasciata accanto al letto ed Arthur
uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle come
avrebbe tanto voluto fare col suo passato.
“Ma non è così
facile. I brutti ricordi sono sempre lì”.
Un
suono sordo dalla stanza accanto: Will che sfogava la sua rabbia
lanciando oggetti contro il muro.
“Ti
seguono”.
“Puoi soltanto prepararti per il Bene.
Perché quando arriverà, lo accoglierai
perché ti serve. E a me serve”.
In
principio, pensò proprio di averla immaginata. Quella figura
poggiata al lampione dall’altro lato della strada. Una figura
che lo fissava mesta, quasi a voler vegliare su di lui.
Un
lieve cenno della mano.
Un
saluto.
Come
un lampo, il bel moretto abbandonò il diario sulla pallida
trapunta del suo letto per correre alla porta dove un silenzioso angelo
lo attendeva.
Aprì
l’uscio: Arthur era tornato.
“Lo
so che è tardi, Merlin, ma volevo assicurarmi che tu stessi
bene”. Il biondo giocherellava nervoso con un ciottolo del
vialetto. Era incerto, titubante, diverso da come si era sempre
presentato in quei due giorni. Gli si stringeva il cuore a vederlo
così.
Stare
bene. Quella frase lo fece sorridere amaro.
“Lo
sai, sono mesi che tutti mi chiedono se sto bene”. Merlin si
circondò le braccia come se di colpo tutto il gelo di quella
notte stellata gli fosse penetrato nelle ossa.
“E
tu cosa rispondi?”. La voce di Arthur era quieta, quasi un
sussurro.
“Che
starò bene”.
“Ci
credi davvero?”.
“Chiedimelo
domani”.
Il
freddo di quella notte si fece sempre più insistente. Forse
l’indomani se ne sarebbe pentito, ma ora come ora Arthur era
l’unico che riusciva a farlo stare bene. L’unico
che riusciva a mettere a tacere le mille domande che non gli davano
pace. “Si sta meglio dentro. Ti va di entrare?”.
“Sì”.
Una
sola parola per saldare il legame fra due vite in fondo non poi
così diverse.
Umano
e vampiro.
Adolescente
ed essere antico come le querce della foresta di Gedref.
Due
anime ferite legate dalla stessa solitudine.
Il
vampiro seguì Merlin in casa come un cucciolo fiducioso fa
col suo padrone, superando la forza invisibile che fino a
quell’invito gli aveva sempre impedito l’ingresso.
Nonostante
il dolore, nonostante la paura, quello era un inizio.
L’inizio
di una nuova vita.
Proprio
quando due giovani sembravano seminare i primi germogli di quella che
sarebbe stata una grande storia d’amore, in un pub come un
altro, non molto lontano, fra corpi sudati che si sfioravano e si
stringevano, Vivianne stava vivendo la notte più
elettrizzante della sua vita.
Che
cosa importava se Arthur l’aveva rifiutata?
Quegli
occhi…
Quel
corpo muscoloso…
Mordred
sì che era un vero uomo!
Continua…
Note finali: piaciuto?
Spero davvero di sì. Ho cercato di mantenere molta
dell’atmosfera originale di The Vampire Diares pure dando ai
vari personaggi una dimensione vicina a quella di Merlin. Non so se ci
sono riuscita, ma ho fatto del mio meglio.
Prima
di terminare, vorrei spendere due paroline su Mordred. Per chi
avrà in mente quel tenero e lugubre bambino che mi fa
accapponare la pelle ogni volta che lo vedo, so che si
ritroverà molto sorpreso trovandosi di fronte un uomo adulto.
Nella
prima stesura di questo capitolo era mia intenzione rendere Arthur il
fratello maggiore, ma poi mi sono resa conto che la cosa non era
fattibile: soprattutto perché l’attore che ho
sempre avuto in mente per Mordred è Jonathan Rhys
Meyers.
Per
chi questo nome risulta sconosciuto (anche se credo sia impossibile),
il caro Jonathan è il bel fustacchione che interpreta Henry
VIII nei Tudors, che ha dato
il volto al fantastico allenatore di Sognando
Beckham e al dolce Louis di August Rush.
Sapevo
che sarebbe stato lui il mio Mordred ancora prima di iniziare a
scrivere.
Che
altro dire? Le recensioni sono sempre gradite. Apprezzamenti o
critiche, vorrei sul serio sapere cosa ne pensate. Se avete bisogno di
chiarimenti sulla trama, fatemi sapere. Sto iniziando sul serio a
prenderci gusto con questa storia ^_^
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