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Autore: Shannara_810    15/04/2010    12 recensioni
“Per più di sei secoli ho vissuto nel segreto, nascosto nell’ombra, solo al mondo… fino ad ora. Sono un vampiro e questa è la mia storia”
Genere: Romantico, Dark, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Morgana, Principe Artù
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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TITOLO: THE VAMPIRE DIARES: MERLIN STYLE

PAIRING: ARTHUR/MERLIN

RATING: R

BETA:  Miky-camba -- Suicidal_love

DISCLAIMER: naturalmente tutti i personaggi appartengono alla BBC. Questa storia è liberamente ispirata a “The Vampire Diares”, una serie che mi ha travolto come un fiume in piena. Sicuramente riconoscerete molte parti del telefilm originale nei primi capitoli ma, non temete, piano piano la trama comincerà a divergere verso nuovi e appassionanti lidi. Altrimenti come faremo ad avere una Merlin/Arthur che si rispetti?

Ho cercato di adattare i personaggi di Merlin ai ruoli che dovranno interpretare, quindi perdonatemi se vi apparranno un tantino OOC, ma sto facendo del mio meglio.

Suicidal_love, mia deliziosa Kry, questa è per te. Grazie per aver betato, ascoltato i miei scleri e avermi sostenuta passo dopo passo.

 

            THE VAMPIRE DIARES: merlin style

 

“Per più di sei secoli ho vissuto nel segreto, nascosto nell’ombra, solo al mondo… fino ad ora.

Sono un vampiro e questa è la mia storia”.

 

Era una notte buia a tempestosa.

No, stop. In realtà, era una semplice notte d’inizio settembre, ma questo non mi sembra il modo più adatto per iniziare a narrare una buona storia dell’orrore.

Ne ignoro il motivo, ma è parere comune che i mostri della notte (quelli che si annidano sotto i letti dei vostri bambini per intendersi) decidano di uscire dalle loro tane solo durante lo scatenarsi di chissà quale tempesta secolare.

Potrei attenermi a tale credenza, ma non lo farò. Se iniziassi a mentire adesso, su di un dettaglio tanto insignificante per giunta, sono sicura che molti di voi ben presto mi darebbero della bugiarda.

Ciononostante, per quanto siano sconvolgenti i fatti che sto per illustrarvi, vi chiedo di credermi: tutto quello che sto per narrarvi è la pura verità. I vampiri sono reali, in carne ed ossa come me e voi, e sono qui.

Camminano tra noi come gente comune. Potreste addirittura conoscerne qualcuno senza saperlo.

Amano, odiano, provano amicizia e desiderio di vendetta. Sono molto più umani di quanto voi possiate crederli capaci. Forse è proprio questo il loro punto debole.

Prometto di non tralasciare nulla, neanche i dettagli più scabrosi e raccapriccianti: siete avvertiti. La storia che sto per narrarvi è speciale, diversa. Vale la pena essere raccontata in tutti i suoi particolari ed è proprio ciò che ho intenzione di fare.

Questo è il mio impegno. Ora tocca a voi giudicare.

Era una notte d’inizio settembre.

Il cielo coperto. 

Piovigginava; l’aria già pregna del freddo del prossimo autunno. L’estate era oramai lontana, mentre un’auto sportiva sfrecciava su di una strada deserta.

Una strada deserta, che cliché.

Musica rock squarciava il silenzio di quella via di campagna, una stradina buia e isolata sconosciuta ai più se non per qualche mappa GPS particolarmente accurata.

Una rada pioggia batteva da ore, eppure la luna provava a far capolino tra quelle coltri spesse.

Una strada isolata che costeggiava un fitto bosco… un panorama ideale per iniziare.

“Un’ora di macchina per ascoltare quella schifezza. Non era nemmeno un gruppo, giusto un tizio che suonava la chitarra. Un’ora ad andare e un’altra a tornare”.

“Non è stato così male”.

Una coppietta felice faceva ritorno da un concerto, se tale lo si voleva definire. Non era molto tardi e gli animi erano alquanto su di giri.

Ridevano, scherzavano, si lanciavano battute e dolci commenti come una qualsiasi altra coppia di fidanzati di ritorno da un banale appuntamento. Perché mai quella sera avrebbe dovuto essere diversa dalle altre?

“Sembrava James Blunt!”.

“E che c’è di male?”.

“Ce n’è già uno di James Blunt ed è più che sufficiente!”.

La ragazza, una biondina dai lunghi e ricci capelli biondi, sbuffò a quel commento. A lei, in fondo, quel concerto era piaciuto. Finalmente qualcosa di diverso, un evento ben lontano da tutti quei raduni di band schiamazzanti che Kaanan adorava. Era stato soft, dolce. Molto romantico. “Allora perché sei venuto?”

“Perché ti amo”.

“Che carino che sei!”. Dopo tutto quel tempo, il suo ragazzo riusciva ancora a stupirla. Erano solo piccoli gesti, ma avrebbe mentito se avesse detto che non le facevano piacere.

Si strinse nelle spalle, strofinando le mani in un vano tentativo di scaldarle. Il riscaldamento era al massimo, ma un freddo improvviso le fece venire la pelle d’oca.

Era come se l’inverno fosse giunto di colpo, inaspettato e crudele almeno quanto quella fitta nebbia che di colpo aveva avvolto la loro auto nelle sue spire impenetrabili.

“Come mai tutta questa nebbia?”.

“Se ne andrà in un attimo”. Preoccuparsi per un po’ di foschia era da idioti. In un paesino sperduto nel nulla come il loro, la nebbia era il male minore.

Kaanan stava allungando una mano per cambiare la stazione radio quando accadde.

“Attento!”.

Una macchia indistinta si parò innanzi a loro, bloccando la strada.

Lui sterzò di colpo a destra, tentando di evitare quello che sembrava soltanto un povero cervo sceso troppo a valle. L’auto prese a ruotare su se stessa sulla strada bagnata e, per quanti sforzi Kaanan facesse, non riusciva a riprenderne il controllo.

Si sentiva il cuore martellare in gola quando l’auto finalmente si fermò.

“Stai bene?”. Kaanan si slacciò veloce la cintura di sicurezza, assicurandosi che Cora non si fosse fatta nulla. Diamine, che spavento! Proprio un bello scherzo doveva giocargli quel cervo.

Si girò rapido, cercando di vederne delle tracce dal lunotto posteriore, ma dietro di loro vi era solo il nulla. Dell’animale nessuna traccia.

“Abbiamo appena investito qualcuno. Oh, mio dio! Oh, mio dio!”.

Stava iper-ventilando, doveva calmarla. Sicuramente la bestiaccia era riuscita a scappare lesta, ma era sempre meglio controllare.

“Chiama aiuto!”. Kaanan scese dall’auto, avviandosi con passo sicuro nella nebbia. Avrebbe dato uno sguardo veloce, giusto per zittirla. Se avesse deciso di lasciare quella minaccia pelosa per strada ferito, la sua ragazza non gli avrebbe dato pace.

Cora, frattanto, prese ad armeggiare col cellulare. Doveva chiamare i soccorsi stradali, la guardia forestale, ma quello stupido aggeggio non aveva campo. Schiacciò un pulsante dopo l’altro, ma il telefono continuava a rifiutarsi di funzionare.  Erano isolati.

I secondi diventarono minuti, ma Kaanan non si decideva a tornare all’auto. Se fosse riuscito a trovare il cervo, a quel punto avrebbe dovuto già fare ritorno, no?

TUM TUM TUM

Quella paura che lentamente era penetrata in lei la teneva in ostaggio, paralizzando ogni suo pensiero. Cora sentiva il petto pronto ad esplodere mentre un brivido gelido le fece ghiacciare il sangue nelle vene. Doveva andare a cercarlo, aveva un brutto presentimento.

Si slacciò la cintura e con fare cauto scese dall’auto.

Bastò un solo passo perché nebbia la avvolgesse lesta, pericolosa. Quasi a volerla inghiottire tra i suoi artigli.

“Kaanan? Kaanan, dove sei? Non è il momento di fare stupidi scherzi!”. La voce della giovane era titubante, stridula, carica di angoscia.

Un tentativo completamente inutile: la nebbia la inghiottiva senza alcuno sforzo.

“KAANAN!”.

SDONK

Un tonfo.

Lentamente Cora si voltò verso l’auto, gli occhi verdi spalancati dal terrore.

“AHHHHHHHHHHHHHHHH!!!”.

Kaanan, il suo Kaanan, giaceva riverso sul tettuccio della loro macchina col collo squarciato. I suoi occhi erano sprangati e vitrei, la bocca aperta in un ultimo muto grido d’orrore.

“AHHHH!!!”. Urlò ancora con tutto il fiato che aveva in corpo. Peccato che non servisse a nulla.

Se me lo chiedete, fu un modo molto sciocco di sprecare i suoi ultimi minuti di vita prima che la bestia nata dalla nebbia agguantasse anche lei.

Non ci fu alcuna lotta. Finì tutto in pochi secondi.

Restava solo un’auto vuota su di una strada deserta in una notte buia e piovigginosa.

 

                                              Capitolo I: Il Ritorno di Arthur

“Non sarei dovuto tornare a casa. So i rischi che corro, ma non ho scelta. Lo devo conoscere”.

 

L’alba era appena sorta.

Uno spettacolo sempre straordinario da vedere, soprattutto se goduto dal tetto dell’antica magione che s’innalzava solitaria tra la fitta vegetazione della foresta di Gedref.

Era trascorso molto tempo dall’ultima volta che aveva gioito del sorgere del sole, ma quello gli era sembrato un ottimo modo per inaugurare la sua nuova vita. Quasi un rituale scaramantico contro le difficoltà che avrebbe dovuto affrontare.

Il pallido color rosato lasciò presto spazio al tenue azzurro terso di quel cielo di settembre, segnalandogli la necessità di sbrigarsi. Non aveva un orologio con sé, ma non era mai stato un problema per lui avere coscienza dell'orario . Molto probabilmente erano già le sette passate.

Gli bastò un balzo felino per coprire i numerosi metri che separavano il tetto di quell’antica magione dal suolo appena coperto di foglie ingiallite. Un solo balzo.

Per un comune mortale quell’azione era a dir poco impensabile da compiere. Ma non era un comune mortale, quel giovane che fino a pochi attimi primi era stato perso nei suoi pensieri innanzi allo splendore dell’alba.

Con grazia e un briciolo d’arroganza, il nostro eroe estrasse dei vecchi occhiali da sole dal taschino della sua giacca, inforcandoli con sicurezza.

Quello era l’inizio di un nuovo giorno.

Era l’inizio di una nuova vita.

 

                                                                                 ******

 

“Caro diario, oggi sarà diverso… deve essere diverso. Sorriderò e sarò credibile. Il mio sorriso dirà: sto bene, grazie. Sì, mi sento molto meglio. Non sarà più il ragazzo triste che ha perso i genitori. Ricomincerò da zero, sarò una persona nuova. È l’unico modo per superare tutto”.

 

Una scodella del famoso porridge di Gaius faceva la sua bella presenza sul tavolo della cucina. Grumoso e insipido, lo fissava circospetto, come a voler sfidare il suo coraggio. Prova a mangiarmi, pareva sussurrargli.

Merlin lo scrutava di rimando con fare guardingo, sforzando le meningi per un rapido ed indolore piano di fuga.

Era il primo giorno di scuola e non poteva permettersi di trascorrere le successive otto ore a tentare inutilmente di digerirlo. Ci aveva già provato in passato e le conseguenze erano state disastrose.

“Posso farti un toast, se vuoi”. Il sopracciglio dello zio aveva iniziato quella sua lenta ascesa verso la folta chioma nivea che non prometteva nulla di buono.

Gaius non prendeva molto bene le lamentele alla sua cucina. Ogni volta, ripeteva loro come ai suoi tempi le cose fossero diverse e come loro dovessero essere grati di quello che avevano. Merlin non poteva dargli torto su quel punto, tuttavia era convintissimo che anche la carne di dinosauro avesse avuto un sapore migliore di… di quello.

“Prendo solo del the, zio Gaius. Morgana sarà qui a momenti e sai quanto detesta aspettare”.

Il sopracciglio del terrore salì di un altro mezzo centimetro, soppesando la sua risposta. Quando sei nel dubbio, metti in ballo la scuola. Come scusa funziona sempre.

L’uomo annuì senza aggiungere altro, più interessato all’abbigliamento del nipote che ad un futile e monotono alterco sulle proprie doti culinarie.

Abiti ancora completamente neri.

Merlin.

Un nome inusuale per una persona apparentemente come tante. Ma quante volte alla realtà corrispondono le apparenze di un primo approccio?

Merlin Ambrosius aveva diciassette anni. Alto, magro, dai grandi occhi sinceri color del mare e… beh, non poteva di certo nasconderle quelle, orecchie sicuramente troppo grandi.

A descriverlo così non sarebbe sembrato un granché come personaggio, ma c’era qualcosa in lui che lo rendeva stranamente attraente alla popolazione femminile del suo liceo… come a molti membri di quella maschile.

Sarà stata la carnagione chiara messa in risalto dai perenni abiti scuri; i tratti un po’ elfici con quegli zigomi sporgenti e la bocca carnosa incorniciata da una massa arruffata di capelli corvini ma, al tirar delle somme, Merlin Ambrosius era davvero un bel ragazzo.

Studioso, responsabile e tremendamente educato. Mai scortese o di cattivo umore.

“C’è del caffè?”.

Suo fratello Will, invece, era diverso da lui in tutto almeno quanto il giorno lo era dalla notte. Quell’anno che li separava era più vasto dell’intera Via Lattea.

Guance paffute, capelli castano-ramati, abiti sempre di un paio di taglie troppo grandi. Will era brusco, sciatto, tremendamente chiuso in se stesso. Ad un occhio esterno che li avesse minimamente conosciuti quattro mesi prima, poteva sembrare che i due fratelli avessero per un crudele scherzo del destino invertito i loro caratteri.

Will, che era stato il buonumore fatto persona, era divenuto schivo e taciturno; in perenne compagnia di quei quattro sgallettati che trascorrevano le loro giornate, fatti d’erba, sul tetto della scuola.

Già. In altri tempi quel suo viso lentigginoso sarebbe stato illuminato da un caldo sorriso. In altri tempi, purtroppo.

“Non vorrai bere solo quello per il tuo primo giorno di scuola. Ti verrà un’ulcera ad andare avanti così”. Diagnosi e raccomandazioni erano all’ordine del giorno. Ecco cosa succedeva ad avere uno zio medico.

Will, invece, si limitò ad ignorarlo completamente, infilandosi le cuffiette dell'onnipresente mp3. Li stava facendo impazzire con quell’atteggiamento fuori dal mondo. 

“Prendete i soldi della colazione. Io ho un intervento fra due ore ed ora devo proprio sbrigarmi ad andare”. Il vecchio medico ripose la sua scodella vuota nell’acquaio e si preparò ad uscire.

Lottare con Will era totalmente futile e serviva soltanto a peggiorare i loro rapporti già tesi. Respira forte e va avanti, ecco cosa il vecchio medico soleva ripetersi.

Merlin era del medesimo parere.

Era stanco di fare la prima mossa. Quando Will fosse stato pronto a parlare lui sarebbe stato lì, presente. Ma non poteva fossilizzarsi sul timore per suo fratello, doveva pensare anche un po’ a sé.

Al futuro.

A sopravvivere alla cucina di Gaius.

Magari la sua salute di ferro era dovuta proprio a quegli intrugli che si ostinava a chiamare cibo.

“Tranquillo, zio Gaius. Noi ce la caveremo. Tu va in ospedale a tagliuzzare quei poveri malcapitati”.

Era stata una battuta infelice, ma quello doveva essere un nuovo giorno. Niente manifestazioni di dolore, niente tristezza. Se l’era promesso!

Un brusio li raggiunse dal salottino adiacente. Will doveva aver lasciato di nuovo la TV accesa.

“Notizie dell’ultima ora: Kaanan Ealdor, 27 anni, è stato ritrovato senza vita nei pressi del bosco di Gedref. Il suo corpo presenta segni di profonde lacerazioni, probabilmente dovute al morso di un animale selvaggio. Si prega la cittadinanza di fare attenzione”.

Gli occhi di Merlin fissavano perplessi le immagini che il telegiornale locale mandava sovra impressione. Chissà quale animale poteva lasciare dei segni del genere?

Il suono di un clacson lo riscosse tuttavia da quei lugubri pensieri: Morgana era arrivata.

“Allora, passa una buona giornata zio Gaius. Will, vuoi un passaggio? Sono sicuro che a Morgana non dispiacerà”.

L’altro, per tutta risposta, si limitò a scuotere la testa e a sbuffare, spazientito alla sua offerta.

Allora li stava ascoltando! Non aveva messo la musica a palla. Cristo, c’era da impazzire a capirlo!

Will uscì dalla porta sul retro afferrando al volo il suo zaino buttato in un angolo. Merlin lo vide tirar su il cappuccio della sua felpa verde militare ed inforcare la bicicletta.

Era andato via senza salutare, che altro poteva aspettarsi?

“MERLIN, ALZA LE TUE CHIAPPETTE D’ORO E MUOVITI SUBITO! NON HO INTENZIONE DI FAR TARDI IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA!”.

Ecco, il momento della verità era finalmente giunto.

La sua nuova vita stava iniziando.

 

                                                                             ******

 

Sembrava una modella.

Davvero, non stava scherzando. Con quella camicetta stile hippy e la gonna lunga fino ai piedi che lasciava intravedere le unghie smaltate di viola, era davvero splendida e con un'aria sofisticata.

Peccato che non gli interessasse in quel senso. Dopotutto, Morgana Le Fay era la sua migliore amica praticamente da sempre.

Alta 1.75 m, dai lunghi e ricci capelli corvini tagliati rigorosamente a Manhattan, era una delle ragazze più belle della Avalon High School. Eppure non era mai riuscito a provare per lei un sentimento diverso da quella profonda amicizia che li univa. Nulla di romantico o, peggio, sessuale. A discapito di quello che si diceva per l’amicizia tra sessi diversi, il loro rapporto funzionava alla grande.

“Allora, mia nonna dice che sono una veggente. Le nostre antenate erano sacerdotesse druide o qualcosa del genere. Lo so, è follia, ma lei insiste. Io mi dico: chiudetela in una casa di riposo! Poi, però, ci ho pensato. Ho predetto Michael Jackson, il matrimonio di Brad Pitt e tra poco la Florida si staccherà e diventerà un’isoletta turistica”.

Provava a prestarle ascolto, sul serio, ma non poteva fare a meno di lasciar scorrere liberi i suoi pensieri, lontano da quella cittadina sperduta che gli aveva causato tanto dolore.

Immagini scolorite si susseguivano, rapide davanti ai suoi occhi come il panorama fuori dal finestrino. Stavano costeggiando il cimitero di Avalon, con le sue tombe e rovine. Col suo silenzio così invitante, rassicurante.

“Merlin! Torna in macchina”.

“L’ho rifatto, vero?”. Un sospiro sfuggì da quelle labbra rosse e piene mentre un’ombra scese sui suoi occhi azzurri. “Mi dispiace, Morgana. Mi stavi dicendo?”.

“Che ora sono una veggente”. Gli rispose con un sorriso rassicurante. Per quanto si comportasse in modo assente, lei non lo aveva mai giudicato.

Quest’affermazione lo rasserenò in un attimo. “Giusto, una veggente. Allora prevedi qualcosa su di me, avanti”.

Morgana tornò a fissare la strada mentre si mordicchiava un labbro, concentrata. Breezy, la sua adorata Volvo, scivolava sulla strada senza problemi.

“Io vedo…”

Di colpo un’ombra scura tagliò loro la strada, costringendo Morgana a una brusca virata.

Fortunatamente la carreggiata era ancora libera a quell’ora, quindi non ci furono danni se non un bello spavento.

“Che cosa è stato?”.

Le mani di Merlin si erano irrigidite subito, saldate al cruscotto come alla loro sola ancora di salvezza.

“Merlin, come stai? Era un uccello, mi dispiace, non l’ho proprio visto”.

Il ragazzo, anche se con molta fatica, riuscì a distendere i nervi dei suoi arti. Aveva ancora il fiato corto ma stava facendo di tutto per non strapparsi via la cintura di sicurezza e scendere di corsa. Tutto ok, era tutto ok. Solo uno sciocco spavento, tutto ok.

Raccogliendo tutto il suo coraggio, le rivolse un sorriso mesto, tentando di infonderle una calma che lui stesso non aveva.

“Va bene, Morgana. Non posso aver paura delle auto per il resto della mia vita”.

Morgana annuì, non molto convinta ma disposta a regalargli il beneficio del dubbio. Il suo viso s’illuminò di un’aria birichina, segnalandogli l’arrivo di una bella frecciatina pungente.  “Prevedo che quest’anno sarà fantastico, che i tempi bui sono finiti e che d’ora in poi tutto andrà per il meglio”. Gli strinse una mano per donargli un po’ della sua carica positiva.

“Grazie, Morghy”.

Le parole erano del tutto irrilevanti, ora.  Breezy ripartì quindi verso la loro prigione personale mentre un corvo solitario lanciò il suo richiamo roco da un vecchio segnale stradale.

 

                                                                          ******

 

L’Avalon High era un classico liceo di periferia. Stesse facce, stesse auto scolorite. Il tempo pareva non trascorrere mai tra quelle mura di pietra.

In passato era stato un palazzo di giustizia: i muri di mattoni rossi e le alte finestre in stile palladiano incutevano parecchia soggezione.

Non erano ancora le otto e mezzo del mattino e l’aria era frizzante, sebbene quel sole settembrino emanasse ancora un po’ di calore.

Gruppi di ragazzi chiacchieravano allegri davanti alla scalinata di pietra, mentre Morgana e Merlin salutavano qua e là con distratti cenni della mano. Entrarono subito e fu davvero un peccato. Ancora un minuto e avrebbero notato una folta capigliatura bionda avanzare con fare sicuro fra i loro vecchi amici.

“Grande assenza di fauna maschile, bah. Sempre i soliti brufoli. Cielo, ma cosa si è messa addosso Mary Collins, una tovaglia?”.

“Morgana”.

“Concedimi almeno questo, cucciolo. Una dolce donzella come la sottoscritta dovrà pure avere un hobby, vista la carenza di distrazioni”. La ragazza aprì il suo armadietto per i libri della prima ora. Uffa, certe volte Merlin sembrava proprio un vecchietto. 

Una piccola testa bruna le passò accanto senza voltarsi, il capo chino come a non averli visti.

“Freya, io…”.

A quella scena, Merlin si lasciò andare contro il proprio armadietto mentre la frangia ribelle gli copriva gli occhi tristi. Per essere un nuovo giorno, non era poi tanto diverso da quelli precedenti. “Mi odia”.

“Non ti odia. Quello è un - mi hai mollato ma io ti amo ancora anche se insieme sembravamo la brutta copia di Dawson e Joey, con più affetto fraterno e meno attrazione sessuale -”.

“Sarà così , ma io ci sto lo stesso da schifo”.

“Ora dimmi la verità”. Lei gli puntò un dito accusatore contro il petto. “Tu la amavi? O ci uscivi perché non c’erano aspettative in quella relazione?”.

Il silenzio che seguì quella domanda era tutto ciò che la ragazza aveva bisogno di sapere.

Non si possono fingere sentimenti inesistenti.

“MERLIN!”.

Avrebbe voluto saperle dire qualcosa (se per  giustificarsi… discolparsi… non aveva ancora deciso), ma non ebbe il tempo di farlo giacché un uragano biondo lo investì in pieno, stringendolo in una morsa d’acciaio.

“Ciao, Vivianne”.

“Oh, tesoro, mi dispiace tanto. Perché non mi hai avvertito che tornavi a scuola?”. Lo rimproverò la nuova arrivata. Poi, poiché parlare con lui non le avrebbe procurato una risposta soddisfacente, la biondina appena incontrata si rivolse direttamente alla sua addetta stampa: Morgana. “Sta bene, non è vero? Questa sua fase da emo finirà presto?”.

“Vivianne, sono qui. Puoi chiedere anche a me, sai. Sto bene, non ti preoccupare”.

Lei lo liquidò con un cenno frettoloso. “Zitto, biscottino. Lascia parlare le signore, su”.

“Per il momento sta bene”.

“Okay. Allora ci vediamo dopo, ragazzi. Un bacione, kiss kiss”.

Vivianne Warren era tutto quello che si poteva dire di una ragazza bionda: bella, distratta e a tratti anche un po’ stupida. Ma sotto sotto aveva un cuore d’oro.

“No comment sul biscottino”.

Morgana non riuscì a soffocare quella risata che le stava nascendo sulle labbra.

“Sul serio, Morghy. No comment!”.

 

                                                                      ******

 

“Non prenderne più di un paio nel giro di due ore”.

Dall’altra parte del campus, Will Ambrosius stava distribuendo le sue adorate “caramelle” alla combriccola di adolescenti problematici che soleva frequentare.

Non era un mistero per nessuno che quel ragazzo si facesse, anzi. Se cercavi qualcosa con cui sballarti, Will era la persona giusta cui chiedere.

Sophia Knight lo sapeva più di chiunque altro. Si poteva sempre contare sul buon Will.

Mandò giù le pasticche senza nemmeno curarsi di cosa fossero. La cosa importante era solo sfuggire a quel continuo grigiore che imbrattava con la sua tinta unita ogni giorno della sua vita.

“Lo sapevo di trovarti qui, con i drogati”.

Lancelot Du Lac la afferrò per un braccio, allontanandola da quell’essere così infimo.

Non stavano insieme, lui e Sophia. Nonostante quello che gli studenti bisbigliavano tra i corridoi, non erano nemmeno mai usciti ufficialmente insieme: solo qualche pomiciata senza conseguenze dopo il lavoro e nulla più. Non era tipo da legami duraturi, Lance; ma questo non voleva dire che le avrebbe permesso di autodistruggersi con quelle schifezze di cui non poteva fare a meno.

“Ma guarda, guarda. È arrivato il cane da guardia”.

Avrebbe voluto spaccargli il muso, però Sophia fu più lesta. Si parò tra i due, poggiando le mani sul caldo petto di Lance.

“Su, tesoro. Lascialo stare, è pur sempre il fratellino di Merlin”.

“Lo so chi è. Per questo che non è ancora finito in ospedale”.

Lei sorrise maliziosa a quella battuta. Attirò il giocatore di football a sé per qualche carezza proibita prima delle lezioni, completamente cieca all’espressione sofferente del povero Will.

 

                                                                       ******

 

“Aspetta!”. Morgana si arrestò di colpo proprio lì, innanzi alla porta della segreteria. E lo fece con tanta rapidità che il povero Merlin rischiò di finirle addosso.  “Quello chi è?”.

“Vedo solo un fondoschiena”.

A dare retta a Morgana, bastava camminare su due gambe ed avere un minimo senso della moda per essere considerati un buon partito. Certo, se poi il tipo di turno non emanava le “giuste” vibrazioni, veniva "scartato" subito ma questa era un’altra storia.

“E che fondoschiena”. Ci risiamo, si ritrovò a pensare Merlin, sempre la solita Morgana! Eppure non poté ignorare l’oggetto di cotanta ammirazione.

Era un volto nuovo, quello. Per quanto si potesse definire “volto”, giacché dava loro le spalle.

Tuttavia, in una cittadina come Avalon, in cui potevi tranquillamente dire di conoscere tutto di tutti, in cui avevi condiviso con i tuoi migliori amici in pratica la stessa culla, quel nuovo arrivato era sul serio una succosa notizia.

Non era vestito in maniera appariscente: jeans scoloriti ed una vecchia giacca di pelle nera dall’aria vissuta; ciononostante c’era qualcosa in lui, qualcosa di sconvolgente. Una sorta di aura antica che lo rendeva diverso da tutto ciò che avesse mai conosciuto.

Un raggio di sole birichino, filtrato da qualche finestra semi-aperta, gli illuminò i corti capelli biondi che risplendettero di puro oro. Sembrava… quel giovane sembrava emanare una luce propria.

Fu una reazione istantanea, la sua.

Incontrollabile, potente, devastante. Il cuore di Merlin prese ad accelerare come soggiogato da un’oscura forza. Non si era mai sentito così prima d’ora.

“Il tuo file è incompleto. Mancano i certificati delle vaccinazioni ed anche quelli scolastici”.

“La prego, guardi meglio”. Il nuovo studente si sfilò gli occhiali da sole con un gesto lento e calcolato mentre quella sua voce calda, dai toni rassicuranti, riusciva a malapena mascherare la potenza di un vero e proprio ordine. “Sono certo che c’è tutto quello che le serve”.

Lo sguardo della segretaria scolastica si perse totalmente in quell’azzurro cielo che le stava di fronte. Era un colore diverso, quasi inumano. Un azzurro cielo che per un battito di ciglia fu sostituito dall’oro puro.

Bastarono pochi secondi prima che l’attenzione della donna tornasse a concentrarsi sul fascicolo che aveva di fronte. “Hai ragione: c’è tutto”. Rispose, infine, con voce meccanica convenendo che tutti i moduli erano stati compilati in modo corretto.

“Sento che è di Albion e suona la chitarra”.

“Ti sei fatta prendere la mano dalla storia della veggente?”.

“Esatto”.

Era bello scherzare con Morgana come ai vecchi tempi; come se tutto quel dolore, quella sofferenza non fosse mai accaduta.

“Diamine, spostati”.

Insulti vari lanciati alla sua destra mentre Will si faceva largo a suon di spintoni tra gli studenti che si accalcavano nei corridoi, il viso cupo che tradiva le sue intenzioni. S’infilò lesto nel bagno degli uomini senza guardare in faccia nessuno.

“Torno subito, Morghy”.

Le si limitò ad annuire tornando a rimirare quel bel fondoschiena.

“Single, single. Deve essere single”.

 

                                                                     ******

 

“Hey, la porta. Guarda dove vai!”.

Merlin si fiondò in bagno come un cane da caccia in azione, trovando suo fratello intento a mettersi delle gocce di collirio in un occhio. Dannazione, dannazione, dannazione!

Gli afferrò il viso, studiandolo con disgusto. “Perfetto! È il primo giorno di scuola e tu sei fatto!”. Gli strappò il collirio dalle mani, spingendo Will contro il lavabo di porcellana.

“Non è vero”.

“Ce l’hai con te? Eh?”. Iniziò a tastargli le tasche della felpa, dei jeans, alla ricerca di qualche bustina sospetta. Come poteva essere così idiota!

“Smettila, mi fai male! Rallenta”. Will lo spinse via. Detestava quando si comportava così. Quando faceva finta che gli importasse di lui, che la morte dei loro genitori non lo toccasse. Lo odiava quando provava a fargli la paternale.

“Cos’è, un modo di dire da drogati? Bello, sei proprio forte”.

“Smettila, va bene! Devi lasciarmi in pace!”.

“Sono tuo fratello, diamine. Mi preoccupo per te”.

“Ecco appunto”. Will lo afferrò per la stretta t-shirt attillata, convogliando tutta la sua rabbia sorda in quegli occhi di mare che gli facevano andare il sangue alla testa. “Tu non sei mio padre. Non puoi dirmi cosa fare! Mi credi stupido? Stupido da portarmela appresso?”.

“Tu non hai capito niente!”. Merlin gli ghermì i polsi con forza riuscendo ad allontanarlo da sé. “Finora ti ho lasciato fare, ma la pacchia è finita. Ti starò addosso per rovinarti lo sballo, costi quel che costi!”.

Uno studente uscì da uno dei cubicoli, interrompendo per un attimo il loro scontro.

“Tu non sei così, Will. La droga non cancella il dolore”.

“Lasciami in pace, Merlin! Lasciami in pace”.

Non disse nient’altro prima di uscire da quel bagno maledetto. Lasciandolo solo con i suoi pensieri proprio come aveva fatto poche ore prima a casa.

“Will!”.

Non ci stava. Non ci stava a lasciarlo andare così. Aveva già perso i suoi genitori, non poteva perdere anche il suo fratellino.

Merlin sbucò di colpo dal bagno. Voleva inseguire Will: parlargli, farlo sfogare. Tutto pur di riaverlo indietro. Purtroppo non ci riuscì.

“Auch”.

Qualcosa di duro gli era venuto addosso, facendogli perdere l’equilibrio. Stava per cadere al suolo quando una bianca e fredda mano gli afferrò un polso, rimettendolo in piedi senza alcuno sforzo.

“Hey. Stai bene?”.

“Scusami, non ti avevo…”. Le parole gli morirono in gola.

Bellissimo.

Semplicemente bellissimo.

Un dio sceso in terra, quello che gli aveva appena evitato la sua prima figuraccia del giorno.

Nemmeno le statue degli antichi greci possedevano tanta perfezione.

Capelli biondi più del grano, più dell’oro.

Sguardo magnetico di un azzurro intenso che non aveva mai visto prima.

Lo sconosciuto lo fissava divertito, come se fosse a conoscenza di chissà quale comico segreto che Merlin non riusciva a cogliere.

La bocca rossa era dischiusa in un sorriso sghembo e, non lo avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura, Merlin si scoprì a chiedersi se quelle labbra erano davvero così morbide come apparivano.

Un tale pensiero lo fece avvampare.

“Stai bene?”. Il dio greco gli chiese ancora.

“Oh… oh, sì… s-scusami”. Iniziava anche a balbettare adesso? “I-io devo a-andare”.

Si spostò di lato per passare ma l’altro lo precedette, bloccandogli il passaggio. Provò a sinistra ma quello fece altrettanto.

Cristo, che imbarazzo!

“Scusami, io…”.

“Certo, va' pure”.

Senza voltarsi indietro, Merlin schizzò via tra gli studenti mentre il nuovo arrivato continuò nella direzione opposta. Lo sguardo dell’intera popolazione della Avalon High fisso su di lui.

Davvero un bel modo per iniziare una nuova vita.

 

                                                                         ******

 

                                                   IN MEMORIA DI BALINOR E HUNITH AMBROSIUS

                                                      GENITORI AMOREVOLI ED AMICI FEDELI

                                                                           MAGGIO 2009

 

“Caro diario, ho superato questa giornata. Credo di aver detto  ‘Sto bene, grazie’ almeno 37 volte. E non era vero neanche una volta, ma non se n’è accorto nessuno.  Quando qualcuno ti chiede come stai non vuole una vera risposta”.

 

Per quanto tentasse di scacciarla, l’immagine di quel sorriso sghembo tornò ad affacciarsi con prepotenza nella sua mente.

Merlin iniziò a mordicchiare il cappuccio della penna, provando con scarsi risultati a contenere quel rossore che minacciava di impossessarsi nuovamente di lui.

Scrivere un diario in un cimitero poteva sembrare un’occupazione lugubre, però lui stava bene in quel luogo. Gli pareva di riuscire ancora a sentire i suoi genitori; a percepire il loro amore, il loro appoggio. Starsene seduto per delle ore contro una fredda lapide di marmo riusciva a cancellare il caos che aveva dentro, anche solo per un po’.

Tuttavia quel giorno nemmeno visitare la tomba dei suoi genitori arrivava a calmarlo. Non riusciva a spiegarsi quella reazione, quelle sensazioni; ma più ci pensava, più tutto non aveva senso.

Lo aveva sentito su di sé.

Quello sguardo, quel sorriso. Lo avevano seguito per tutto il giorno, anche se aveva tentato di far di tutto per ignorarli. Per qualche strana, incredibile, fortunata congiunzione cosmica, il biondino era stato presente in ognuna delle sue classi.

Morgana aveva anche temuto di vederlo tramutarsi nel primo caso di combustione spontanea.

Superata la minaccia di una febbre improvvisa, aveva sogghignato divertita quando si era resa conto che il suo rossore aveva una causa di tutt’altra e piacevole natura.

E questo era male, molto male.

Se lei si metteva in testa qualcosa, era capace di tutto per portare a termine uno dei suoi piani assurdi.

Alzò gli occhi al cielo, lasciandosi trasportare dalla brezza pomeridiana. Era sopravvissuto un altro giorno, forse sarebbe davvero riuscito a farcela e a superare tutto.

CROW CROW

Un corvo solitario svolazzò fino alla tomba dei suoi genitori, atterrando con grazia. Lo fissava con i suoi occhietti tenebrosi quasi a volerlo studiare.

Un corvo che voleva studiarlo… doveva essere proprio impazzito.

“Buon giorno anche a te, signor corvo”.

Silenzio.

“Hey, ora va' via, su”.

Ancora silenzio.

Indispettito, Merlin si avvicinò all’animale per scacciarlo ma, nel momento esatto in cui le sue mani stavano per sfiorare quelle penne corvine, una fitta nebbia prese a salire dal suolo.

Si formò dal nulla, senza alcun preavviso, avvolgendo la tomba dei suoi genitori con il suo manto candido.

CROW CROW CROW

Per un attimo, un pensiero assurdo gli balenò nella testa: possibile che fosse stato il corvo?

Ok, stop: era ufficialmente impazzito.

Un brivido gelido gli salì lungo la schiena. Una sensazione strana, di morte. La pace di quel luogo era stata profanata.

CROW CROW CROW

Il corvo si scagliò contro di lui senza alcuna ragione apparente. Lo attaccò con foga e solo dei riflessi pronti riuscirono a salvare il dito che stava per essere beccato.

Doveva andarsene, subito!

Merlin si chinò a raccogliere il diario, incamminandosi a passo spedito per il sentiero.

Tremava.

Più volte si voltò indietro, quasi si aspettasse di veder comparire chissà quale mostro, ma la nebbia era impenetrabile. Lo avvolgeva senza lasciargli scampo.

Il sangue gli pulsava con forza nelle vene, dirompente . il respiro si fece sempre più accelerato.

Via! Doveva andare via!

Senza neanche rendersene conto i suoi passi divennero più svelti, finché iniziò a correre sul serio. Qualcuno era dietro di lui. Non poteva scacciare la sensazione di essere spiato.

“Ah!”. Stupida radice.

Inciampò per poi ruzzolare fra le foglie ingiallite. La gamba… la gamba gli bruciava.

“Questa è la seconda volta che cadi ai miei piedi. Mi stai forse corteggiando?”.

Quella voce.

Merlin sollevò lentamente lo sguardo per trovarsi innanzi a quegli occhi di cielo che erano stati la sua maledizione per tutto il giorno.

Il biondo gli offrì una mano per rialzarsi con un che di preoccupato nei gesti. Il giovane Ambrosius la afferrò rapito, stupendosi egli stesso di quell’azione.

“Asino”. Non riuscì a trattenersi dal borbottare quell’insulto. Credeva di averlo fatto in maniera quasi impercettibile ma l’altro lo udì ugualmente.

“Idiota”.

“Mi stavi forse seguendo?”. Sebbene la presenza del nuovo venuto lo avesse inaspettatamente rassicurato, la tentazione di voltarsi a guardare di nuovo dietro di sé era troppo forte. Il suo cuore non ne voleva sapere di calmarsi.

“No, ti ho solo visto cadere”.

“E tu, naturalmente, stavi passeggiando in un cimitero?”.

“Veramente…”. L’altro sembrava quasi imbarazzato. “Ero in visita. Ho dei familiari, qui”.

“Oh”. Che figura! Gli era andata bene una volta, era naturale che dovesse toppare prima o poi. “Scusami. È colpa della nebbia… e c’era quel corvo… molto alla Hitchcock… mi sono… spaventato”.

Il biondo continuava a fissarlo senza dire nulla.

“Io… io sono Merlin”. Tese la mano nella speranza di rimediare.

“Arthur”.

“Sì, lo so. Abbiamo storia insieme”. Non riusciva a guardarlo in viso. Lo metteva dannatamente a disagio.

“Ed inglese, matematica, francese”.

“Già”.

“Oh”. Un filo di erba faceva capolino tra i suoi capelli d’ebano ed Arthur con fare premuroso glielo tolse.

“G-grazie”.

Merlin prese a guardarsi intorno, tentando di superare l’imbarazzo. Non sapeva cos’era peggio, se il terrore di prima o il ritrovarsi da solo con quel dio greco.

Non era gay, diamine!

“Bell’anello”.

Ed era davvero un bell’anello. Arthur lo indossava sul dito medio della sua mano destra; era diverso da qualsiasi altro ninnolo che Merlin avesse mai visto. Era di un argento così puro da scintillare al sole, intarsiato minuziosamente e con una meravigliosa pietra azzurra al centro.

“È un cimelio di famiglia”. Rispose il proprietario dell’anello, prima che una strana ombra facesse capolino sul suo bel viso. “Sei ferito?”.

“Cosa?”.

“Sei ferito?”. Gli chiese ancora, con insistenza.

“Oh”. Aveva completamente dimenticato il dolore alla gamba. L’arrivo di Arthur aveva cancellato tutto ciò che non fosse lui.

Merlin sollevò l’arto offeso su di una vecchia lapide, alzando i neri jeans fin sopra al polpaccio.

Stava sanguinando.

“Accipicchia, non ha un bell’aspetto”.

Preso com’era dalla sua ferita, non vide Arthur arretrare.

Non lo vide voltare il suo bel viso perfetto mentre gli occhi gli si tingevano d’oro e la pelle intorno ad essi si ritraeva come scottata.

“Dovresti medicarla”.

“No, sul serio. Non è nulla”.

Sollevò lo sguardo per ringraziarlo, ma solo allora Merlin si accorse che Arthur era scomparso lasciandolo solo nella nebbia che andava diradandosi.

Quel ragazzo era sul serio un bel mistero.

Senza attendere oltre, il giovane Ambrosius riprese il sentiero che attraversava tutto il cimitero per tornare a casa, ignaro di aver lasciato qualcosa di nero e prezioso al suolo.

 

                                                                          ******

 

“Tutto quello che mi tenevo dentro è riaffiorato con violenza. Non sono in grado di resistergli”.

 

L’antica magione dei Pendragon era avvolta nel più assoluto silenzio. Aveva un che di spettrale, sovrannaturale.

Si ergeva, antica e immutata, al centro del bosco e pochi erano a conoscenza della sua esistenza.

In città si diceva che fosse abitata da un vecchio bislacco, troppo intento nei suoi studi  per curarsi di ciò che gli stava intorno.

Una luce fioca illuminava la soffitta, che occupava l’intero attico della vecchia casa in stile vittoriano.

Il soffitto spiovente era di legno antico, intervallato qua e là da piccoli lucernari di vetro colorato. Anche il pavimento era di legno non levigato, scuro, e le pareti erano rivestite di assi non verniciate dello stesso materiale. 

Sotto un piccolo abbaino c’era una scrivania antica sulla quale erano poggiati tanti e tanti libri.

Anzi, c’erano libri ovunque in quella stanza. Le pareti ne erano piene.

C’era giusto lo spazio per un piccolo caminetto acceso e un guardaroba in un angolo, nonché per l’antico letto in ferro battuto che campeggiava al centro. 

Più che una stanza da letto, quello sembrava lo studio di uno storico.

Arthur era seduto alla scrivania.

Continuava a rigirare tra le mani un piccolo libricino dalla copertina in pelle, mordendosi la nocca di un dito in preda a mille dubbi. Si era comportato bene quel giorno, ma non riusciva  a decidersi sulla prossima mossa da fare. Non poteva permettersi alcun errore e non era sicuro di come Merlin l’avrebbe presa.

Quel diario… quel diario che non gli apparteneva.

 

                                                                      ******

 

Finita la prima interminabile giornata scolastica, come tradizione, l’intera Avalon High si riversò nell’unico grill della città: il Red Kill. Per l’intera popolazione studentesca del paese era naturale ritrovarsi lì al calare del sole: un luogo per mangiare e chiacchierare lontano dalla famiglia. Un’assurda routine anche quella.

“Ciao, Sophia”.

Le mani di Sophia strinsero con forza un piatto sporco. Faceva la cameriera per arrotondare e di certo non ne andava fiera.

Lei doveva sudarseli i soldi, doveva faticare. Non era la povera e piccola principessina Freya cui tutto era dovuto e condonato.  Sua sorella le faceva venire il voltastomaco.

“Che diavolo vuoi, Will?”. Quel ragazzino stava diventando davvero fastidioso con la sua ossessione. Era stato carino per un giorno o due, ma adesso non voleva di certo che tutta la scuola la vedesse in sua compagnia. Non era un tipo da fare la carità a quel caso umano, lei.

“Tavolo 7, Sophia!”. Lo ignorò, sperando che afferrasse l’antifona e la lasciasse in pace.  Il cuoco le fece cenno di avvicinarsi al bancone per una nuova ordinazione.

Lasciò la stoviglia sporca per un piatto di hamburger con doppia cipolla e patatine fritte. Non doveva essere un’indovina per capire a chi servirli: suo fratello, naturalmente. Abitudinario anche nel cibo.

Infatti, proprio come aveva immaginato, Leon era seduto al solito posto, chiacchierando con un bel ragazzo moro che avrebbe riconosciuto fra mille. Con fare civettuolo la ragazza si avvicinò al loro tavolo, offrendo il suo sorriso più smagliante. “Tieni, fratellone”.

Leon le posò un piccolo bacio sulla guancia mentre Lance le rivolse un cenno con la mano, fissandola decisamente più del dovuto. Bene, bene, bene. Presto sarebbe stato suo, se lo sentiva.

Li lasciò ai loro noiosi discorsi di sport ancheggiando con fare, a suo parere, seduttivo. Lance non avrebbe potuto fare a meno di guardarla.

“Ti prego, amico. Dimmi che non ci stai provando con mia sorella”. Leon si portò una mano alla fronte, spostandosi una ciocca ribelle. Aveva già abbastanza grilli per la testa con Morgana, la sua ex (ma non proprio ragazza) , e con la sparizione di sua madre. Non aveva bisogno di altre rogne da sbrogliare.

“Non ci sto provando con tua sorella”. Fu la risposta rapida dell’amico. Forse anche troppo rapida.

“Sei davvero un coglione, Lance”. Sperò di cuore che l’altro avesse capito di tenere le mani apposto.  Amico o non, sua sorella era off-limits per tutti.

 

                                                                    ******

 

L’aveva vista flirtare con Lance Du Lac e questo gli aveva fatto andare il sangue al cervello. Che aveva da offrirle quel bell’imbusto che lui non aveva?

Perché non voleva capire? Lui l’amava, L’AMAVA! Questo non contava nulla?

“Hey, che ti prende? D’estate ti comporti in un modo e poi, appena comincia la scuola, fai la fulminata?”. Will l'aveva sorpresa alle spalle, imprigionando la sua mano minuscola in una presa che non lasciava scampo. Doveva farla ragionare.

Ne era sicuro: lui le avrebbe aperto il suo cuore, si sarebbero chiariti e poi tutto sarebbe andato apposto. Anche Will avrebbe avuto il suo lieto fine. Non aveva dubbi in merito.

“Will, ti sono grata per tutte quelle pasticche, ma non puoi continuare a seguirmi come un cagnolino”.

Sophia si guardò intorno sperando che nessuno si fosse accorto di loro. Quel ragazzino, in fondo, era "dolce" quando voleva. Carino, ma questo non voleva dire che avrebbe accettato di recitare quegli strampalati filmini mentali che si era fatto su di loro.

Quella volta  fu lei ad afferrarlo per una mano, a trascinarlo in una zona in ombra. La musica continuava a martellare costante. Bene, nessuno li avrebbe spiati.

“Però hai fatto sesso con un cucciolo smarrito!”.

“Shh, abbassa la voce. Non voglio che si sappia che ho sverginato il fratellino di Merlin”.

Non che le importasse molto di Merlin Ambrosius, sia chiaro. Era solo uno sfigato come un altro, per lei, ma restava pur sempre il migliore amico di Morgana Le Fay… e nessuno si metteva contro Morgana.

“E sverginato e sverginato”.

Proprio non voleva capire!

“Siamo stati insieme mentre eravamo fatti, e allora? Sta' lontano, prima di rovinarmi il rapporto con Lance”.

Lance era bello, atletico, popolare. Tutto ciò che poteva desiderare. Quale ragazza avrebbe lasciato il principe azzurro per il giullare di corte? Ci voleva tanto a capirlo?

“Quel tipo è un cazzone. Ti vuole solo per le tue chiappe!”.

“Ah, sì. E tu per cosa mi vuoi?”. Lo fissò con aria superiore, come si scruta qualcosa di così infimo da non essere nemmeno degno di leccarti le scarpe. Will Ambrosius sarebbe rimasto sempre Will Ambrosius. E non c’era nessun trono per uno come lui nella rigida gerarchia del liceo.

 

                                                                      ******

 

“Si chiama Arthur Pendragon e vive con lo zio alla vecchia Magione dei Pendragon. Non tornava qui da quando era piccolo. Famiglia di militari: si trasferivano di continuo. È dei gemelli e il suo colore preferito è il rosso”.

Morgana non poté non provare una certa ammirazione nei confronti di Vivianne. Quella ragazza era un’enciclopedia vivente quando ci si metteva. Si erano sedute al tavolo da più di mezz’ora e in quel breve lasso di tempo la biondina le aveva snocciolato vita, morte e miracoli del bel bocconcino appena trasferito.

Se Merlin non si decideva a comparire, si sarebbe messa ad urlare. “Non mi dirai che hai scoperto tutto in un giorno?”.

“Non dire sciocchezze: ho scoperto tutto fra la terza e la quarta ora. Pensandoci bene, penso proprio che ci sposeremo a giugno”.

Non era una cattiva ragazza, Viv. Anzi, era anche una buona amica… ma bisognava prenderla con le molle altrimenti avrebbe steso anche un pugile dei pesi massimi.

Dove diavolo sei, Merlin?

“Freya Knight ci sta fissando”.

Morgana si voltò verso il tavolino in un angolo buio che Viv le stava indicando. Rannicchiata nel suo giaccone troppo grande, c’era la piccola Freya. Ecco, ora ci mancava anche il pulcino scaricato.

Freya le faceva pena, sul serio. Era una ragazza dolce e tranquilla, non aveva nulla contro di lei. Ma persino un cieco avrebbe visto che tra lei e Merlin non c’era alchimia, attrazione, nulla.

Alle volte, continuava ancora a chiedersi cosa fosse passato per la testa al suo amico quando aveva accettato di uscire con lei.

Erano stati solo un paio di appuntamenti e non erano andati oltre qualche casto bacio sulla guancia e un minimo sfiorarsi di labbra, lei lo sapeva. Aveva costretto Merlin a raccontarle tutto. Tuttavia le faceva una pena infinita vedere quella ragazza ancora in attesa che il moretto cambiasse idea. Cielo, erano passati più di quattro mesi! Doveva andare avanti!

Non voleva essere crudele, Morgana. Questo no. Ma Merlin aveva già abbastanza sensi di colpa. L’amore non corrisposto di una ragazzina di due anni più piccola non era ciò di cui aveva bisogno per tornare a vivere.

 

                                                                         ******

 

Jeans neri attillati? Check.

Maglia aderente dei Sex Pistols? Check.

Capelli perfettamente arruffati in maniera apparentemente casuale? Doppio Check.

Finalmente era pronto per uscire. Un solo minuto in più e Morgana lo avrebbe scuoiato vivo.

“Zio Gaius, io mi vedo con Morgana e Viv al Red Kill”. Dopo tutta la fatica che aveva fatto per rendersi almeno decente, sperava solo che il sopracciglio del terrore non avesse nulla da obiettare.

Gaius si affacciò dalla porta del salotto, dov’era rimasto completamente affascinato da un documentario su qualche schifoso insetto dal nome impronunciabile.

Sopracciglio sinistro: era passato.

“Non fare tardi e vedi di recuperare tuo fratello. Domani avete scuola”.

Merlin annuì appena, aprendo la porta di colpo. Meglio uscire prima che suo zio cambiasse idea.

SDENG

Diamine! Chi aveva avuto la brillante idea di piazzare un muro proprio davanti alla sua porta?

Era la seconda volta in un giorno. Stava diventando un’abitudine!

“Oh”. Si tastò la fronte in cerca di qualche danno. Bene, nulla di serio.

“Scusa, stavo per bussare”. Oh… mio… Dio! Arthur! “Ero venuto qui a scusarmi per l’essere sparito oggi al cimitero”.

Merlin respira. Va tutto bene. È soltanto il nuovo studente della Avalon High, bello come un Adone e con cui hai la tendenza a comportarti come un emerito idiota. Stai calmo!

Sfoggiò il suo sorriso più smagliante, nel vano tentativo di mascherare la tensione.

Non riusciva davvero più a capirsi. Nessuno aveva mai avuto un effetto così sconvolgente su di lui e conosceva Arthur da appena un giorno.

“Tranquillo. Ho capito che il sangue ti dava la nausea, non devi vergognarti”.

Arthur sembrò soppesare quella risposta prima di distendere le labbra in un piccolo cenno d’assenso. “Sì, diciamo così. Come va la gamba?”. Sembrava sul serio preoccupato per quel piccolo taglio. Cosa che stranamente riempiva Merlin di gioia. Perché?

“Tutto ok, era solo un graffio”. Solo in quel momento si accorse di una cosa che avrebbe dovuto notare molto prima. “Come sapevi dove abito?”.

Il biondo si strinse nelle spalle, come se quello che gli avevano appena chiesto fosse la cosa più ovvia del mondo. “È una piccola città. Ho chiesto alla prima persona che ho incontrato”.

Gli volse un nuovo sguardo carico di… di qualcosa cui Merlin non riusciva a dare un nome.

Era come se Arthur gli stesse leggendo dentro e, anziché spaventarlo, questo era per lui naturale come respirare. “Ho pensato che avresti voluto riaverlo”.

Tirò fuori dalla tasca posteriore dei jeans un quaderno rivestito di pelle nera dall’aria tremendamente familiare.

“Oh, mi sarà caduto. Ti ringrazio”. Merlin l’ho afferrò con entrambe le mani, stringendoselo al petto con tutta la forza che aveva. Che imbarazzo!

Quasi a intuire cosa gli passasse per la testa, le labbra di Arthur si curvarono rassicuranti verso l’alto. “Non preoccuparti, non l’ho letto”.

Se non fosse stato già tremendamente in imbarazzo, sarebbe sul serio cascato al suolo per la vergogna. “No? Chiunque altro lo avrebbe fatto”.

“Io non vorrei che qualcuno leggesse il mio”.

“Hai… un diario”. Sicuramente lo stava prendendo in giro! Lui? Lui aveva un diario?

Arthur continuava a sorridergli con quel suo tono confortante e presto tutte le sue preoccupazioni scomparvero di colpo. “Sì, se non scrivo dimentico le cose.  È importante ricordare”.

“Sì… io dovrei… non serve che resti qui fuori”.

Merlin rientrò un secondo in casa per riporre il suo preziosissimo carico. Aveva corso un bel rischio: non tutti erano così sinceri come quel ragazzo misterioso.

Arthur si avvicinò alla soglia di casa Ambrosius, ma scelse di non oltrepassarla. Si limitò ad appoggiare le mani sugli stipiti, come a voler solo sbirciare dentro senza dare però l’impressione di voler entrare.

Che strano tipo.

“Sto bene”. Gli mormorò quando pochi secondi dopo Merlin tornò sull’uscio.  “Scusa, stavi uscendo? Non volevo disturbarti”.

“Sì, dovevo vedermi con Morgana”. Pensarci era inutile. Quell’invito gli partì proprio da dentro. “Vuoi venire?”.

 

                                                                    ******

 

“Se Merlin non entra da quella porta entro i prossimi 10 secondi, ho intenzione di legarlo alla portiera di Breezy e portarlo a spasso per tutta Avalon!”.

Un leggero ritardo era un conto. Come appartenente al genere femminile, Morgana sapeva bene che per ogni appuntamento era bene presentarsi con un lieve indugio, ma qui si esagerava.

Era arrivata già alla sua terza coca e tutta quella dannata caffeina le rovinava la pelle. Gliene avrebbe dette quattro.

“Per Dior!”.

Sollevò gli occhi di smeraldo dalle bollicine nel suo bicchiere per vedere il volto candido di Vivianne iniziare ad assomigliare tremendamente all’Urlo di Munch.

Che aveva mai?

Solo allora notò Merlin Ambrosius ed Arthur Pendragon fare il loro reale ingresso al Red Kill come una coppia di vecchi amici.

Vecchi amici o…?

Fu una scintilla quella, quella bizzarra teoria che balenò fulminea nella sua testolina affollata e che fece notare alla furba Morgana quanto, in fondo, fossero davvero una bella coppia.

Proprio vero che quelli affascinanti erano già accasati, oppure dell’altra sponda.

“Hey, Merlin!!! Noi siamo qui!”. Se Viv continuava a sbracciarsi in quel modo, il vestito scollato che aveva addosso non avrebbe retto a lungo.

I due si fecero strada in mezzo ai tavoli tra gli sguardi stupiti di tutti i presenti. Si accomodarono accanto alle ragazze senza alcuna incertezza o disagio per tutta l’attenzione ricevuta e, in meno di 30 secondi, Viv dette il via al suo questionario verbale.

“Quindi sei nato ad Avalon?”

“Sì, i miei si sono trasferiti quando ero molto piccolo”. Arthur aveva preso a giocare con la cannuccia nel suo bicchiere, senza far nulla per nascondere quanto il suo interesse fosse completamente rapito dal bel moretto che gli stava di fianco.

“I tuoi genitori?”.

“I miei genitori sono morti”. Non c’era espressione in quella risposta. Era come se la cosa non lo toccasse minimamente.

“Mi dispiace. Fratelli o sorelle?”. Viv avrebbe potuto condurre un talk-show, per tutto il suo tatto.

“Nessuno con cui abbia rapporti. Io vivo con mio zio”. Qui, per un istante, uno strano nervosismo offuscò il suo sguardo limpido, ma svanì in fretta come se non fosse mai comparso.

“Allora, Arthur... sei nuovo, quindi non saprai della festa di domani”. Vivianne stava tessendo la sua rete di conquista, ma Morgana decise subito che non gliel’avrebbe permesso. Le premesse erano troppo buone per essere sprecate: aveva ben altri piani per Arthur Pendragon.

“È la festa di inizio anno. Alle Cascate”.

“Tu ci vai?”. Il biondo chiese a Merlin, ignorando completamente la sua interlocutrice.

“Certo che ci va”. Ma guarda un po’, Morgana rise tra sé. Sarà più facile di quanto pensassi. Merlin, ti sei trovato proprio un bello spasimante.

 

                                                                      ******

 

Che idiota.

Si sentiva come una banale ragazzina dopo il suo primo appuntamento. Avrebbe dovuto trascorrere ancora un’intera giornata prima della festa alle Cascate, ma la tensione era troppo forte da poter essere ignorata.

Doveva essere tutto perfetto.

Provava e riprovava maglie e camicie nella speranza di trovare il look giusto. Era davvero patetico.

Sfilò la t-shirt scura dal suo corpo scolpito, lasciando che l’aria pungente della sera gli accarezzasse la pelle. Ne indossò un’altra: erano talmente simili da distinguersi a malapena. Tuttavia anche un solo dettaglio avrebbe fatto la differenza.

Sorrise sardonico a quel pensiero. Se lui fosse stato lì a vederlo, lo avrebbe deriso per almeno un paio di secoli.

“Avevi promesso!”.

Era stato così preso dalla scelta sul vestiario da ignorare l’ingresso di Uther nella sua camera. L’uomo più anziano non aveva bussato, cosa alquanto strana. Doveva essere accaduto qualcosa di davvero grave per spingerlo ad entrare nella sua stanza senza annunciarsi.

“Zio Arthur!”.

Uther brandiva un quotidiano al pari di un’antica spada medievale. Nei suoi occhi chiari brillava un fuoco di disgusto e ira che conferiva al suo viso, già solcato da profonde rughe, un’aria ancor più minacciosa.

Aveva solo una cinquantina d’anni, ma in quel momento ad Arthur parve molto, molto più vecchio.

Gli prese il giornale, leggendo con voce chiara il titolo che campeggiava in prima pagina tra le foto di una giovane coppia. “Trovati cadaveri mutilati da un animale”. Non capiva il perché di tutto quel trambusto: era solo una notizia locale. “ È stato un animale”.

“Non ci provare”. La rabbia di Uther prese a ribollire sempre di più. “Li riduci così male che non fanno altro che sospettare di chissà quale bestia sconosciuta. Avevi promesso di controllarti!”.

“Ed è così”. Poteva capire il sospetto di suo nipote ma quella non era opera sua. Lo aveva giurato sulla vita di quella persona. Mai più. Mai più.

“Ti prego, zio Arthur”. Di colpo l’ira divenne preghiera. “Avalon è un posto tranquillo ed è così da anni, ma c’è gente che ancora ricorda. La tua presenza qui agiterà molto le acque”.

“Non era nelle mie intenzioni”. Che cosa avrebbe potuto dirgli? Lui stesso non riusciva a comprendere appieno il motivo per cui era tornato. Troppi dubbi, troppe domande cui non sapeva o poteva dar ancora una risposta.

“Perché sei tornato dopo tutto questo tempo? Perché ora?”.

“Non devo spiegarti nulla, Uther”. Quello non era un discorso che poteva affrontare adesso. Volevo solo divertirsi e passare delle belle giornate. Voleva solo conoscere meglio Merlin. “Sappi solo che non sono stato io”. E con quell’affermazione la discussione era chiusa.

“Lo so che non puoi cambiare quello che sei”. Uther, tuttavia, non si dava per vinto. Forse non poteva dire di amare Arthur, ma riusciva sicuramente a nutrire un profondo rispetto per lui. Ed era proprio per quel rispetto che voleva evitare un nuovo, cruento bagno di sangue inutile.  “Il tuo posto non è più qui, zio Arthur”.

Quelle parole gli fecero male, molto male. “E qual è il mio posto?”.

Per anni aveva cercato una risposta a quell’interrogativo, un segno, ma la pace cui agognava continuava a sfuggirgli, elusiva come un ladro.

Per un attimo, Uther fu mosso a profonda compassione per quel ragazzo…, per quell’uomo, che gli stava davanti. Avrebbe voluto aiutarlo, ma quelle erano cose che andavano ben oltre la sua comprensione. Tuttavia non poteva lasciarsi impietosire. Un solo passo falso e sarebbero stati tutti spacciati.

“Non posso dirti cosa fare, ma tornare qui è stato uno sbaglio”. Gli diede le spalle, avviandosi verso l’uscita. Chiuse dietro di sé la pesante porta di mogano, mentre Arthur tentava di far luce su quella moltitudine di sentimenti e paure che si agitavano dentro di lui.

Un tempo ci sarebbe stato lui a rispondere ai suoi dubbi. Lui a dar pace alla sua anima stanca.

Ma lui non c’era più. Era solo, adesso.

Si avvicinò ad un vecchio scaffale, sollevando il coperchio di un intarsiato cofanetto di metallo.

C’era qualcosa in quel cofanetto: un ritratto. Il ritratto di un ragazzo dai capelli corvini accompagnato da un lupo.

Accarezzò quel viso dipinto, come un amante premuroso fa col viso della sua bella. Sentiva una morsa stringergli il cuore, come sempre quando ripensava a lui.

“Che devo fare Emrys? Tu puoi dirmelo?”.

 

                                                                        ******

 

Un’altra noiosa giornata di scuola.

Un’altra noiosa lezione di storia.

Chi stravaccato sul banco e chi poggiato con la testa al muro, un gruppo di stanchi adolescenti tentava di resistere a quella tortura che si rivelava essere l’ultima lezione del venerdì pomeriggio.

Cedric, poi, era uno di quegli insegnanti che si divertiva sul serio a torturare i suoi studenti. A rinfacciare loro la sua posizione di potere, il suo controllo non solo sui loro volti, ma anche sul loro futuro.

Era viscido con quel suo sorriso tanto falso quanto lo erano i suoi occhi acquosi.

“Signor Knight, preferisce sfatare il mito del palestrato senza materia grigia?”.

Torturare i giocatori era il suo passatempo preferito. Chissà, magari un modo come un altro per sfogare tutta la rabbia accumulata durante la sua adolescenza da banale secchione.

“No, signor Cedric. Preferisco rimanere una zucca vuota”.

Gli altri tentarono di soffocare una risata. Meglio non gettare altra carne al fuoco e dare al loro aguzzino altri armi con cui scatenarsi.

“Merlin, potresti illuminarci su uno dei più importanti eventi storici di questa città, per favore?”.

Sapeva bene di essere stato preso in trappola.

“Mi spiace, non lo so”.

La smorfia del professor Cedric si tramutò lesta in un ghigno di malcelato disgusto che scatenò le ire di Morgana. La ragazza dovette mordersi il labbro pur di non urlare contro quella pallida imitazione di un professore tutto il suo ribrezzo. Prendersela con Merlin era troppo.

“Sono stato disposto ad essere indulgente con te l’anno scorso, per ovvi motivi. Ma le scuse personali sono finite con le vacanze estive, signor Ambrosius”.

“Ci furono 346 vittime senza contare i civili del luogo”.

Una voce nuova attirò l’attenzione dell’insegnante, lasciando al povero Merlin un attimo di respiro. Una voce proveniente dall’ultimo banco dove un ragazzo dai capelli d’oro dava l’impressione di star sonnecchiando da un po’.

“Esatto, signor...?”. Cedric non riuscì a celare totalmente la sua irritazione nell’essere stato interrotto, ma non poteva di certo mostrarsi debole davanti a quella combriccola di mocciosi ancora maleodoranti di latte materno.

“Pendragon”. Arthur aveva drizzato la schiena, mettendo in mostra tutto il suo fisico muscoloso sotto la leggera t-shirt nera.

“Pendragon. È imparentato con i primi coloni giunti qui ad Avalon?”.

Il biondo si strinse nelle spalle. “Lontanamente”.

Cedric finse di annuire interessato, pronto a colpire con una sua frecciatina saccente. “Tranne il fatto che non ci furono vittime civili in questa battaglia…”.

“A dire il vero, signore, ce ne furono 27”. Il ragazzo lo interruppe di proposito, godendo appieno quell’espressione di stizza mista a stupore che ora campeggiava sul volto di quel misero omuncolo anoressico. “I soldati del re spararono contro la chiesa pensando che ci fossero delle armi”. Continuò con voce limpida e sicura, quasi come se fosse lui l’insegnante intento a tenere la lezione. “Ma si sbagliavano: fu una notte di grandi perdite. Gli archivi dei fondatori sono in comune”. Piccola pausa per raccogliere la suspance. “Nel caso volesse aggiornare i suoi dati, signor Cedric”.

Stavolta le risate di scherno verso Cedric non poterono essere trattenute. Se le era meritate in pieno.

L’uomo era rimasto completamente di sasso a quelle parole, stringendo i libri che aveva sempre consultato in modo quasi spasmodico.

Merlin si volse a guardare il suo nuovo compagno di classe seduto diversi banchi più in là, lanciandogli un piccolo sorriso d’approvazione.

Arthur rispose strizzando a malapena l’occhio e ancora una volta, come capitava spesso in quei giorni, Merlin dovette combattere il rossore che minacciava di conquistare le sue guance.

BIP

Un sms.

“IL NUOVO ARRIVATO NON FA ALTRO CHE FISSARTI IL SEDERE. WAY TO GO, BABY!”

C-Che???

Il povero soggetto interessato chinò il capo sul banco, tentando di frenare quella lieve combustione spontanea che stava per stroncare la sua giovane vita.

MORGANA!

Finalmente il suono della campana: quell’interminabile giornata era finita.

                                              

                                                                       ******

 

Le poche ore che avevano separato la fine delle lezioni dall’inizio dei festeggiamenti erano volate in un istante.

Il party aveva preso il via da poco, ma moltissimi dei ragazzi presenti erano già ubriachi. Birra, vodka, droga: tutto quello che un adolescente avrebbe potuto desiderare.

Due amici si stavano scaldando vicino al falò, sebbene, per gli argomenti trattati, Merlin si sentisse pervadere da una febbre fin troppo conosciuta.

“Merlin”. Quel ragazzo era più cocciuto di un mulo. Era il ventunesimo secolo, che diamine! Non lo faceva così tradizionalista!

“D’accordo, è carino”. Il terreno spoglio aveva un che di attraente. Non riusciva a smettere di fissarlo.

Non era omofobo, cazzo. Aveva sempre accettato l’idea che non si può scegliere chi amare… sul serio! Ma non aveva nemmeno mai pensato di potersi interessare ad un altro uomo!

“Sembra uscito da un romanzo: con il suo sguardo penetrante, Arthur gli trafisse l’anima. Che aspetti a prendere l’iniziativa?”.

Morgana si lasciò sfuggire una smorfia pregna di significati non proprio nascosti.

Non riusciva sul serio a capire il perché di tutte quelle remore. Arthur era bello, sexy e palesemente attratto da lui. Perché voleva negarsi tutto quel ben di dio, sciocco Merlin! Se si fosse trattata di lei, Morgana non avrebbe esitato a sfoderare tutto il suo repertorio.

Arthur era l’aria fresca di cui il suo amico aveva disperatamente bisogno.

E poi… loro due insieme… cielo, che coppia!

E proprio Arthur, intanto, avanzava tra i ragazzi ubriachi proprio alla ricerca di Merlin.

Eccolo! Lo aveva trovato. Aveva trovato il motivo per cui aveva accettato di sottoporsi a quel supplizio. In altri tempi, avrebbe amato tutto quello sfoggio di giovani ed incoscienti vite. Ma quei tempi erano ormai trascorsi e non avrebbe desiderato per nulla al mondo di poterli rivivere.

“Ah, sei arrivato”. Un botolo di capelli platinati e camiciola di seta: Vivianne.

“Già”. Doveva riuscire a seminarla, oppure non avrebbe potuto eseguire ciò che si era prefisso.

Il suo scopo, il suo obiettivo. Il sogno che tante notti lo aveva lasciato sveglio.

“Andiamo a prendere da bere”. Vivianne lo cinse per un braccio, accompagnandolo verso il grande tavolo posto al centro del gazebo.

Doveva lasciarla fare se non voleva svelare il suo segreto.

“Beh, no”.

“Oh, coraggio”.

Quella ragazza emanava un forte odore di feromoni: eccitata! Ci mancava solo questa.

 

                                                                     ******

 

“Dove sarà finito?”. Morgana continuava a guardarsi intorno alla ricerca del bel principe azzurro per il suo migliore amico. Come osava farlo aspettare? Non aveva un minimo di ritegno quel ragazzo?

“Dimmelo tu”. Lo stomaco era in subbuglio. Se avesse potuto nascondersi sotto un masso, lo avrebbe fatto volentieri, povero Merlin. Peccato che Morgana non glielo avrebbe mai perdonato. Oramai per lei quello era diventato un fatto personale. “Sei o non sei una veggente?”.

“Giusto, l’avevo dimenticato. Dammi un momento; la nonna dice che devo concentrarmi”.

“Aspetta: ti serve una sfera di cristallo”. Il ragazzo afferrò una bottiglia di birra portagli da chissà chi offrendola alla sua amica. C’era sul serio gente che credeva ancora alla magia?

Tuttavia, in quel momento, accadde una cosa stranissima. Avvertì come un contatto elettrico, una scossa attraversare le loro dita che si sfioravano. Una scintilla che fece spalancare gli occhi Morgana per la sorpresa.

Per un attimo, il respiro le venne meno.

“Che c’è? Che succede, Morgana”.

Morgana si portò una mano al petto, sopra il ciondolo a forma di fenice che le scendeva all’altezza del cuore.  “È strano. Quando ti ho toccato, ho visto un corvo”.

“Che cosa?”.

“Un corvo. C’era la nebbia e un uomo ti osservava”. Non sembrava nemmeno lei a proferire quelle parole. Il suo tono era distante, vuoto. Quasi come se non fosse davvero lì. Ma fu solo un attimo prima che tornasse quella di sempre. “Sono ubriaca, è l’alcool. Qui la magia non c’entra niente”. Eclissò sulla cosa con un cenno della mano. “Ok, vado a prendere da bere”.

“Morgana!”.

Ma lei era già sparita.

“Ciao”.

Qualcuno gli era arrivato alle spalle, facendolo sobbalzare.

“Ciao”. Dio che imbarazzo! Ma perché doveva sempre fare la figura dell’idiota con lui? Arthur doveva averlo scambiato per un ritardato con tutte le sue figuracce.

“Io... io l’ho rifatto, vero?”. In realtà, il bel biondino era mortalmente più in imbarazzo di lui. Non sapeva come comportarsi in quelle situazioni. Era passata un’eternità da quando si era trovato in un contesto simile e gli faceva male pensare a quei momenti.

Un fastidioso silenzio calò tra loro mentre nessuno dei due si decideva a fare la prima mossa.

Prendi l’iniziativa!

Ora la sua coscienza parlava pure come Morgana?

“Hey, Arthur”. Poteva farcela, sì. “Ti va di fare una passeggiata?”.

 

                                                                    ******

 

In mezzo a tutti quegli ormoni impazziti, Sophia cingeva il collo di Lance sfiorandogli le labbra ruvide con le sue.

Lance sapeva di sale e dei caldi raggi del sole. Lo voleva, lo bramava. Avrebbe fatto di tutto affinché fosse divenuto suo.

Si strusciava sinuosa sui suoi muscoli scolpiti, tentando di incantarlo come un fachiro indiano fa con il suo bel serpente letale. Era una danza antica, quella. Una danza che molte donne prima di lei avevano già compiuto con successo.

La sua lingua birichina scattò curiosa mentre percorreva umida il contorno del lobo del suo orecchio. Quei capelli neri così folti e lucenti le facevano venir voglia di stringerli.

Chissà… magari presto lo avrebbe fatto in preda alla passione.

“Voglio stare sola con te”.

Lancelot era totalmente rapito da lei. Era sbagliato, lo sapeva. Leon gliel’avrebbe fatta pagare cara, ma era pur sempre un uomo. Come poteva resisterle?

Lei lo prese per mano, incurante di quegli occhi carichi d’invidia che seguivano ogni sua mossa.

Lo prese per mano, allontanandosi fra gli alberi verso una comoda alcova, voltandosi ogni tanto per qualche fuggevole bacio.

Camminarono a lungo, presi com’erano l’uno dall’altra, dimentichi di tutto il resto.

Stava per accadere, stava per accadere.

Quando ritenne di aver raggiunto una distanza adeguata, Sophia si lasciò scivolare contro un albero. I suoi occhi brillavano di lussuria anche al buio.

Stava per accadere.

Uno ad uno prese a slacciare i bottoncini della sua camicetta rossa, lasciando che un velato tessuto di pizzo nero venisse allo scoperto.

“No, dai. Non farò sesso contro un albero. Non è giusto. Che dirà Leon!”.

“Non m’importa nulla di Leon”.

Lo attirò a sé, facendo scivolare nuovamente le sue mani fra quei capelli d’ebano che tanto la affascinavano.

Stava per accadere.

“Hey, lasciala stare!”.

Balzò dalla boscaglia come una bestia inferocita facendoli sobbalzare. Il volto di Will era irriconoscibile, completamente trasfigurato da quella gelosia opprimente e cieca che non lasciava spazio se non alla violenza.

“Stai iniziando a darmi sui nervi, Ambrosius”.

Non lo avrebbe mai ammesso, ma una parte di Lance si sentì sollevato a quella interruzione. Sapeva che stare con Sophia era sbagliato. Era la sorella del suo migliore amico, la conosceva da bambina. Ma, Dio, quant0’era eccitante.

Comunque, questo non dava il permesso a quella patetica mezza tacca di alzare la voce con lui.

“Dai, Lance, lascialo stare. È solo un ragazzino”. Sophia gli incorniciò il viso velato da un’ombra di barba, cercando in ogni modo di ritrovare la magia che si era così malamente infranta.

Ci era andata così vicina!

“Cos’è, Du Lac? Hai paura?”. Quel corpo nascosto dagli ampi vestiti da skater fremeva di collera. Voleva fare a pugni, dargli una lezione. Insegnare a quel bell’imbusto qual era il suo posto e a chi apparteneva la bella Knight.

Lance, invece, sbuffò carico di disprezzo. Quel ragazzino aveva davvero oltrepassato ogni limite. Lo mandava in bestia ma non gli avrebbe dato questa soddisfazione. Lui non valeva nemmeno uno dei pugni che tanto bramava.

“Va a farti fottere, Ambrosius. Non sarò sempre così magnanimo”. Lo spinse contro un tronco senza sforzo, riprendendo il sentiero da cui erano venuti. Aveva bisogno di una birra.

“Ma sei idiota! Che diavolo ti è preso?”. Fu Sophia a colpirlo, invece. Lo schiaffeggiò con una forza inaudita, lasciando il povero Will completamente spiazzato.

“Pensavo che ti stesse saltando addosso. Volevo aiutarti!".

“Beh, pensavi male: ero io a volerlo. Perché non mi lasci in pace? Tutto questo tuo voler parlare, aprirmi il tuo cuoricino e poi scopare, scopare, scopare. Cosa ti fa credere che tu m’interessi ancora?”.

“È questo quello che pensi di me?”. Perché gli mostrava tanta sufficienza? Che fine avevano fatte quelle ore stretti stretti giù al lago?

“Svegliati, Will. È solo la verità. Abbiamo scopato, stop. Fra di noi non c’è niente!”.

Lo lasciò così, più solo che mai. L’ultima sua speranza infranta senza alcuna pietà.

 

                                                                      ******

 

Il vecchio ponticello di legno era il posto ideale per parlare. Tutto il fracasso della festa sembrava lontano mille miglia: c’era solo la natura. Le lucciole danzavano sull’acqua scura, illuminando quello specchio in terra della stessa luce delle stelle nel firmamento.

Si erano allontanati dagli altri a poco a poco, quasi fosse naturale per loro due il ritrovarsi vicini e separati da tutti gli altri. Era una sensazione strana, quella che Arthur gli comunicava: una sorta… una sorta di pace interiore che Merlin non era sicuro di aver mai provato prima.

Un silenzio di cui aveva disperatamente bisogno ma che, al tempo stesso, mandava il suo cuore in subbuglio.

E non perché Arthur fosse dannatamente carino, nonostante quello che Morghy pensava.

“In città parlano tutti di te”.

“Ma davvero?”.  Il biondo teneva un ginocchio alto, circondandolo con le sue braccia forti. Vi teneva sopra il viso, scrutando ogni più piccolo dettaglio del volto del suo nuovo amico.

“Mhmhm, il nuovo ragazzo del mistero. Hai fatto notizia”. Merlin gli sedeva accanto, poco distante, eppure poteva giurare di riuscire a sentire il calore che quella giacca di pelle scura emanava.

“Non sono nulla di speciale”. Arthur si strinse nelle spalle, posando quel suo sguardo di cielo si di lui. Si sentiva nudo sotto quello sguardo. “Tu, invece, Merlin. C’è qualcosa in te…”.

“Cosa?”. Si sforzò di allentare la tensione con un piccolo riso. “La mia affascinante personalità?”.

Il volto di Arthur era serio e quella risata si spense subito.

“La tua tristezza”.

“Cosa ti fa pensare che io sia triste?”. Un nodo fin troppo familiare gli serrava la gola. Quelle parole avevano avuto su di lui l’effetto di mille volt.

“Beh”. Pendragon doveva essersene accorto perché stavolta fu lui a sorridere sghembo. “Ci siamo conosciuti in un cimitero”.

Quel groppo si sciolse subito così com’era comparso. “Giusto. Anche se, tecnicamente, ti sono venuto addosso fuori dal bagno degli uomini. Ma lasciamo stare, non è una conversazione adatta ad una festa”.

Il silenzio calò nuovamente tra loro, ma non li divise com’era accaduto in precedenza, anzi. Era confortante, sicuro. Come una calda trapunta di soffice piuma.

“Non sono mai stato bravo a conversare. Tutti qui mi fanno mille domande ma, sul serio, non c’è nulla di speciale in un tipo come me”.

“Allora sei fortunato. Io farei di tutto per tornare ad essere il ragazzo insignificante che ero prima. Prima della scorsa primavera, prima che l’auto dei miei genitori volasse giù da un ponte nel lago. Prima che io sopravvivessi e loro no”.

“Non sarai triste per sempre, Merlin”.

In tanti glielo avevano detto prima ma non ci aveva mai creduto. Cosa ne sapeva la gente di quello che aveva passato? Di quello che stava provando? Del senso di colpa che lo attanagliava impedendogli di respirare?

Eppure…

Eppure il tono con cui Arthur pronunciò quelle parole valeva più di un giuramento solenne. Avrebbe creduto a tutto ciò che gli avesse detto.

“Grazie”.

Ancora silenzio, ancora quel tacito conforto.

“Morgana sembra una buona amica”.

“È la mia migliore amica”. Non c’erano abbastanza parole per descrivere Morgana. Lei era questo e molto di più. Definirla amica era quasi riduttivo. “Ci conosciamo praticamente da sempre”.  Merlin si era tolto i pesanti anfibi militari per giocare con l’acqua del lago.

Era fredda e si sentiva anche un po’ sciocco, ma una vocina continuava a sussurrargli che Arthur non avrebbe riso di lui.

“E Freya sembra non riesca a toglierti gli occhi di dosso”. Auch, tasto dolente. Un argomento che avrebbe preferito dimenticare per almeno un paio di secoli.

Merlin si passò una mano sulla nuca, tentando di trovare le parole giuste per descrivere quella situazione così dannatamente complicata. Che si era scatenata solo per colpa sua. Sapeva di non provare nulla per Freya, o almeno non in quel senso, ma aveva voluto illuderla lo stesso.

“Freya è l’amica d’infanzia con cui, per vedere se c’è dell’altro, provi a mettertici insieme”. Infondo era andata così, detto nel modo più semplicistico possibile.

“E...?”.

“E le cose non hanno funzionato. Era chiaro come il sole che non avrebbero funzionato”. Rise senza umorismo. “Lo sapevano tutti che non avrebbero funzionato. Morgana mi ha dato una bella strigliata al riguardo. Ma, prima che potessimo rompere, i miei sono morti e tutto è cambiato. Non lo so: io e Freya insieme… non c’era… non c’era…”.

Che cosa non c’era tra lui e Freya?

“Passione”. Rispose per lui Arthur, quasi ad avergli letto nel pensiero. Lo stava fissando con una tale intensità che ancora una volta Merlin si sentì avvampare.

“No, non c’era passione. Ho provato e riprovato a convincermi che anche senza passione le cose avrebbero potuto funzionare ma mi stavo solo prendendo in giro”. Rise ancora, tentando di scordare le lacrime di Freya, la sua delusione, quel maledetto senso di colpa che gli stringeva la bocca dello stomaco ogni volta che incontrava quegli occhi color nocciola nei corridoi della scuola. “Cristo, quanto sono patetico”. Merlin si lasciò cadere sul legno scuro, coprendosi con un braccio il viso.  Stava facendo proprio una bella figura. “Mi dispiace costringerti a sorbirti i miei problemi, amico”.

Arthur liquidò la cosa con un mezzo sorriso.

In quel momento un lieve venticello si sollevò dalla foresta, increspando l’acqua nera del lago. Fu solo una piccola brezza ma tanto gli bastò.

Era un odore inebriante.

Di distese sconfinate.

Di ruscelli limpidi.

Di sangue dolce e caldo.

“Hey, stai bene?”. Il mondo intorno a loro si era ammutolito di colpo. Merlin si sollevò a sedere, alla ricerca di quello sguardo di cielo sereno che lo aveva accompagnato tutta la sera e per un attimo, un solo attimo, gli parve di scorgervi un bagliore dorato al suo interno. Il bagliore di una fiera pronta al balzo. “I tuoi occhi sono…”.

Arthur scattò in piedi con un gesto quasi innaturale, voltando il viso nell’ombra.

“Oh. Non è niente. Hai sete? Vado a prendere da bere”. Prima che Merlin potesse controbattere, il biondo sparì nel fitto della boscaglia.

“Arthur!”. Che era successo?

Prima che il suo cervello potesse afferrare gli ultimi eventi, si era già lanciato al suo inseguimento, tentando di capire che diavolo avesse detto o fatto per scatenare una reazione simile.

Le foglie degli alberi secolari sferzavano sul suo viso come fruste mentre tentava di farsi strada verso i suoi compagni. Arthur era sparito così rapidamente che era quasi impossibile stargli dietro.

“Oh”.

Sophia gli passò accanto, guardandolo con quel sordo disprezzo che soleva riservare apposta per lui. Il giovane ignorò come sempre quello sprezzo e continuò ad avanzare verso il centro della festa. La musica lo investì in pieno, disorientandolo. Offuscando i suoi sensi e rendendoli sordi alle urla soffocate in lontananza. Urla che provenivano proprio lì, dalla via da cui era giunto e dove Sophia era scomparsa.

Ma Merlin non aveva sentito nulla di tutto ciò. C’erano solo dei corpi accaldati e sudati che si contorcevano a destra e a sinistra, spingendolo senza una meta precisa.  Si guardava intorno nella vana speranza di trovare il suo nuovo amico. Tutto inutile.

“Cerchi qualcuno?”.

Si voltò di scatto, tentando di calmare il suo povero cuore che ancora una volta minacciava di balzargli fuori dal petto. Sul serio, volevano farlo morire d’infarto?

“Diamine, Freya. Mi hai fatto spaventare”. Doveva parlare con Arthur, capire cosa gli era capitato. C’era solo il giovane Pendragon nei suoi pensieri e persino il senso di colpa nei confronti di Freya pareva ammutolire innanzi alla voglia di ritrovare il biondo.

Era da codardi rimandare quel confronto, lo sapeva bene. Ma sul serio non sapeva cosa dirle. I mille discorsi che si era studiato per quell’occasione erano stati cancellati come da un tocco di spugna.

Arthur, intanto, era riuscito a calmarsi e aveva preso a fissarli all’ombra di un pino secolare.

Era stato incauto con Merlin, ma non avrebbe mai pensato che il suo odore potesse scatenare in lui una simile frenesia. Era stato troppo… troppo invitante.

Per questo era dovuto fuggire, nascondersi. Il profumo di Merlin lo aveva letteralmente sconvolto, aveva minacciato di mandare quell’autocontrollo, di cui andava tanto fiero, alle ortiche.

Doveva fare più attenzione. Non si sarebbe mai perdonato se gli avesse causato ulteriori sofferenze. Merlin era troppo prezioso.

E poi… un angolo buio era un buon posto per spiare quella ragazzina invadente.

“Quando mi hai lasciato, mi hai detto che volevi trovare te stesso. Che non volevi legami stabili. Eppure non mi sembra che tu sia solo. Pendragon è arrivato solo da un paio di giorni e già siete inseparabili”. Si torceva le mani nervosamente, mordendosi il labbro.

“Freya, Freya, tu non capisci. Arthur è un amico e con lui sto bene. Non c’è nulla di quel genere tra noi due”. Per la millesima volta in due giorni, Merlin si chiese perché tutti si ostinassero a vedere più del dovuto nella sua conoscenza con Arthur. Che diavolo avevano?

“Merlin, fa' quello che devi fare. Ma sappi che io ti aspetterò per sempre”.

Freya gli sfiorò appena le labbra con le dita prima di voltarsi e raggiungere suo fratello. Lasciando il povero Merlin con solo quella frase sibillina carina di significati reconditi che non voleva cogliere.

“Freya!”. Bene, se n’era andata anche lei! Che serata assurda.

Arthur socchiuse gli occhi, appoggiando la schiena alla vecchia corteccia nodosa. Merlin.

Sapeva che un coinvolgimento eccessivo sarebbe stato pericoloso per entrambi, però… una chance. Anche solo il miraggio di una chance lo rendeva euforico.

Uscì dal suo nascondiglio visibilmente ricaricato, avvicinandosi al tavolo delle birre ed afferrandone due. Doveva avere un sorriso ebete stampato sul volto, ma al momento non gliene importava.

“Hey, sei qui”. Vivianne finse di afferrare la sua stessa bottiglia mentre un profumo dolciastro di vaniglia lo investiva. Non aveva mai amato i cibi troppo dolci. Nulla a che vedere con quello di Merlin. “Ti va di vedere la cascate? Dicono che di notte siano bellissime”.

Gli occhi della ragazza scintillavano di lussuria e alcool. Pessimo mix.

“Credo che tu abbia bevuto troppo”.

“Certo che ho bevuto, e troppo”. Lei prese a giocare con un boccolo biondo, incurante dei mille segnali di rifiuto che Arthur le stava mandando. Chissà, forse quell’atteggiamento ostinato andava ancora di moda tra i ragazzi. Doveva essere ancora valido per rimorchiare; Arthur avrebbe voluto ricordarselo, ma non se ne era mai curato molto negli anni.

C’era stata una donna, molto tempo prima, che era riuscita ad avvicinarlo in quel modo, ma per lui oramai esistevano solo quegli occhi color del mare. Un sorriso semplice e puro. Una sincerità che sapeva stregarti l’animo.

“Vivianne, tra te e me non ci sarà mai niente. Mi spiace”.

Vivianne lo fissò quasi a non capire, finché non scorse un paio di orecchie decisamente troppo familiare. “Uff, stupide checche”. Un tipo del genere che batteva per l’altra sponda? Che spreco! Ma questo di certo non la fermò, anzi. Già si preparò a puntare la sua prossima vittima.

“Mi stavo chiedendo chi ti avesse rapito. Ora lo so”. Merlin lo aveva infine raggiunto, chinandosi in avanti per riprendere fiato.

“Fa così con tutti i ragazzi?”. Il biondo sollevò un sopracciglio indicando Viv che si era avviluppata come un polpo al nuovo povero malcapitato.

“No, tu sei carne fresca, ma prima o poi si stancherà”.

Arthur rise a quell’osservazione. Sentirlo ridere lo rasserenava, lo faceva sentire normale. Merlin era davvero speciale. Era così che lo voleva: sempre felice, sempre sorridente.

Tuttavia, quel caldo sorriso si spense subito mentre gli occhi di mare concentrarono la loro attenzione oltre la figura muscolosa di Pendragon. Un ragazzo sui sedici anni e dai vestiti troppo ampi barcollava verso un sentiero buio.

Will, maledizione! Lo aveva fatto di nuovo.

“Oh, ma stiamo scherzando?”. La furia s’impadronì di quel corpo esile, facendolo vibrare di collera mal celata.

Subito i sensi di Arthur si allertarono in cerca di pericoli. Nulla. La sua acutissima vista notturna non gli rivelava nulla.

Solo uno sciocco adolescente sbronzo.

“Che c’è?”. Finse di non averlo riconosciuto ed attese che fosse Merlin a fare la prima mossa.

“Mio fratello”.

“Quello ubriaco?”.

“Già, proprio lui. Scusa un attimo”. Merlin gli sfiorò un braccio in segno di saluto e subito entrambi furono pervasi da una sensazione di profondo calore. Un calore tanto intenso che li fece allontanare di qualche passo come scottati.

Cercando di riprendere il controllo, Arthur si offrì di aiutarlo.

“Fidati. Non sarà un bello spettacolo. Will!”.

Doveva allontanarsi da Arthur.

Merlin non capiva bene il perché, ma sapeva solo che doveva allontanarsi da lui: per respirare, calmarsi e tentare di riprendere possesso di quel briciolo di autocontrollo che gli era rimasto.

Arthur lo confondeva.

Quando gli era vicino, tutto il resto del mondo scompariva; e questo gli faceva dannatamente paura.

“Will!”.

Suo fratello lo ignorò completamente, continuando a camminare a passo svelto verso il folto del bosco.

“Will, dove diavolo stai andando!”.

“Non ti voglio sentire, Merlin. Lasciami in pace!”.

“Will, dannazione, fermati!”.

Merlin gli afferrò un braccio facendolo ruotare su se stesso affinché potessero affrontarsi lì, in quel momento. Finalmente faccia  a faccia.

“Will, stammi a sentire!”.

“Fottiti, Merl!”. Il sedicenne strattonò la presa riuscendo infine a liberarsi. Merlin non gli avrebbe rovinato la sua ultima pasticca.

Purtroppo quella mossa fu alquanto incauta. Il suo piede inciampò in qualcosa, qualcosa di grosso e morbido che quella sottile nebbia, comparsa da chissà dove, celava ai loro sguardi.

In un attimo, Will cadde al suolo, ma il suo viso non toccò mai terra. Qualcosa di soffice e dal forte odore metallico frenò la sua discesa.

“Sophia! Oh, mio Dio è Sophia!”.

Sophia Knight giaceva riversa sul terreno spoglio, una profonda lacerazione che le squarciava il collo magro.

Sangue, tanto sangue, gli occhi vacui rivolti verso il cielo.

La reazione di Merlin fu istantanea. Il ragazzo si tolse la felpa scura tentando, quanto poteva, di tamponare quella ferita.

“Aiuto! Qualcuno ci aiuti!”.

Will era immobile accanto a lui, sporco di sangue e con la bocca contorta in un grido muto.

Non urlava, non respirava. Lo shock era stato troppo grande.

Merlin continuò ad urlare fino a farsi scoppiare i polmoni. Ancora e ancora e ancora.

Urlava e urlava, mentre la sua felpa diveniva sempre più intrisa di quel liquido vitale.

“AIUTO!”.

Finalmente, le sue grida furono ascoltate. I ragazzi si precipitarono in massa, accalcandosi gli uni su gli altri per assistere a quel macabro spettacolo.

“Qualcuno chiami un’ambulanza, maledizione”.

“Guardatele il collo, sta perdendo molto sangue!”.

“Non state lì a fissarmi come idioti, chiamate i soccorsi!”.

Morgana si fece strada a gomitate tra quegli stupidi curiosi, prendendo subito in mano la situazione. Tirò fuori dalla tasca il suo cellulare per iniziare ad urlare frasi smorzate e rapide indicazioni a chiunque la stesse ascoltando dall’altra parte.

La festa era decisamente finita.

Solo uno se ne restava in disparte: Arthur. L’odore del sangue lo circondava, schiacciandolo col suo richiamo.

Poteva sentire i ragazzi strepitare contro un misterioso animale selvaggio anche da dove si trovava, ancora accanto al gazebo, ma lui sapeva… sapeva qual era la verità.

Solo un essere poteva aver lasciato un segno simile.

Vampiro.

Doveva parlare con Uther.

Sparì tra la folla come un fantasma senza fare alcun rumore, anche se con tutta quella commozione, dubitava che qualcuno si sarebbe accorto della sua scomparsa.

 

 

                                                                   ******

 

Trovò Uther lì dove lo aveva lasciato, seduto all’antica scrivania di quercia con la sola compagnia di un buono scotch e di un vecchio testo appartenuto a chissà quale avo. Probabilmente proprio ad Arthur.

Era rientrato in casa sbattendo la porta, infuriato con se stesso e con la mala sorte che perseguitava ogni suo passo su questa strana Terra.

Le sue mani erano rigide, serrate, mentre unghie dure come l’acciaio andavano a conficcarsi nella sua carne.

Una cosa da nulla, un dolore che nemmeno sentiva.

“Che succede?”. L’uomo più anziano si sfilò gli occhiali da lettura. Uno strano presentimento lo percorse tutto, facendogli venire la pelle d’oca.

“È stata attaccata un’altra persona. E non sono stato io”.

Ma Arthur non gli lasciò il tempo di replicare, no. Non avrebbe resistito ad altre parole di accusa. Gli serviva un piano, subito. Doveva salvaguardare Merlin e tutte le persone cui voleva bene.

Se fosse capitato qualcosa a Will, a Morgana, il suo Merlin non avrebbe potuto sopportarlo.

Non riusciva a crederci. Ci aveva parlato solo un paio di volte e già lo considerava suo!

Doveva controllarsi, maledizione!

Tali erano i pensieri che affollavano la sua mente irata e caotica da renderlo ignaro a tutto ciò che lo circondava. Un grave errore che mai avrebbe dovuto verificarsi.

Infatti, Arthur non la vide.

Non la vide, quell’ombra.

Quell’ombra scura e ghignante riflessa sul suo specchio.

“Ciao, fratellino”.

Quella voce… non poteva essere lui.

Tutti ma non lui.

Lui che in 500 anni si era augurato di non dover mai più rivedere .... "MORDRED!”.

 

                                                                          ******

 

I paramedici avevano caricato Sophia sull’ambulanza con il fratello Leon, che le teneva una mano mentre lei lottava tra la vita e la morte.

Vivianne teneva Freya stretta a sé mentre le sussurrava mille e più rassicurazioni: Sophia se la sarebbe cavata, tutto sarebbe finito bene. Ma erano parole vuote, nemmeno lei ci credeva.

Merlin era rimasto seduto su di un vecchio tronco, la felpa sporca di sangue lasciata chissà dove. Continuava a fissarsi le mani macchiate di rosso, tentando di trovare un significato a quello che era accaduto.

“Hey”.

Per un attimo, il cuore prese a martellargli in petto, in trepidazione, nell’attesa di perdersi nuovamente in quell’oceano di azzurro terso. Fu una cosa istintiva. Per un solo secondo, desiderò di averlo nuovamente accanto con la sua presenza rassicurante e tranquilla.

“Merlin, stiamo andando a prendere un caffè in attesa di notizie. Vuoi venire?”. Peccato, era solo Morgana.

Si dette dell’idiota da solo, dell’ingrato a sminuire la sua migliore amica così. Ma sarebbe stato un bugiardo se non avesse ammesso di desiderare che la mano che ora gli sfiorava il viso preoccupato fosse di qualcun altro. Qualcuno appena conosciuto ma che sentiva di conoscere da un’eternità.

“Devo riportare Will a casa”. Suo fratello era seduto poco distante ancora sotto shock. Aveva bisogno di Gaius per farlo riprendere. “Morgana?”.

“Si, cucciolo?”.

“Per caso hai visto Arthur? In mezzo a tutto questo caos l’ho perso di vista”.

La ragazza scosse la testa in segno di diniego. “Sarà qui intorno, non ti preoccupare”.

“Fa nulla. Il sangue deve averlo impressionato troppo”. Era una magra giustificazione, ma non poteva pretendere troppo dal bel biondino.

“Merlin…”. Quel filo di pensieri brutti fu interrotto bruscamente da qualcosa nel tono di voce di Morgana che era diverso dal solito. Più oscuro, preoccupato e preoccupante al tempo stesso. E questo gli faceva dannatamente paura, perché Morgana non aveva mai timore di nulla. Nulla la faceva indietreggiare. “È impossibile che io sia una veggente, lo so bene. Ma qualunque cosa io abbia visto, o creda di aver visto…”.

“Morgana…”.

Come appartenenti a un oracolo antico, le parole fuoriuscite da quelle labbra carnose avevano un sapore di morte. “Merlin, questo è solo l’inizio”.

 

                                                                   ******

 

“Mi ha lasciato senza fiato: Merlin. È identico al tuo preziosissimo Emrys”.

Mordred Pendragon era l’essere più spaventoso che avesse mai conosciuto. I tratti del viso erano cesellati come quelli di una statua di Michelangelo; lo sguardo sempre aguzzo, la mente perennemente pronta e sadica.

Tanto bello quanto crudele, si era più volte augurato di non doverlo più incontrare sul suo cammino. Quello che un tempo aveva chiamato con affetto fratello, ora era divenuto il suo più spietato nemico.

Arthur non riusciva a muoversi. Sotto il peso di quegli occhi di ghiaccio si sentì nuovamente piccolo e insignificante, come quando da bambino vedeva suo fratello cavalcare uno degli stalloni da guerra del padre in un modo che nulla sembrava poterlo abbattere.

Mordred non aveva mai avuto eguali agli occhi di Arthur: era invincibile.

E Mordred lo sapeva, aveva sempre saputo di questa inconscia paura che scatenava in lui, e ora se ne beava come di un liquore pregiato.

Gli girava intorno; la pantera con la sua esile preda, tessendo la sua trama di menzogne e odio.

“Funziona, Arthur? Stare con lui, far parte del suo mondo? Ti fa sentire vivo?”.

Mordred conosceva il suo punto debole e lo avrebbe sfruttato senza pietà.

“Non è Emrys”. Il biondo scandì quelle parole con odio, pur sapendo che i giochetti di suo fratello erano appena iniziati.

“Beh, speriamo di no”.  L’altro si portò una mano al cuore, quasi ad arginare chissà quale inesistente dolore. “Sappiamo entrambi com’è andata a finire con lui. Questi umani sono così dannatamente fragili! Ci vuole un nonnulla per ucciderli. Ma dimmi: quand’è che hai mangiato qualcosa di meglio di uno scoiattolo? Se vuoi spassartela con il tuo bello, ti ci vorrà più di qualche roditore per tenere il passo. Sai come si dice: sono sempre i verginelli apparentemente innocenti quelli che ti sconvolgono di più!”.

“Conosco il tuo gioco, Mordred, ma non funzionerà”.

“Andiamo. Non muori dalla voglia? Averlo sotto di te mentre lo fai godere. Vederlo dimenarsi in preda all’estasi, invocando il tuo nome come quello di un dio? Al diavolo. Unisciti a me, fratellino. Torna ad essere ciò che eri e ti permetterò persino di conservare il tuo giocattolino mortale. Insieme saremmo invincibili. Proprio come ai vecchi tempi!”.

I vecchi tempi.

I vecchi tempi.

Un gracile corpicino esangue fra le sue braccia.

Occhi caldi e pieni d’amore che gli sussurravano di speranze per il futuro.

Mani bruciate dal Potere che gli carezzavano il viso per consolarlo, anche quando la vita le stava abbandonando.

I vecchi tempi.

A quel pensiero, la furia di Arthur esplose selvaggia e primordiale. Voleva il sangue di suo fratello sulle proprie mani, la sua carne tra i propri artigli.

Arthur Pendragon aveva falciato molte vite nella sua lunga esistenza, ma in quel momento, se avesse preso anche quella di Mordred, non avrebbe fatto alcuna differenza.

Afferrò il maggiore per la sua costosissima giacca di pelle scura italiana, stringendo la presa fino a sollevarlo da terra.

“Smettila!”. Ruggì carico d’odio. “Smettila!”.

“Immagina il sapore del suo sangue”. Però lui non si fermava. Bramava di vederlo preda dell’ira per tastare quei poteri che da tanti secoli lo ossessionavano.

Gli occhi di Arthur si tinsero d’oro, mentre le labbra si ritraevano per lasciar spazio a zanne mortali.

“Io ci riesco. Sangue appetitoso, giovane. Sangue di un puro”.

“Ti ho detto di smetterla!”.

Voleva farla finita una volta per tutte. Non doveva permettersi di nominare Merlin.

Tant’era la rabbia che gli animava le membra, che Arthur scaraventò Mordred contro la finestra chiusa, cospargendo il suolo di mille e più frammenti di vetro aguzzo mentre suo fratello volava fuori dalla tenuta.

Non era abbastanza! Voleva vederlo soccombere!

Oramai la ragione lo aveva totalmente abbandonato e, come un animale affamato, il biondo si gettò all’inseguimento di suo fratello, pronto a sferrare il colpo successivo.

Peccato che il suo avversario si fosse già ripreso.

Sul serio, il fratellino doveva davvero aggiornare il suo repertorio. Un attacco frontale era  quanto di più ovvio potesse fare. Nello stesso istante in cui Arthur si lanciò su di lui, Mordred gli balzò incontro.

I loro corpi cozzarono a mezz’aria scatenando un boato, che risuonò sinistro nella frizzante aria serale.

Mani adornate di artigli tentavano di colpire punti vitali per abbattere l’avversario, in una lotta che sapeva di danza tanto antica quando letale. Colpo su colpo, parata su parata.

Erano eguali in forza e capacità. Non c’era via di uscita in quella lotta.

Atterrarono al suolo senza sforzo, studiandosi nell’attesa del prossimo attacco.

“Ti do un sei, Arthur. Non hai molto stile ma sono piacevolmente sorpreso. Ti credevo più arrugginito, fratellino caro. La cosa del GRRR della faccia, ohhhh. Molto divertente”.

Questo suo infischiarsi della vita umana gli mandava il sangue alla testa.

“Per te questo è solo un gioco! Ovunque tu vada le persone muoiono, e a te non importa nulla!”.

Mordred si strinse nelle spalle. Quegli insulti non lo toccavano minimamente: erano vampiri, perché negarlo?

“È quello che siamo, Arthur. Vampiri, non-morti hai presente?”. Cielo, quanto metteva su quel broncetto era quasi adorabile. “Mai letto Anna Rice? Dracula, Lestat? Eccoci qua! Persino quella sviolinata di Twilight parla di noi! Mi sorprendi, davvero. Credevo che i giovani d’oggi leggessero di più”.

“Non ti permetterò di distruggere questa città. Ti fermerò, lo giurò!”.

A quell’affermazione, il vampiro più anziano chinò la testa all’indietro, lasciando sfogo ad una sonora risata. Quando tentava di fare il duro, il suo fratellino riusciva sempre a divertirlo.

“Tu? Tu non me lo permetterai?”. Un attimo prima aveva ripreso a ridere, solo un attimo prima.

Nell’istante successivo, il maggiore dei Pendragon si era avventato sul fratello minore sbattendolo al suolo.

Teneva il volto di Arthur serrato nella morsa della sua mano, impedendogli di rialzarsi. Voleva vederlo dimenarsi per liberarsi da quella presa. Voleva che gli dimostrasse che in tutti quegli anni non si era rammollito del tutto.

Si chinò a sfiorargli il viso, sibilando parole di vendetta e di oscuri presagi.

“I poteri di quello stregone da strapazzo non ti proteggeranno per sempre. Ti ho promesso un’eternità di dolore e sofferenza, fratellino. Non scordare mai chi ti ha strappato il tuo adorato Emrys”.

Lasciò la presa, prima di pizzicare le guance liscia del biondo e andarsene per la sua strada, fischiettando nella notte.

 

******

 

BIP BIP BIP

Il rumore di quelle dannate macchine era per lui una pugnalata al petto.

Non era riuscita a proteggerla, l’aveva lasciata sola.

Subito dopo l’intervento dei paramedici, Sophia era stata portata d’urgenza al Camelot Hospital. Trasfusioni, esami, accertamenti. Nessuno riusciva a spiegarsi cosa l’avesse aggredita.

Quale orribile creatura fosse stata capace di portarle via quasi tutto il sangue che circolava nel suo corpo, lasciandola poco più di un guscio vuoto.

A tratti, la ragazza era riuscita a mormorare parole sconnesse, ma nulla di quello che aveva sussurrato aveva un senso.

Ora poteva finalmente riposare tra lenzuola inamidate, mentre una grossa medicazione le copriva gran parte del collo.

Leon le teneva la mano. Erano passati molti anni dall’ultima volta in cui aveva pregato, eppure da alcune ore il ragazzo si era chiesto se quello non fosse il momento giusto per ricominciare.

Non era mai stato un tipo religioso, ma aveva davvero bisogno di un miracolo.

“Cosa ti ha attaccato, tesoro? Che ti hanno mai fatto?”.

Un lieve mugolio si levò da quelle labbra bluastre, e per un istante la giovane aprì gli occhi. Solo un attimo, giusto il tempo di mormorare una singola parola.

“Vampiro”.

 

                                                                      ******

 

“Caro diario, non potevo sbagliare di più. Credevo di poter sorridere e andare avanti, fingendo che andasse tutto bene”.

 

La notte era infine scesa e una calma apparente pareva essere tornata nella tranquilla cittadina di Avalon.

Merlin se ne stava seduto sul davanzale della finestra, lo sguardo perso nel vuoto, in un ultimo disperato tentativo di dare un significato agli eventi assurdi di cui era stato partecipe.

Intanto, in una vecchia stanza di una magione nascosta nel bosco, Arthur fissava il ritratto del suo Emrys. Il dolore che gli straziava l’animo ora più vivo che mai. Vivo, bruciante com’era sempre stato negli ultimi cinquecento anni, sebbene con una novità.

Un senso di colpa nuovo, mai provato prima. La colpa dell’egoistico desiderio di voler provare ad andare avanti.

 

“Avevo un piano. Volevo cambiare ciò che ero. Creare una vita ed una persona nuova. Una persona senza passato…”.

 

“Senza dolore”.

La penna scivolava rapida, veloce come i mille pensieri che si affollavano dentro di lui.

 

“Una persona viva”.

Un ultimo sguardo a quella foto lasciata accanto al letto ed Arthur uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle come avrebbe tanto voluto fare col suo passato.

 

“Ma non è così facile. I brutti ricordi sono sempre lì”.

Un suono sordo dalla stanza accanto: Will che sfogava la sua rabbia lanciando oggetti contro il muro.

 

“Ti seguono”.

 

“Puoi soltanto prepararti per il Bene. Perché quando arriverà, lo accoglierai perché ti serve. E a me serve”.

In principio, pensò proprio di averla immaginata. Quella figura poggiata al lampione dall’altro lato della strada. Una figura che lo fissava mesta, quasi a voler vegliare su di lui.

Un lieve cenno della mano.

Un saluto.

Come un lampo, il bel moretto abbandonò il diario sulla pallida trapunta del suo letto per correre alla porta dove un silenzioso angelo lo attendeva.

Aprì l’uscio: Arthur era tornato.

“Lo so che è tardi, Merlin, ma volevo assicurarmi che tu stessi bene”. Il biondo giocherellava nervoso con un ciottolo del vialetto. Era incerto, titubante, diverso da come si era sempre presentato in quei due giorni. Gli si stringeva il cuore a vederlo così.

Stare bene. Quella frase lo fece sorridere amaro.

“Lo sai, sono mesi che tutti mi chiedono se sto bene”. Merlin si circondò le braccia come se di colpo tutto il gelo di quella notte stellata gli fosse penetrato nelle ossa.

“E tu cosa rispondi?”. La voce di Arthur era quieta, quasi un sussurro.

“Che starò bene”.

“Ci credi davvero?”.

“Chiedimelo domani”.

Il freddo di quella notte si fece sempre più insistente. Forse l’indomani se ne sarebbe pentito, ma ora come ora Arthur era l’unico che riusciva a farlo stare bene. L’unico che riusciva a mettere a tacere le mille domande che non gli davano pace. “Si sta meglio dentro. Ti va di entrare?”.

“Sì”.

Una sola parola per saldare il legame fra due vite in fondo non poi così diverse.

Umano e vampiro.

Adolescente ed essere antico come le querce della foresta di Gedref.

Due anime ferite legate dalla stessa solitudine.

Il vampiro seguì Merlin in casa come un cucciolo fiducioso fa col suo padrone, superando la forza invisibile che fino a quell’invito gli aveva sempre impedito l’ingresso.

Nonostante il dolore, nonostante la paura, quello era un inizio.

L’inizio di una nuova vita.

Proprio quando due giovani sembravano seminare i primi germogli di quella che sarebbe stata una grande storia d’amore, in un pub come un altro, non molto lontano, fra corpi sudati che si sfioravano e si stringevano, Vivianne stava vivendo la notte più elettrizzante della sua vita.

Che cosa importava se Arthur l’aveva rifiutata?

Quegli occhi…

Quel corpo muscoloso…

Mordred sì che era un vero uomo!

 

                                                                Continua…

 

Note finali: piaciuto? Spero davvero di sì. Ho cercato di mantenere molta dell’atmosfera originale di The Vampire Diares pure dando ai vari personaggi una dimensione vicina a quella di Merlin. Non so se ci sono riuscita, ma ho fatto del mio meglio.

Prima di terminare, vorrei spendere due paroline su Mordred. Per chi avrà in mente quel tenero e lugubre bambino che mi fa accapponare la pelle ogni volta che lo vedo, so che si ritroverà molto sorpreso trovandosi di fronte un uomo adulto.

Nella prima stesura di questo capitolo era mia intenzione rendere Arthur il fratello maggiore, ma poi mi sono resa conto che la cosa non era fattibile: soprattutto perché l’attore che ho sempre avuto in mente per Mordred è Jonathan Rhys Meyers.

Per chi questo nome risulta sconosciuto (anche se credo sia impossibile), il caro Jonathan è il bel fustacchione che interpreta Henry VIII nei Tudors, che ha dato il volto al fantastico allenatore di Sognando Beckham e al dolce Louis di August Rush.

Sapevo che sarebbe stato lui il mio Mordred ancora prima di iniziare a scrivere.

Che altro dire? Le recensioni sono sempre gradite. Apprezzamenti o critiche, vorrei sul serio sapere cosa ne pensate. Se avete bisogno di chiarimenti sulla trama, fatemi sapere. Sto iniziando sul serio a prenderci gusto con questa storia ^_^

 

 

 

  
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