@abigailw13 Io adoro i tuoi commenti ai capitoli. E non sono "follie folli" come dici tu. ;D
Anzi, mi hai fatto morire dal ridere quando hai scritto "Quanto può essere gallo 'sto ragazzo?" xD
Grazie, come sempre gentilissima. *_*
@Poison Ivy Nucciaaaa, grazie mille! :D Sono contenta che ti piaccia!
Grazie a tutti quelli che continuano a seguire questa storia e mi dispiace per voi, ma sono tornata. E' vero vi ho fatto aspettare un sacco di tempo e mi dispiace davvero un sacco.
Anyway, che ne dite di lasciare un commentino?
Ogni capitolo riceve quasi 200 visite. u_u Non siate timidi e scrivetemi cosa ne pensate (accetto anche le critiche!)
Capitolo
5
Past is coming back.
People
change and promises are broken.
Clouds can move and
skies will be wide open.
Don't forget
to take a breath.
Jonas
Brothers – Take a breath
-Dobbiamo parlare.-
Secca.
Concisa. Non accettava repliche.
Jenny disse
quella frase rivolta all’interlocutore dall’altra
parte del telefono, che aveva risposto dopo un paio di chiamate perse.
-Noto con
piacere che conservi ancora il mio numero. Ti sono mancato, piccola?-
pronunciò malizioso l’uomo, mettendosi seduto sul
suo letto dalle lenzuola bianche, soffocando uno sbadiglio.
-Non cambi
mai, vero?- Sbuffò. - Tra un’ora, allo Starbucks
sulla quinta strada. Cerca di essere puntale.-
Batté
con il piede un paio di volte sul marciapiede, ascoltando il rumore
sordo dei suoi tacchi, mentre cercava di capire la via in cui si
trovava in quel momento, dopo essere appena uscita del palazzo dove
risiedeva il Jonas con cui aveva appena trascorso la notte.
-E se ti
dicessi che sono impegnato?- ghignò l’uomo,
rigirandosi sul materasso e dando un’occhiata veloce alla sua
sveglia, per poi ributtare la testa sul cuscino.
-Ti vengo a
prendere con la forza.- fece una pausa, ascoltando la risata
dall’altro capo del cellulare. -Lo sai che ne sono capace.-
continuò con un pizzico di sfida nella voce.
-Lo so, lo so.
Cercherò di non farmi troppo bello per te, così
potrò arrivare in tempo.-
Jenny scosse
la testa e, senza dire nulla, chiuse la chiamata.
Ripose il
cellulare nella borsa e fermò un taxi: necessitava di una
doccia, prima di incontrarsi con quella persona.
Era in
ritardo. Ci avrebbe scommesso che sarebbe successo.
Jenny
accavallò la gamba destra sulla sinistra e
sorseggiò il suo frappuccino. Era seduta su un tavolino
rotondo vicino alla vetrina del locale che dava sulla quinta strada:
amava quella sistemazione, poteva osservare tutte le persone che
passavano, senza che loro ci facessero particolarmente attenzione.
Poi lo vide
che avanzava con la sua solita camminata da red-carpet, quasi al
rallentatore, come se ci fosse una musica di sottofondo. La donna
ridacchiò, guardando le facce incantate del gentil sesso che
fissavano quell’individuo camminare: povere
illuse,
non poté fare a meno di pensare.
L’uomo
entrò nella caffetteria e Jenny fece un piccolo cenno con la
mano, invitandolo ad avvicinarsi.
-Grazie per
avermi aspettato ad ordinare.- la rimproverò, sedendosi con
ben poca grazia sulla sedia di fronte a lei.
-Buongiorno
anche a te, Joseph. Solo mezz’ora di
ritardo: stiamo migliorando.- lo rimbeccò, spostandosi un
ciuffo di capelli neri che le era caduto sul viso.
Una smorfia si
dipinse sulla faccia dell’uomo che scosse la testa e,
incrociando le braccia, si appoggiò allo schienale della
sedia. -Allora, come mai mi hai fatto venire qui di prima mattina?-
-Prima di
tutto, sono le undici. Seconda cosa, questa notte sono andata a letto
con tuo fratello. Terza cosa, che intenzioni hai con Lily?-
sputò Jenny velocemente.
Joe
ridacchiò. -Ora capisco perché porti gli occhiali
anche qui dentro.-
-Vaffanculo,
Joseph.- brontolò, senza mezzi termini -Adesso, rispondi
alla mia domanda.-
L’uomo
alzò le spalle e guardò fuori. -Non lo so,- disse
svogliatamente -ci ho parlato poche volte.-
Jenny scosse
la testa. -Senti, io ti conosco bene..- Joe si voltò verso
di lei di scatto e la fissò con aria eloquente, attraverso i
suoi occhiali da vista con la montatura nera. -Va bene: io ti conosco
fin troppo bene e so come tratti
le donne. Non voglio che Lily sia un altro tuo trofeo. Ci tengo a lei e
non voglio che tu la ferisca.-
-Non ho mai
detto di volerla ferire.- sbottò, giocherellando con il
capello blu oltremare di lana che teneva fra le mani.
-Tu lasci
troppe cose sottointese, troppe volte.- sussurrò Jenny, tanto
che anche Joe faticò a sentirla.
-Questa volta
ci sto andando cauto. Non so ancora cosa voglio, non so neppure se mai
ci sarà qualcosa.-
Jenny
sospirò e aspettò alcuni secondi prima di
parlare. -Giuro che se la fai soffrire, ti faccio diventare femmina.-
L’uomo
sogghignò e alzò le mani in segno di resa.
-Passando a cose serie, qual era il secondo punto del tuo elenco?-
chiese con il suo sorrisino malizioso che, se possibile, rendeva la sua
faccia ancora più strafottente.
Jenny
esitò. -Oh, niente.-
Joe estrasse
il cellulare dalla tasca e cominciò a comporre un numero,
lanciando occhiate fugaci alla donna davanti a lei. -Che cosa stai
facendo?- chiese lei, tamburellando con le dita sul tavolo, producendo
un costante e fastidioso ticchettio con unghie.
-Chiamo Nick,
ovvio.- rispose semplicemente.
-Che cosa?-
esclamò Jenny. Si sporse sul tavolo, quasi
rovesciò il bicchiere mezzo vuoto del suo frappuccino, e
strappò il telefono dalle mani del proprietario. Premette il
pulsante rosso e glielo riconsegnò. -Provaci e chiamo Lily,
dicendole che un anno fa sei venuto a letto con me, parecchie
volte,
mentre intanto te la facevi con altre. Dici che sarà
felice?- annunciò, con il suo sorrisino incomprensibile.
Sogghignò.
-Da morire. Perché tanto tu non lo farai: non hai il
coraggio di ferire la tua amica.- Un punto per Joe Jonas. Jenny
abbassò le spalle, sconfitta, e lo invitò a
continuare. -Allora, cos’è successo tra te e il
mio fratellino?-
-Qualche
bicchiere di troppo e il gioco è fatto. Ci siamo ritrovati
nel suo letto.- spiegò, arrivando dritta al punto,
gesticolando con le mani.
-Hai
intenzione di provare tutta la famiglia Jonas?- chiese malizioso Joe.
Jenny lo
fulminò con lo sguardo. -Non sapevo che fosse tuo fratello.-
-Strano,
dicono che ci somigliamo.- disse l’uomo vagamente.
-Io dico che
hanno bisogno tutti di un paio di occhiali da vista.-
La donna si
alzò, prese la sua borsa e si avviò verso
l’uscita. -Dove vai?- chiese Joe, seguendola.
-Fuori. Non si
vede?- rispose, aprendo la porta e buttandosi nel caos cittadino.
Joe
guardò prima l’interno del locale e poi Jenny, che
si avviava con passo deciso lungo la quinta strada, con i capelli neri
che ondeggiavano nel freddo vento di fine novembre. -Ma, Jenny!- la
rincorse -non hai pagato!-
Lei sorrise.
-E allora? Avevo dimenticato il portafoglio a casa, pensavo pagassi tu
per me. Non sei proprio un gentiluomo.- Si girò a fissarlo,
ma vide con la coda dell’occhio un cameriere che usciva dallo
Starbucks e che si soffermava a fissarli.
Nel giro di un
secondo afferrò la mano di Joe e cominciò a
correre tra le persone, rafforzando la presa tra le sue dita e
bruciando al solo pensiero di quel tocco. Era passato tanto tempo
dall’ultima volta che le loro mani si erano ritrovate in
quella posizione, ma era stato abbastanza per cambiare i loro
sentimenti?
-Non
ti voltare! Se ti vede in faccia siamo nei guai!- disse ansimando,
mentre girava in un vicolo e trasportava Joe, ancora spaesato, dietro
di sé.
Si fermarono
dopo pochi metri. I due corpi erano vicini, troppo vicini.
-Mi ero
dimenticato com’era stare con te.- disse ridendo Joe.
Le prese il
mento con le dita e avvicinò il viso di Jenny al suo.
Erano
così prossimi che potevano sentire l’uno il
respiro affannato dell’altro.
Bastò
un attimo e fece aderire le loro labbra. Desiderose, come lo erano state
anche un tempo.
-Mi ero
dimenticata di come baciavi.- disse questa volta Jenny, ridendo e
staccandosi un poco da Joe, continuando a tenere le loro fronti
appoggiate.
Lui la
fissò un attimo. -Meglio di mio fratello?-
Jenny rimase
un attimo interdetta. -Mi assumo la facoltà di non
rispondere.- E si allontanò da lui. Un’ombra
passò sul viso della donna. -E’ un errore, lo sai?-
-Lo so-
sospirò lui, lasciando le braccia lungo i fianchi.
-Non voglio
ricadere negli sbagli che ho fatto in passato.-
Si
avviò verso l’uscita di quel vicolo e, dopo aver
guardato ancora una volta l’immobile figura che stava ferma a
pochi metri di distanza, si gettò nella folla, stringendosi
la sciarpa di lana al collo, mentre una silenziosa lacrima le scendeva
lungo il viso.
-Forse noi
dobbiamo ancora imparare da questi sbagli.- sussurrò Joe
impercettibilmente, osservando la figura che spariva dalla sua vista.
E in quel
momento la frase “Puoi
andare verso il futuro, quando il passato è ancora presente?” sembrava
essere scritta apposta per loro.
***
Un leggero
brivido scosse Abigail, che si strinse ancora di più nel suo
cappotto nero, mentre se ne stava seduta su una panchina di legno
umido. Amava quel posto, soprattutto quando il cielo si tingeva dei
colori dei tramonti invernali e il silenzio della sera calava insieme a
quel lieve strato di umidità che riempiva l’aria
di minuscole goccioline fredde. Davanti a lei i grattacieli con tutte
le luci accese sembravano ancora più maestosi di quanto non
lo erano normalmente. A separarla da quella parte di New York
c’era l’East River, attraversato dal ponte di
Brooklyn, che pareva sospeso nell’aria a causa della leggera
nebbiolina che aleggiava in quella zona; dall’altra parte il
resto di New York sembrava distante, diverso. Sospirò e
ammirò ancora per un attimo quei colori così
freddi, tipici dei tramonti invernali, poi si alzò.
-Mi scusi,
forse le ho dato fastidio. Me ne vado immediatamente.- Era una voce
maschile, sconosciuta, dal tono basso e tremolante, che proveniva dalla
destra della panchina da cui la donna di era appena alzata.
Abigail si
girò di scatto, quasi spaventata dall’improvvisa
comparsa di quell’uomo. -Cosa?- chiese, non capendo
quell’affermazione.
-Mi sono
appena seduto.- sorrise, malinconico. -E lei si è subito
alzata.-
La donna
fissò l’uomo, forse per qualche secondo di troppo,
e quando se ne rese conto era troppo tardi. Lo sconosciuto
ridacchiò, sembrava quasi una risata
vuota, e poi girò la faccia, guardando davanti a
sé. Aveva dei riccioli scuri, fitti, ma estremamente
trascurati; i suoi lineamenti erano delicati e gli occhi erano di un
color verde acceso, che venivano svalutati da delle profonde occhiaie.
La faccia era pallida e magra, quasi come se non si curasse da molto
tempo. Abigail ebbe quasi la tentazione di chiedere se stesse bene, ma
ci ripensò e, titubante, si sedette di fianco a
quell’uomo, nonostante la ragione le dicesse di andarsene.
-Perdonatemi,
non mi ero accorta del suo arrivo.- sussurrò lei, rivolta a
quello sconosciuto che fissava l’orizzonte perso nei suoi
pensieri, e per un attimo si chiese se l’avesse sentito.
-Dammi del tu,
ti prego.- Si girò e le tese una mano coperta da un guanto
di pelle nera. -Mi chiamo Kevin.-
-Abigail,
piacere.- tese anche la sua e si scambiarono una rapida stretta.
Passarono
forse diversi minuti, in cui nessuno dei due disse nulla. Non era quel
tipo di silenzio carico di parole, di emozioni, quel silenzio in cui
non c’è niente da dire perché bastano
degli sguardi o dei gesti. No. Questo silenzio era carico di imbarazzo.
Abigail frugò nella borsa, alla ricerca di qualche
distrazione. Prese distrattamente il cellulare e vide, con suo sommo
dispiacere, che non aveva ricevuto nessun messaggio o chiamata.
Sospirò e questo attirò l’attenzione
della figura accanto a lei.
-Qualcosa non
va?- chiese, osservando lo sguardo rattristato della donna, mentre
scuoteva la testa. Si soffermò sullo schermo illuminato e un
sorriso malinconico comparve sulle sue labbra. -In attesa in una
chiamata importante?- domandò retoricamente. -So cosa si
prova. Sono due giorni che aspetto notizie da delle persone importanti
della mia vita, ma penso che mi abbiano completamente cancellato dalla
loro.- tornò a guardare davanti a sé, continuando
il suo monologo, che tutt’ad un tratto diventò
personale. -L’unica cosa che ancora non ho compreso
è il perché. Una persona passa gran parte della
sua vita a compiere un determinato comportamento e quando capisce che
è stato tutto un grosso sbaglio è sempre troppo
tardi per cambiare. E quando lo fa, porta dietro di sé una
scia di vetri rotti in cui tutte le persone accanto a lui sono
costrette a camminarci sopra, ferendosi.- Abbassò lo sguardo
e incrociò le braccia al petto: segno di chiusura. Forse si era accorto
di aver esagerato. -Non trovi anche tu?-
Abigail
boccheggiò per un attimo: quel discorso l’aveva
scossa. -Io credo che tu abbia ragione, ma credo che se una persona
è stata portata al cambiamento, c’è una
parte nascosta di lei che ha bisogno di aiuto. Nessuno cambia senza
motivo, nessuno vuole cambiare, la stabilità è
una costante che tutti ricercano nella vita. Se
c’è cambiamento, vuol dire che qualcosa non va.-
Questa volta
fu Kevin a rimanere spiazzato da quella risposta. -Adesso hai ragione
anche te.- Sorrise. Un sorriso diverso dagli altri. Sembrava quasi aver
preso vita.
La donna
guardò l’ora e si alzò frettolosamente,
sistemandosi le pieghe del cappotto. -Mi dispiace interrompere questa
conversazione, ma ora devo proprio andare.-
Kevin si
alzò e mosse un passò verso di lei. -E’
stato un piacere parlare con te. Mi sei stata davvero
d’aiuto.- La strinse in un abbraccio a sorpresa e ad Abigail
sembrò di sentire il calore che sprigionava quel corpo
stretto al suo; l’uomo si staccò e, sconcertandola
ancora, le diede due rapidi baci su ciascuna guancia per salutarla.
Abigail rabbrividì al contatto con il viso segnato da un
leggero strato di barba e si allontanò velocemente. Cosa
stava succedendo?
L’uomo
sembrò in imbarazzo. -Ti va se ci rincontriamo?-
Abigail si
chiese se improvvisamente il tempo non fosse andato indietro e adesso
loro due fossero due adolescenti alle prime uscite. -Certo, ti lascio
il mio numero.- Sorrise, sincera.
***
Schermo bianco.
Il trattino
nero continuava a lampeggiare e avrebbe continuato ancora per molto,
considerata la mancanza di ispirazione della donna.
Lily chiuse la
schermata e si sdraiò sul suo letto, buttandosi
all’indietro. Al contatto con quelle coperte morbide, chiuse
gli occhi, anche se il sonno non si decideva ad arrivare: troppi
pensieri, troppi problemi, troppo poco tempo. Non sarebbe mai riuscita
a fare quel maledetto articolo per il suo capo.
Un’impercettibile
vibrazione arrivò dal cellulare posato sul suo comodino.
Lily si sporse per prenderlo e aprì il messaggio ricevuto: Buonanotte.
Una semplice
parola che avrebbe fatto felice chiunque, ma non lei: il mittente era
la causa delle sue complicazioni, Joe
Jonas.
Buttò il cellulare sul letto e si avviò verso la
cucina per prepararsi un caffè. Erano le due di notte, ma
per lei l’arrivo della mattina sarebbe stato ancora molto
lontano ed era meglio se quelle ore le impiegava per il suo lavoro,
piuttosto che a rimuginare sulla sua vita tra le coperte calde durante
una fredda notte autunnale. No, non era convinta neanche lei della sua
scelta.
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