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Autore: likeasong    09/05/2010    1 recensioni
-Perdonami, non mi sono presentato. Sono J.. Justin.- disse il moro, allungando una mano verso di lei. Lily prese la sua mano riluttante e si presentò, mentre fissava per la prima volta negli occhi il suo vicino, le sembrò quasi di averlo già visto, ma sicuramente era un’allucinazione dovuta alle luci del bancone. Prese a giocherellare con il bicchiere fra le sue dita: faceva sempre così quando sentiva che c’era qualcosa che non andava.
New York. I Jonas sono cresciuti e cambiati, ma nuovi incontri trasformeranno la loro vita.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Joe Jonas, Kevin Jonas, Nick Jonas
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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@abigailw13 Io adoro i tuoi commenti ai capitoli. E non sono "follie folli" come dici tu. ;D
Anzi, mi hai fatto morire dal ridere quando hai scritto "Quanto può essere gallo 'sto ragazzo?" xD
Grazie, come sempre gentilissima. *_*
@Poison Ivy Nucciaaaa, grazie mille! :D Sono contenta che ti piaccia!

Grazie a tutti quelli che continuano a seguire questa storia e mi dispiace per voi, ma sono tornata. E' vero vi ho fatto aspettare un sacco di tempo e mi dispiace davvero un sacco.
Anyway, che ne dite di lasciare un commentino?
Ogni capitolo riceve quasi 200 visite. u_u Non siate timidi e scrivetemi cosa ne pensate (accetto anche le critiche!)

Capitolo 5
Past is coming back.
People change and promises are broken.
Clouds can move and skies will be wide open.
 Don't forget to take a breath.
Jonas Brothers – Take a breath

-Dobbiamo parlare.-
Secca. Concisa. Non accettava repliche.
Jenny disse quella frase rivolta all’interlocutore dall’altra parte del telefono, che aveva risposto dopo un paio di chiamate perse.
-Noto con piacere che conservi ancora il mio numero. Ti sono mancato, piccola?- pronunciò malizioso l’uomo, mettendosi seduto sul suo letto dalle lenzuola bianche, soffocando uno sbadiglio.
-Non cambi mai, vero?- Sbuffò. - Tra un’ora, allo Starbucks sulla quinta strada. Cerca di essere puntale.-
Batté con il piede un paio di volte sul marciapiede, ascoltando il rumore sordo dei suoi tacchi, mentre cercava di capire la via in cui si trovava in quel momento, dopo essere appena uscita del palazzo dove risiedeva il Jonas con cui aveva appena trascorso la notte.
-E se ti dicessi che sono impegnato?- ghignò l’uomo, rigirandosi sul materasso e dando un’occhiata veloce alla sua sveglia, per poi ributtare la testa sul cuscino.
-Ti vengo a prendere con la forza.- fece una pausa, ascoltando la risata dall’altro capo del cellulare. -Lo sai che ne sono capace.- continuò con un pizzico di sfida nella voce.
-Lo so, lo so. Cercherò di non farmi troppo bello per te, così potrò arrivare in tempo.-
Jenny scosse la testa e, senza dire nulla, chiuse la chiamata.
Ripose il cellulare nella borsa e fermò un taxi: necessitava di una doccia, prima di incontrarsi con quella persona.

Era in ritardo. Ci avrebbe scommesso che sarebbe successo.
Jenny accavallò la gamba destra sulla sinistra e sorseggiò il suo frappuccino. Era seduta su un tavolino rotondo vicino alla vetrina del locale che dava sulla quinta strada: amava quella sistemazione, poteva osservare tutte le persone che passavano, senza che loro ci facessero particolarmente attenzione.
Poi lo vide che avanzava con la sua solita camminata da red-carpet, quasi al rallentatore, come se ci fosse una musica di sottofondo. La donna ridacchiò, guardando le facce incantate del gentil sesso che fissavano quell’individuo camminare: povere illuse, non poté fare a meno di pensare.
L’uomo entrò nella caffetteria e Jenny fece un piccolo cenno con la mano, invitandolo ad avvicinarsi.
-Grazie per avermi aspettato ad ordinare.- la rimproverò, sedendosi con ben poca grazia sulla sedia di fronte a lei.
-Buongiorno anche a te, Joseph. Solo mezz’ora di ritardo: stiamo migliorando.- lo rimbeccò, spostandosi un ciuffo di capelli neri che le era caduto sul viso.
Una smorfia si dipinse sulla faccia dell’uomo che scosse la testa e, incrociando le braccia, si appoggiò allo schienale della sedia. -Allora, come mai mi hai fatto venire qui di prima mattina?-
-Prima di tutto, sono le undici. Seconda cosa, questa notte sono andata a letto con tuo fratello. Terza cosa, che intenzioni hai con Lily?- sputò Jenny velocemente.
Joe ridacchiò. -Ora capisco perché porti gli occhiali anche qui dentro.-
-Vaffanculo, Joseph.- brontolò, senza mezzi termini -Adesso, rispondi alla mia domanda.-
L’uomo alzò le spalle e guardò fuori. -Non lo so,- disse svogliatamente -ci ho parlato poche volte.-
Jenny scosse la testa. -Senti, io ti conosco bene..- Joe si voltò verso di lei di scatto e la fissò con aria eloquente, attraverso i suoi occhiali da vista con la montatura nera. -Va bene: io ti conosco fin troppo bene e so come tratti le donne. Non voglio che Lily sia un altro tuo trofeo. Ci tengo a lei e non voglio che tu la ferisca.-
-Non ho mai detto di volerla ferire.- sbottò, giocherellando con il capello blu oltremare di lana che teneva fra le mani.
-Tu lasci troppe cose sottointese, troppe volte.- sussurrò Jenny, tanto che anche Joe faticò a sentirla.
-Questa volta ci sto andando cauto. Non so ancora cosa voglio, non so neppure se mai ci sarà qualcosa.-
Jenny sospirò e aspettò alcuni secondi prima di parlare. -Giuro che se la fai soffrire, ti faccio diventare femmina.-
L’uomo sogghignò e alzò le mani in segno di resa. -Passando a cose serie, qual era il secondo punto del tuo elenco?- chiese con il suo sorrisino malizioso che, se possibile, rendeva la sua faccia ancora più  strafottente.
Jenny esitò. -Oh, niente.-
Joe estrasse il cellulare dalla tasca e cominciò a comporre un numero, lanciando occhiate fugaci alla donna davanti a lei. -Che cosa stai facendo?- chiese lei, tamburellando con le dita sul tavolo, producendo un costante e fastidioso ticchettio con unghie.
-Chiamo Nick, ovvio.- rispose semplicemente.
-Che cosa?- esclamò Jenny. Si sporse sul tavolo, quasi rovesciò il bicchiere mezzo vuoto del suo frappuccino, e strappò il telefono dalle mani del proprietario. Premette il pulsante rosso e glielo riconsegnò. -Provaci e chiamo Lily, dicendole che un anno fa sei venuto a letto con me, parecchie volte, mentre intanto te la facevi con altre. Dici che sarà felice?- annunciò, con il suo sorrisino incomprensibile.
Sogghignò. -Da morire. Perché tanto tu non lo farai: non hai il coraggio di ferire la tua amica.- Un punto per Joe Jonas. Jenny abbassò le spalle, sconfitta, e lo invitò a continuare. -Allora, cos’è successo tra te e il mio fratellino?-
-Qualche bicchiere di troppo e il gioco è fatto. Ci siamo ritrovati nel suo letto.- spiegò, arrivando dritta al punto, gesticolando con le mani.
-Hai intenzione di provare tutta la famiglia Jonas?- chiese malizioso Joe.
Jenny lo fulminò con lo sguardo. -Non sapevo che fosse tuo fratello.-
-Strano, dicono che ci somigliamo.- disse l’uomo vagamente.
-Io dico che hanno bisogno tutti di un paio di occhiali da vista.-
La donna si alzò, prese la sua borsa e si avviò verso l’uscita. -Dove vai?- chiese Joe, seguendola.
-Fuori. Non si vede?- rispose, aprendo la porta e buttandosi nel caos cittadino.
Joe guardò prima l’interno del locale e poi Jenny, che si avviava con passo deciso lungo la quinta strada, con i capelli neri che ondeggiavano nel freddo vento di fine novembre. -Ma, Jenny!- la rincorse -non hai pagato!-
Lei sorrise. -E allora? Avevo dimenticato il portafoglio a casa, pensavo pagassi tu per me. Non sei proprio un gentiluomo.- Si girò a fissarlo, ma vide con la coda dell’occhio un cameriere che usciva dallo Starbucks e che si soffermava a fissarli.
Nel giro di un secondo afferrò la mano di Joe e cominciò a correre tra le persone, rafforzando la presa tra le sue dita e bruciando al solo pensiero di quel tocco. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che le loro mani si erano ritrovate in quella posizione, ma era stato abbastanza per cambiare i loro sentimenti?
 -Non ti voltare! Se ti vede in faccia siamo nei guai!- disse ansimando, mentre girava in un vicolo e trasportava Joe, ancora spaesato, dietro di sé.
Si fermarono dopo pochi metri. I due corpi erano vicini, troppo vicini.
-Mi ero dimenticato com’era stare con te.- disse ridendo Joe.
Le prese il mento con le dita e avvicinò il viso di Jenny al suo.
Erano così prossimi che potevano sentire l’uno il respiro affannato dell’altro.
Bastò un attimo e fece aderire le loro labbra. Desiderose, come lo erano state anche un tempo.
-Mi ero dimenticata di come baciavi.- disse questa volta Jenny, ridendo e staccandosi un poco da Joe, continuando a tenere le loro fronti appoggiate.
Lui la fissò un attimo. -Meglio di mio fratello?-
Jenny rimase un attimo interdetta. -Mi assumo la facoltà di non rispondere.- E si allontanò da lui. Un’ombra passò sul viso della donna. -E’ un errore, lo sai?-
-Lo so- sospirò lui, lasciando le braccia lungo i fianchi.
-Non voglio ricadere negli sbagli che ho fatto in passato.-
Si avviò verso l’uscita di quel vicolo e, dopo aver guardato ancora una volta l’immobile figura che stava ferma a pochi metri di distanza, si gettò nella folla, stringendosi la sciarpa di lana al collo, mentre una silenziosa lacrima le scendeva lungo il viso.
-Forse noi dobbiamo ancora imparare da questi sbagli.- sussurrò Joe impercettibilmente, osservando la figura che spariva dalla sua vista.
E in quel momento la frase “Puoi andare verso il futuro, quando il passato è ancora presente?” sembrava essere scritta apposta per loro.

***

Un leggero brivido scosse Abigail, che si strinse ancora di più nel suo cappotto nero, mentre se ne stava seduta su una panchina di legno umido. Amava quel posto, soprattutto quando il cielo si tingeva dei colori dei tramonti invernali e il silenzio della sera calava insieme a quel lieve strato di umidità che riempiva l’aria di minuscole goccioline fredde. Davanti a lei i grattacieli con tutte le luci accese sembravano ancora più maestosi di quanto non lo erano normalmente. A separarla da quella parte di New York c’era l’East River, attraversato dal ponte di Brooklyn, che pareva sospeso nell’aria a causa della leggera nebbiolina che aleggiava in quella zona; dall’altra parte il resto di New York sembrava distante, diverso. Sospirò e ammirò ancora per un attimo quei colori così freddi, tipici dei tramonti invernali, poi si alzò.
-Mi scusi, forse le ho dato fastidio. Me ne vado immediatamente.- Era una voce maschile, sconosciuta, dal tono basso e tremolante, che proveniva dalla destra della panchina da cui la donna di era appena alzata.
Abigail si girò di scatto, quasi spaventata dall’improvvisa comparsa di quell’uomo. -Cosa?- chiese, non capendo quell’affermazione.
-Mi sono appena seduto.- sorrise, malinconico. -E lei si è subito alzata.-
La donna fissò l’uomo, forse per qualche secondo di troppo, e quando se ne rese conto era troppo tardi. Lo sconosciuto ridacchiò, sembrava quasi una risata vuota, e poi girò la faccia, guardando davanti a sé. Aveva dei riccioli scuri, fitti, ma estremamente trascurati; i suoi lineamenti erano delicati e gli occhi erano di un color verde acceso, che venivano svalutati da delle profonde occhiaie. La faccia era pallida e magra, quasi come se non si curasse da molto tempo. Abigail ebbe quasi la tentazione di chiedere se stesse bene, ma ci ripensò e, titubante, si sedette di fianco a quell’uomo, nonostante la ragione le dicesse di andarsene.
-Perdonatemi, non mi ero accorta del suo arrivo.- sussurrò lei, rivolta a quello sconosciuto che fissava l’orizzonte perso nei suoi pensieri, e per un attimo si chiese se l’avesse sentito.
-Dammi del tu, ti prego.- Si girò e le tese una mano coperta da un guanto di pelle nera. -Mi chiamo Kevin.-
-Abigail, piacere.- tese anche la sua e si scambiarono una rapida stretta.
Passarono forse diversi minuti, in cui nessuno dei due disse nulla. Non era quel tipo di silenzio carico di parole, di emozioni, quel silenzio in cui non c’è niente da dire perché bastano degli sguardi o dei gesti. No. Questo silenzio era carico di imbarazzo. Abigail frugò nella borsa, alla ricerca di qualche distrazione. Prese distrattamente il cellulare e vide, con suo sommo dispiacere, che non aveva ricevuto nessun messaggio o chiamata. Sospirò e questo attirò l’attenzione della figura accanto a lei.
-Qualcosa non va?- chiese, osservando lo sguardo rattristato della donna, mentre scuoteva la testa. Si soffermò sullo schermo illuminato e un sorriso malinconico comparve sulle sue labbra. -In attesa in una chiamata importante?- domandò retoricamente. -So cosa si prova. Sono due giorni che aspetto notizie da delle persone importanti della mia vita, ma penso che mi abbiano completamente cancellato dalla loro.- tornò a guardare davanti a sé, continuando il suo monologo, che tutt’ad un tratto diventò personale. -L’unica cosa che ancora non ho compreso è il perché. Una persona passa gran parte della sua vita a compiere un determinato comportamento e quando capisce che è stato tutto un grosso sbaglio è sempre troppo tardi per cambiare. E quando lo fa, porta dietro di sé una scia di vetri rotti in cui tutte le persone accanto a lui sono costrette a camminarci sopra, ferendosi.- Abbassò lo sguardo e incrociò le braccia al petto: segno di chiusura. Forse si era accorto di aver esagerato. -Non trovi anche tu?-
Abigail boccheggiò per un attimo: quel discorso l’aveva scossa. -Io credo che tu abbia ragione, ma credo che se una persona è stata portata al cambiamento, c’è una parte nascosta di lei che ha bisogno di aiuto. Nessuno cambia senza motivo, nessuno vuole cambiare, la stabilità è una costante che tutti ricercano nella vita. Se c’è cambiamento, vuol dire che qualcosa non va.-
Questa volta fu Kevin a rimanere spiazzato da quella risposta. -Adesso hai ragione anche te.- Sorrise. Un sorriso diverso dagli altri. Sembrava quasi aver preso vita.
La donna guardò l’ora e si alzò frettolosamente, sistemandosi le pieghe del cappotto. -Mi dispiace interrompere questa conversazione, ma ora devo proprio andare.-
Kevin si alzò e mosse un passò verso di lei. -E’ stato un piacere parlare con te. Mi sei stata davvero d’aiuto.- La strinse in un abbraccio a sorpresa e ad Abigail sembrò di sentire il calore che sprigionava quel corpo stretto al suo; l’uomo si staccò e, sconcertandola ancora, le diede due rapidi baci su ciascuna guancia per salutarla. Abigail rabbrividì al contatto con il viso segnato da un leggero strato di barba e si allontanò velocemente. Cosa stava succedendo?
L’uomo sembrò in imbarazzo. -Ti va se ci rincontriamo?-
Abigail si chiese se improvvisamente il tempo non fosse andato indietro e adesso loro due fossero due adolescenti alle prime uscite. -Certo, ti lascio il mio numero.- Sorrise, sincera.

***

Schermo bianco.
Il trattino nero continuava a lampeggiare e avrebbe continuato ancora per molto, considerata la mancanza di ispirazione della donna.
Lily chiuse la schermata e si sdraiò sul suo letto, buttandosi all’indietro. Al contatto con quelle coperte morbide, chiuse gli occhi, anche se il sonno non si decideva ad arrivare: troppi pensieri, troppi problemi, troppo poco tempo. Non sarebbe mai riuscita a fare quel maledetto articolo per il suo capo.
Un’impercettibile vibrazione arrivò dal cellulare posato sul suo comodino. Lily si sporse per prenderlo e aprì il messaggio ricevuto: Buonanotte.
Una semplice parola che avrebbe fatto felice chiunque, ma non lei: il mittente era la causa delle sue complicazioni, Joe Jonas. Buttò il cellulare sul letto e si avviò verso la cucina per prepararsi un caffè. Erano le due di notte, ma per lei l’arrivo della mattina sarebbe stato ancora molto lontano ed era meglio se quelle ore le impiegava per il suo lavoro, piuttosto che a rimuginare sulla sua vita tra le coperte calde durante una fredda notte autunnale. No, non era convinta neanche lei della sua scelta.
  
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