"Sapevo
che lo avresti fatto.
Sei troppo sentimentale."
Si risvegliò dopo una dormita lunghissima, rigirandosi nel
letto.
Il giorno prima aveva proprio perso la testa: dopo essere stata nel
ristorante di Edward per mezz'ora, quest'ultimo decise di chiuderlo
prima, con molto disappunto di Narumi e degli altri clienti e di
riaccompagnarla a casa. Durante il tragitto,
Elizabeth mormorò qualcosa in proposito alle sue
chiavi,
forse di aver
dimenticato le sue chiavi a casa di Dalia e poi, per quanto le
riguardava, scivolò tutto
nel buio. Si risvegliò nella stessa stanza in cui si
ritrovò quando vide quel tizio sconosciuto che dormiva
vicino a
lei. Rimise
a fuoco il giorno prima, pensando a quanto fosse stata stupida e
patetica. Si gettò di nuovo nel cuscino morbido
e ripensò a quello che era accaduto nelle ultime due
settimane,
così dense di avvenimenti che sarebbero bastati per una
vita...
breve ma intensa. Scivolò in un breve sonno e si
risvegliò a causa di un tintinnio. Quelli del tipo di ferro
che
sbatte contro il vetro. Si mosse con uno sbadiglio e si mise seduta,
tenendo sempre gli occhi chiusi.
"Ciao".
Aprì gli occhi e si ritrovò davanti Edward. Non
riusciva a capire.
"Buo... Buongiorno..." sbadigliò e si toccò i
capelli più confusa che mai.
"Buongiorno anche a te". e le diede un bacio sulla guancia. Si
scostò e continuò: "Anche se
sarebbe più corretto dire Buon pomeriggio... Sono
le
tre." aveva in mano un bicchiere pieno d'acqua e mescolava con un
cucchiaino.
"Ho dormito così tanto?" Era veramente stupita, non le era
mai accaduto.
"Si. Comunque potresti abbassare di poco la suoneria del tuo cellulare.
Ha fatto spaventare tutti quanti." ridacchiò e riprese:
"Dovevi
vedere la povera Katherine... ma tu non la conosci vero? Ha
chiamato la tua amica Dalia: era parecchio preoccupata, soprattutto
perché ho risposto io. Mi ha accusato di averti ucciso e di
averti tagliato a pezzi e nascosta chissà dove. Non le avevi
detto di me?"
Elizabeth scosse la testa, senza dire niente e tenendo gli occhi bassi.
"Non importa" e sospirò. "Le ho detto chi ero e si
è scusata molto
imbarazzata. Mi ha riferito comunque che Victoria, non so chi sia, ha
raccolto tutti i dati del caso e mi ha detto anche che, testuali
parole, la pagherai per non averle detto niente".
Elizabeth rise imbarazzata, mentre Edward le porse il bicchiere.
"Cos'è?" chiese, mentre beveva.
"Acqua e sale".
Elizabeth sgranò gli occhi, pensando a un mucchio di cose
contemporaneamente nel giro di due secondi, il tempo che si concesse
Edward di fissarla negli occhi e di riderle in faccia.
"Volevo solo testare la tua prontezza di riflessi." disse tra le
lacrime. "Dovresti vedere la tua espressione ora..."
Elizabeth lo guardò contrariata, cambiando immediatamente
espressione. Edward diventò
più serio e disse: "Dovresti avere più cura di te
stessa.
Ieri non stavi affatto bene. Cosa hai fatto? Ti sei fatta un bagno in
un lago gelato sotto la pioggia? Fino a due ore fa avevi ancora la
febbre."
"Non so." Fece un ampio respiro e disse: "Non ricordo quasi nulla di
ieri. Non so nemmeno come ho fatto a trovarmi qui." e aggiunse: "Questa
è casa tua?"
"Si. Ma tu sei già stata qui".
"Come mai tutte le volte che vengo qui, non ricordo mai come ci sono
finita?"
"Hai la memoria corta, allora."
Elizabeth poggiò il bicchiere sul comodino vicino il letto e
si
ributtò per la seconda volta sui cuscini. Dopo qualche
minuto ruppe il silenzio.
"Ma, allora, chi era quello che dormiva con me?"
"Mio fratello... a dire la verità questa sarebbe la sua
stanza..."
"Dovrei tornare a casa... Ma credo di aver lasciato le mie chiavi di
casa da qualche parte". Diceva questo, ma in realtà pensava
a
tutt'altro. Pensava di nuovo al giorno prima: lentamente riaffioravano
nuovi ricordi , che la facevano pensare sempre di più.
Edward la
osservava: mentre lei guardava il vuoto, dentro di lui si muovevano
vorticosamente domande e pensieri, ma più la guardava e
più non sapeva cosa dirle. Si
riscossero quasi contemporaneamente dai loro pensieri. Elizabeth mosse
la testa e sbadigliò ancora.
"Devo proprio andare allora... è così tardi.
Grazie per il tuo aiuto, ma ieri non
doveva andare a finire in quel modo." Proprio in quel momento, le
riaffioravano i ricordi subito dopo che uscì dalla casa di
Eleanor, quando stava nel ristorante. Edward le accarezzò la
guancia.
"Credi sia stato uno sbaglio perdonarmi?" aveva capito subito cosa la
turbava.
"No..." Appoggiò la testa sulla sua mano. "Solo che..." Ora
le accarezzava i capelli e li odorava. "Solo che?"
"Niente" e lo baciò. Non sapeva resistere.
Si trovava appena fuori la casa di Victoria. Il tempo nuvoloso
incombeva
su Elizabeth, che si sentiva sopraffatta da tutta quella massa di
nuvole grigie, che creavano quella cappa
asfissiante che si era già manifestata due settimane prima,
all'inizio dell'estate e l'inizio di tutto. Aveva in mano alcuni dati,
che l'amica aveva scrupolosamente raccolto unendo le varie confessioni
delle varie persone del quartiere,
o "piacevoli discussioni", come era solita definirle Elizabeth, le
prove raccolte da Dalia e i risultati dell'autopsia. Elizabeth guardava
indecisa la busta gialla che conteneva questi dati davanti la porta
della casa di Victoria, non sapendo bene
cosa aspettarsi. Assalita dai
dubbi, se aprire dopo la busta e scoprire così cose che le
erano
sfuggite e molto probabilmente l'assassino davanti quella porta bianca
oppure contemplarne il
contenuto con calma. Preferì
quest'ultima ipotesi e di non aprirla subito, prolungando tuttavia
così il
suo senso di inquietudine, e si diresse sempre più
agitata
verso casa.
Scelse il percorso più lungo, anche se la casa di Victoria
distava molto dalla sua casa: attraverso il parco con tutti i rumori
del primo pomeriggio, con tutti i bambini che con le loro grida di
gioia scatenavano le ire delle madri e lo sconcerto dei passanti; tra
gli alberi silenziosi e pieni di fogliame verde, nei quali si
nascondeva qualche passero timido
che fischiettava e qualche animaletto raro da vedere; nelle strade
affollate di gente, ognuno intento a badare ai propri complicati
affari; tra le vetrine dei negozi, sfavillanti e meravigliose che
attiravano curiosi; vedendo questi spettacoli quotidiani con l'occhio
estraneo di chi non si sente partecipe di quello che accade intorno a
sé. Ebbe modo di
ripensare a tutto quello che era successo e pensò bene che
se
proprio doveva finire, era meglio se tutti coloro coinvolti in quella
faccenda fossero presenti insieme per districare il filo che
legava le loro vite. Si ritrovò in un baleno davanti casa,
senza
sapere come era finita lì. Aprì la porta di casa
e si
gettò sul divano, strappando la busta senza danneggiarne il
contenuto. Osservò i fogli nelle sue mani e
iniziò a
leggerli.
Dopo aver finito di leggere, posò i fogli su un tavolino.
Anche
se già intuiva cosa poteva essere scritto in quella busta,
non
voleva pensarci. Tuttavia nel momento in cui finì di
leggerli
tutto le parve chiaro, in quel preciso istante tutto le
sembrò
semplice, anzi di semplice soluzione. Pensò di essere stata
troppo impulsiva e avrebbe dovuto essere più cauta, ma ormai
l'aspettava solo la fine.
Alla sua destra c'era sua madre che girava la testa nervosamente a
destra e a sinistra. Dall'altro lato la madre di John. Era la prima
volta che la vedeva e credeva fosse più... più...
più somigliante a John. Quest'ultimo si trovava distante
due sedie dalla madre, credeva avessero litigato, e tra di loro vi era
la vedova Calamy.
Ed eccoli lì, tutti insieme, controvoglia,
ingannati da un invito ad una festa fasullo, inviato giorni prima
molto probabilmente da quella donna dal cappotto rosso. Cora non
ricordava bene come si chiamasse. Ricordava una Eli, ma il resto era
nell'oscurità. Pensava a un possibile nome che iniziasse per
"Eli", senza la minima preoccupazione, sensazione che invece
predominava
sulle altre e stava asfissiando il resto dei presenti come un gas
nocivo. La vedova Calamy
tormentava un fazzoletto di stoffa verde acqua ricamato; la signora
Hutton fissava punti qualsiasi nella stanza per molto tempo, per poi
cambiare subito punto da fissare,nervosamente; la signorina Truman si
girava i
pollici e osservava le proprie mani, pensando che nessuno avrebbe mai
avuto delle mani più belle; John semplicemente bagnava la
camicia che indossava, senza fare niente, guardando il vuoto,
apparentemente.
Rimasero lì a pensare
ai propri scheletri nell'armadio, al forno acceso, alle magnolie
bruciate dal sole, alle proprie vite, ad ogni cosa prima che John si
alzasse con la testa obliqua. Rispetto alle altre era lontano dalla
porta d'ingresso, ma vicino alla cucina. Erano stati invitati al
ristorante alla fine dei due viali, Chesapeake Avenue e Carnavon
Avenue, uno dei migliori della città, se non il migliore tra
tutti. Ragionando si può anche capire perché
quella donna
scelse quel ristorante. Una scelta che puntava, con molta malizia, alla
gola delle vittime,
che cogliendo al volo l'opportunità di mangiare bene e,
sopratutto, gratis, quindi a sbafo, sarebbero caduti immediatamente
nella trappola, non curandosi di vedere chi fosse invitato. Era un
piano semplice ma con qualche possibile inconveniente che non valutava,
ad esempio, l'orgoglio e l'ego smisurato delle casalinghe, come la
vedova Calamy, che tendono a
vantarsi anche per una scopa nuova. Ma la donna dai capelli ricci
sapeva bene che la signora Hutton e la signorina Truman non parlavano
con le
vicine e la vedova Calamy aveva ben altre cose a cui pensare, dato che
precedentemente la strana donna le aveva comunicato di essere
l'indiziata numero uno per il caso Hutton. Ora
però ci si stava chiedendo perché quella donna
non era
ancora arrivata. E nel pensare John, dalla sua postazione privilegiata,
abbassò gli occhi e notò che
la moquette vicino alla porta della cucina era più
scura
rispetto alle altre parti. Si alzò, quindi, tenendo
la
testa obliqua, come un
bambino curioso, in un atteggiamento di strana curiosità.
Guardò attraverso i vetri rotondi delle porte in noce, non
vedendo niente, mentre le donne lo guardavano, con una
curiosità
diversa dalla sua, quasi febbrile. Cora si avvicinò a John.
John
si girò e senza dire una parola posò una mano
sullo
sportello in noce, mentre la vedova Calamy stava
facendo un grande sforzo di volontà non parlando.
Indugiò
ancora un po' con la mano, non sapendone il motivo, finché
decise di averne abbastanza e spinse. Una strana sensazione, un
brivido che gli partiva dal basso della
colonna vertebrale fino alla nuca, facendolo tremare e sudare freddo,
lo aveva fermato.
Cora lo guardava immobile finché non afferrò il
braccio
del giovane, non permettendogli di aprire la porta. Aveva anche lei
quella stessa sensazione, di
sbagliato, di un qualcosa che non andava. Perché Elizabeth
(si
era ricordata il nome) si era data tanta pena per raccoglierli tutti
insieme in modo da ottenere tutti dalla stessa persona risposte che non
avrebbero mai avuto? C'era qualcosa che non andava. Mentre lo
comunicava sottovoce, abbassò lo sguardo e notò
anche lei
la macchia sulla moquette. Si accovacciò senza dir niente e
toccò la macchia. Strusciò la mano sopra, notando
che era
bagnata disse:
"E' solo un po' d'acqua..." e poi ricolta a John: " Sicuramente
verrà. Stanne certo."
Si alzò e un urlo squarciò quella strana
atmosfera di
silenzio forzato. Cora, quasi per istinto, che per intenzione, si
portò una mano alla bocca e allora si accorse che era rossa.
Di
un rosso strano, che difficilmente si può trovare uguale, e
la
mano era proprio quella che aveva appoggiato sulla moquette.
Alzò lo sguardo e vide gli occhi di tutti spalancati: chi
dalla
paura, chi dallo stupore, chi dall'orrore ma tutti spalancati. Ci fu un
attimo in cui tutti si guardarono negli occhi e capirono esattamente
cosa c'era dietro la porta di noce. Rimasero a fissarsi per avere una
conferma dagli altri, confortandosi a vicenda in un gioco silenzioso in
cui solo gli occhi giocavano. Cora distolse lo sguardo da tutti,
guardandosi la mano ancora una volta, il sangue rappreso sui
polpastrelli e nell'arco tra il pollice e l'indice, nelle linee
bugiarde del palmo e nelle giunture delle falangi. Strinse quella mano
in un pugno e lo diede proprio in mezzo allo spiraglio tra le due porte
di noce, che si spalancarono l'una sbattendo contro il muro, l'altra
contro qualcosa di morbido.
Cora emise un gemito e crollò sulla moquette rossa come il
sangue caduto da quel collo bianco, lo stesso sangue che aveva colorato
di cremisi
le mattonelle bianche dell'ampia cucina, riempiendo ogni angolo. A quel
rosso puro, innocente, si aggiungeva, contaminandolo, un rosso
più scuro che sgorgava da polsi tagliati di un uomo.
Entrambi
erano a poca distanza, l'uomo stringeva la mano della donna e il viso
era rivolto verso di lei, lei che restava impassibile a quel tocco, le
guance senza colore, gli occhi cerchiati di un verde malsano, le
palpebre costrette a chiudersi, per non imprimere nella mente di colui
che fece quel gesto ignobile gli occhi senza vita dei morti. Nonostante
giacessero entrambi in un lago rosso, l'uomo viveva ancora, un flebile
respiro riempiva il silenzio che si era impossessato della sala.
La signorina Truman, dopo un lungo attimo di sbalordimento, si
precipitò verso il fratello, non potendo credere ai propri
occhi. Si avvicinò al suo viso, per sentire il respiro
affannoso
di Edward. In un soffio le disse: "Mi dispiace. Non potevo vivere
pensando per sempre a lei." Disse le ultime sue parole chiudendo gli
occhi. Eleanor gli posò due dita sul collo. Niente. Oramai
era
finita, lo sapeva.
"Sapevo che lo avresti fatto. Sei troppo sentimentale." gli
sussurrò. Sapeva sin dal primo momento che l'idea folle del
figliastro di aiutare il vecchio a tirare le cuoia era fallimentare
sin dal primo momento. Nonostante John avesse preso tutte le
precauzioni che poteva prendere. Era il delitto perfetto, come tutti i
delitti lo sono prima che una persona qualsiasi non lo smascherasse. Il
piano era di logorare lentamente la vita di Tony, come aveva fatto lui
molto tempo prima alla madre di John. E modo c'era ed era anche
piuttosto elementare: aggiungere della candeggina ai suoi pasti, lo
avrebbe condotto ad una morte senza tracce apparenti. Senza lasciare
tracce nel corpo. Era il piano perfetto.
Ma oramai era finita.
Eccoci qui alla fine... *scende una lacrimuccia* Che tristezzaaaaa! T_T
Veramente... Devo lasciare tutti i quattordici che hanno visto il mio
settimo
capitolo... e che non hanno voluto lasciare commenti... hem hem... e
Emily.
Bene, bene, bene. Arriviamo al sodo, che già sento chi si
è affezionato ad Elizabeth o peggio a Edward urlare
"PERCHÉ?!?!" e io vi dico il "PERCHÉ?!?!": Ogni
errore si
paga e Elly l'ha pagato con la vita, per essersi fidata di quel
tizio...Hem Hem!
Mentre Eddino è schiattato perché tanto cattivo
non era
e, piccolo, amava tanto Elizabeth, ma ha fatto una cosa un po' alla
Nerone uccidendo la donna amata e poi dire "Oddio che ho fatto?". Solo
che Neroncino non si è ucciso. Vabbè... Non
stiamo facendo lezioni di storia romana, ecco.
Per chi non l'avesse capito quel bravo ragazzo ha tranciato la
giugulare della nostra eroina e si è tagliato non le vene,
attenzione, ma le arterie! Naturalmente ci sarà chi dice "Ma
è impossibile!" ma niente è impossibile. Ci vuole
un'abilità a fare una
cosa
del genere, ma con tutti i coltelli che si trovano in una cucina si
può fare un gran bel lavoro... non tanto bello, credo...
Non ci crederete mai ma l'idea della storia è venuta ad una mia amica per colpa di Nonciclopedia... ora mi butterete i cuppitielli appresso (per chi non
è di Napoli, come moi,significa che mi butterete i cocci
dietro), dato che di ogni cosa che vedo/leggo/sento/a volte assaggio ne
voglio sapere di più, ma anche fare ironia, leggo la pagina
in proposito sia
su Wikipedia che su Nonciclopedia. In un lontano giorno ventoso di
settembre avevo appena iniziato a leggere Bleach (un manga) e
ho
voluto vedere cosa dicessero sulla Nonci. Nel secondo paragrafo
ironizzavano sul fatto che questo manga inebetisse talmente tanto i
lettori, che è come se questi ultimi assumesse ogni volta a
piccole
dosi della candeggina, uccidendo il loro cervello, facendo paragone con
quello che realmente succede ad una persona se assume tale sostanza. Ed
ecco tutto. Semmai ne farò un libro, metà dei
guadagni
(esigui, sicuro) andrà a Nonciclopedia e alla mia amica che
leggendo questa cosa ha esclamato: "Wow! Sarebbe bello se qualcuno ne
facesse un giallo!" Anzi, metà a Nonciclopedia e
metà
alla mia amica, io ho solo elaborato (molto male).
Questa è la pazza storia dell'idea di NaClO (formula chimica
della candeggina, scrivere Bleach avrei violato copyright e un sacco di
fungirl mi avrebbero detto che non ci azzecca niente con Bleach. E non
lo potevo nemmeno chiamare Candeggina... sul serio, chi
l'avrebbe
letto?)
Grazie a voi quattordici che leggendo il penultimo capitolo mi
avete
confermato che dopotutto sta storia non fa tanto schifo. E ancora un grazie
speciale ad Emily Doyle che mi ha dato la forza di non abbandonare la
storia. Grazie a tutti!
I wish for you all nice
days for ever.
|