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Autore: Fedora    10/05/2010    0 recensioni
Il mio primo giallo nonche' la mia prima "fanfic" (anche se di fan non ha proprio niente). La detective Elizabeth Boudelaire deve risolvere uno strano caso di omicidio senza tracce. Suspence! Amore! Hello Kitty! E robaccia del genere troverete se aprirete la pagina. Andate in pace.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Sapevo che lo avresti fatto.
Sei troppo sentimentale."


Si risvegliò dopo una dormita lunghissima, rigirandosi nel letto.
Il giorno prima aveva proprio perso la testa: dopo essere stata nel ristorante di Edward per mezz'ora, quest'ultimo decise di chiuderlo prima, con molto disappunto di Narumi e degli altri clienti e di riaccompagnarla a casa. Durante il tragitto, Elizabeth mormorò qualcosa in proposito alle sue chiavi, forse di aver dimenticato le sue chiavi a casa di Dalia e poi, per quanto le riguardava, scivolò tutto nel buio. Si risvegliò nella stessa stanza in cui si ritrovò quando vide quel tizio sconosciuto che dormiva vicino a lei. Rimise a fuoco il giorno prima, pensando a quanto fosse stata stupida e patetica. Si gettò di nuovo nel cuscino morbido e ripensò a quello che era accaduto nelle ultime due settimane, così dense di avvenimenti che sarebbero bastati per una vita... breve ma intensa. Scivolò in un breve sonno e si risvegliò a causa di un tintinnio. Quelli del tipo di ferro che sbatte contro il vetro. Si mosse con uno sbadiglio e si mise seduta, tenendo sempre gli occhi chiusi.
"Ciao".
Aprì gli occhi e si ritrovò davanti Edward. Non riusciva a capire.
"Buo... Buongiorno..." sbadigliò e si toccò i capelli più confusa che mai.
"Buongiorno anche a te". e le diede un bacio sulla guancia. Si scostò e continuò: "Anche se sarebbe più corretto dire Buon pomeriggio... Sono le tre." aveva in mano un bicchiere pieno d'acqua e mescolava con un cucchiaino.
"Ho dormito così tanto?" Era veramente stupita, non le era mai accaduto.
"Si. Comunque potresti abbassare di poco la suoneria del tuo cellulare. Ha fatto spaventare tutti quanti." ridacchiò e riprese: "Dovevi vedere la povera Katherine... ma tu non la conosci vero? Ha chiamato la tua amica Dalia: era parecchio preoccupata, soprattutto perché ho risposto io. Mi ha accusato di averti ucciso e di averti tagliato a pezzi e nascosta chissà dove. Non le avevi detto di me?"
Elizabeth scosse la testa, senza dire niente e tenendo gli occhi bassi.
"Non importa" e sospirò. "Le ho detto chi ero e si è scusata molto imbarazzata. Mi ha riferito comunque che Victoria, non so chi sia, ha raccolto tutti i dati del caso e mi ha detto anche che, testuali parole, la pagherai per non averle detto niente".
Elizabeth rise imbarazzata, mentre Edward le porse il bicchiere.
"Cos'è?" chiese, mentre beveva.
"Acqua e sale". 
Elizabeth sgranò gli occhi, pensando a un mucchio di cose contemporaneamente nel giro di due secondi, il tempo che si concesse Edward di fissarla negli occhi e di riderle in faccia.
"Volevo solo testare la tua prontezza di riflessi." disse tra le lacrime. "Dovresti vedere la tua espressione ora..."
Elizabeth lo guardò contrariata, cambiando immediatamente espressione. Edward diventò più serio e disse: "Dovresti avere più cura di te stessa. Ieri non stavi affatto bene. Cosa hai fatto? Ti sei fatta un bagno in un lago gelato sotto la pioggia? Fino a due ore fa avevi ancora la febbre."
"Non so." Fece un ampio respiro e disse: "Non ricordo quasi nulla di ieri. Non so nemmeno come ho fatto a trovarmi qui." e aggiunse: "Questa è casa tua?"
"Si. Ma tu sei già stata qui".
"Come mai tutte le volte che vengo qui, non ricordo mai come ci sono finita?"
"Hai la memoria corta, allora."
Elizabeth poggiò il bicchiere sul comodino vicino il letto e si ributtò per la seconda volta sui cuscini. Dopo qualche minuto ruppe il silenzio.
"Ma, allora, chi era quello che dormiva con me?"
"Mio fratello... a dire la verità questa sarebbe la sua stanza..."
"Dovrei tornare a casa... Ma credo di aver lasciato le mie chiavi di casa da qualche parte". Diceva questo, ma in realtà pensava a tutt'altro. Pensava di nuovo al giorno prima: lentamente riaffioravano nuovi ricordi , che la facevano pensare sempre di più. Edward la osservava: mentre lei guardava il vuoto, dentro di lui si muovevano vorticosamente domande e pensieri, ma più la guardava e più non sapeva cosa dirle. Si riscossero quasi contemporaneamente dai loro pensieri. Elizabeth mosse la testa e sbadigliò ancora.
"Devo proprio andare allora... è così tardi. Grazie per il tuo aiuto, ma ieri non doveva andare a finire in quel modo." Proprio in quel momento, le riaffioravano i ricordi subito dopo che uscì dalla casa di Eleanor, quando stava nel ristorante. Edward le accarezzò la guancia.
"Credi sia stato uno sbaglio perdonarmi?" aveva capito subito cosa la turbava.
"No..." Appoggiò la testa sulla sua mano. "Solo che..." Ora le accarezzava i capelli e li odorava. "Solo che?"
"Niente" e lo baciò. Non sapeva resistere.

Si trovava appena fuori la casa di Victoria. Il tempo nuvoloso incombeva su Elizabeth, che si sentiva sopraffatta da tutta quella massa di nuvole grigie, che creavano quella cappa asfissiante che si era già manifestata due settimane prima, all'inizio dell'estate e l'inizio di tutto. Aveva in mano alcuni dati, che l'amica aveva scrupolosamente raccolto unendo le varie confessioni delle varie persone del quartiere, o "piacevoli discussioni", come era solita definirle Elizabeth, le prove raccolte da Dalia e i risultati dell'autopsia. Elizabeth guardava indecisa la busta gialla che conteneva questi dati davanti la porta della casa di Victoria, non sapendo bene cosa aspettarsi. Assalita dai dubbi, se aprire dopo la busta e scoprire così cose che le erano sfuggite e molto probabilmente l'assassino davanti quella porta bianca oppure contemplarne il contenuto con calma. Preferì quest'ultima ipotesi e di non aprirla subito, prolungando tuttavia così il suo senso di  inquietudine, e si diresse sempre più agitata verso casa.
Scelse il percorso più lungo, anche se la casa di Victoria distava molto dalla sua casa: attraverso il parco con tutti i rumori del primo pomeriggio, con tutti i bambini che con le loro grida di gioia scatenavano le ire delle madri e lo sconcerto dei passanti; tra gli alberi silenziosi e pieni di fogliame verde, nei quali si nascondeva qualche passero timido che fischiettava e qualche animaletto raro da vedere; nelle strade affollate di gente, ognuno intento a badare ai propri complicati affari; tra le vetrine dei negozi, sfavillanti e meravigliose che attiravano curiosi; vedendo questi spettacoli quotidiani con l'occhio estraneo di chi non si sente partecipe di quello che accade intorno a sé. Ebbe modo di ripensare a tutto quello che era successo e pensò bene che se proprio doveva finire, era meglio se tutti coloro coinvolti in quella faccenda fossero presenti insieme per districare il filo che legava le loro vite. Si ritrovò in un baleno davanti casa, senza sapere come era finita lì. Aprì la porta di casa e si gettò sul divano, strappando la busta senza danneggiarne il contenuto. Osservò i fogli nelle sue mani e iniziò a leggerli.
Dopo aver finito di leggere, posò i fogli su un tavolino. Anche se già intuiva cosa poteva essere scritto in quella busta, non voleva pensarci. Tuttavia nel momento in cui finì di leggerli tutto le parve chiaro, in quel preciso istante tutto le sembrò semplice, anzi di semplice soluzione. Pensò di essere stata troppo impulsiva e avrebbe dovuto essere più cauta, ma ormai l'aspettava solo la fine.

Alla sua destra c'era sua madre che girava la testa nervosamente a destra e a sinistra. Dall'altro lato la madre di John. Era la prima volta che la vedeva e credeva fosse più... più... più somigliante a John. Quest'ultimo si trovava distante due sedie dalla madre, credeva avessero litigato, e tra di loro vi era la vedova Calamy.
Ed eccoli lì, tutti insieme, controvoglia, ingannati da un invito ad una festa fasullo, inviato giorni prima molto probabilmente da quella donna dal cappotto rosso. Cora non ricordava bene come si chiamasse. Ricordava una Eli, ma il resto era nell'oscurità. Pensava a un possibile nome che iniziasse per "Eli", senza la minima preoccupazione, sensazione che invece predominava sulle altre e stava asfissiando il resto dei presenti come un gas nocivo. La vedova Calamy tormentava un fazzoletto di stoffa verde acqua ricamato; la signora Hutton fissava punti qualsiasi nella stanza per molto tempo, per poi cambiare subito punto da fissare,nervosamente; la signorina Truman si girava i pollici e osservava le proprie mani, pensando che nessuno avrebbe mai avuto delle mani più belle; John semplicemente bagnava la camicia che indossava, senza fare niente, guardando il vuoto, apparentemente.
Rimasero lì a pensare ai propri scheletri nell'armadio, al forno acceso, alle magnolie bruciate dal sole, alle proprie vite, ad ogni cosa prima che John si alzasse con la testa obliqua. Rispetto alle altre era lontano dalla porta d'ingresso, ma vicino alla cucina. Erano stati invitati al ristorante alla fine dei due viali, Chesapeake Avenue e Carnavon Avenue, uno dei migliori della città, se non il migliore tra tutti. Ragionando si può anche capire perché quella donna scelse quel ristorante. Una scelta che puntava, con molta malizia, alla gola delle vittime, che cogliendo al volo l'opportunità di mangiare bene e, sopratutto, gratis, quindi a sbafo, sarebbero caduti immediatamente nella trappola, non curandosi di vedere chi fosse invitato. Era un piano semplice ma con qualche possibile inconveniente che non valutava, ad esempio, l'orgoglio e l'ego smisurato delle casalinghe, come la vedova Calamy, che tendono a vantarsi anche per una scopa nuova. Ma la donna dai capelli ricci sapeva bene che la signora Hutton e la signorina Truman non parlavano con le vicine e la vedova Calamy aveva ben altre cose a cui pensare, dato che precedentemente la strana donna le aveva comunicato di essere l'indiziata numero uno per il caso Hutton. Ora però ci si stava chiedendo perché quella donna non era ancora arrivata. E nel pensare John, dalla sua postazione privilegiata, abbassò gli occhi e notò che la moquette vicino alla porta della cucina era più scura rispetto alle altre parti. Si alzò, quindi, tenendo la testa obliqua, come un bambino curioso, in un atteggiamento di strana curiosità. Guardò attraverso i vetri rotondi delle porte in noce, non vedendo niente, mentre le donne lo guardavano, con una curiosità diversa dalla sua, quasi febbrile. Cora si avvicinò a John. John si girò e senza dire una parola posò una mano sullo sportello in noce, mentre la vedova Calamy stava facendo un grande sforzo di volontà non parlando. Indugiò ancora un po' con la mano, non sapendone il motivo, finché decise di averne abbastanza e spinse. Una strana sensazione, un brivido che gli partiva dal basso della colonna vertebrale fino alla nuca, facendolo tremare e sudare freddo, lo aveva fermato. Cora lo guardava immobile finché non afferrò il braccio del giovane, non permettendogli di aprire la porta. Aveva anche lei quella stessa sensazione, di sbagliato, di un qualcosa che non andava. Perché Elizabeth (si era ricordata il nome) si era data tanta pena per raccoglierli tutti insieme in modo da ottenere tutti dalla stessa persona risposte che non avrebbero mai avuto? C'era qualcosa che non andava. Mentre lo comunicava sottovoce, abbassò lo sguardo e notò anche lei la macchia sulla moquette. Si accovacciò senza dir niente e toccò la macchia. Strusciò la mano sopra, notando che era bagnata disse:
"E' solo un po' d'acqua..." e poi ricolta a John: " Sicuramente verrà. Stanne certo."
Si alzò e un urlo squarciò quella strana atmosfera di silenzio forzato. Cora, quasi per istinto, che per intenzione, si portò una mano alla bocca e allora si accorse che era rossa. Di un rosso strano, che difficilmente si può trovare uguale, e la mano era proprio quella che aveva appoggiato sulla moquette. Alzò lo sguardo e vide gli occhi di tutti spalancati: chi dalla paura, chi dallo stupore, chi dall'orrore ma tutti spalancati. Ci fu un attimo in cui tutti si guardarono negli occhi e capirono esattamente cosa c'era dietro la porta di noce. Rimasero a fissarsi per avere una conferma dagli altri, confortandosi a vicenda in un gioco silenzioso in cui solo gli occhi giocavano. Cora distolse lo sguardo da tutti, guardandosi la mano ancora una volta, il sangue rappreso sui polpastrelli e nell'arco tra il pollice e l'indice, nelle linee bugiarde del palmo e nelle giunture delle falangi. Strinse quella mano in un pugno e lo diede proprio in mezzo allo spiraglio tra le due porte di noce, che si spalancarono l'una sbattendo contro il muro, l'altra contro qualcosa di morbido.
Cora emise un gemito e crollò sulla moquette rossa come il sangue caduto da quel collo bianco, lo stesso sangue che aveva colorato di cremisi le mattonelle bianche dell'ampia cucina, riempiendo ogni angolo. A quel rosso puro, innocente, si aggiungeva, contaminandolo, un rosso più scuro che sgorgava da polsi tagliati di un uomo. Entrambi erano a poca distanza, l'uomo stringeva la mano della donna e il viso era rivolto verso di lei, lei che restava impassibile a quel tocco, le guance senza colore, gli occhi cerchiati di un verde malsano, le palpebre costrette a chiudersi, per non imprimere nella mente di colui che fece quel gesto ignobile gli occhi senza vita dei morti. Nonostante giacessero entrambi in un lago rosso, l'uomo viveva ancora, un flebile respiro riempiva il silenzio che si era impossessato della sala.
La signorina Truman, dopo un lungo attimo di sbalordimento, si precipitò verso il fratello, non potendo credere ai propri occhi. Si avvicinò al suo viso, per sentire il respiro affannoso di Edward. In un soffio le disse: "Mi dispiace. Non potevo vivere pensando per sempre a lei." Disse le ultime sue parole chiudendo gli occhi. Eleanor gli posò due dita sul collo. Niente. Oramai era finita, lo sapeva.
"Sapevo che lo avresti fatto. Sei troppo sentimentale."  gli sussurrò. Sapeva sin dal primo momento che l'idea folle del figliastro di aiutare il vecchio a tirare le cuoia era fallimentare sin dal primo momento. Nonostante John avesse preso tutte le precauzioni che poteva prendere. Era il delitto perfetto, come tutti i delitti lo sono prima che una persona qualsiasi non lo smascherasse. Il piano era di logorare lentamente la vita di Tony, come aveva fatto lui molto tempo prima alla madre di John. E modo c'era ed era anche piuttosto elementare: aggiungere della candeggina ai suoi pasti, lo avrebbe condotto ad una morte senza tracce apparenti. Senza lasciare tracce nel corpo. Era il piano perfetto.
Ma oramai era finita.



Eccoci qui alla fine... *scende una lacrimuccia* Che tristezzaaaaa! T_T Veramente... Devo lasciare tutti i quattordici che hanno visto il mio settimo capitolo... e che non hanno voluto lasciare commenti... hem hem... e Emily.
Bene, bene, bene. Arriviamo al sodo, che già sento chi si è affezionato ad Elizabeth o peggio a Edward urlare "PERCHÉ?!?!" e io vi dico il "PERCHÉ?!?!": Ogni errore si paga e Elly l'ha pagato con la vita, per essersi fidata di quel tizio...Hem Hem! Mentre Eddino è schiattato perché tanto cattivo non era e, piccolo, amava tanto Elizabeth, ma ha fatto una cosa un po' alla Nerone uccidendo la donna amata e poi dire "Oddio che ho fatto?". Solo che Neroncino non si è ucciso. Vabbè... Non stiamo facendo lezioni di storia romana, ecco.
Per chi non l'avesse capito quel bravo ragazzo ha tranciato la giugulare della nostra eroina e si è tagliato non le vene, attenzione, ma le arterie! Naturalmente ci sarà chi dice "Ma è impossibile!" ma niente è impossibile. Ci vuole un'abilità a fare una cosa del genere, ma con tutti i coltelli che si trovano in una cucina si può fare un gran bel lavoro... non tanto bello, credo...
Non ci crederete mai ma l'idea della storia è venuta ad una mia amica per colpa di Nonciclopedia... ora mi butterete i cuppitielli appresso (per chi non è di Napoli, come moi,significa che mi butterete i cocci dietro), dato che di ogni cosa che vedo/leggo/sento/a volte assaggio ne voglio sapere di più, ma anche fare ironia, leggo la pagina in proposito sia su Wikipedia che su Nonciclopedia. In un lontano giorno ventoso di settembre avevo appena iniziato a leggere Bleach (un manga) e ho voluto vedere cosa dicessero sulla Nonci. Nel secondo paragrafo ironizzavano sul fatto che questo manga inebetisse talmente tanto i lettori, che è come se questi ultimi assumesse ogni volta a piccole dosi della candeggina, uccidendo il loro cervello, facendo paragone con quello che realmente succede ad una persona se assume tale sostanza. Ed ecco tutto. Semmai ne farò un libro, metà dei guadagni (esigui, sicuro) andrà a Nonciclopedia e alla mia amica che leggendo questa cosa ha esclamato: "Wow! Sarebbe bello se qualcuno ne facesse un giallo!" Anzi, metà a Nonciclopedia e metà alla mia amica, io ho solo elaborato (molto male).
Questa è la pazza storia dell'idea di NaClO (formula chimica della candeggina, scrivere Bleach avrei violato copyright e un sacco di fungirl mi avrebbero detto che non ci azzecca niente con Bleach. E non lo potevo  nemmeno chiamare Candeggina... sul serio, chi l'avrebbe letto?)
Grazie a voi quattordici che leggendo il penultimo capitolo mi avete confermato che dopotutto sta storia non fa tanto schifo. E ancora un grazie speciale ad Emily Doyle che mi ha dato la forza di non abbandonare la storia. Grazie a tutti!
I wish for you all nice days for ever.
  
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