Introduzione
Introduzione
Dunque... prima di tutto un ringraziamento/dedica alla
mia beta reader Harry, che ha deciso quale storia dovessi mettere in
rete…(Io volevo mettere un capitolo nuovo dell’AU What about now.. ma lei ha
votato per questa quindi…se preferivate l’altra storia prendetevela con lei. Se
non ve ne frega niente di nessuna delle due… perché caaaaaaazzo avete aperto la
pagina?)... e il sottotiolo della fan fiction… (C’è un sottotitolo? Ebbene sì,
perché noi Leon Girls non ci facciamo mancare nulla)
Ad ogni modo… dedico questa storia anche a tutte le inspiegabili fan di Sir
Leon, in particolare a GiulyB e lynch, che lo seguono con amore…
tipo groupies… attraverso le mie diverse storie, e a tutte le fan di Lady Vivian,
in particolare Melchan, che con i loro commenti mi hanno spinto a mettere
anche questa storia sul web.
Un ringraziamento anche a Elyxyz che commenta
tutte le mie fanfic anche se alcuni pairing la lasciano un po’ perplessa^^
Volevo ringraziare anche tutti coloro che pian piano
riscoprono le mie vecchie fanfic e mi lasciano un commentino! Li leggo tutti,
state tranquilli… e mi fanno anche piacerissimo ^_^
Pooi, per tornare alla storia, volevo precisare che …
massì, alla fine Sir Leon piace anche a me come personaggio.
E’ solo fisicamente che … mah. E con mah mi fermo.
Prima di lasciarvi alla lettura di questa mirabolante
fan fiction volevo aggiungere solo un paio di precisazioni:
1. tutti le spiegazioni sulla nascita di questo pairing
sono date nell’introduzione della fanfic precedente
Coffee break
2. nella prima parte della fan fiction il tono è
volutamente colloquiale.
3. Tutti i riferimenti biografici, che riguardano la
vita della sottoscritta, sono assolutamente casuali e non voluti.
4. E’ proibito fare commenti su Taylor Swift e sul
perché io ascolti le sue canzoni. So già tutto e me ne vergogno ampiamente.
And now…Buona lettura!
When a prince is useless
What a princess wants…
“Mi senti adesso?”
“Sì, ti sento”
“Comunque… come ti stavo dicendo... un ristorante che non
andava oltre il mediocre. Poca varietà di vini, dolci appena passabili e la
toilette...”
Vivian roteò gli occhi teatralmente, diminuendo la velocità mentre imboccava la
strada che si inerpicava su dalla collina. Si aggiustò l’auricolare,
controllando di avere ancora campo. “Nell’anticamera non c’erano poltroncine o
divanetti… solo i lavandini. Ora io dico... dove siamo? In Ruanda?” disse acuta,
tenendo lo sguardo puntato sulla strada che si stava restringendo man mano che
l’auto avanzava.
Accese gli abbaglianti, stringendo un po’ gli occhi nel
tentativo di perforare il buio, reso ancora più fitto dalle fronde degli alberi
che impedivano alla tenue luce di lunare di sfiorare l’asfalto.
“Che orrore” starnazzò Janice nel telefono.
“E non hai ancora sentito il peggio” replicò Vivian “Dopo
la cena lui dice che conosce questo locale dove fanno musica dal vivo.
Fantastico, dico io, anche se in realtà avrei voluto infilarmi nel primo taxi e
raggiungervi al Blue Forest. Ad ogni modo.. mi faccio forza e andiamo in
questo locale… una cantina!”
“No…” sospirò Janice.
Vivian poteva quasi vedere la sua faccia scandalizzata
mentre era tutta impegnata in un’attività altamente culturale come mettersi lo
smalto alle unghie dei piedi. “Te lo giuro sulle mie Jimmy Choo collezione
autunno-inverno 2010-2011. Era una perdindirindina di cantina! Per
entrare bisognava scendere questa lunga scalinata, con dei gradini fatti di
pietra tutti scivolosi.. hallo? Mai sentito parlare di norme di
sicurezza? E soprattutto di tacchi alti? Mi sono quasi ammazzata giù da quella
maledetta scala!”
“Dio, tanto valeva che ti portasse nel primo McDonald’s!”
Vivian rabbrividì, facendo una smorfietta disgustata.
Scosse la testa come per cancellare l’inquietante visione di lei in un
McDonald’s con un vassoio rosso in mano e un panino carico di carboidrati.
“L’interno del locale era anche peggio!” proseguì dopo qualche istante “Un
bugigattolo con tavoli di legno, nemmeno l’ombra di una finestra o di uno
specchio... e nessuna poltroncina. E lui che mi guarda tutto orgoglioso e mi
dice che si è fatto dare il tavolo migliore del locale.”
“Oh Dio..”
“Sì, lo so… perdente. Comunque ho cercato di sorridergli,
fingendo di ignorare il pavimento, la cameriera obesa e quel nauseante odore di
muffa. Lui deve aver comunque colto qualcosa sulla mia faccia perché si è
affrettato ad assicurarmi che la musica è davvero eccezionale. E poi ha iniziato
a elencarmi non so quanti nomi di gente che si è esibita lì, aspettandosi che io
li conoscessi o qualcosa del genere..”
Vivian emise un versettino dal naso, guardandosi nello
specchietto retrovisore. Sorrise compiaciuta al suo riflesso, prima di tornare a
concentrarsi sulla guida. “Ho continuato stoicamente a sorridergli annuendo nei
momenti giusti, quando è arrivata la cameriera. Ho iniziato a gioire, avevo
davvero, davvero bisogno di bere qualcosa con ciliegie e ombrellini quando lei
mi risponde che non hanno il cosmopolitan!”
“No!”
“Te lo giuro!”
“Oddio, tesoro. Come hai fatto a non scappare di corsa?”
“Non lo so! Non lo so! Devo essere impazzita! Leon era lì
che mi guardava tutto speranzoso e così mi sono abbassata a prendere un mojito,
ma non ne ho bevuto più di un paio di sorsi.”
“Ma povero, amore.” replicò Janice, facendo schioccare più
volte le labbra come se stesse mandandole dei bacini attraverso il cellulare.
Vivian imbronciò le labbra, aggrappandosi a tutto il suo coraggio per non
soccombere al ricordo della tragica serata. Si scostò un ricciolo biondo dalla
fronte, diminuendo la velocità di qualche chilometro all’ora.
“E non è ancora finita…”
“Cosa può esserci peggio di questo?”
“La musica!” strillò lei acuta “Arrivano queste... mummie
sul palco! E vanno avanti a suonare per ore! Un brano durava qualcosa come...
un’eternità! E nessuno cantava! C’erano solo questi che suonavano e suonavano e
suonavano e io ti giuro che non capivo nemmeno quando finiva una canzone e ne
cominciava un’altra! Non capivo nemmeno se erano tristi o allegre, o...”
“Oddio”
“Già” esclamò accorata “E’ stato un vero incubo. Non potevo
bere, non avevo il coraggio di andare in bagno per non prendermi strane
malattie, volevo solo che crollasse il soffitto e li seppellisse tutti.”
“Oh, sweety, come ti capisco.”
“Dovrebbero vietare a certa gente di suonare! Sono un
attentato al pudore.”
“Hai perfettamente ragione.”
“Dovrebbero cantare solo le bionde carine, con tanti
riccioli e che scrivono canzoni d’amore”
“Sì, sono d’accordissimo con te.”
“Come Taylor Swift. Tutte quelle che non assomigliano a
Taylor Swift non dovrebbero nemmeno avvicinarsi a uno strumento musicale!”
“E poi? Come sei sopravvissuta?”
“Non lo so! Stavo per mettermi a piangere quando questi
tizi per fortuna decidono di fare una pausa e vanno al bar a tracannare birra
insieme agli altri incivili. E Leon si gira verso di me e mi fa: allora ti
piacciono? E io: sì, certo... perché non dovevano piacermi? Io adoro i gruppi
musicali che fanno musica sempre uguale e che sono sprovvisti di bionde
ricciolute che cantano! E lui mi fa: ma come? Credevo ti piacesse il jazz…”
“Oddio”
“Il jazz!” strillò, sfiorando la barriera inumana degli
ultrasuoni “Quello mi ha portata a sentire il jazz! Ti sembra che io sia
una a cui può piacere il jazz? Ma per favore!”
“E’ stupido.”
“E’ quello che credo anch’io” concordò con un lungo sospiro
“Ad ogni modo gli dico di no, che io odio il jazz e lui fa quella faccia da cane
bastonato e mi dice che credeva che mi piacesse visto che avevo detto ad Arthur
che potevo andare con lui a quella stupida rassegna su non so che jazzista
qualcosa come un secolo fa… Cioè… era ovvio che l’avessi detto solo per far
colpo su Arthur! Com’è possibile che non se ne sia accorto?”
“Che sfigato.”
“Puoi dirlo forte.” replicò Vivian.
Serrò un po’ le labbra, lanciando un’occhiata al cellulare.
Avrebbe voluto aggiungere che in realtà pensava che Leon fosse stato molto dolce
a ricordarselo, ma non poteva. Leon non era esattamente il modello di ragazzo
con cui vantarsi con le amiche… cioè con le sue amiche. Andava bene per
lamentarsi e farsi compatire e invidiare per l’ammirabile spirito di
sopportazione, ma non per entusiasmarsi per i piccoli gesti gentili. Il suo
conto in banca non aveva abbastanza zeri e la sua testa aveva decisamente fin
troppi capelli per essere il tipo di uomo per cui vantarsi con le amiche. Vivian
riportò lo sguardo sulla strada, espirando a fondo, mentre ascoltava Janice
dirle che stava guardando foto di Justin Timberlake su internet.
“Comunque..” riprese il racconto dopo qualche istante,
ignorando l’intromissione dell’altra “Lui mi dice che possiamo andarcene se non
ho voglia di restare, ma io gli dico di no..”
“Oh tesoro..”
Vivian scoccò un’occhiata preoccupata al telefono. C’era
un’evidente nota di disapprovazione mascherata da una finta empatia. Sapeva di
aver perso una buona manciata di punti nella considerazione di Janice. Quasi
riusciva a immaginarsela mentre distorceva abilmente le sue parole in una
conversazione con un’altra loro amica. Strinse forte le labbra, cercando
mentalmente un modo per rimediare alla gaffe al più presto.
“Beh, sua nonna ha il cancro, quindi..” disse con
leggerezza.
“Oh.. oh”
Sorrise al cambiamento di tono di Janice. Sospirò più
rilassata mentre abbandonava la strada principale per immettersi in una
secondaria.
“Credo di aver fatto bene a concedergli ancora un paio
d’ore in mia compagnia” disse Vivian, sollevata.
“Sì, sì. Sei così buona, tesoro”
“Lo so..” rispose la ragazza, inclinando leggermente la
testa di lato.
“Ma hai intenzione di vederlo ancora?”
“No! God, no! Certo che no! E’ stato..” replicò
prontamente.
“Un incubo”
“Già! E’ stato un vero...” mormorò, accorgendosi che una spia rossa si era
appena accesa lì, proprio accanto al contachilometri. Guardò preoccupata il
volante quando la macchina emise un borbottio cupo e poi iniziò a perdere
velocità. Allungò un po’ il collo per sbirciare oltre il cruscotto, cercando
segni di fumo o qualcosa di preoccupante che fuoriusciva dal cofano, ma non vide
niente di allarmante.
“La mia macchina ha qualcosa che non va” disse, stringendo
forte le dita sul volante. Rinsaldò la presa, quando dovette affrontare una
curva e poi rilasciò silenziosamente il fiato rendendosi conto che la strada si
allargava, sfociando in una banchina piuttosto ampia. Accostò a destra, senza
quasi dover premere il pedale del freno visto che la sua auto si stava fermando
docilmente.
“Che succede?”
“Non lo so. E’ tutto spento, non dà segni di voler..”
mormorò in apprensione. Studiò il cruscotto, provando poi a girare la chiave nel
quadro, senza ottenere risultati.
“Tesoro, devo andare. Trevor mi passa a prendere tra dieci
minuti.”
“Janice, la mia macchina… Non c’è nessuno per strada.” provò a dire.
“Ci sentiamo domani. Ricordati che dobbiamo andare a
comprare il regalo di matrimonio per quell’arpia di Morgana, mercoledì.”
“Janice..”
“Baci baci.”
Vivian trattenne un’imprecazione poco adatta ad una lady
come lei, mentre si toglieva l’auricolare dall’orecchio e la scaraventava di
malagrazia sul sedile del passeggero. Fece un paio di tentativi di far ripartire
l’auto, ma questa rimase quietamente parcheggiata sul lato della strada.
“Porca miseria” mormorò, guardando nervosa fuori dal
finestrino riempito dal buio della notte. Non sapeva se essere preoccupata o
sollevata dal fatto che la strada che conduceva alla casa di campagna della sua
famiglia fosse così poco frequentata. Di solito quella zona si animava nei mesi
estivi, quando le famiglie altolocate lasciavano la city per crogiolarsi nella
tranquillità della campagna, ma nel mese di aprile era di una silenziosità e
oscurità spaventose.
“Okay, girl. Va tutto bene” si disse, stringendo il
cellulare con le dita e aprendo la portiera. Scoccò un’occhiata in entrambe le
direzioni, rabbrividendo per il vento gelido che le sfiorò la pelle. Si avvolse
nelle braccia, mentre si portava di fronte all’auto, quasi potesse capire il
motivo del guasto semplicemente osservando la carrozzeria. Si guardò attorno,
cercando di scorgere una luce, ma tutto era immerso nella quasi più completa
oscurità, sonorizzata dal tenue fischio del vento che faceva cantare le foglie
degli alberi.
Vivian si sforzò di ignorare il principio di inquietudine
che le torceva lo stomaco, mentre tornava in macchina accennando una breve corsa
sui tacchi alti. Richiuse la portiera, costringendosi a non muoversi più
velocemente del normale mentre inseriva la sicura.
“Va tutto bene” si ripeté aprendo la rubrica del cellulare
“Quelli del soccorso stradale verranno a recuperarti in un battibaleno”.
Fece partire la chiamata, appoggiando il capo contro il
poggiatesta. Socchiude gli occhi, ascoltando un messaggio preregistrato che la
informava che tutti gli operatori erano al momento impegnati. Interruppe
bruscamente la comunicazione, osservando preoccupata la strada silenziosa
attraverso il vetro del finestrino.
“Dannazione” bisbigliò, obbligandosi a usare un tono di
voce normale. Non voleva cedere al panico, non c’erano briganti o mostri o
chissà che altro in giro. Aveva fatto quella strada milioni di volte durante il
giorno e non le era mai, mai capitato niente di più brutto di un coniglio
selvatico che attraversava la carreggiata. Sarebbe andato tutto bene. Doveva
solo rintracciare qualcuno che andasse a prenderla.
Fece per chiamare suo padre, quando si ricordò che
probabilmente in quel momento era in aereo di ritorno da un viaggio al Cairo.
Non sarebbe atterrato prima di un paio d’ore.
“Potrei chiamare un taxi” mormorò, sentendo un brivido di
paura scorrerle sulla schiena, mentre si accorgeva che la voce suonava
spaventata alle sue stesse orecchie. Scosse la testa, mordendosi forte il labbro
inferiore. Nessun taxi sarebbe mai venuto a prenderla così fuori Londra e lei
non aveva idea se ci fosse o quale fosse il numero di una stazione di taxi
locale.
Si passò una mano sul viso, espirando profondamente.
“Va tutto bene. Sei appena fuori Londra, non sei in un
posto selvaggio e sottosviluppato come.. la steppa argentina! Sei nel pieno
della civiltà e non può succederti niente di brutto qui..” si disse, chiudendo
fuori dalla mente tutte le scene di film e telefilm dove una bionda bella e con
tette da urlo veniva fatta a pezzi dal maniaco di turno.
Guardò fuori dal finestrino, avvertendo lo stomaco
contrarsi dolorosamente nell’osservare come le ombre gettate dagli alberi
danzavano in modo sinistro sull’asfalto nero. Non credeva ai mostri… davvero,
era solo che non le piaceva essere da sola in un posto buio e isolato di notte.
Fece scorrere la rubrica del telefono, cercando di decidere
chi contattare. Janice era fuori questione, Kimberly e Lauren erano andate in
una spa, per di più senza invitarla. Si bloccò leggendo un nome.
Si morse l’interno della guancia, lanciando un’occhiata
preoccupata all’oscurità, colmata dai rumori incombenti del bosco. Selezionò il
nome e fece partire la chiamata, continuando a scrutare l’oscurità.
Rispondi, per favore. Per favore, rispondi, per favore..
“Vivian?”
Strinse maggiormente il cellulare con le dita, ascoltando
la sua voce calda. Era come una coperta rassicurante che l’avvolgeva, come una
mano salda a cui aggrapparsi quando le onde minacciavano di trascinarla via.
“Mi si è fermata la macchina” disse. Dall’altra parte le
rispose soltanto il silenzio. “Puoi venirmi a prendere?” aggiunse. Chiuse gli
occhi, rendendosi conto di aver usato un tono a metà tra l’autoritario e lo
scocciato. Non avrebbe voluto apostrofarlo così, ma stava letteralmente morendo
di paura e generalmente cercava di non darlo a vedere usando la sua
aggressività.
Per favore, non...
“Dove sei?”
“Sulla provinciale 73, sto andando nella mia casa di
campagna. Ho già superato la biforcazione ... quella con il masso delle mura
romane. Sono...”
Serrò forte le labbra, ricacciando giù la tentazione di
dirgli che era da sola, al buio e che era veramente terrorizzata. “Sono da
qualche parte, prima di arrivare al paese con la casa dei miei”
“Okay, sono ancora in un cantiere in periferia. Dovrei
arrivare in meno di un’ora.”
Vivian deglutì a vuoto, ascoltando la voce rassicurante e
pratica di Leon. In un’ora sarebbe stato lì e l’avrebbe portata a casa. Sarebbe
andato tutto bene. Lei ne era sicura.
“Bene” replicò secca, chiudendo la comunicazione senza
dargli il tempo di salutarla. Gettò il cellulare sul sedile, rilasciando piano
il respiro.
Si era impedita di supplicarlo di far presto, era molto
fiera di sé. Una vera lady non deve mai mostrare il suo stato d’animo,
soprattutto quando si sente vulnerabile. Gli uomini potrebbero approfittarne. Si
può solo fingere di essere vulnerabili, per compiacere l’ego maschile.
Si passò le mani sulle guance, appoggiandosi più
comodamente allo schienale del sedile.
Doveva soltanto resistere per un’ora. Non era ancora
successo niente e non le era mai successo niente negli anni passati, quindi a
ragion di logica era probabile che anche quella sera non le sarebbe accaduto
nulla di brutto.
Pigiò il pulsante della radio, ma l’abitacolo rimase
immerso nel silenzio più completo.
“Dannazione” ripeté, appoggiando le mani sul volante.
Iniziò a tamburellare le dita nervosamente, facendo scorrere lo sguardo
tutt’intorno.
Ogni albero, ogni ramo, ogni minimo scricchiolio le
sembravano fonte di un potenziale pericolo, ogni ombra si trasformava in un
artiglio che voleva solo ghermire la sua carne e farla a pezzi.
“Sono solo le ombre degli alberi” si rassicurò. Rabbrividì
quando una folata di vento più intenso fece scricchiolare i rami, facendo
traboccare il bosco di rumori e crepitii.
“E’ solo il vento. E’ solo..”
Allungò disperatamente la mano verso il sedile del
passeggero e recuperò il cellulare. Leon rispose al secondo squillo.
“Sei partito?” disse, aggrappandosi al telefonino con tutta
la forza della disperazione.
“Sì. Vivian, che succede?”
“Niente. Non succede niente! Che cosa dovrebbe succedere?”
replicò offesa.
Sono solo io, che sto morendo di paura. Puoi far presto?
Per favore…
“E vedi di sbrigarti! Voglio arrivare a casa prima della
fine di Britains got talent!” sbottò, prima di interrompere la
comunicazione. Si portò il cellulare al petto, muovendosi a disagio sul sedile.
Non avrebbe dovuto essere così scortese, solo che non
voleva che si accorgesse di quanto fosse spaventata.
“Calma” mormorò “Va tutto bene. Ti ha assicurato che si è
messo in viaggio, quindi arriverà qui presto. Non c’è niente di cui...”
Sentì la voce morirle in gola, quando un grido acuto
risuonò per il bosco. Deglutì un groppo di paura, scrutando la strada con gli
occhi terrorizzati.
“Era solo un uccello. Lo so che sembrava il grido di una
donna a cui stanno facendo qualcosa di molto brutto… o qualcosa di simile, ma
no… era solo un uccello notturno. Stai calma” si ripeté, serrando la presa sul
cellulare con le dita gelide.
Allungò una mano, cercando nella borsa il suo IPod. “Un po’
di musica. Ora mi ascolto qualcosa e…” disse, scostandosi nervosamente una
ciocca di capelli dal viso “la serata passerà velocissima. Leon sarà qui molto
prima di quanto mi aspetti.”
Fece scorrere l’elenco dei cantanti, fermandosi su Taylor
Swift.
Chiuse gli occhi, stringendo il cellulare con una mano,
mentre la voce della cantante country le riempiva le orecchie.
And I said, "Romeo, take me somewhere
we can be alone.
I'll be waiting, all that's left to do is run.
You be the prince, and I'll be the princess,
It's a love story, baby, just say, 'yes'.*
Canticchiò a bassa, ogni nervo del suo corpo era tesissimo
per il nervosismo, mentre le sue orecchie cercavano di captare il benché minimo
rumore al di sotto della melodia. Abbassò il volume fino a un sussurro appena
udibile, per concentrarsi sui tumulti del bosco.
Scricchiolii legnosi, il frusciare delle foglie, il basso
bisbiglio dell’erba..
Vivian spense con rabbia la musica. Preferiva sentire un
mostro con largo anticipo, tante grazie. Ripose l’Ipod nella borsa,
scandagliando le tenebre con lo sguardo. Riprovò a mettere in moto la macchina,
ma anche quel tentativo andò a vuoto.
“Leon, dove sei?” sussurrò.
Regolò lo specchietto retrovisore nella speranza di
scorgere un paio di fari bucare la cortina della notte, ma tutto era immobile.
Ricontrollò l’ora della prima telefonata, sperando che il tempo si fosse deciso
a scorrere più rapidamente. Stava per riprendere in mano l’Ipod quando scorse un
movimento con la coda dell’occhio.
Si appiattì sul sedile, lo stomaco che sprofondava in un vortice gelido di
paura, mentre vedeva una massa scura emergere dall’intrico del bosco.
Vivian era incapace di urlare, incapace di qualsiasi reazione che non fosse
quella di stringere convulsamente il cellulare mentre la figura nera
attraversava la strada nella direzione della sua macchina.
“E’ un cane..” mormorò, la voce resa incerta dal petto
paralizzato dalla paura. “E’ soltanto un cane...” si ripeté, cercando
disperatamente di convincersi, anche se le dimensioni dell’animali erano di
molto superiori a quelle di un qualsiasi cane che lei avesse mai visto. Si
schiacciò contro lo schienale, quasi sperando di diventare tutt’uno con la
macchina, quando la bestia si fermò accanto alla portiera emettendo un forte
grugnito. Aveva zanne e un pelo fitto e nero. E occhi gialli, appena visibili
nell’oscurità della notte.
Ti prego, ti prego, ti prego… iniziò a implorare,
serrando forte gli occhi, mentre il cinghiale circumnavigava la macchina,
apparentemente molto interessato al suo odore.
Vivian emise un piccolo strillo quando l’animale colpì con
il muso la carrozzeria, prima di allontanarsi per sparire nella boscaglia.
A occhi chiusi selezionò il numero di Leon, portandosi poi
il cellulare all’orecchio. Inspirò ed espirò più volte a fondo, accorgendosi
vagamente di aver gli occhi offuscati dalle lacrime. Lei odiava avere paura,
odiava sentirsi così stupida e indifesa…
Si passò una mano sul viso, guardando freneticamente il
limitare del bosco per assicurarsi che il mostro non tornasse indietro. Magari
aveva deciso di cambiare tattica e tenderle una specie di agguato. Non appena
fosse scesa dall’auto per salire su quella di Leon, lui sarebbe sbucato di nuovo
e l’avrebbe caricata. I documentari naturalistici erano pieni di scene del
genere.
“Sì?”
Vivian serrò le labbra, tutto il suo corpo tremava dalla
paura. Non aveva mai visto un cinghiale così da vicino. E non era mai stata in
mezzo a un bosco di notte, da sola. Voleva solo tornare a casa.
“Vivian?”
Cercava disperatamente di rispondere, ma le parole le si
aggrovigliavano in gola, soffocate dal pianto.
“Vivian, va tutto bene?”
“Sì” si costrinse a dire alla fine “Probabilmente avevi
poco campo” aggiunse, scaricando la colpa sul suo cellulare. Si passò una mano
sulla guancia, fermandola poi alla base del collo. Il suo cuore batteva
all’impazzata.
“Mh” fu la risposta serafica che le arrivò dall’altra
parte. Vivian si umettò le labbra, senza sapere che altro dire. Voleva solo che
Leon si sbrigasse ad arrivare.
“Ho appena passato l’incrocio con la 45. Non dovrei
metterci molto” aggiunse l’uomo dopo qualche istante.
“Bene” replicò Vivian, mordendosi l’interno della guancia.
Il cinghiale non si vedeva più da nessuna parte. Tutto era immobile e
silenzioso. “Puoi..”tentennò, incerta su come proseguire.
“Cosa?”
“Puoi stare un po’ al telefono con me?” sussurrò,
desiderando di morire.
Arthur avrebbe cominciato a deriderla, probabilmente le
avrebbe detto qualcosa che lui considerava molto buffo per farle prendere ancora
più paura. Avrebbe iniziato ad elencarle tutte le cose terribili che potevano
succedere in un film horror a una ragazza sola, di notte, in una strada isolata.
“Sì” rispose Leon, nella sua voce non c’era traccia di
derisione. Era calmo e controllato come sempre.
Vivian ascoltò il suono del suo respiro, il sottofondo del
rombo del motore. Chiuse gli occhi e si immaginò il modo in cui il cellulare gli
sfiorava la barba che portava sempre troppo incolta, il modo in cui i suoi occhi
gentili guardavano la strada… Era rassicurante sentirlo anche solo respirare,
non c’era bisogno che dicesse niente, solo che rimanesse lì al telefono con lei.
Un gigante silenzioso che la seguiva sempre e che annotava mentalmente tutte le
stupidaggini che diceva.
E che chiedeva solo di prendersi cura di lei. Era
quest’ultima parte quella che le faceva più paura, perché quando si ha qualcuno
su cui contare poi è difficile farne a meno.
“Leon?”
“Sì?”
“Sei ancora lì?”
“Sì”
“C’era un cinghiale. Si è messo a girare intorno alla
macchina e ha ...”
“Magari voleva rubarti le
Manolo”
Vivian emise uno sbuffo di risata dal naso. “Non sei
spiritoso” rispose, sorridendo al suo stesso riflesso impresso sul finestrino.
“Non gli hai aperto al portiera, vero?”
“No! Quanto credi che io sia stupida?” replicò lei, la sua
voce aveva di nuovo assunto il tono offeso e leggermente acuto. Si mise a ridere
quando dall’altra parte le rispose solo il silenzio.
“Leon!” sbottò ancora più offesa.
“Beh ti sei innamorata di Arthur… non ti metterei mai alla
prova su certe cose...”
“Ah bene! E’ in questo modo che ti aspetti di strapparmi un
secondo appuntamento?”
Strinse leggermente il cellulare quando la risposta di Leon
tardò ad arrivare.
Forse non aveva intenzione di chiederle di uscire di nuovo.
Forse era stata una serata da incubo per lui quanto lo era stata per lei e lei
si era appena messa in posizione di ricevere un sonoro rifiuto.
Fece per dire qualcosa che potesse salvarla in extremis, ma
Leon la precedette.
“Okay, ti vedo”
Vivian sbatté le palpebre un paio di volte, accorgendosi del paio di fari
riflessi nello specchietto retrovisore. Chiuse la comunicazione quando il pick
up parcheggiò davanti alla sua BMW. Posò il cellulare nella borsa, guardando
l’uomo scendere dal furgone e recuperare una cassetta degli attrezzi dal
cassone. Si morse il labbro inferiore, tentennando un istante, prima di aprire
la portiera e scendere dalla macchina.
“Ho portato un paio di attrezzi. Non me ne intendo tanto,
ma vediamo se riusciamo a farla ripartire” disse l’uomo, grattandosi
pensosamente la barba lunga.
Vivian serrò forte le labbra, le sue gambe erano ancora
paralizzate e il suo corpo era percorso da un lieve tremore, causato dal calo di
adrenalina.
Leon era lì, era arrivato per portarla via da quel
maledetto bosco. Non l’aveva presa in giro, non le aveva detto che doveva uscire
con un dannato Trevor o che doveva andare in una beauty farm.
L’aveva chiamato e lui non aveva temporeggiato nemmeno per un istante. Lui
l’avrebbe raggiunta ovunque lei si trovasse..
Sentì qualcosa contrarsi dolorosamente al centro del suo
petto, mentre lo guardava.
L’avrebbe raggiunta ovunque sul suo pick up sgangherato,
che era così Leon.
“Vivian, dovresti aprirmi il cofano così…”
Coprì la distanza che la separava dall’uomo, abbozzando una
breve corsa. Lo afferrò per il bavero della giacca costringendolo ad abbassarsi
per poter baciarlo lievemente. Sorrise appena quando la barba le punse le
guance, facendole arricciare il nasino aristocratico.
Gli sfiorò nuovamente le labbra con le sue, allacciando le
braccia al suo collo e stringendosi maggiormente contro di lui. Le braccia di
Leon avvolte attorno al suo corpo erano così calde, così rassicuranti.
“Non voglio più restare qui” disse testarda, scostandosi
appena per guardarlo con gli occhi pieni di lacrime. “Puoi portarmi a casa?” le
uscì più piagnucoloso di quanto avrebbe voluto “per favore..”
“Ehm.. sì..” mormorò lui in risposta, le sue guance erano
leggermente rosse per l’imbarazzo.
“Okay” disse lei, slacciando le braccia dal suo collo.
Ho baciato Leon.
“Prendo la borsa” aggiunse, indietreggiando verso la sua
auto. Era arrivata alla portiera quando lui la richiamò indietro.
“Cosa?”
“D-devi salire lì sopra” le fece presente, indicandole il
pick up.
Vivian sorrise lentamente, scuotendo i riccioli biondi.
“Credo che dovrò abituarmi”
*Love Story di Taylor Swift.
Non traduco il testo della canzone perchè
sostanzialmente non serve all'economia della storia.
E' solo un accompagnamento musicale particolarmente smelenso e discutibile.
Piccolo spaziettino autobiografico, dove
sostanzialmente vi racconto i caz… i fatti miei.
Sono andata a vedere “Mistero Buffo” nell’umile
versione pop di Paolo Rossi.
Se siete appassionati di teatro o se lo spettacolo
giunge nella vostra città… andate a vederlo!
Ve lo consiglio con tutto il cuore, è uno spettacolo che ti lascia dentro
qualcosa che difficilmente se ne potrà andare. Senza contare che gli interpreti
sono bravissimi e… che il teatro è un’arte sempre in lotta per sopravvivere… Non
lasciate morire il teatro!
Soprattutto se ci offre spettacoli come quello di Paolo
Rossi.
Bene.. non so se è lo spazio più adatto per fare queste
considerazioni, ma mi sentivo di scriverle.
E ora torniamo a cazzeggiare amabilmente.
Grazie ancora a tutti coloro che mi leggono/commentano..
siete sempre gentilissimi.
Alla prossima^^
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