All, all, are sleeping, sleeping,sleeping, on the hill di Lalani (/viewuser.php?uid=32632)
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Ci sono molte cose che
il mare non conosce.
Non conosce il calore
di un abbraccio, e non perché non esistano braccia
abbastanza ampie per stringerlo, ma perché non sarebbero
abbastanza tenere e abbastanza calde neanche per concedergli la
sensazione di una carezza. È sempre e solo lui che stringe,
che soffoca, che coccola, che sfiora.
E tavolta allunga
timidamente le sue mani e ci ruba qualche fiore, qualche spiaggia,
qualche vita.
Non conosce la parola
casa: esiste davvero un angolo, tra gli innumerevoli luoghi che ha
bagnato, che possa essergli familiare e caldo, che possa essere solo
suo?
Un padre amorevole come
lui, che conosce l’unicità di ogni singolo
cristallo di sale e che accompagna le onde nella loro grigia e monotona
malinconia, dovrebbe avere un rifugio dove riposare, e sospirare, per
un attimo.
Non mi conosce, il mare.
Eppure ora mi sta
sfiorando i piedi, mi annusa e piange sopra le mie unghie. E io
sprofondo, un po’ di più.
Non avevo mai visto il
mare, prima d’ora.
Vorrei baciarlo, ma
né io né il mare sappiamo cosa sia un bacio.
Nella mia conchiglia di
solitudine, oggi ascolto la voce del mare.
E oggi il mare urla.
Oceano
in Scatola
La
vita si ascolta, così come si ascolta il mare...
Le
onde montano, crescono, cambiano le cose.
Poi,
tutto torna come prima ma non è più la stessa cosa
(Baricco)
Il segreto delle stelle,-la
gravitazione.
Un posto stretto,
comodo, un nido tra cielo e terra.
Ecco che cosa le
avevano promesso, e Shiho aveva accettato la proposta al volo: un
nastro tra i capelli svolazzanti, lenti enormi su iridi minuscole, una
gonna spiegazzata ed eccola lì, al suo primo colloquio di
lavoro, e un attimo dopo eccola nel suo disordinato studio, un angolo
luminoso profumato di cappuccino.
Certo, avrebbe dovuto
prevederlo: un istituto sismologico doveva avere i suoi terremoti, e i
giorni non potevano trascorrere tra aereoplanini di carta, timide
battute tra i colleghi e stracci di sole polveroso.
“Ma non avrei
mai immaginato…questo!” sbottò
disperata, con un’aureola di ciuffi crespi a coronarle il
volto sconvolto.
“Nessuno lo
poteva immaginare” le rispose, atono, il suo superiore.
Neji Hyuuga, viso
impeccabile, occhi di cristallo, voti incredibili e cuore di ghiaccio,
sembrava aver messo le radici in quell’istituto, nonostante
la sua austera bellezza non dimostrasse più di
trent’anni. Era un iceberg, intatto e prezioso, un eremita in
quello studio lontano dal mondo.
Mentre gli occhi
celesti di Shiho tracciavano i contorni delle guance incavate del suo
superiore, gli occhi di quest’ultimo erano fissi sul
sismografo impazzito.
Sembrava
l’elettrocardiogramma di un cuore esagitato.
Il mare stava per avere
un infarto.
“Conferma
all’istituto di Tokyo il messaggio che gli abbiamo inviato
pochi minuti fa” mormorò Neji, imperturbabile:
“Sta davvero arrivando uno tsunami”.
Shiho emise un singulto
strozzato e corse via, per riconfermare il messaggio e avvertire i loro
colleghi in timorosa attesa.
Stupidamente,
l’unico pensiero coerente che riuscì a formulare
fu che il mare sembrava così limpido e luminoso, accecante,
in quel profumato giorno di Maggio, mentre quella sera stessa avrebbe
raggiunto il cielo e mangiato le stelle.
“Gliel’avevo
detto, signorina Haruno, il mio ginocchio predice ogni sorta di
catastrofe! Dovrebbero esaminarlo, anzi, farci un documentario in
televisione! Lei mi accompagnerebbe, non è
così…?”.
Era incredibile come
l’allegria del paziente più anziano e
più esuberante del reparto, il signor Fujibara, non venisse
scalfita dall’imminente catastrofe che presto si sarebbe
abbattuta sulle loro coste, sulle loro anime.
“Interessante,
signor Fujibara…ma ora si dia una calmata, o mi
costringerà a riempirla di sedativi”
mormorò Sakura con l’ultima briciola di entusiasmo
che le era rimasta impigliata, quasi per sbaglio, nella fitta ragnatela
che attanagliava il suo cuore.
Strizzò
l’occhio al malato e poi fuggì.
Ma no, non poteva
fuggire: il mare era lì, ai suoi piedi, ai piedi del
minuscolo, frenetico ospedale che si era inciso nel suo animo con una
facilità disarmante. Non c’era paragone tra il
violento amore per il lavoro tanto agognato e il ricordo bruciante di
Tokyo e delle sue comodità, della sua famiglia e della sua
tranquillità.
Era sfuggita dalla
città con un cappello, una valigia e la sua tipica
ingenuità che rasentava l’infantilismo. In quel
piccolo ospedale era maturata, era entrata nell’estate della
sua vita: aveva assaggiato la frenesia e il terrore del mondo adulto.
Entrò nella
stanza con una mano ancora attorcigliata attorno ai ciuffi rosati e un
sorriso stretto e masticato fra i denti.
“Non
c’è pericolo: l’ambulanza
arriverà fra mezz’ora e noi abbiamo tutto il tempo
per prepararci”.
Uno scintillio di
speranza si accese in due paia di occhi celesti fin troppo simili.
“Insomma,
puoi andare a prenderti un caffè in tutta
tranquillità, Temari” mormorò atono il
ragazzo dai radi ciuffi rossi e le braccia atrofizzate attaccate alla
flebo.
La sorella maggiore
strinse le labbra con sofferenza, ma il suo sguardo non perse la
durezza e la forza, scolpiti in un’anima di ghiaccio, che
Sakura ammirava come una figlia stimava il proprio padre.
“Dì
la verità, fratellino, avevi paura che il mare ti portasse
via??” mormorò sollevata, pizzicando le ormai
insensibili braccia del ragazzo.
“Temari, non
preoccuparti, ti porto io un caffè”
mormorò quieta Sakura “Voi riposate: ci aspetta un
lungo viaggio” consigliò lasciando la stanza e la
sua intima atmosfera fraterna.
Il giovanissimo medico
sospirò: la sua nuova vita si era appena addomesticata ai
ritmi dell’ospedale ed ecco che il mare, quasi sconosciuto
per una cittadina come lei, sconvolgeva il suo perfetto e immacolato
ordine.
L’allarme
tsunami era stato diramato da pochi minuti e il piccolo paese era
già in preda al panico. L’ospedale sarebbe stato
evacuato e sarebbe rimasto solo a fronteggiare la furia
dell’oceano: la sua nuova casa appariva così
fragile e familiare, se paragonata alla fredda morsa
dell’imminente onda assassina.
Persino le stelle
avrebbero tremato, quella notte, e Sakura lo sapeva: il loro
più antico segreto, la gravitazione, la loro continua e
immobile danza nel cielo, sarebbe stato frantumato dagli elementi della
terra.
Solo i due fratelli
Sabaku, già sconvolti dalla malattia infinita di Gaara,
sembravano in sintonia con l’imminente tragedia: la loro
stanza pareva un acquario e Gaara ci galleggiava dentro, come una
bellissima stella cadente sciolta nel mare.
Sakura sospiro, sfinita.
Il suo sole era
così lontano, in quel momento.
Il segreto della terra,-strati
di rocce.
Me l’avevano
detto in molti; relativamente in molti, dato che conoscevo le stesse
quattro persone da tutta la vita.
Me l’avevano
detto in molti che sembravo vivere sottovuoto, come una ciliegia
ubriaca e rattrappita sotto l’alcol, sotto spirito.
Trovavo più
poetico dire che vivevo in una conchiglia, una di quelle candide e
semplici, sepolte sotto tonnellate di acqua salata, e che il mio
spirito era una perla, di quelle minuscole e dal valore incerto.
Bè, lui
rideva sempre di queste mie metafore: conducevo uno stile di vita
troppo filosofico ed eremita per lui, che aveva sulla pelle i segni
indelebili della vita cruda, reale, quella che mi era sempre stata
preclusa.
“Non posso
più cibarmi di sogni; sono esplosi come bolle”
aveva mormorato con il suo ghigno allegro e nascosto “e tu
dovresti cibarti di carne, o svanirai. Esci dalla conchiglia, mio goffo
paguro.”
Sotto il mare, sotto le
onde, sotto il mondo che non ho mai conosciuto, ci sono tesori preziosi
e perduti, come nella mia anima.
Ma per lui era diverso:
la sua anima era terra e fango. E sotto la terra ci sono solo rocce
senza vita, rocce che non possono essere distrutte.
Io ho perso sangue e
ossa nel tentativo di scalfirle e di affondare le mie mani nel suo
cuore ferito.
“Ripetimelo”.
“Questo
tsunami sarà la nostra salvezza! E tira giù i
piedi, l’auto è mia!”
“Ma se
l’estetista ha appena finito di farmi il
pedicure…”
“Pagato
sempre con i miei soldi, vorrei sottolineare!”.
Ino, dopo diversi mesi
di pacata collaborazione con Sasuke Uchiha, ancora non si capacitava di
come la sua iridata bellezza risultasse totalmente inefficace contro il
suddetto socio e di come spesso la trattasse come un peluche,
sprimacciandola e trascinandola di qua e di là a suo
piacimento.
Però in quei
mesi di rado aveva visto i suoi occhi d’ebano scaldarsi per
l’eccitazione.
“Rifletti:”
mormorò febbrile il ragazzo, mentre cercava di non rimanere
bloccato nel traffico che si era formato in quei minuti di panico dopo
la diramazione dell’allarme tsunami “gli antifurti
andranno all’altro mondo, la polizia se la darà a
gambe levate e i cavò saranno solo nostri!”.
La bocca di Ino si
spalancò, sconvolta, ed ebbe la sensazione che persino i
suoi capelli si stesero sciupando per l’oltraggio subito.
“Sasuke
Uchiha” cominciò, puntando un dito tremante contro
il guidatore “stai dicendo che io, Ino Yamanaka, sublime e
infallibile ladra di professione…”
“Fino a prova
contraria, io sono il ladro: tu se solo il palo”
ribatté atono Sasuke.
“Io dovrei
diventare uno sciacallo??” concluse la ragazza, ancora
incredula.
“Non vedo
differenza. Rimarrai la solita ladra goffa e vanesia”.
“Un ladro non
approfitta delle disgrazie per i suoi furti!”.
“Ah
no?” borbottò Sasuke, sardonico “forse
non te ne sei accorta, ma io non sono Robin Hood: nessuno scrupolo e
nessun beneficio per il prossimo; piantala di fare la santerellina! I
ladri di tutto il mondo ci staranno invidiando, nessuno di loro ha mai
avuto una simile fortuna!”.
Ino sbuffò,
grattandosi via i rimasugli dello smalto color vinaccia: era
impossibile discutere con l’Uchiha. La bellezza fragile e
quasi eterea del ragazzo era in totale contrapposizione con la durezza
e la forza di ogni sua frase e di ogni suo gesto. Era un diamante
perfetto, con un viso di cristallo e un’anima
d’acciaio. E, come ogni persona di questo genere, era solo,
immerso in un mondo pieno di angeli incompresi. E non si potevano
scalfire, tutte quelle rocce che imprigionavano il suo cuore.
Ino ci aveva provato,
ma i suoi solari ed entusiasti tentativi si erano scontrati troppo
presto con la durezza del socio. Lei, dopo essere scappata di casa,
complice la mancanza di soldi e di affetto, cercava solo un angolo
pulito e discreto dove rifugiarsi e respirare il vero odore della
vita…e invece si era trovata complice di un ladro e ladra a
sua volta. Un’anima errante.
“Non ti
preoccupare” mormorò Sasuke, come se avesse
percepito il suo nervosismo “Te l’ho detto, no?
Dopo aver racimolato quest’ultima somma, Tobi mi
rivelerà il nascondiglio di Itachi, ci divideremo il denaro
e poi voleremo verso orizzonti diversi, senza più problemi o
rimpianti”.
“Lo so, lo
so, ormai questa tua ossessione è diventata una
filastrocca” sbuffò Ino, mentre scrutava il cielo
che avrebbe probabilmente accolto lo tsunami: limpido e celeste.
L’unica
ragione per cui il distinto Sasuke Uchiha si era trasformato in un
ladro era ritrovare suo fratello, o meglio, i soldi che aveva rubata
alla miliardaria azienda Uchiha Corporation, che ormai era
sull’orlo del fallimento.
Una vendetta, ecco cosa
voleva rubare Sasuke Uchiha.
“E comunque,
come facciamo a fidarci di uno così?”
sbottò Ino “Si fa chiamare Tobi…Cristo,
Uchiha, il mio cane si chiamava Tobi!!”
“Cari
telespettatori, come potete vedere, la situazione, nonostante la sua
gravità, è sotto controllo!”.
Bisognava ammetterlo:
Lee non bucava solo lo schermo, ma probabilmente anche gli occhi e le
orecchie degli ascoltatori. Ma Ten Ten, che ormai lo seguiva con la sua
telecamera da diversi mesi, si era abituata ad avere gli occhi color
nocciola sempre puntati su quel sorriso enorme( almeno quanto le sue
sopracciglia) e ad apprezzarlo nella sua originalità.
“L’allarme
tsunami è stato lanciato pochi minuti fa, ma come sappiamo
il tempo a nostra diposizione prima dell’ arrivo
dell’onda assassina è sufficiente per permettere
un’ordinata evacuazione dei villaggi costieri più
a rischio! Non siate in ansia: le autorità competenti sono
continuamente aggiornate dai sismologhi di Tokyo e dagli esperti del
nostro studio! Quindi non temete per i vostri cari! Come potete vedere
in loro brucia il fuoco della giovinezza!” concluse con
entusiasmo.
Ten Ten si
precipitò ad inquadrare la piccola città che si
muoveva come un solo uomo verso l’interno del territorio:
nonostante l’enorme quantità di macchine, di
fuggitivi a piedi e di famiglie che cercavano di salvare i loro oggetti
più cari, i militari erano stati bene istruiti e
organizzavano l’operazione con sicurezza e
velocità.
Eppure gli occhi di Ten
Ten continuavano a saettare sul mare limpido, un gatto che ammaliava
con iridi dolci un topolino troppo avventato.
“Non lasciare
che la paura spenga il fuoco della giovinezza, Ten Ten!Il servizio non
è ancora terminato!” esclamò Lee.
Infatti avrebbero presto riavuto la linea dal loro telegiornale per
eventuali aggiornamenti sullo tsunami in arrivo.
Ten Ten aveva sempre
avuto una personalità entusiasta e intraprendente: appena
ricevuto il posto di reporter, invece di riprendere noiosi dibattici
politici o sfilate d’alta moda, si era buttata in disastri
ambientali, incidenti mortali, cronaca nera e solo la sua giovane
età le impediva di precipitarsi nelle zone di guerra.
Mai avrebbe sognato di
ritrovarsi in compagnia di un giornalista ancora più
scatenato e impavido di lei.
“Figuriamoci,
Lee, io non ho mai avuto paura in vita mia!”
esclamò fiera Ten Ten “Sei tu che sei
stancante!”.
Entrambi sorrisero,
complici, e approfittarono di quel momento di calma, così
raro nel loro lavoro, per sospirare, almeno per un attimo.
Erano sul balcone di un
modesto edificio abbandonato, stretto e illuminato da diversi gerani
color rubino, ed era incredibile il silenzio e la calma che regnavano
in quel piccolo regno tra cielo e terra, tra nuvole e onde. Era come se
la pioggia stessa avesse seminato e coltivato quel piccolo angolo di
paradiso.
Ten Ten si sporse,
appena appena, tanto per controllare che la terra fosse ancora
lì e non fosse volata via, o dissolta fra le nuvole.
“Ma…”.
“Non ti
preoccupare, Ten Ten” la interrupe Lee, con il suo solito
enorme sorriso, che aveva compreso l’ansia della collega
“Mancano ore, insomma, ore, all’arrivo dello
tsunami! La città è piccola, sarà
evacuata in un attimo e noi avremmo fatto un servizio
fantastico!”.
Ten Ten sorrise: la sua
indole coraggiosa ma a volte pessimista era ben compensata con la
solare allegria e l’infantile ottimismo di Lee.
“Speriamo
solo che l’elicottero si ricordi di
noi…” sospirò, sorridente. Il mare,
dietro di loro, ghignava.
Infatti i due
giornalisti erano atterrati sull’enorme condominio
abbandonato con l’elicottero della protezione civile, con il
quale stavano sorvolando la zona costiera, evidenziando alcuni problemi
ambientali per un servizio naturalistico. Ma quando era arrivato
l’allarme tsunami, l’incosciente Rock Lee aveva
fatto il diavolo a quattro per scendere a terra e registrare, a sua
detta, “un servizio storico, un trampolino di lancio per la
nostra carriera!”.
Il loro sacrificio, il
loro scavare rocce su rocce, le loro speranze li avevano portati
lì, a un passo dal mare, a un passo dal successo.
Queste parole avevano
convinto definitivamente Ten Ten, che aveva persuaso con maniere
più o meno lecite e ricatti più o meno sottili il
pilota a lasciarli sull’edificio prima di ripartire alla
volta di cittadini più bisognosi prima di tornare a
riprenderli.
“Certo che
ritornerà!Era un pilota estremamente giovanile”
esclamò Lee, fiducioso “E poi, i soldi che gli ho
allungato sono stati estremamente persuasivi!”
“Cosa???”
Il segreto del suolo,-ricevere
il seme.
Era una delle idee
migliori che il suo meraviglioso cervello avesse mai elaborato .
Non smetteva di
pavoneggiarsi, Suigestu, mentre nuotava elegante come una sirena tra un
banco di pesci argentati e sfiorava enormi anemoni variopinti.
Quale migliore idea
delle immersioni subacquee per chiudere la bocca alla sua eterna
appendice, o meglio, alla sua adorabile metà?
D’altronde
gliel’aveva detto lei stessa che se intendeva salvare la loro
relazione doveva trovare una soluzione originale e praticamente
miracolosa.
Bè, non che
Suigestu fosse amante di storie complicate e ragazze violente e irose
come la sua Karin, ma doveva ammetterlo: lei era l’unica che
riuscisse a smuoverlo dalla sua inerzia e avesse il fegato di
contestare le sue decisioni.
E poi non si sarebbe
mai potuto perdere lo spettacolo di Karin in tuta subacquea che si
agitava terrorizzata alla vista di un banco di innocue sardine che la
circondavano curiose.
Si diresse a salvare la
propria ragazza, la sua Karin con un cuore di pietra che lo faceva
penare
Le prese la mano e per
un attimo si soffermò sul mare color petrolio, la sua
seconda casa, il suo paradiso turchese. Ed era quasi commovente poterlo
condividere con Karin, in un etereo silenzio che sulla terra non
riuscivano mai a concedersi.
Erano dei semi a cui
era stato fatto il regalo più grande: poter scegliere il
loro suolo, un suolo morbido fatto di onde.
Quel giorno il mare era
una culla.
Erano anni che Neji
Hyuuga, cresciuto come un bonsai perennemente potato, non lottava come
un’ostinata edera sui rami della vita.
Ma non c’era
tempo, per la vita e per il decoro: i capelli di seta volteggiavano
come onde prigioniere del vento e il suo viso di cristallo era pieno di
crepe.
Correva, e il suo
cuore, così abituato alla calma e al riposo, correva con lui.
Dietro Neji, Shiho
incespicava come una variopinta farfalla nell’aria.
“Professor
Hyuuga! Aspetti! Non può scatenare il panico in
città per una supposizione infondata!!”
gridò Shiho con voce fioca e i capelli avvolti da
un’aureola di luce.
“No! Non
commetterò un altro errore!” borbottò
affaticato Neji, sotto lo sguardo incredulo della giovane collega
“Ti dico che i sismologhi di Tokyo sono stati troppo
ottimisti nel loro pronostico! Forse sulle loro coste lo tsunami
arriverà fra ore, ma per noi sarà già
troppo tardi! Sta prendendo velocità e arriverà
al massimo tra mezz’ora!”.
“Professor
Hyuuga!” gridò Shiho, in preda al panico
“Neji, aspetti!”.
Gli afferrò,
gelida.
“La prego
professore, non distrugga tutti questi anni di lavoro”
mormorò la ragazza, imbarazzata e spaventata: si sentiva
un’insignificante lucciola di fronte all’eterna e
splendente luna “Ma non capisce? Questo errore può
danneggiare inevitabilmente tutta la sua carriera a futura!”.
Questo seme del dubbio
potrà crescere e maturare in un edera che si sarebbe
arrampicato su Neji per il resto della sua vita. Avrebbe succhiato via
ogni sua possibilità di riscatto, assorbito veleno e ucciso
le radici di un nuovo germoglio.
Neji strinse la mano
della ragazza, una carezza gelata.
“Ho
già fatto un errore simile, un errore che mi ha incatenato e
trascinato a terra. La mia situazione non cambierà con un
altro sbaglio… ma oggi potrò espiare la mia
precedente colpa” mormorò con calma forzata.
Un’ultima,
forte, stretta alla mano nivea di Shiho e poi la paura si
affacciò di nuovo sul volto dei due sismologhi.
“Dobbiamo
sbrigarci a trovare un incaricato dell’operazione di
evacuazione, o meglio, raggiungere le stazioni radio o televisive non
ancora abbandonate! Se mandiamo adesso un messaggio a Tokyo, non
riusciranno a ricontrollare i dati in tempo!” disse Neji
sotto lo sguardo incerto ma risoluto della collega.
Nessuno dei due
sismologhi era un corridore e raggiungere le scale esterne
d’emergenza fu uno slalom di fogli vaganti e armadi
traballanti. Un penetrante odore di aria salmastra invase le loro
narici appena giunsero all’esterno dello studio, come a
confermare l’oscura forza marina che ribolliva tra le onde.
Scesero saltando i
gradini, con i camici al vento e i volti sconvolti; l’unico
rumore udibile era il tintinnio delle scale cigolanti e il battito
furioso del loro cuore impazzito.
“Aspetti,
professore!”.
Neji si
voltò. A metà scala vide Shiho si era
sporta nel vuoto e aguzzare le minuscole iridi dietro occhiali troppo
spesse.
“Professore,
guardi! Hanno una telecamera…e un
microfono…” borbottò la ragazza
lottando contro la sua scarsa vista.
Ma Neji poteva vedere
per entrambi, e la speranza, come una semplice candela in una stanza
buia, parve rischiarare il suo animo più del sole.
Con uno spirito
atletico nascosto nel suo rigido corpo, saltò dalla scala
d’emergenza fino a un pittoresco balcone
dell’enorme magazzino abbandonato praticamente attaccato allo
studio sismologico, vicino a quello su cui litigavano ferocemente due
ragazzi.
“Hai corrotto
il pilota?? Lee, sei un idiota! Faranno un’indagine, ci
copriremo di ridicolo, ci…o mio Dio, ci
licenzieranno!”
“Ten Ten, con
lo tsunami e tutto questo caos chi vuoi che si ricordi di qualche
banconota passata di mano?? Abbi fiducia nel forza della
giovinezza!”.
“Tu
l’hai mandata a quel paese la mia giovinezza, assieme al mio
lavoro e alla mia dignità…e lei chi
è?” chiese Ten Ten, lasciando per un attimo il
tenero collo di Lee, perfetto da strangolare, mentre Neji atterrava con
grazia sul balcone.
“Oh, ci
stanno ridando la linea…” mormorò Lee
con voce soffocata, tastandosi l’auricolare.
“Ottimo”
borbottò Neji, mentre Shiho scavalcava con fatica il balcone
e Lee esibiva il suo enorme sorriso.
“Ecco i nuovi
aggiornamenti sullo tsunami in arrivo!” esclamò
con enfasi e guardando fisso la telecamera di Ten Ten.
“L’allarme
non era preciso: l’onda arriverà sulle nostre
coste fra meno di mezz’ora!!” gridò
Neji, infilandosi fra la telecamera e il giornalista.
“Come??”
chiese Lee, attonito.
“È
inutile continuare l’operazione…”
“Ten Ten,
taglia, taglia!”
“Subito!
E…ma che diavolo! Molla la mia telecamera, talpa!”
“Vi prego,
fate parlare il professor Neji!”
“…Salite
sui piani superiori della abitazioni più alte e costruite di
recente, dovrebbero reggere alla forza
dell’urto…”
“Professore,
la sua tesi è estremamente giovanile, ma da quali elementi
è supportata?”
“Ma quale
professore, stai parlando con un pazzo, Lee! E tu mollami, lascia la
mia telecamera!!Regia, chiudete il collegamento!”
“Mi sa che ci
licenzieranno per davvero, Ten Ten!”.
“Graffi.
Tanti graffi”.
“Non sono
niente. Niente.”
Vero: non erano niente
in confronto alle cicatrici che vedevo nel suo animo.
Avevo incautamente
perso il conto di tutte le volte che quel giovane dal ghigno enorme e
l’animo martoriato era stato ricoverato
nell’ospedale di mio padre.
Era il primario, mio
padre: avrebbe dovuto capirlo, avrebbe dovuto avere pietà.
Ma proprio come con la
mia insensata debolezza, era stato cieco al dolore di quello spavaldo
giovane con il sole nel volto.
“I tuoi
genitori vengono a prenderti? Non sono preoccupati?” chiesi
in un giorno di vento.
Silenzio e una domanda
come risposta.
“Da quanto
sei qui?” mi chiese, quel giorno. Aveva visto che nei miei
occhi non c’era il colore del cielo?
Aveva visto che ero un
seme rinsecchito senz’ acqua?
“Da sempre:
mio padre dice che sono di salute molto cagionevole e mi lascia uscire
molto di rado”.
“Ma tu non
sei malata…e sei libera!” esclamò,
incredulo e permaloso.
Quanto può
essere libera, un onda, nell’immensità
dell’oceano?
Erano passati pochi
minuti dal delirante annuncio e il nuovo allarme, dichiarato certo e
imminente da quel pazzoide dagli occhi di ghiaccio, non era ancora
stato smentito.
“Come se ci
stessero riflettendo…ma, chissà, forse! Tanto
loro sono al sicuro nel loro studio e noi gli idioti a dieci metri dal
mare!” borbottò Sakura, mentre si dilaniava le
unghie e scrutava con odio la televisione che non annunciava niente di
preciso.
“Oh andiamo,
Sakura, l’hai visto anche tu, era un folle, non ci stava con
la testa!” ribadì deciso Shikamaru, il genio di
quel piccolo ospedale. Era spuntato come un germoglio screziato in un
mare di fiori bianchi.
“Vedrai che
riconfermeranno il precedente allarme e ci trasferiranno tutti con la
massima calma” concluse con tono seccato mentre la mano
scattava a prendere il pacchetto di sigarette.
Ma Shikamaru non
finì la frase e non agguantò le sigarette: un
addetto al piano di evacuazione si avvicinava con un viso che mal
celava un crescente nervosismo.
“Signori, mi
dispiace interrompervi, ma dobbiamo accelerare l’operazione.
Probabilmente abbiamo meno tempo del previsto”
borbottò concitato.
“Come??”
saltò su Sakura, mentre Shikamaru spalancava la bocca,
esterrefatto “Ma allora quello strano
professore…?”.
“Purtroppo
non è da escludere che avesse ragione”
mormorò “Ve ne dovete andare, adesso! Vi
riferiranno i dettagli al piano terra…”.
“No, non
possiamo!” sbottò Shikamaru “Ci sono
ancora i fratelli Sabaku!”.
“Gaara
necessita di un’ambulanza specializzata! Non possiamo
muoverlo altrimenti!” confermò Sakura.
“C’è
un malato così grave?” chiese spiazzata la guardia.
Non si
stupì, Sakura, dell’incredulità
dell’addetto. Il loro ospedale era un ex-sanatorio,
sull’orlo del mare, eroso dal glicine, semplice e minuscolo:
ben pochi malati gravi si sarebbero fatti ricoverare lì. Ma
i fratelli Sabaku non potevano permettersi altro: Sakura conosceva ogni
goccia di sudore sul volto di Temari, ogni lavoro che aggiungeva alla
sua lista per coprire i costi troppo elevati per le cure
dell’amato fratello, l’unico rimasto della famiglia
che l’aveva abbandonata. Conosceva la sofferenza e la
stanchezza, ormai apatica, di Gaara e la speranza che giaceva, morta,
nei suoi occhi pallidi. Quante volte aveva pregato per loro?
Sakura
scattò verso il telefono mentre Shikamaru cercava di
trattenere, inutilmente, la guardia ormai terrorizzata.
“Shikamaru,
non rispondono! Eppure l’ospedale centrale aveva promesso che
l’ambulanza sarebbe arrivata in pochi minuti!”
mormorò, disperata.
L’espressione
di Shikamaru era di pietra.
“Sakura,
ormai si è scatenato il panico: forse l’ambulanza
si è fermata a soccorrere qualche ferito in questo caos
oppure è bloccata o gli autisti se la sono
filata…sta di fatto che non arriverà in tempo.
Ormai l’ospedale è vuoto, manchiamo solo
noi”.
Dov’era,
il suo sole?
“Cosa
succede? Ma gli altri sono già stati tutti evacuati? E
l’ambulanza?”.
Shikamaru e Sakura
sospirano e distesero il viso, in modo che i loro volti non
riflettessero lo stesso panico di Temari.
Ma non potevano
nasconderle il pericolo ormai imminente.
“Preoccupata,
testa d’ananas?” Shikamaru mormorò con
voce incerta ma supponente “Non lo sai che il genio ha sempre
tutto sotto controllo?”.
Temari strinse gli
occhi con forza, la poca che la malattia di Gaara non le aveva rubato.
“Sai, tendo a
non fidarmi dei ragazzini” ribatté con un ghigno
appena accennato, rivolgendo poi la sua preoccupazione verso Sakura,
che aveva la gola secca e la mente spenta.
Shikamaru
sospirò, con forza. Perché doveva addossarsi lui,
tutte le cattive notizie e seccature varie?
“Temari,
ascolta…l’ambulanza…eccola! Visto?
Tutto sotto controllo!”.
Era proprio vero:
parcheggiata proprio sotto di loro, ecco la tanto agognata ambulanza.
Sakura si mise a
correre, finalmente euforica e con una gioia atavica che
l’esplodeva nel petto, la stessa che sgorgava dal suo petto
ogni volta che vedeva il sorriso di un paziente guarito. La stessa
gioia che seminava ogni giorno, nel suo lavoro, e dopo ore, minuti e
secondi diventavano fiori. La gioia che avrebbe voluto vedere riflessa
sul volto di Gaara.
Sakura
arrivò, estatica, al pian terreno: era pronta a baciare e
idolatrare l’autista, il suo salvatore…
“Sakura,
amore mio! Ti ho fatto una bella sorpresa, vero?? Il tuo Naruto
è venuto a salvarti dallo tsunami! E ho pure trovato il
tempo per comprarti un po’ di ramen!”.
O forse no.
Il segreto del seme,-il
germoglio.
Neji non era solo mio
cugino; era la mia guida, la mia spalla, un custode fedele, mio
fratello e
la mia ombra.
“No, non
possiamo fare un’accusa così grave? Ma ti rendi
conto? Non li conosciamo nemmeno!”
“Neji…c’è
qualcosa di oscuro, Neji, qualcosa di terribile nell’animo di
quel ragazzo!”
“Bambina”
mormorò con la poca sensibilità che possedeva
“sicuramente ti sei impressionata per qualcosa che ti ha
detto…dimmi, non starà cercando di
spaventarti?”
“No,
Neji…è lui che tenta di nascondermi il suo
dolore…”
“Allora non
ci dobbiamo intromettere! Ricordati: anche se tuo padre è un
medico e tu sei spesso a contatto con i suoi pazienti, non devi farti
influenzare dalle loro vite.”
“Neji…”
“Rimani qui,
bambina. Non farti portare via”.
Ha seminato il seme
dell’incertezza e dell’apatia, come ogni uomo nella
mia vita prima di lui. Ha disseminato nella mia anima germogli laceri e
rachitici.
Mi ha lasciato anche
lui, nel mare che non ho mai visto.
Ed è stato
il suo rifiuto che mi dato la forza di indagare, di salvarti, di vedere
chi ti infieriva quei tagli.
Non lo sapevo, non lo
sapevo.
Non lo sapevo se era la
prima volta che tuo padre alzava le mani su di te. Sembravi
così agile e forte, ma eri fragile come fiore, sotto le sue
urla.
Tu urlavi, e io ero
muta.
Eppure sono stata io a
ribellarmi: io che ti conoscevo a malapena, che non avevo mai visto
quello schifoso ubriacone di tuo padre, che non conoscevo il dolore e
la debolezza di tua madre, io che ti ho donato solo un sorriso quando
eri ricoverato nell’ospedale di mio padre, nella mia prigione.
Eppure sono stata io a
sparargli, a tuo padre.
Se non avesse lasciato
l’arma abbandonata tra le bottiglie, se tu non mi avessi
guardato con quegli occhi così neri, se io non fossi stata
così fragile.
Ma non ti preoccupare
per me. Ora il mare laverà via i miei peccati.
Ma non incolparti di
quello che è successo.
Tu hai seminato in me
coraggio e forza, e mi hai donato i fiori della speranza, nel mio modno
pazzo.
È proprio
così, il mio mondo, è proprio come il mare:
ovattato, immobile, denso. E giù, giù,
giù, nella mia anima, ci sono tutte le mie emozioni,
compresse, stuprate, schiavizzate, immense come l’oceano.
C’è
un oceano di emozioni, nella mia anima. Compresso, stuprato e
schiavizzato.
Un oceano imprigionato,
immobilizzato.
Un oceano sottovuoto.
Un oceano in scatola.
Forse fu proprio lei,
Ino, a percepire per prima l’imminente arrivo
dell’onda. Forse perché era abituata alle
catastrofi, alle frane che erano crollate sul suo cuore, a un
seminatore crudele, che, imparziale, disseminava dolori solo per lei.
Prima aveva perso l’affetto della famiglia
(l’aveva mai
avuto?) e poi la casa e il suo cuscino caldo.
Aveva poco da
lamentarsi, il suo “socio” Uchiha.
Forse.
“Sasuke…c’è
troppa confusione là fuori!” esclamò la
ragazza preoccupata.
“Sai, non
capita tutti i giorni che arrivi uno tsunami”
mormorò, atono come sempre, il collega.
“Ma prima si
stavano muovendo tutti in modo ordinato… e ora, guarda
là! Stano correndo come pazzi!”.
“Il solito
gruppo di isterici…non ti distrarre e ammira.”
Il suo compare stava
trafficando da qualche minuto con la minuscola ma precisa bomba che era
riuscito a fabbricare dopo mesi di lavoro e informazioni ricattate.
“Questo
gioiellino farà esplodere il cavò in un
nanosecondo” mormorò con un’espressione
estatica, quasi reverenziale “Ci basta attaccarlo alla
parete( tanto ormai tutte le guardie se la sono filata e possiamo
controllare le telecamere), aspettare che arrivi lo tsunami, farla
esplodere nella confusione e poi tornare subito a prendere il denaro.
Geniale, in effetti” concluse con una nota di fanatica enfasi
nella voce solitamente apatica, mentre attaccava sofisticata bomba alla
parete che li divedeva dal denaro.
Perché si
entusiasmava tanto per la bomba e non per la bella ragazza che gli sta
accanto? Si chiese Ino, sconfortata.
La ragazza era un
germoglio su cui sbocciavano fiori di amara delusione.
I suoi occhi celesti si
spostarono sulla finestra, fuori dalla banca che avrebbero svaligiato.
E la sentì
di nuovo.
La voce del mare che si
avvicinava.
Il mare era di
petrolio, denso e oleoso.
E nero, buio, come se
fossero sul suo fondo, sulla sua pelle.
Vide Karin stringere
gli occhi miopi e la stretta al suo polso, ansiosa: probabilmente non
l’aveva bevuta, la storia che il mare si era improvvisamente
oscurato perché una balena stava nuotando sopra le loro
teste.
Sarebbe stato
preferibile, di sicuro.
Suigetsu si strinse
ancora di più alla ragazza, alla sua ancora di salvezza,
nelle profondità oceaniche: il mare, suo amico fidato, la
sua seconda casa, tremava e gemeva, piangeva, sotto il peso
dell’onda gigantesca che aveva sfiorato le loro teste. Il
mare, oggi, era un pericolo.
Per la prima volta in
vita sua sperò che Karin cominciasse a starnazzare,
ciarlare, imprecare o emettere qualsiasi tipo di suono, tanto per
spezzare il silenzio e la paura che per la prima volta lo assalivano in
mare. Che facesse germogliare risatine o ghigni, battutacce o grida
assordanti.
E invece
restò zitta, assieme a lui, ad ascoltare l’onda
rotolare con fatica tra le sue sorelle, guardarli, accarezzarli appena
e poi proseguire nella sua furia disperata.
E per la
prima volta rimpianse il rumore.
In compenso, la sua
dolce metà si esibì in una moltitudine di gesti
indispettiti, usando il linguaggio a gesti dei sub: era davvero una
balena? Che fine aveva fatto il motoscafo? Era uno stupido scherzo,
vero, viscido mollusco?? Se era successo qualcosa ai suoi amati
salvagenti rosa di Hello Kitty, rimasti sul motoscafo,
l’avrebbe aperto in due come una cozza!
“Mi stai
dicendo che sei arrivato fino a qui da Tokio con
l’ambulanza??”
“Già,
e ho pure trovato il tempo per il ramen! Non sono stato
fantastico?”
“No, tu sei
pazzo, Naruto! Come hai potuto prendere un’ambulanza per i
tuoi scopi personali? Sei la solita testa quadra, non sei cambiato una
virgola dall’asilo nido! Ma chi ti ha fatto entrare nella
protezione civile??”.
“Scopi
personali?? Ma Sakura, io dovevo venire a salvare te! E poi ho appena
sentito alla radio che lo tsunami sarebbe arrivato nel tuo paese molto
prima che a Tokyo…”
“ Mi dispiace
molto interrompere questo momento così
toccante…” lo bloccò Shikamaru,
divertito dalla scoperta del nuovo e burrascoso carattere di Sakura.
“…ma
un’onda ci sta per travolgere! Il pigrone ha
ragione” concluse Temari, vagamente incredula di dover dare
ragione a Shikamaru.
Sakura
sospirò, e sorrise, sollevata: il suo sole era tornato. Era
tornato come un lampo, come un odore nostalgico e penetrante, come un
arcobaleno. Era tornata a casa.
“Forza, razza
di idiota. Aiutaci a portare Gaara al sicuro”
mormorò con la speranza nella voce e l’affetto che
si rifletteva negli occhi celesti del ragazzo.
Pochi minuti dopo erano
tutti sull’ambulanza che attraversava le strade deserte, dato
che tutti gli abitanti si erano rifugiati sui tetti delle
città più moderne, cosa che loro non potevano
fare, dato che il loro ospedale era vecchio e pericolante.
E proprio in quei
minuti, in quegli istanti prima dell’apocalisse, in quei
minuti dove Gaara sedeva apatico tra le amorevoli mani della sorella e
quelle ruvide di Shikamaru(una famiglia), tra le frasi sconclusionate e
preoccupate di Naruto, a Sakura parve di scorgere, sulla spiaggia, una
ragazza di vetro.
Un germoglio mai
fiorito.
Il segreto dell'uomo,-il
seminatore
Sono qui, a un passo
dal mare, a un passo dalla fine.
Un sussulto: le tue
braccia mi circondano. Perché sei venuto? Come hai fatto a
trovarmi?
“Hinata, ma
cosa stai facendo?? Lo tsunami arriverà a momenti!”
Sorrido, al mare.
“Non posso,
Kiba. L’ho ucciso, e la pena per me sarà la
prigione. Mio padre potrà dire quello che vuole,
potrà ripetere ai magistrati le sue teorie sulla mia
fragilità psicologica e fisica per le quali mi tiene chiusa
e prigioniera…ma la mia sorte è
segnata”.
“Mio padre
era uno schifoso maiale, e tu mi hai salvato!”
balbettò Kiba, stringendomi con forza “la tua
è stata legittima difesa, nessuno ti avrebbe incolpata!
Perché sei scappata, infrangendo gli arresti
domiciliari??”
Non capisci, Kiba. Io
sono come il mare. Non so cosa sia una casa, un abbraccio o un bacio, e
non mi serve; ho bisogno solo della libertà, come un seme
senza radici. Il mio seminatore mi ha lanciato in un deserto, e io ho
bisogno di acqua.
Stavo scappando dalla
giustizia e dalla mia stessa famiglia, quando ho sentito
l’allarme tsunami: era il mare, che mi chiamava, e mi
chiedeva di riposare nei suoi fondali per
l’eternità, per scontare la mia pena.
Per tornare a
casa.
Perché non
avrei potuto sopportare di vivere la vita con una simile colpa nella
mia anima altrimenti innocente.
“Non avrei
potuto sopportare ancora di più la prigionia, Kiba;
né quella legale né quella di mio padre. Sei
stato tu, a salvarmi. E io avrei tanto voluto salvare te”.
Perché sei
qui, Kiba? Perché voi scontare la mia pena, germoglio
innocente, seminato da un destino crudele?
La senti, Kiba, la voce
del mare?
Noi uomini siamo
seminatori, ma anche seminati: sono il mare e la terra che decidono
dove porre le nostre radici. E il mare le sta sradicando.
Io lo vedo sospirare e
ritrarsi, il mare, come se avvolgesse il suo vestito color cobalto per
lasciare che i suoi piedi avanzino sulla terra. Come se volesse
conoscerci.
Tu mi stringi, e sento
la tua determinazione nel rimanermi accanto fino alla fine. Testardo e
coraggioso.
Finalmente vedo il
mare…ed è un benedizione ammirarlo con te.
“Per la
cronaca, Uchiha, io ho sempre trovato i tuoi piani estremamente
stupidi”.
“Cosa?”
“Ma non ti ho
mai abbandonato, nonostante tutto”.
“Ma
che…”
Glielo doveva dire,
Ino. E gliel’aveva detto sotto un cielo splendente, turchese
e accecante.
Gliel’aveva
detto appena fuori dalla banca, fuori dalla loro miniera
d’oro.
“Nonostante
tutto, ti ho sempre amato”.
Gliel’aveva
detto in un posto senza tramonti e senza fiori, senza fiumi e senza
prati.
Ma pochi ragazzi
avrebbero potuto vantarsi di aver ricevuto una dichiarazione
d’amore con un’onda alta circa sette metri come
sfondo.
“Naruto, non
entrare in città!”.
“Cosa?? Sei
impazzito, bradipo ambulante?”.
Shikamaru si
voltò, scocciato e terrorizzato, verso Temari, che stringeva
con forza la mano del fratello, come ad attingerne energia e speranza.
Anche perché Gaara, con il sapore della morte in bocca, era
il più tranquillo tra i passeggeri dell’ambulanza.
Shikamaru strinse le
labbra e si rilassò solo perché sapeva che Temari
era troppo nervosa, per tutto, e che doveva scaricare la sua ansia.
“Ascoltatemi”
incominciò, interrompendo la protesta di Sakura
“Non riusciremo mai a raggiungere il centro della
città e i palazzi che non rischiano di crollare in tempo! La
maggior parte dei cittadini avrà abbandonato la propria auto
in mezzo alla strada e sarà fuggito! Non possiamo rischiare
di doverci fermare o trovare ostacoli, dato che non possiamo spostarci
a piedi per via di Gaara!”.
“Allora
lasciatemi qui! Non rischiate la vostra vita per me!”
esclamò con enfasi il ragazzo, prima di esser zittito dal
terrore dipinto sul volto della sorella.
“Non dire
fesserie” lo ammoni con decisione Shikamaru
“Dobbiamo raggiungere la collina sopra la città,
passando per la statale! È divisa dal mare da una foresta di
diversi metri, che potrebbero bloccare la furia
dell’onda!”.
L’ambulanza
cadde nel silenzio e Naruto scelse da solo la soluzione più
adatta: svoltò nella tangenziale, deserta, e
schizzò come un lampo verso la collina.
“Comunque, se
volete allentare la tensione o vi siete dimenticati di far merenda, vi
ricordo che c’è il ramen sul retro!”
La vita si ascolta,
così come si ascolta il mare... Le onde montano, crescono,
cambiano le cose. Poi, tutto torna come prima ma non è
più la stessa cosa.
Io ti ho sempre
ascoltato, mare, dalla mia conchiglia, dalla mia scatola. Sentivo
l’eco della tua melodia nella mia mente fragile, le tue note
cullarmi. Ogni melodia della mia vita era prodotta dal tuo canto. Ti ho
ascoltato per tanti, tanti anni.
Ora è il tuo
turno. Ti prego, ascoltami.
Io ti imploro, mare,
mio amato e sconosciuto mare, ti prego di risparmiare Kiba, che non
è fuggito, cha ancora mi abbraccia, nonostante la tua furia.
Lui è
innocente, ha seminato solo speranza e bontà, e la sua anima
è pura e libera.
Io sono la peccatrice,
ho seminato morte, e la mia anima è prigioniera.
Ti imploro di
liberarla, di aprire la conchiglia, la scatola dove è
racchiuso il mio oceano.
Ti imploro, mio amato e
sconosciuto mare.
Liberami.
Un ultimo sospiro, un
ultimo sorriso.
E in un attimo sono
dentro di te, mio amato mare.
Il segreto della donna,-il
suolo.
.
“Allora, stai
riprendendo??”
“Non
riuscirò a filmare un bel niente se continui a inserirti nel
mio campo visivo!”
Shiho, al dialogo,
aveva sempre preferito il silenzio, specialmente durante avvenimenti
tragici o almeno preoccupanti. E il fatto che quei due strambi
giornalisti continuassero a bisticciare mentre l’onda anomala
devastava la cittadina era inquietante agli occhi della timida
sismologa.
Fiori, bambole, fango,
sangue, tutto trascinato dall’acqua, che sfondava vetrine,
maciullava auto, sradicava alberi e case.
Li poteva sentire, i
cittadini rifugiati sui palazzi miracolosamente in piedi, come il loro,
trattenere il fiato mentre riconoscevano una portiera, una bicicletta,
forse una foto.
Il mare stava portando
via tutto, persino la terra dove Shiho poggiava i piedi, la terra che
accarezzava e si sbriciolava, delicata, tra le dita di un bambino,
quella stessa terra che girava con tutti gli uomini.
Sotto i loro piedi,
c’era solo il mare furioso e instabile.
Persino la sua terra,
la sua stabilità, le era stata portata via; ora era un fiore
senza suolo. C’era solo una certezza, una costante, una
fievole speranza: la mano di Neji, ghiacciata e diafana, ancorata alla
sua.
Gliel’aveva
svelato, sul quel tetto sopra il mare, in quei momenti di terrore, il
suo errore, il suo peccato: a causa della sua
superficialità, della sua freddezza, aveva lasciato che la
cugina, la sua fragile adorata bambina si caricasse sulle spalle il
dolore di Kiba, di quel ragazzo dal ghigno tormentato.
“Lei ti perdonerà” gli
sussurrò e Neji appoggiò la sua fronte su quella
della ragazza.
Come la terra
perdonerà il mare.
“Merda!”
Naruto
svoltò ed evitò per un pelo che
l’ambulanza cadesse nella scarpata, invasa
dall’onda assassina.
“Vai,
vai!” gridò Sakura, che lottava con i suoi
compagni per tenere ferma la barella di Gaara
“più
avanti c’è uno spiazzo abbastanza alto da poterci
fermare!”.
Ma il più
avanti si dimostrò molto lontano e Naruto
ingaggiò una vera e propria lotta tra l’ambulanza
e le forze della natura (e qualcuna della fisica) per sfuggire
all’onda.
Li sfiorava, li
attaccava, quasi li superava, li illudeva, come un intransigente boia.
Labbra venivano morse e urla venivano soffocate, in
quell’ambulanza.
Gocce e granelli di
sale penetravano nel veicolo come un’ombra.
“A destra, a
destra!!” ulularono i passeggeri mentre l’onda
sommergeva un enorme pino e seminava il panico.
“Forza, lo
spiazzo non è lontano!” gridò Sakura
mentre l’ambulanza sbalzava verso il dirupo e veniva
sballottato sulla barella.
E con
un’ultima epica frenata, Naruto raggiunse lo spiazzo,
incastrandosi con una discreta abilità tra due enormi pioppi.
Come per magia,
l’acqua, tormentata e sporca, sfiorò lo spiazzo,
lo accarezzò, con reverenza, e lo adottò come una
nuova spiaggia, una nuova terra, una nuova meta.
Il mare aveva
conquistato altro territorio, un altro pezzo di terra era diventato
lago. Erano su un’isola vagante.
“Gaara!
Gaara!” gridò Temari, spaventata e tremante,
mentre il fratello cominciava ad ansimare affaticato.
“Spostati,
Temari” le intimò velocemente Shikamaru, mentre
faceva stendere Gaara e lo attaccava alla flebo.
“Merda!”
imprecò nuovamente Naruto, pallido e sudato
“Guardate la!”.
Lui e Sakura si
sporsero e riconobbero la periferia della cittadina stravolta e
smembrata, letteralmente mangiata dall’elegante furia marina,
che ora, dopo il violento impatto, si stava fermando per creare una
palude di detriti.
E in mezzo al fango
sbucava una diafana chioma bionda, un’angelica aureola, che
rischiava di essere trascinata nelle fauci del mare.
“È
una ragazza!” esclamò Naruto.
Non necessitavano di
altre parole, Sakura e il suo sole, l’amico che aveva a
malincuore abbandonato per la sua nuova e intensa vita: si gettarono
lungo la scarpata e raggiunsero ben presto la ragazza, svenuta, tenuta
a galla da un ragazzo altrettanto sconvolto e da un paio di stravaganti
salvagenti rosa.
“Resisti!”
urlò Naruto al ragazzo e si gettò
incoscientemente tra le onde sporche e salate.
“Naruto,
torna indietro! La corrente è ancora troppo
forte!” lo avvertì Sakura, ma prima che potesse
sgolarsi a elogiare l’imbecillità del suo migliore
amico vide Naruto allacciarsi delle lunghe crode alla vita. Il giovane
medico strizzò gli occhi, e vide che sbucavano da un piccolo
motoscafo incastrato fra muri sbriciolati, probabilmente trascinato
lì dall’onda.
“Reggi!”
gridò il ragazzo mentre le lanciava le corde alla ragazza a
si avventurava tra i flutti per recuperare i due feriti.
Si sarebbe ricordata
ben poco, Sakura, di quegli infernali minuti in cui il suo fisico
minuto aveva dovuto sopportare il fuoco acido e pungente della fatica e
della paura. Nella sua memoria ferita c’erano soltanto
l’odore salmastro, il sangue e la sua pelle che si strappava
sotto la pressione delle corde, il suolo che le scivolava sotto i
piedi, e infine il sole negli occhi di Naruto, un Naruto trionfante che
portava sulle spalle, con delicatezza materna, i superstiti.
Il cielo, finalmente.
Mai lo scenario di
nuvole e sbuffi color celeste gli era stato caro.
Il mare era un
paradiso, ma la terra, là in fondo, era diventata un
inferno. E Suigetsu pensò, per l’ennesima volta,
che il mare era molto più sicuro del fango e del loro mondo,
del suolo, troppo freddo e grigio. Era solo troppo silenzioso, il mare
rispetto alla terra: talmente silenzioso che la morte ti passava sopra
la testa, mentre si prendeva tutto il tempo per decidere il tuo destino.
Forse il rumore era
piacevole, a volte.
Suigestu si tolse la
maschera e respirò, grato di poter compiere tale gesto.
Ma rimase in silenzio;
lei lo avrebbe riempito.
“Che diavolo
è successo, mollusco?? Il
motoscafo…dov’è?? C’erano
sopra la mia borsa, il mio cellulare…e i miei salvagenti di
Hello Kitty! Bastardo, parla, non fare il pesce, parla, che diavolo
è successo??”
“Karin…ti
ho appena salvato la vita! Se non avessi avuto la splendida idea di
rimanere sott’acqua, saremmo rimasti sulla terra e sommersi
dall’onda!”
“…”
“…”
“Avevo uno
tsunami sopra la testa e tu hai avuto il coraggio di dirmi che si
trattava di una balena?? Altro che tsunami: appena rimetto i piedi
sulla terraferma ti trasformo in un fritto misto!”
“Temari,
lascia che Sakura si occupi di Gaara e aiutami!”
gridò Shikamaru che stava soccorrendo la ragazza bionda.
Sembrava una bambola rotta, quella figura esile e sciupata.
Temari
lasciò, fiduciosa, il fratello tra le mani di Sakura e
strinse con tutte le sue forze un pezzo di stoffa intorno alla gamba
della ragazza, per fermare il sangue, che, copioso, la copriva come un
tragico sudario.
Sudore e polvere non
fermarono le mani della ragazza, avvezza a dolori ben più
profondi e velenosi, ai dolori del cuore. Strinse, strinse il pezzo di
stoffa come a scaricare tutta la rabbia per la sua vita rovinata, per
suo fratello, e per quella fata diafana che aveva lottato contro il
mare.
“L’abbiamo
recuperata!” annunciò trionfante Shikamaru, mentre
controllava l’elettrocardiogramma della ragazza e le teneva
una maschera sul viso per consentirle di respirare e tornare a ridere.
“Bravo! E tu
stai seduto, idiota!L’hai capito che potresti avere di tutto,
da emorragie interne a un trauma cranico?? Devi stare fermo!”
sbottò Naruto, trattenendo Sasuke che seguiva il soccorso di
Ino con la lucidità di un sonnambulo e si muoveva a scatti,
come un marionetta.
“E smettila!
Cos’è, ti sta scoppiando una bomba sotto il
sedere?”
Naruto non aveva mai
avuto grande sensibilità o una grande intuizione,
perciò non calcolò minimante il fremito di
terrore che scivolò nel corpo del sopravvissuto.
L’esplosione
della banca aveva creato un certo scompiglio, principalmente
perché diversi bigliettoni bruciacchiati ma in uno stato
comunque discreto, avevano cominciato a volteggiare sopra
l’acqua dello tsunami, sotto gli occhi desiderosi dei
supersiti.
Quindi Neji fu
l’unico, a vederlo.
A vedere il corpo
sconvolto e graffiato di Kiba riemergere dai flutti proprio grazie
all’esplosione e volteggiare, elegante, fino ai piedi del
loro edificio.
E mentre Ten Ten e Lee
esultavano per la creazione di servizio storico, lui scese come un
angelo dal magazzino e raccolse con delicatezza il giovane,
l’unico che aveva capito e salvato la sua Hinata.
Gli
sembrò di vedere una vetrosa scintilla nell’acqua,
sul quel pavimento instabile, su quel fondo
sterile.
Una scintilla, per un
attimo. E poi più niente.
Il mio oceano in
scatola piange di gioia, mentre la mia vita scivola via.
O mare, l’hai
risparmiato!
Ora posso purificarmi e
stare nel tuo abbraccio fraterno per sempre. Sei unico e perfetto,
forte e misericordioso.
È stato
piacevole, quasi un onore, poter lasciare il mio corpo sul tuo fondo.
Il mio segreto: sotto un tumulo
che non troverete mai.
Erano passati mesi, e
ancora i fiori profumavano di sale. Erano passati istanti per le
vittime dell’onda anomala, eppure i loro sorrisi erano cibo e
calore per la gente che li circondava.
Erano passati pochi
minuti da quando Kiba aveva stretto Hinata tra le sue braccia e
l’aveva sentita sua: una sorella, un’amante, una
salvatrice, una peccatrice, una santa, un’illusa. Ma sua. Non
erano stati minuti, ma lo sembravano.
Sembravano minuti, e
invece erano stati mesi, il tempo che Kiba aveva passato
all’ospedale per riconquistare la sua vita e la forza per
viverla. Ma solo dal punto di vista fisico: la sua sanità
mentale era guarita sotto quei flutti, tra l’abbraccio
dell’onda, negli ultimi istanti in cui aveva potuto stringere
le mani di Hinata. Avrebbe dovuto renderlo pazzo, e invece il
sacrificio della ragazza gli aveva ridato la vita. Lui, che dopo la
morte del padre era sprofondato nel ricordo della sua violenza, aveva
trovato la speranza nel rivedere, per un attimo, l’immagine
di Hinata in televisione, nel servizio dello tsunami presentato da uno
strano giornalista, fermo sostenitore della giovinezza.
Era sfuggita dalla
giustizia e Kiba era fuggito dalla sua disperazione. Era resuscitato,
dopo il calvario e la morte.
Era stato
l’ultimo, a guarire, tra tutti i supersiti che erano stati
catapultati in quel piccolo ospedale lontano dalle città
colpite. I primi erano stati Sakura e Naruto: era bastato raccontare la
loro rocambolesca fuga per purificare i loro ricordi e se mai
l’incubo dello tsunami sarebbe ritornato, si sarebbero
stretti la mano e avrebbero continuato a vivere, insieme. Infatti, dopo
la catastrofe, Sakura si era rifiutata di lasciare di nuovo Naruto, e
sarebbero tornati presto a lavorare insieme in quel piccolo ospedale
disseminato di glicine, dopo la sua restaurazione.
E poi, tutti insieme,
avevano visto Sasuke rifiorire, dopo che Ino aveva riaperto gli occhi
celesti e dopo aver scoperto che Itachi, a causa dei disordini creati
dallo tsunami, era stato rintracciato e arrestato, e che i soldi rubati
erano tornati nelle tasche di famiglia.
Ora poteva guardare
fiducioso il mondo negli occhi di Ino.
L’avevano
vista sbocciare, quella strana coppia che un giorno era salita su una
costosa Ferrari per poi sparire.
Shikamaru era guarito
dalla sua paranoia grazie alla nuova felicità di Temari, che
era esplosa in un giorno miracoloso, il giorno in cui il burbero
Sasuke, per sdebitarsi dal debito di vita che doveva ai suoi salvatori,
le aveva spedito un assegno la cui cifra copriva abbondantemente le
spese delle cure di Gaara.
E lui era tornato alla
vita, come una lucciola nella notte, sorretto dalla sorella e da quel
fenomenale team di medici che lo avevano nuovamente salvato. Ora
sorrideva, e camminava, Gaara.
Neji era guarito con
Kiba, passo dopo passo: salvandolo, il sismologo aveva esorcizzato
quella terribile colpa che non gli aveva consentito di salvare la
cugina. Si erano salvati a vicenda, in quei tumultuosi mesi
all’ospedale che Kiba aveva dovuto affrontare, tra i timidi
sorrisi di Shiho e speranze mai spente.
Gliel’aveva
chiesto tante volte, Neji, se gli sarebbe piaciuto partecipare al suo
nuovo programma televisivo: lui e Shiho sarebbero andati in giro per il
mondo per registrate servizi sui movimenti sismici più
sinistri e a rischio. Seguiti, ovviamente, dall’eccentrico
Lee e dalla telecamera di Ten Ten.
Ma Kiba non aveva
accettato: voleva la stabilità, non altri terremoti.
Non era riuscito a
dirlo, ad Hinata. Non gliel’aveva detto che anche lui aveva
un oceano in scatola, nascosto sotto anni di sofferenza. E ora
l’avrebbe liberato, l’avrebbe donato al mondo,
l’avrebbe messo a disposizione dei bambini che, come lui,
avevano sofferto soffrivano ancora.
Uscì
dall’ospedale un luminoso giorno di fine estate: Kiba era sta
l’ultimo a guarire, ma sarebbe stato il primo a curare il
prossimo, con il suo sorriso.
Sull’orizzonte,
solo il mare.
Spero che siate ancora
vivi dopo la letturaXD^^.
La scuola mi sta
distruggendo ma se riesco a sopravvivere spero di riuscire a scrivere
di più.
La fic è
un’AU, ambientata nei giorni nostri. Si tratta della poesia
della signora Sibley, bella ma ostica, come la storia.
Grazie a Rina per i
complimenti^^Baci!
Grazie per la vostra
attenzione,
LaLa
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