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Autore: Lalani    28/05/2010    2 recensioni
Nuova raccolta ispirata dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.
In queste poesie dal cimitero di Spoon River emergono i rimpianti, i dolori e le uccisioni degli abitanti.
Tenterò di analizzare le poesie con l’aiuto dei personaggi di Naruto, e forse insieme riusciremo ad espiare i peccati dei morti o ad esprimere i loro desideri.
#7= Gli Angeli Della città Incompresa. Buon SHIKATEMA Day!!!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Ci sono molte cose che il mare non conosce.
Non conosce il calore di un abbraccio, e non perché non esistano braccia abbastanza ampie per stringerlo, ma perché non sarebbero abbastanza tenere e abbastanza calde neanche per concedergli la sensazione di una carezza. È sempre e solo lui che stringe, che soffoca, che coccola, che sfiora.
E tavolta allunga timidamente le sue mani e ci ruba qualche fiore, qualche spiaggia, qualche vita.
Non conosce la parola casa: esiste davvero un angolo, tra gli innumerevoli luoghi che ha bagnato, che possa essergli familiare e caldo, che possa essere solo suo?
Un padre amorevole come lui, che conosce l’unicità di ogni singolo cristallo di sale e che accompagna le onde nella loro grigia e monotona malinconia, dovrebbe avere un rifugio dove riposare, e sospirare, per un attimo.
Non mi conosce, il mare.
Eppure ora mi sta sfiorando i piedi, mi annusa e piange sopra le mie unghie. E io sprofondo, un po’ di più.
Non avevo mai visto il mare, prima d’ora.
Vorrei baciarlo, ma né io né il mare sappiamo cosa sia un bacio.

Nella mia conchiglia di solitudine, oggi ascolto la voce del mare.
E oggi il mare urla.




Oceano in Scatola




La vita si ascolta, così come si ascolta il mare...
Le onde montano, crescono, cambiano le cose.
Poi, tutto torna come prima ma non è più la stessa cosa
(Baricco)



Il segreto delle stelle,-la gravitazione.





Un posto stretto, comodo, un nido tra cielo e terra.
Ecco che cosa le avevano promesso, e Shiho aveva accettato la proposta al volo: un nastro tra i capelli svolazzanti, lenti enormi su iridi minuscole, una gonna spiegazzata ed eccola lì, al suo primo colloquio di lavoro, e un attimo dopo eccola nel suo disordinato studio, un angolo luminoso profumato di cappuccino.
Certo, avrebbe dovuto prevederlo: un istituto sismologico doveva avere i suoi terremoti, e i giorni non potevano trascorrere tra aereoplanini di carta, timide battute tra i colleghi e stracci di sole polveroso.
“Ma non avrei mai immaginato…questo!” sbottò disperata, con un’aureola di ciuffi crespi a coronarle il volto sconvolto.
“Nessuno lo poteva immaginare” le rispose, atono, il suo superiore.
Neji Hyuuga, viso impeccabile, occhi di cristallo, voti incredibili e cuore di ghiaccio, sembrava aver messo le radici in quell’istituto, nonostante la sua austera bellezza non dimostrasse più di trent’anni. Era un iceberg, intatto e prezioso, un eremita in quello studio lontano dal mondo.
Mentre gli occhi celesti di Shiho tracciavano i contorni delle guance incavate del suo superiore, gli occhi di quest’ultimo erano fissi sul sismografo impazzito.
Sembrava l’elettrocardiogramma di un cuore esagitato.
Il mare stava per avere un infarto.
“Conferma all’istituto di Tokyo il messaggio che gli abbiamo inviato pochi minuti fa” mormorò Neji, imperturbabile: “Sta davvero arrivando uno tsunami”.
Shiho emise un singulto strozzato e corse via, per riconfermare il messaggio e avvertire i loro colleghi in timorosa attesa.
Stupidamente, l’unico pensiero coerente che riuscì a formulare fu che il mare sembrava così limpido e luminoso, accecante, in quel profumato giorno di Maggio, mentre quella sera stessa avrebbe raggiunto il cielo e mangiato le stelle.


“Gliel’avevo detto, signorina Haruno, il mio ginocchio predice ogni sorta di catastrofe! Dovrebbero esaminarlo, anzi, farci un documentario in televisione! Lei mi accompagnerebbe, non è così…?”.
Era incredibile come l’allegria del paziente più anziano e più esuberante del reparto, il signor Fujibara, non venisse scalfita dall’imminente catastrofe che presto si sarebbe abbattuta sulle loro coste, sulle loro anime.
“Interessante, signor Fujibara…ma ora si dia una calmata, o mi costringerà a riempirla di sedativi” mormorò Sakura con l’ultima briciola di entusiasmo che le era rimasta impigliata, quasi per sbaglio, nella fitta ragnatela che attanagliava il suo cuore.
Strizzò l’occhio al malato e poi fuggì.
Ma no, non poteva fuggire: il mare era lì, ai suoi piedi, ai piedi del minuscolo, frenetico ospedale che si era inciso nel suo animo con una facilità disarmante. Non c’era paragone tra il violento amore per il lavoro tanto agognato e il ricordo bruciante di Tokyo e delle sue comodità, della sua famiglia e della sua tranquillità.
Era sfuggita dalla città con un cappello, una valigia e la sua tipica ingenuità che rasentava l’infantilismo. In quel piccolo ospedale era maturata, era entrata nell’estate della sua vita: aveva assaggiato la frenesia e il terrore del mondo adulto.
Entrò nella stanza con una mano ancora attorcigliata attorno ai ciuffi rosati e un sorriso stretto e masticato fra i denti.
“Non c’è pericolo: l’ambulanza arriverà fra mezz’ora e noi abbiamo tutto il tempo per prepararci”.
Uno scintillio di speranza si accese in due paia di occhi celesti fin troppo simili.
“Insomma, puoi andare a prenderti un caffè in tutta tranquillità, Temari” mormorò atono il ragazzo dai radi ciuffi rossi e le braccia atrofizzate attaccate alla flebo.
La sorella maggiore strinse le labbra con sofferenza, ma il suo sguardo non perse la durezza e la forza, scolpiti in un’anima di ghiaccio, che Sakura ammirava come una figlia stimava il proprio padre.
“Dì la verità, fratellino, avevi paura che il mare ti portasse via??” mormorò sollevata, pizzicando le ormai insensibili braccia del ragazzo.
“Temari, non preoccuparti, ti porto io un caffè” mormorò quieta Sakura “Voi riposate: ci aspetta un lungo viaggio” consigliò lasciando la stanza e la sua intima atmosfera fraterna.
Il giovanissimo medico sospirò: la sua nuova vita si era appena addomesticata ai ritmi dell’ospedale ed ecco che il mare, quasi sconosciuto per una cittadina come lei, sconvolgeva il suo perfetto e immacolato ordine.
L’allarme tsunami era stato diramato da pochi minuti e il piccolo paese era già in preda al panico. L’ospedale sarebbe stato evacuato e sarebbe rimasto solo a fronteggiare la furia dell’oceano: la sua nuova casa appariva così fragile e familiare, se paragonata alla fredda morsa dell’imminente onda assassina.
Persino le stelle avrebbero tremato, quella notte, e Sakura lo sapeva: il loro più antico segreto, la gravitazione, la loro continua e immobile danza nel cielo, sarebbe stato frantumato dagli elementi della terra.
Solo i due fratelli Sabaku, già sconvolti dalla malattia infinita di Gaara, sembravano in sintonia con l’imminente tragedia: la loro stanza pareva un acquario e Gaara ci galleggiava dentro, come una bellissima stella cadente sciolta nel mare.
Sakura sospiro, sfinita.
Il suo sole era così lontano, in quel momento.


Il segreto della terra,-strati di rocce.


Me l’avevano detto in molti; relativamente in molti, dato che conoscevo le stesse quattro persone da tutta la vita.
Me l’avevano detto in molti che sembravo vivere sottovuoto, come una ciliegia ubriaca e rattrappita sotto l’alcol, sotto spirito.
Trovavo più poetico dire che vivevo in una conchiglia, una di quelle candide e semplici, sepolte sotto tonnellate di acqua salata, e che il mio spirito era una perla, di quelle minuscole e dal valore incerto.
Bè, lui rideva sempre di queste mie metafore: conducevo uno stile di vita troppo filosofico ed eremita per lui, che aveva sulla pelle i segni indelebili della vita cruda, reale, quella che mi era sempre stata preclusa.
“Non posso più cibarmi di sogni; sono esplosi come bolle” aveva mormorato con il suo ghigno allegro e nascosto “e tu dovresti cibarti di carne, o svanirai. Esci dalla conchiglia, mio goffo paguro.”
Sotto il mare, sotto le onde, sotto il mondo che non ho mai conosciuto, ci sono tesori preziosi e perduti, come nella mia anima.
Ma per lui era diverso: la sua anima era terra e fango. E sotto la terra ci sono solo rocce senza vita, rocce che non possono essere distrutte.
Io ho perso sangue e ossa nel tentativo di scalfirle e di affondare le mie mani nel suo cuore ferito.  


“Ripetimelo”.
“Questo tsunami sarà la nostra salvezza! E tira giù i piedi, l’auto è mia!”
“Ma se l’estetista ha appena finito di farmi il pedicure…”
“Pagato sempre con i miei soldi, vorrei sottolineare!”.
Ino, dopo diversi mesi di pacata collaborazione con Sasuke Uchiha, ancora non si capacitava di come la sua iridata bellezza risultasse totalmente inefficace contro il suddetto socio e di come spesso la trattasse come un peluche, sprimacciandola e trascinandola di qua e di là a suo piacimento.
Però in quei mesi di rado aveva visto i suoi occhi d’ebano scaldarsi per l’eccitazione.
“Rifletti:” mormorò febbrile il ragazzo, mentre cercava di non rimanere bloccato nel traffico che si era formato in quei minuti di panico dopo la diramazione dell’allarme tsunami “gli antifurti andranno all’altro mondo, la polizia se la darà a gambe levate e i cavò saranno solo nostri!”.
La bocca di Ino si spalancò, sconvolta, ed ebbe la sensazione che persino i suoi capelli si stesero sciupando per l’oltraggio subito.
“Sasuke Uchiha” cominciò, puntando un dito tremante contro il guidatore “stai dicendo che io, Ino Yamanaka, sublime e infallibile ladra di professione…”
“Fino a prova contraria, io sono il ladro: tu se solo il palo” ribatté atono Sasuke.
“Io dovrei diventare uno sciacallo??” concluse la ragazza, ancora incredula.
“Non vedo differenza. Rimarrai la solita ladra goffa e vanesia”.
“Un ladro non approfitta delle disgrazie per i suoi furti!”.
“Ah no?” borbottò Sasuke, sardonico “forse non te ne sei accorta, ma io non sono Robin Hood: nessuno scrupolo e nessun beneficio per il prossimo; piantala di fare la santerellina! I ladri di tutto il mondo ci staranno invidiando, nessuno di loro ha mai avuto una simile fortuna!”.
Ino sbuffò, grattandosi via i rimasugli dello smalto color vinaccia: era impossibile discutere con l’Uchiha. La bellezza fragile e quasi eterea del ragazzo era in totale contrapposizione con la durezza e la forza di ogni sua frase e di ogni suo gesto. Era un diamante perfetto, con un viso di cristallo e un’anima d’acciaio. E, come ogni persona di questo genere, era solo, immerso in un mondo pieno di angeli incompresi. E non si potevano scalfire, tutte quelle rocce che imprigionavano il suo cuore.
Ino ci aveva provato, ma i suoi solari ed entusiasti tentativi si erano scontrati troppo presto con la durezza del socio. Lei, dopo essere scappata di casa, complice la mancanza di soldi e di affetto, cercava solo un angolo pulito e discreto dove rifugiarsi e respirare il vero odore della vita…e invece si era trovata complice di un ladro e ladra a sua volta. Un’anima errante.
“Non ti preoccupare” mormorò Sasuke, come se avesse percepito il suo nervosismo “Te l’ho detto, no? Dopo aver racimolato quest’ultima somma, Tobi mi rivelerà il nascondiglio di Itachi, ci divideremo il denaro e poi voleremo verso orizzonti diversi, senza più problemi o rimpianti”.
“Lo so, lo so, ormai questa tua ossessione è diventata una filastrocca” sbuffò Ino, mentre scrutava il cielo che avrebbe probabilmente accolto lo tsunami: limpido e celeste.
L’unica ragione per cui il distinto Sasuke Uchiha si era trasformato in un ladro era ritrovare suo fratello, o meglio, i soldi che aveva rubata alla miliardaria azienda Uchiha Corporation, che ormai era sull’orlo del fallimento.
Una vendetta, ecco cosa voleva rubare Sasuke Uchiha.
“E comunque, come facciamo a fidarci di uno così?” sbottò Ino “Si fa chiamare Tobi…Cristo, Uchiha, il mio cane si chiamava Tobi!!”


“Cari telespettatori, come potete vedere, la situazione, nonostante la sua gravità, è sotto controllo!”.
Bisognava ammetterlo: Lee non bucava solo lo schermo, ma probabilmente anche gli occhi e le orecchie degli ascoltatori. Ma Ten Ten, che ormai lo seguiva con la sua telecamera da diversi mesi, si era abituata ad avere gli occhi color nocciola sempre puntati su quel sorriso enorme( almeno quanto le sue sopracciglia) e ad apprezzarlo nella sua originalità.
“L’allarme tsunami è stato lanciato pochi minuti fa, ma come sappiamo il tempo a nostra diposizione prima dell’ arrivo dell’onda assassina è sufficiente per permettere un’ordinata evacuazione dei villaggi costieri più a rischio! Non siate in ansia: le autorità competenti sono continuamente aggiornate dai sismologhi di Tokyo e dagli esperti del nostro studio! Quindi non temete per i vostri cari! Come potete vedere in loro brucia il fuoco della giovinezza!” concluse con entusiasmo.
Ten Ten si precipitò ad inquadrare la piccola città che si muoveva come un solo uomo verso l’interno del territorio: nonostante l’enorme quantità di macchine, di fuggitivi a piedi e di famiglie che cercavano di salvare i loro oggetti più cari, i militari erano stati bene istruiti e organizzavano l’operazione con sicurezza e velocità.
Eppure gli occhi di Ten Ten continuavano a saettare sul mare limpido, un gatto che ammaliava con iridi dolci un topolino troppo avventato.
“Non lasciare che la paura spenga il fuoco della giovinezza, Ten Ten!Il servizio non è ancora terminato!” esclamò Lee. Infatti avrebbero presto riavuto la linea dal loro telegiornale per eventuali aggiornamenti sullo tsunami in arrivo.
Ten Ten aveva sempre avuto una personalità entusiasta e intraprendente: appena ricevuto il posto di reporter, invece di riprendere noiosi dibattici politici o sfilate d’alta moda, si era buttata in disastri ambientali, incidenti mortali, cronaca nera e solo la sua giovane età le impediva di precipitarsi nelle zone di guerra.
Mai avrebbe sognato di ritrovarsi in compagnia di un giornalista ancora più scatenato e impavido di lei.
“Figuriamoci, Lee, io non ho mai avuto paura in vita mia!” esclamò fiera Ten Ten “Sei tu che sei stancante!”.
Entrambi sorrisero, complici, e approfittarono di quel momento di calma, così raro nel loro lavoro, per sospirare, almeno per un attimo.
Erano sul balcone di un modesto edificio abbandonato, stretto e illuminato da diversi gerani color rubino, ed era incredibile il silenzio e la calma che regnavano in quel piccolo regno tra cielo e terra, tra nuvole e onde. Era come se la pioggia stessa avesse seminato e coltivato quel piccolo angolo di paradiso.
Ten Ten si sporse, appena appena, tanto per controllare che la terra fosse ancora lì e non fosse volata via, o dissolta fra le nuvole.
“Ma…”.
“Non ti preoccupare, Ten Ten” la interrupe Lee, con il suo solito enorme sorriso, che aveva compreso l’ansia della collega “Mancano ore, insomma, ore, all’arrivo dello tsunami! La città è piccola, sarà evacuata in un attimo e noi avremmo fatto un servizio fantastico!”.
Ten Ten sorrise: la sua indole coraggiosa ma a volte pessimista era ben compensata con la solare allegria e l’infantile ottimismo di Lee.
“Speriamo solo che l’elicottero si ricordi di noi…” sospirò, sorridente. Il mare, dietro di loro, ghignava.
Infatti i due giornalisti erano atterrati sull’enorme condominio abbandonato con l’elicottero della protezione civile, con il quale stavano sorvolando la zona costiera, evidenziando alcuni problemi ambientali per un servizio naturalistico. Ma quando era arrivato l’allarme tsunami, l’incosciente Rock Lee aveva fatto il diavolo a quattro per scendere a terra e registrare, a sua detta, “un servizio storico, un trampolino di lancio per la nostra carriera!”.
Il loro sacrificio, il loro scavare rocce su rocce, le loro speranze li avevano portati lì, a un passo dal mare, a un passo dal successo.
Queste parole avevano convinto definitivamente Ten Ten, che aveva persuaso con maniere più o meno lecite e ricatti più o meno sottili il pilota a lasciarli sull’edificio prima di ripartire alla volta di cittadini più bisognosi prima di tornare a riprenderli.
“Certo che ritornerà!Era un pilota estremamente giovanile” esclamò Lee, fiducioso “E poi, i soldi che gli ho allungato sono stati estremamente persuasivi!”
“Cosa???”


Il segreto del suolo,-ricevere il seme.


Era una delle idee migliori che il suo meraviglioso cervello avesse mai elaborato .
Non smetteva di pavoneggiarsi, Suigestu, mentre nuotava elegante come una sirena tra un banco di pesci argentati e sfiorava enormi anemoni variopinti.
Quale migliore idea delle immersioni subacquee per chiudere la bocca alla sua eterna appendice, o meglio, alla sua adorabile metà?
D’altronde gliel’aveva detto lei stessa che se intendeva salvare la loro relazione doveva trovare una soluzione originale e praticamente miracolosa.
Bè, non che Suigestu fosse amante di storie complicate e ragazze violente e irose come la sua Karin, ma doveva ammetterlo: lei era l’unica che riuscisse a smuoverlo dalla sua inerzia e avesse il fegato di contestare le sue decisioni.
E poi non si sarebbe mai potuto perdere lo spettacolo di Karin in tuta subacquea che si agitava terrorizzata alla vista di un banco di innocue sardine che la circondavano curiose.
Si diresse a salvare la propria ragazza, la sua Karin con un cuore di pietra che lo faceva penare
Le prese la mano e per un attimo si soffermò sul mare color petrolio, la sua seconda casa, il suo paradiso turchese. Ed era quasi commovente poterlo condividere con Karin, in un etereo silenzio che sulla terra non riuscivano mai a concedersi.
Erano dei semi a cui era stato fatto il regalo più grande: poter scegliere il loro suolo, un suolo morbido fatto di onde.
Quel giorno il mare era una culla.
      

Erano anni che Neji Hyuuga, cresciuto come un bonsai perennemente potato, non lottava come un’ostinata edera sui rami della vita.
Ma non c’era tempo, per la vita e per il decoro: i capelli di seta volteggiavano come onde prigioniere del vento e il suo viso di cristallo era pieno di crepe.
Correva, e il suo cuore, così abituato alla calma e al riposo, correva con lui.
Dietro Neji, Shiho incespicava come una variopinta farfalla nell’aria.
“Professor Hyuuga! Aspetti! Non può scatenare il panico in città per una supposizione infondata!!” gridò Shiho con voce fioca e i capelli avvolti da un’aureola di luce.
“No! Non commetterò un altro errore!” borbottò affaticato Neji, sotto lo sguardo incredulo della giovane collega “Ti dico che i sismologhi di Tokyo sono stati troppo ottimisti nel loro pronostico! Forse sulle loro coste lo tsunami arriverà fra ore, ma per noi sarà già troppo tardi! Sta prendendo velocità e arriverà al massimo tra mezz’ora!”.
“Professor Hyuuga!” gridò Shiho, in preda al panico “Neji, aspetti!”.
Gli afferrò, gelida.
“La prego professore, non distrugga tutti questi anni di lavoro” mormorò la ragazza, imbarazzata e spaventata: si sentiva un’insignificante lucciola di fronte all’eterna e splendente luna “Ma non capisce? Questo errore può danneggiare inevitabilmente tutta la sua carriera a futura!”.
Questo seme del dubbio potrà crescere e maturare in un edera che si sarebbe arrampicato su Neji per il resto della sua vita. Avrebbe succhiato via ogni sua possibilità di riscatto, assorbito veleno e ucciso le radici di un nuovo germoglio.
Neji strinse la mano della ragazza, una carezza gelata.
“Ho già fatto un errore simile, un errore che mi ha incatenato e trascinato a terra. La mia situazione non cambierà con un altro sbaglio… ma oggi potrò espiare la mia precedente colpa” mormorò con calma forzata.
Un’ultima, forte, stretta alla mano nivea di Shiho e poi la paura si affacciò di nuovo sul volto dei due sismologhi.
“Dobbiamo sbrigarci a trovare un incaricato dell’operazione di evacuazione, o meglio, raggiungere le stazioni radio o televisive non ancora abbandonate! Se mandiamo adesso un messaggio a Tokyo, non riusciranno a ricontrollare i dati in tempo!” disse Neji sotto lo sguardo incerto ma risoluto della collega.
Nessuno dei due sismologhi era un corridore e raggiungere le scale esterne d’emergenza fu uno slalom di fogli vaganti e armadi traballanti. Un penetrante odore di aria salmastra invase le loro narici appena giunsero all’esterno dello studio, come a confermare l’oscura forza marina che ribolliva tra le onde.
Scesero saltando i gradini, con i camici al vento e i volti sconvolti; l’unico rumore udibile era il tintinnio delle scale cigolanti e il battito furioso del loro cuore impazzito.
“Aspetti, professore!”.
Neji si voltò. A metà scala vide Shiho  si era sporta nel vuoto e aguzzare le minuscole iridi dietro occhiali troppo spesse.
“Professore, guardi! Hanno una telecamera…e un microfono…” borbottò la ragazza lottando contro la sua scarsa vista.
Ma Neji poteva vedere per entrambi, e la speranza, come una semplice candela in una stanza buia, parve rischiarare il suo animo più del sole.
Con uno spirito atletico nascosto nel suo rigido corpo, saltò dalla scala d’emergenza fino a un pittoresco balcone dell’enorme magazzino abbandonato praticamente attaccato allo studio sismologico, vicino a quello su cui litigavano ferocemente due ragazzi.
“Hai corrotto il pilota?? Lee, sei un idiota! Faranno un’indagine, ci copriremo di ridicolo, ci…o mio Dio, ci licenzieranno!”
“Ten Ten, con lo tsunami e tutto questo caos chi vuoi che si ricordi di qualche banconota passata di mano?? Abbi fiducia nel forza della giovinezza!”.
“Tu l’hai mandata a quel paese la mia giovinezza, assieme al mio lavoro e alla mia dignità…e lei chi è?” chiese Ten Ten, lasciando per un attimo il tenero collo di Lee, perfetto da strangolare, mentre Neji atterrava con grazia sul balcone.
“Oh, ci stanno ridando la linea…” mormorò Lee con voce soffocata, tastandosi l’auricolare.
“Ottimo” borbottò Neji, mentre Shiho scavalcava con fatica il balcone e Lee esibiva il suo enorme sorriso.
“Ecco i nuovi aggiornamenti sullo tsunami in arrivo!” esclamò con enfasi e guardando fisso la telecamera di Ten Ten.
“L’allarme non era preciso: l’onda arriverà sulle nostre coste fra meno di mezz’ora!!” gridò Neji, infilandosi fra la telecamera e il giornalista.
“Come??” chiese Lee, attonito.
“È inutile continuare l’operazione…”
“Ten Ten, taglia, taglia!”
“Subito! E…ma che diavolo! Molla la mia telecamera, talpa!”
“Vi prego, fate parlare il professor Neji!”
“…Salite sui piani superiori della abitazioni più alte e costruite di recente, dovrebbero reggere alla forza dell’urto…”
“Professore, la sua tesi è estremamente giovanile, ma da quali elementi è supportata?”
“Ma quale professore, stai parlando con un pazzo, Lee! E tu mollami, lascia la mia telecamera!!Regia, chiudete il collegamento!”
“Mi sa che ci licenzieranno per davvero, Ten Ten!”.

“Graffi. Tanti graffi”.
“Non sono niente. Niente.”
Vero: non erano niente in confronto alle cicatrici che vedevo nel suo animo.
Avevo incautamente perso il conto di tutte le volte che quel giovane dal ghigno enorme e l’animo martoriato era stato ricoverato nell’ospedale di mio padre.
Era il primario, mio padre: avrebbe dovuto capirlo, avrebbe dovuto avere pietà.
Ma proprio come con la mia insensata debolezza, era stato cieco al dolore di quello spavaldo giovane con il sole nel volto.
“I tuoi genitori vengono a prenderti? Non sono preoccupati?” chiesi in un giorno di vento.
Silenzio e una domanda come risposta.
“Da quanto sei qui?” mi chiese, quel giorno. Aveva visto che nei miei occhi non c’era il colore del cielo?
Aveva visto che ero un seme rinsecchito senz’ acqua?
“Da sempre: mio padre dice che sono di salute molto cagionevole e mi lascia uscire molto di rado”.
“Ma tu non sei malata…e sei libera!” esclamò, incredulo e permaloso.
Quanto può essere libera, un onda, nell’immensità dell’oceano?

Erano passati pochi minuti dal delirante annuncio e il nuovo allarme, dichiarato certo e imminente da quel pazzoide dagli occhi di ghiaccio, non era ancora stato smentito.
“Come se ci stessero riflettendo…ma, chissà, forse! Tanto loro sono al sicuro nel loro studio e noi gli idioti a dieci metri dal mare!” borbottò Sakura, mentre si dilaniava le unghie e scrutava con odio la televisione che non annunciava niente di preciso.
“Oh andiamo, Sakura, l’hai visto anche tu, era un folle, non ci stava con la testa!” ribadì deciso Shikamaru, il genio di quel piccolo ospedale. Era spuntato come un germoglio screziato in un mare di fiori bianchi.
“Vedrai che riconfermeranno il precedente allarme e ci trasferiranno tutti con la massima calma” concluse con tono seccato mentre la mano scattava a prendere il pacchetto di sigarette.
Ma Shikamaru non finì la frase e non agguantò le sigarette: un addetto al piano di evacuazione si avvicinava con un viso che mal celava un crescente nervosismo.
“Signori, mi dispiace interrompervi, ma dobbiamo accelerare l’operazione. Probabilmente abbiamo meno tempo del previsto” borbottò concitato.
“Come??” saltò su Sakura, mentre Shikamaru spalancava la bocca, esterrefatto “Ma allora quello strano professore…?”.
“Purtroppo non è da escludere che avesse ragione” mormorò “Ve ne dovete andare, adesso! Vi riferiranno i dettagli al piano terra…”.
“No, non possiamo!” sbottò Shikamaru “Ci sono ancora i fratelli Sabaku!”.
“Gaara necessita di un’ambulanza specializzata! Non possiamo muoverlo altrimenti!” confermò Sakura.
“C’è un malato così grave?” chiese spiazzata la guardia.
Non si stupì, Sakura, dell’incredulità dell’addetto. Il loro ospedale era un ex-sanatorio, sull’orlo del mare, eroso dal glicine, semplice e minuscolo: ben pochi malati gravi si sarebbero fatti ricoverare lì. Ma i fratelli Sabaku non potevano permettersi altro: Sakura conosceva ogni goccia di sudore sul volto di Temari, ogni lavoro che aggiungeva alla sua lista per coprire i costi troppo elevati per le cure dell’amato fratello, l’unico rimasto della famiglia che l’aveva abbandonata. Conosceva la sofferenza e la stanchezza, ormai apatica, di Gaara e la speranza che giaceva, morta, nei suoi occhi pallidi. Quante volte aveva pregato per loro?
Sakura scattò verso il telefono mentre Shikamaru cercava di trattenere, inutilmente, la guardia ormai terrorizzata.
“Shikamaru, non rispondono! Eppure l’ospedale centrale aveva promesso che l’ambulanza sarebbe arrivata in pochi minuti!” mormorò, disperata.
L’espressione di Shikamaru era di pietra.
“Sakura, ormai si è scatenato il panico: forse l’ambulanza si è fermata a soccorrere qualche ferito in questo caos oppure è bloccata o gli autisti se la sono filata…sta di fatto che non arriverà in tempo. Ormai l’ospedale è vuoto, manchiamo solo noi”.
 Dov’era, il suo sole?
“Cosa succede? Ma gli altri sono già stati tutti evacuati? E l’ambulanza?”.
Shikamaru e Sakura sospirano e distesero il viso, in modo che i loro volti non riflettessero lo stesso panico di Temari.
Ma non potevano nasconderle il pericolo ormai imminente.
“Preoccupata, testa d’ananas?” Shikamaru mormorò con voce incerta ma supponente “Non lo sai che il genio ha sempre tutto sotto controllo?”.
Temari strinse gli occhi con forza, la poca che la malattia di Gaara non le aveva rubato.
“Sai, tendo a non fidarmi dei ragazzini” ribatté con un ghigno appena accennato, rivolgendo poi la sua preoccupazione verso Sakura, che aveva la gola secca e la mente spenta.
Shikamaru sospirò, con forza. Perché doveva addossarsi lui, tutte le cattive notizie e seccature varie?
“Temari, ascolta…l’ambulanza…eccola! Visto? Tutto sotto controllo!”.
Era proprio vero: parcheggiata proprio sotto di loro, ecco la tanto agognata ambulanza.
Sakura si mise a correre, finalmente euforica e con una gioia atavica che l’esplodeva nel petto, la stessa che sgorgava dal suo petto ogni volta che vedeva il sorriso di un paziente guarito. La stessa gioia che seminava ogni giorno, nel suo lavoro, e dopo ore, minuti e secondi diventavano fiori. La gioia che avrebbe voluto vedere riflessa sul volto di Gaara.
Sakura arrivò, estatica, al pian terreno: era pronta a baciare e idolatrare l’autista, il suo salvatore…
“Sakura, amore mio! Ti ho fatto una bella sorpresa, vero?? Il tuo Naruto è venuto a salvarti dallo tsunami! E ho pure trovato il tempo per comprarti un po’ di ramen!”.
O forse no.

Il segreto del seme,-il germoglio.


Neji non era solo mio cugino; era la mia guida, la mia spalla, un custode fedele, mio fratello e
la mia ombra.
“No, non possiamo fare un’accusa così grave? Ma ti rendi conto? Non li conosciamo nemmeno!”
“Neji…c’è qualcosa di oscuro, Neji, qualcosa di terribile nell’animo di quel ragazzo!”
“Bambina” mormorò con la poca sensibilità che possedeva “sicuramente ti sei impressionata per qualcosa che ti ha detto…dimmi, non starà cercando di spaventarti?”
“No, Neji…è lui che tenta di nascondermi il suo dolore…”
“Allora non ci dobbiamo intromettere! Ricordati: anche se tuo padre è un medico e tu sei spesso a contatto con i suoi pazienti, non devi farti influenzare dalle loro vite.”
“Neji…”
“Rimani qui, bambina. Non farti portare via”.
Ha seminato il seme dell’incertezza e dell’apatia, come ogni uomo nella mia vita prima di lui. Ha disseminato nella mia anima germogli laceri e rachitici.
Mi ha lasciato anche lui, nel mare che non ho mai visto.
Ed è stato il suo rifiuto che mi dato la forza di indagare, di salvarti, di vedere chi ti infieriva quei tagli.
Non lo sapevo, non lo sapevo.
Non lo sapevo se era la prima volta che tuo padre alzava le mani su di te. Sembravi così agile e forte, ma eri fragile come fiore, sotto le sue urla.
Tu urlavi, e io ero muta.
Eppure sono stata io a ribellarmi: io che ti conoscevo a malapena, che non avevo mai visto quello schifoso ubriacone di tuo padre, che non conoscevo il dolore e la debolezza di tua madre, io che ti ho donato solo un sorriso quando eri ricoverato nell’ospedale di mio padre, nella mia prigione.
Eppure sono stata io a sparargli, a tuo padre.
Se non avesse lasciato l’arma abbandonata tra le bottiglie, se tu non mi avessi guardato con quegli occhi così neri, se io non fossi stata così fragile.
Ma non ti preoccupare per me. Ora il mare laverà via i miei peccati.
Ma non incolparti di quello che è successo.
Tu hai seminato in me coraggio e forza, e mi hai donato i fiori della speranza, nel mio modno pazzo.
È proprio così, il mio mondo, è proprio come il mare: ovattato, immobile, denso. E giù, giù, giù, nella mia anima, ci sono tutte le mie emozioni, compresse, stuprate, schiavizzate, immense come l’oceano.
C’è un oceano di emozioni, nella mia anima. Compresso, stuprato e schiavizzato.
Un oceano imprigionato, immobilizzato.
Un oceano sottovuoto.
Un oceano in scatola.


Forse fu proprio lei, Ino, a percepire per prima l’imminente arrivo dell’onda. Forse perché era abituata alle catastrofi, alle frane che erano crollate sul suo cuore, a un seminatore crudele, che, imparziale, disseminava dolori solo per lei. Prima aveva perso l’affetto della famiglia
(l’aveva mai avuto?) e poi la casa e il suo cuscino caldo.
Aveva poco da lamentarsi, il suo “socio” Uchiha.
Forse.
“Sasuke…c’è troppa confusione là fuori!” esclamò la ragazza preoccupata.
“Sai, non capita tutti i giorni che arrivi uno tsunami” mormorò, atono come sempre, il collega.
“Ma prima si stavano muovendo tutti in modo ordinato… e ora, guarda là! Stano correndo come pazzi!”.
“Il solito gruppo di isterici…non ti distrarre e ammira.”
Il suo compare stava trafficando da qualche minuto con la minuscola ma precisa bomba che era riuscito a fabbricare dopo mesi di lavoro e informazioni ricattate.
“Questo gioiellino farà esplodere il cavò in un nanosecondo” mormorò con un’espressione estatica, quasi reverenziale “Ci basta attaccarlo alla parete( tanto ormai tutte le guardie se la sono filata e possiamo controllare le telecamere), aspettare che arrivi lo tsunami, farla esplodere nella confusione e poi tornare subito a prendere il denaro. Geniale, in effetti” concluse con una nota di fanatica enfasi nella voce solitamente apatica, mentre attaccava sofisticata bomba alla parete che li divedeva dal denaro.
Perché si entusiasmava tanto per la bomba e non per la bella ragazza che gli sta accanto? Si chiese Ino, sconfortata.
La ragazza era un germoglio su cui sbocciavano fiori di amara delusione.
I suoi occhi celesti si spostarono sulla finestra, fuori dalla banca che avrebbero svaligiato.
E la sentì di nuovo.
La voce del mare che si avvicinava.


Il mare era di petrolio, denso e oleoso.
E nero, buio, come se fossero sul suo fondo, sulla sua pelle.
Vide Karin stringere gli occhi miopi e la stretta al suo polso, ansiosa: probabilmente non l’aveva bevuta, la storia che il mare si era improvvisamente oscurato perché una balena stava nuotando sopra le loro teste.
Sarebbe stato preferibile, di sicuro.
Suigetsu si strinse ancora di più alla ragazza, alla sua ancora di salvezza, nelle profondità oceaniche: il mare, suo amico fidato, la sua seconda casa, tremava e gemeva, piangeva, sotto il peso dell’onda gigantesca che aveva sfiorato le loro teste. Il mare, oggi, era un pericolo.
Per la prima volta in vita sua sperò che Karin cominciasse a starnazzare, ciarlare, imprecare o emettere qualsiasi tipo di suono, tanto per spezzare il silenzio e la paura che per la prima volta lo assalivano in mare. Che facesse germogliare risatine o ghigni, battutacce o grida assordanti.
E invece restò zitta, assieme a lui, ad ascoltare l’onda rotolare con fatica tra le sue sorelle, guardarli, accarezzarli appena e poi proseguire nella sua furia disperata.
 E per la prima volta rimpianse il rumore.
In compenso, la sua dolce metà si esibì in una moltitudine di gesti indispettiti, usando il linguaggio a gesti dei sub: era davvero una balena? Che fine aveva fatto il motoscafo? Era uno stupido scherzo, vero, viscido mollusco?? Se era successo qualcosa ai suoi amati salvagenti rosa di Hello Kitty, rimasti sul motoscafo, l’avrebbe aperto in due come una cozza!


“Mi stai dicendo che sei arrivato fino a qui da Tokio con l’ambulanza??”
“Già, e ho pure trovato il tempo per il ramen! Non sono stato fantastico?”
“No, tu sei pazzo, Naruto! Come hai potuto prendere un’ambulanza per i tuoi scopi personali? Sei la solita testa quadra, non sei cambiato una virgola dall’asilo nido! Ma chi ti ha fatto entrare nella protezione civile??”.
“Scopi personali?? Ma Sakura, io dovevo venire a salvare te! E poi ho appena sentito alla radio che lo tsunami sarebbe arrivato nel tuo paese molto prima che a Tokyo…”
“ Mi dispiace molto interrompere questo momento così toccante…” lo bloccò Shikamaru, divertito dalla scoperta del nuovo e burrascoso carattere di Sakura.
“…ma un’onda ci sta per travolgere! Il pigrone ha ragione” concluse Temari, vagamente incredula di dover dare ragione a Shikamaru.
Sakura sospirò, e sorrise, sollevata: il suo sole era tornato. Era tornato come un lampo, come un odore nostalgico e penetrante, come un arcobaleno. Era tornata a casa.
“Forza, razza di idiota. Aiutaci a portare Gaara al sicuro” mormorò con la speranza nella voce e l’affetto che si rifletteva negli occhi celesti del ragazzo.
Pochi minuti dopo erano tutti sull’ambulanza che attraversava le strade deserte, dato che tutti gli abitanti si erano rifugiati sui tetti delle città più moderne, cosa che loro non potevano fare, dato che il loro ospedale era vecchio e pericolante.
E proprio in quei minuti, in quegli istanti prima dell’apocalisse, in quei minuti dove Gaara sedeva apatico tra le amorevoli mani della sorella e quelle ruvide di Shikamaru(una famiglia), tra le frasi sconclusionate e preoccupate di Naruto, a Sakura parve di scorgere, sulla spiaggia, una ragazza di vetro.
Un germoglio mai fiorito.

Il segreto dell'uomo,-il seminatore


Sono qui, a un passo dal mare, a un passo dalla fine.
Un sussulto: le tue braccia mi circondano. Perché sei venuto? Come hai fatto a trovarmi?
“Hinata, ma cosa stai facendo?? Lo tsunami arriverà a momenti!”
Sorrido, al mare.
“Non posso, Kiba. L’ho ucciso, e la pena per me sarà la prigione. Mio padre potrà dire quello che vuole, potrà ripetere ai magistrati le sue teorie sulla mia fragilità psicologica e fisica per le quali mi tiene chiusa e prigioniera…ma la mia sorte è segnata”.
“Mio padre era uno schifoso maiale, e tu mi hai salvato!” balbettò Kiba, stringendomi con forza “la tua è stata legittima difesa, nessuno ti avrebbe incolpata! Perché sei scappata, infrangendo gli arresti domiciliari??”
Non capisci, Kiba. Io sono come il mare. Non so cosa sia una casa, un abbraccio o un bacio, e non mi serve; ho bisogno solo della libertà, come un seme senza radici. Il mio seminatore mi ha lanciato in un deserto, e io ho bisogno di acqua.
Stavo scappando dalla giustizia e dalla mia stessa famiglia, quando ho sentito l’allarme tsunami: era il mare, che mi chiamava, e mi chiedeva di riposare nei suoi fondali per l’eternità, per scontare la mia pena.
 Per tornare a casa.
Perché non avrei potuto sopportare di vivere la vita con una simile colpa nella mia anima altrimenti innocente.
“Non avrei potuto sopportare ancora di più la prigionia, Kiba; né quella legale né quella di mio padre. Sei stato tu, a salvarmi. E io avrei tanto voluto salvare te”.
Perché sei qui, Kiba? Perché voi scontare la mia pena, germoglio innocente, seminato da un destino crudele?
La senti, Kiba, la voce del mare?
Noi uomini siamo seminatori, ma anche seminati: sono il mare e la terra che decidono dove porre le nostre radici. E il mare le sta sradicando.
Io lo vedo sospirare e ritrarsi, il mare, come se avvolgesse il suo vestito color cobalto per lasciare che i suoi piedi avanzino sulla terra. Come se volesse conoscerci.
Tu mi stringi, e sento la tua determinazione nel rimanermi accanto fino alla fine. Testardo e coraggioso.
Finalmente vedo il mare…ed è un benedizione ammirarlo con te.


“Per la cronaca, Uchiha, io ho sempre trovato i tuoi piani estremamente stupidi”.
“Cosa?”
“Ma non ti ho mai abbandonato, nonostante tutto”.
“Ma che…”
Glielo doveva dire, Ino. E gliel’aveva detto sotto un cielo splendente, turchese e accecante.
Gliel’aveva detto appena fuori dalla banca, fuori dalla loro miniera d’oro.
 “Nonostante tutto, ti ho sempre amato”.
Gliel’aveva detto in un posto senza tramonti e senza fiori, senza fiumi e senza prati.
Ma pochi ragazzi avrebbero potuto vantarsi di aver ricevuto una dichiarazione d’amore con un’onda alta circa sette metri come sfondo.


“Naruto, non entrare in città!”.
“Cosa?? Sei impazzito, bradipo ambulante?”.
Shikamaru si voltò, scocciato e terrorizzato, verso Temari, che stringeva con forza la mano del fratello, come ad attingerne energia e speranza. Anche perché Gaara, con il sapore della morte in bocca, era il più tranquillo tra i passeggeri dell’ambulanza.
Shikamaru strinse le labbra e si rilassò solo perché sapeva che Temari era troppo nervosa, per tutto, e che doveva scaricare la sua ansia.
“Ascoltatemi” incominciò, interrompendo la protesta di Sakura “Non riusciremo mai a raggiungere il centro della città e i palazzi che non rischiano di crollare in tempo! La maggior parte dei cittadini avrà abbandonato la propria auto in mezzo alla strada e sarà fuggito! Non possiamo rischiare di doverci fermare o trovare ostacoli, dato che non possiamo spostarci a piedi per via di Gaara!”.
“Allora lasciatemi qui! Non rischiate la vostra vita per me!” esclamò con enfasi il ragazzo, prima di esser zittito dal terrore dipinto sul volto della sorella.
“Non dire fesserie” lo ammoni con decisione Shikamaru “Dobbiamo raggiungere la collina sopra la città, passando per la statale! È divisa dal mare da una foresta di diversi metri, che potrebbero bloccare la furia dell’onda!”.
L’ambulanza cadde nel silenzio e Naruto scelse da solo la soluzione più adatta: svoltò nella tangenziale, deserta, e schizzò come un lampo verso la collina.
“Comunque, se volete allentare la tensione o vi siete dimenticati di far merenda, vi ricordo che c’è il ramen sul retro!”


La vita si ascolta, così come si ascolta il mare... Le onde montano, crescono, cambiano le cose. Poi, tutto torna come prima ma non è più la stessa cosa.
Io ti ho sempre ascoltato, mare, dalla mia conchiglia, dalla mia scatola. Sentivo l’eco della tua melodia nella mia mente fragile, le tue note cullarmi. Ogni melodia della mia vita era prodotta dal tuo canto. Ti ho ascoltato per tanti, tanti anni.
Ora è il tuo turno. Ti prego, ascoltami.
Io ti imploro, mare, mio amato e sconosciuto mare, ti prego di risparmiare Kiba, che non è fuggito, cha ancora mi abbraccia, nonostante la tua furia.
Lui è innocente, ha seminato solo speranza e bontà, e la sua anima è pura e libera.
Io sono la peccatrice, ho seminato morte, e la mia anima è prigioniera.
Ti imploro di liberarla, di aprire la conchiglia, la scatola dove è racchiuso il mio oceano.
Ti imploro, mio amato e sconosciuto mare.
Liberami.

Un ultimo sospiro, un ultimo sorriso.
E in un attimo sono dentro di te, mio amato mare.




Il segreto della donna,-il suolo.


.

“Allora, stai riprendendo??”
“Non riuscirò a filmare un bel niente se continui a inserirti nel mio campo visivo!”
Shiho, al dialogo, aveva sempre preferito il silenzio, specialmente durante avvenimenti tragici o almeno preoccupanti. E il fatto che quei due strambi giornalisti continuassero a bisticciare mentre l’onda anomala devastava la cittadina era inquietante agli occhi della timida sismologa.
Fiori, bambole, fango, sangue, tutto trascinato dall’acqua, che sfondava vetrine, maciullava auto, sradicava alberi e case.
Li poteva sentire, i cittadini rifugiati sui palazzi miracolosamente in piedi, come il loro, trattenere il fiato mentre riconoscevano una portiera, una bicicletta, forse una foto.
Il mare stava portando via tutto, persino la terra dove Shiho poggiava i piedi, la terra che accarezzava e si sbriciolava, delicata, tra le dita di un bambino, quella stessa terra che girava con tutti gli uomini.
Sotto i loro piedi, c’era solo il mare furioso e instabile.
Persino la sua terra, la sua stabilità, le era stata portata via; ora era un fiore senza suolo. C’era solo una certezza, una costante, una fievole speranza: la mano di Neji, ghiacciata e diafana, ancorata alla sua.
Gliel’aveva svelato, sul quel tetto sopra il mare, in quei momenti di terrore, il suo errore, il suo peccato: a causa della sua superficialità, della sua freddezza, aveva lasciato che la cugina, la sua fragile adorata bambina si caricasse sulle spalle il dolore di Kiba, di quel ragazzo dal ghigno tormentato.
  “Lei ti perdonerà” gli sussurrò e Neji appoggiò la sua fronte su quella della ragazza.
Come la terra perdonerà il mare.

“Merda!”
Naruto svoltò ed evitò per un pelo che l’ambulanza cadesse nella scarpata, invasa dall’onda assassina.
“Vai, vai!” gridò Sakura, che lottava con i suoi compagni per tenere ferma la barella di Gaara
“più avanti c’è uno spiazzo abbastanza alto da poterci fermare!”.
Ma il più avanti si dimostrò molto lontano e Naruto ingaggiò una vera e propria lotta tra l’ambulanza e le forze della natura (e qualcuna della fisica) per sfuggire all’onda.
Li sfiorava, li attaccava, quasi li superava, li illudeva, come un intransigente boia. Labbra venivano morse e urla venivano soffocate, in quell’ambulanza.
Gocce e granelli di sale penetravano nel veicolo come un’ombra.
“A destra, a destra!!” ulularono i passeggeri mentre l’onda sommergeva un enorme pino e seminava il panico.
“Forza, lo spiazzo non è lontano!” gridò Sakura mentre l’ambulanza sbalzava verso il dirupo e veniva sballottato sulla barella.
E con un’ultima epica frenata, Naruto raggiunse lo spiazzo, incastrandosi con una discreta abilità tra due enormi pioppi.
Come per magia, l’acqua, tormentata e sporca, sfiorò lo spiazzo, lo accarezzò, con reverenza, e lo adottò come una nuova spiaggia, una nuova terra, una nuova meta.
Il mare aveva conquistato altro territorio, un altro pezzo di terra era diventato lago. Erano su un’isola vagante.
“Gaara! Gaara!” gridò Temari, spaventata e tremante, mentre il fratello cominciava ad ansimare affaticato.
“Spostati, Temari” le intimò velocemente Shikamaru, mentre faceva stendere Gaara e lo attaccava alla flebo.
“Merda!” imprecò nuovamente Naruto, pallido e sudato “Guardate la!”.
Lui e Sakura si sporsero e riconobbero la periferia della cittadina stravolta e smembrata, letteralmente mangiata dall’elegante furia marina, che ora, dopo il violento impatto, si stava fermando per creare una palude di detriti.
E in mezzo al fango sbucava una diafana chioma bionda, un’angelica aureola, che rischiava di essere trascinata nelle fauci del mare.
“È una ragazza!” esclamò Naruto.
Non necessitavano di altre parole, Sakura e il suo sole, l’amico che aveva a malincuore abbandonato per la sua nuova e intensa vita: si gettarono lungo la scarpata e raggiunsero ben presto la ragazza, svenuta, tenuta a galla da un ragazzo altrettanto sconvolto e da un paio di stravaganti salvagenti rosa.
“Resisti!” urlò Naruto al ragazzo e si gettò incoscientemente tra le onde sporche e salate.
“Naruto, torna indietro! La corrente è ancora troppo forte!” lo avvertì Sakura, ma prima che potesse sgolarsi a elogiare l’imbecillità del suo migliore amico vide Naruto allacciarsi delle lunghe crode alla vita. Il giovane medico strizzò gli occhi, e vide che sbucavano da un piccolo motoscafo incastrato fra muri sbriciolati, probabilmente trascinato lì dall’onda.
“Reggi!” gridò il ragazzo mentre le lanciava le corde alla ragazza a si avventurava tra i flutti per recuperare i due feriti.
Si sarebbe ricordata ben poco, Sakura, di quegli infernali minuti in cui il suo fisico minuto aveva dovuto sopportare il fuoco acido e pungente della fatica e della paura. Nella sua memoria ferita c’erano soltanto l’odore salmastro, il sangue e la sua pelle che si strappava sotto la pressione delle corde, il suolo che le scivolava sotto i piedi, e infine il sole negli occhi di Naruto, un Naruto trionfante che portava sulle spalle, con delicatezza materna, i superstiti.


Il cielo, finalmente.
Mai lo scenario di nuvole e sbuffi color celeste gli era stato caro.
Il mare era un paradiso, ma la terra, là in fondo, era diventata un inferno. E Suigetsu pensò, per l’ennesima volta, che il mare era molto più sicuro del fango e del loro mondo, del suolo, troppo freddo e grigio. Era solo troppo silenzioso, il mare rispetto alla terra: talmente silenzioso che la morte ti passava sopra la testa, mentre si prendeva tutto il tempo per decidere il tuo destino.
Forse il rumore era piacevole, a volte.
Suigestu si tolse la maschera e respirò, grato di poter compiere tale gesto.
Ma rimase in silenzio; lei lo avrebbe riempito.
“Che diavolo è successo, mollusco?? Il motoscafo…dov’è?? C’erano sopra la mia borsa, il mio cellulare…e i miei salvagenti di Hello Kitty! Bastardo, parla, non fare il pesce, parla, che diavolo è successo??”
“Karin…ti ho appena salvato la vita! Se non avessi avuto la splendida idea di rimanere sott’acqua, saremmo rimasti sulla terra e sommersi dall’onda!”
“…”
“…”
“Avevo uno tsunami sopra la testa e tu hai avuto il coraggio di dirmi che si trattava di una balena?? Altro che tsunami: appena rimetto i piedi sulla terraferma ti trasformo in un fritto misto!”

“Temari, lascia che Sakura si occupi di Gaara e aiutami!” gridò Shikamaru che stava soccorrendo la ragazza bionda. Sembrava una bambola rotta, quella figura esile e sciupata.
Temari lasciò, fiduciosa, il fratello tra le mani di Sakura e strinse con tutte le sue forze un pezzo di stoffa intorno alla gamba della ragazza, per fermare il sangue, che, copioso, la copriva come un tragico sudario.
Sudore e polvere non fermarono le mani della ragazza, avvezza a dolori ben più profondi e velenosi, ai dolori del cuore. Strinse, strinse il pezzo di stoffa come a scaricare tutta la rabbia per la sua vita rovinata, per suo fratello, e per quella fata diafana che aveva lottato contro il mare.
“L’abbiamo recuperata!” annunciò trionfante Shikamaru, mentre controllava l’elettrocardiogramma della ragazza e le teneva una maschera sul viso per consentirle di respirare e tornare a ridere.
“Bravo! E tu stai seduto, idiota!L’hai capito che potresti avere di tutto, da emorragie interne a un trauma cranico?? Devi stare fermo!” sbottò Naruto, trattenendo Sasuke che seguiva il soccorso di Ino con la lucidità di un sonnambulo e si muoveva a scatti, come un marionetta.
“E smettila! Cos’è, ti sta scoppiando una bomba sotto il sedere?”
Naruto non aveva mai avuto grande sensibilità o una grande intuizione, perciò non calcolò minimante il fremito di terrore che scivolò nel corpo del sopravvissuto.


L’esplosione della banca aveva creato un certo scompiglio, principalmente perché diversi bigliettoni bruciacchiati ma in uno stato comunque discreto, avevano cominciato a volteggiare sopra l’acqua dello tsunami, sotto gli occhi desiderosi dei supersiti.
Quindi Neji fu l’unico, a vederlo.
A vedere il corpo sconvolto e graffiato di Kiba riemergere dai flutti proprio grazie all’esplosione e volteggiare, elegante, fino ai piedi del loro edificio.
E mentre Ten Ten e Lee esultavano per la creazione di servizio storico, lui scese come un angelo dal magazzino e raccolse con delicatezza il giovane, l’unico che aveva capito e salvato la sua Hinata.
 Gli sembrò di vedere una vetrosa scintilla nell’acqua, sul quel pavimento instabile, su quel fondo sterile.      
Una scintilla, per un attimo. E poi più niente.


Il mio oceano in scatola piange di gioia, mentre la mia vita scivola via.
O mare, l’hai risparmiato!
Ora posso purificarmi e stare nel tuo abbraccio fraterno per sempre. Sei unico e perfetto, forte e misericordioso.
È stato piacevole, quasi un onore, poter lasciare il mio corpo sul tuo fondo.



 
Il mio segreto: sotto un tumulo che non troverete mai.




Erano passati mesi, e ancora i fiori profumavano di sale. Erano passati istanti per le vittime dell’onda anomala, eppure i loro sorrisi erano cibo e calore per la gente che li circondava.
Erano passati pochi minuti da quando Kiba aveva stretto Hinata tra le sue braccia e l’aveva sentita sua: una sorella, un’amante, una salvatrice, una peccatrice, una santa, un’illusa. Ma sua. Non erano stati minuti, ma lo sembravano.
Sembravano minuti, e invece erano stati mesi, il tempo che Kiba aveva passato all’ospedale per riconquistare la sua vita e la forza per viverla. Ma solo dal punto di vista fisico: la sua sanità mentale era guarita sotto quei flutti, tra l’abbraccio dell’onda, negli ultimi istanti in cui aveva potuto stringere le mani di Hinata. Avrebbe dovuto renderlo pazzo, e invece il sacrificio della ragazza gli aveva ridato la vita. Lui, che dopo la morte del padre era sprofondato nel ricordo della sua violenza, aveva trovato la speranza nel rivedere, per un attimo, l’immagine di Hinata in televisione, nel servizio dello tsunami presentato da uno strano giornalista, fermo sostenitore della giovinezza.
Era sfuggita dalla giustizia e Kiba era fuggito dalla sua disperazione. Era resuscitato, dopo il calvario e la morte.
Era stato l’ultimo, a guarire, tra tutti i supersiti che erano stati catapultati in quel piccolo ospedale lontano dalle città colpite. I primi erano stati Sakura e Naruto: era bastato raccontare la loro rocambolesca fuga per purificare i loro ricordi e se mai l’incubo dello tsunami sarebbe ritornato, si sarebbero stretti la mano e avrebbero continuato a vivere, insieme. Infatti, dopo la catastrofe, Sakura si era rifiutata di lasciare di nuovo Naruto, e sarebbero tornati presto a lavorare insieme in quel piccolo ospedale disseminato di glicine, dopo la sua restaurazione.
E poi, tutti insieme, avevano visto Sasuke rifiorire, dopo che Ino aveva riaperto gli occhi celesti e dopo aver scoperto che Itachi, a causa dei disordini creati dallo tsunami, era stato rintracciato e arrestato, e che i soldi rubati erano tornati nelle tasche di famiglia.
Ora poteva guardare fiducioso il mondo negli occhi di Ino.
L’avevano vista sbocciare, quella strana coppia che un giorno era salita su una costosa Ferrari per poi sparire.
Shikamaru era guarito dalla sua paranoia grazie alla nuova felicità di Temari, che era esplosa in un giorno miracoloso, il giorno in cui il burbero Sasuke, per sdebitarsi dal debito di vita che doveva ai suoi salvatori, le aveva spedito un assegno la cui cifra copriva abbondantemente le spese delle cure di Gaara.
E lui era tornato alla vita, come una lucciola nella notte, sorretto dalla sorella e da quel fenomenale team di medici che lo avevano nuovamente salvato. Ora sorrideva, e camminava, Gaara.
Neji era guarito con Kiba, passo dopo passo: salvandolo, il sismologo aveva esorcizzato quella terribile colpa che non gli aveva consentito di salvare la cugina. Si erano salvati a vicenda, in quei tumultuosi mesi all’ospedale che Kiba aveva dovuto affrontare, tra i timidi sorrisi di Shiho e speranze mai spente.
Gliel’aveva chiesto tante volte, Neji, se gli sarebbe piaciuto partecipare al suo nuovo programma televisivo: lui e Shiho sarebbero andati in giro per il mondo per registrate servizi sui movimenti sismici più sinistri e a rischio. Seguiti, ovviamente, dall’eccentrico Lee e dalla telecamera di Ten Ten.
Ma Kiba non aveva accettato: voleva la stabilità, non altri terremoti.
Non era riuscito a dirlo, ad Hinata. Non gliel’aveva detto che anche lui aveva un oceano in scatola, nascosto sotto anni di sofferenza. E ora l’avrebbe liberato, l’avrebbe donato al mondo, l’avrebbe messo a disposizione dei bambini che, come lui, avevano sofferto soffrivano ancora.
 Uscì dall’ospedale un luminoso giorno di fine estate: Kiba era sta l’ultimo a guarire, ma sarebbe stato il primo a curare il prossimo, con il suo sorriso.

Sull’orizzonte, solo il mare.
 




Spero che siate ancora vivi dopo la letturaXD^^.
La scuola mi sta distruggendo ma se riesco a sopravvivere spero di riuscire a scrivere di più.
La fic è un’AU, ambientata nei giorni nostri. Si tratta della poesia della signora Sibley, bella ma ostica, come la storia.
Grazie a Rina per i complimenti^^Baci!
Grazie per la vostra attenzione,
LaLa
  
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