Quando arrivai in bagno avrei giurato che nessuno l’avesse
usato, non quella mattina per lo meno.
Clark sosteneva si stare sotto la doccia eppure non c’era
nemmeno una goccia contro la parete di piastrelle,
né un accenno di vapore o asciugamani bagnate a terra.
O lui era in grado di aspirare il vapore e pulire il bagno alla
velocità della luce o non me la raccontava giusta.
Oh beh, immergermi nella vasca d’acqua bollente era il
miglior modo per cominciare il sabato mattina.
E anche se effettivamente non mi avesse detto la verità? Non
aveva nessun obbligo nei miei confronti.
Non mi doveva niente, anche se dovevo dire di non essere abituata a
dovermi confrontare con un Clark Kent bugiardo.
Probabilmente la stavo davvero facendo più grande del
dovuto. Lasciai che l’acqua calda salisse fino ad arrivarmi
alla punta del naso.
Ma dove cavolo era stato la sera prima?
Non mi aveva risposto al telefono, e anche per l’essere
più controllato di questo mondo come lui, dopo venti
telefonate e altrettanti messaggi in segreteria, avrebbe ceduto e alla
fine avrebbe
risposto. Se c’era una cosa in cui era bravo Clark era
proprio prendersi le sue responsabilità.
Ossessiva,
Lois!
Se non fossi stata io ad accusarmi avrei risposto con la mia solita
non-chalance che fare domande era parte del mio dna,
stava esattamente tra il gene del colore dei miei capelli e quello che
mi faceva essere completamente dipendente dai mostruosi
camion con le ruote alte due volte me.
Un rumore.
Per lo meno era ancora in casa, non avrei dovuto inseguirlo ancora, e
prima o poi avrebbe cantato!
Le bolle ormai si erano sgonfiate. Ma quanto tempo ero rimasta nella
vasca da bagno?
Le lancette dell’orologio mezzo appannato sul ripiano dello
specchio indicavano che ero stata già quasi due ore, immersa
in quella specie di salamoia al profumo di muschio.
Uscii dalla vasca, poggiando i piedi nudi sul pavimento freddo e
bianco.
Fregandomene di lasciare le impronte bagnate per tutto il bagno.
Se era così bravo a pulire il bagno, farlo due volte nella
stessa mattina non gli avrebbe creato un problema.
Vendicativa!
Avrei potuto cominciare a scrivere una rubrica di quelle sdolcinate e
femministe del tipo: “Non stuzzicar la donna
ferita”.
Blah! Che
schifezza.
Meglio lasciare certe mielosaggini
a Sandy, l’inquilina della scrivania accanto alla porta del
Daily Planet, esattamente a meno di un metro dall’uscita.
Il che doveva pur voler dire qualcosa!
Il primo piano non era esattamente quel che si poteva dire "stare ai
piani alti" ma me l’ero sudata quella mezza scrivania che ora
condividevo con Clark. Avevo sputato sangue, avevo scalato talmente
tanti muri e scale antiicendio arrugginite, indossato tanti di quei
travestimenti per ricavarmi quel misero pezzo di tavolo che, me lo
sarei tenuta stretta anche a costo di dovermelo trattenere con i denti.
Non avevo neanche pensato di portarmi un cambio, presi
l’accappatoio bianco, pulito e profumato…
ma soprattutto, perfettamente
asciutto da dietro la porta.
Altro indizio.
Decisamente Clark non aveva fatto la doccia.
Ciò non toglieva che con i capelli bagnati fosse ancora
più sexy, ma quello era un altro discorso.
Arrivai nella mia “nuova” camera, senza perdere
l’occasione di puntare l’orecchio verso il piano
inferiore.
Stava armeggiando in cucina.
La camera era sempre la stessa, stesse tende, stessa disposizione dei
mobili.
Era parecchio che me n’ero andata ma nessuno doveva aver
più usato quella stanza, in fondo Clark ora era solo.
Sbirciai nell’armadio.
In effetti ci trovai un paio di jeans che sembravano proprio i miei,
stavano piegati in due dentro ad uno scatolone sul fondo.
Con quelli ci trovai anche le magliette di cui parlava. Ne presi una
piegata,
quasi appallottolata, nell’angolo più remoto dello
scatolone.
La sollevai stendendola e guardandola, un po’ tra lo schifata
e l’inorridita.
Incredibile che fino a qualche anno prima mi sarei azzardata a mettere
una maglietta simile.
Quando me la infilai mi resi conto che l’effetto finale non
era migliore di quello che mi prospettavo.
Era rossa, arrivava di poco sotto al seno, sembrando più un
top che una maglietta e al centro sfoggiava lo stemma stilizzato
dell’esercito.
Ma non solo, la scritta parlava chiaro: “Io amo il corpo dei
marines".
Vecchio ricordino di un week end passato a trovare papà
sulla portaerei.
Quella volta avevo passato davvero poco tempo con lui e moolto con il corpo
dei marines.
Per fortuna anche Clark aveva lasciato qualcosa di suo, una volta tanto
non era stato il solito perfettivo.
La sua camicia a scacchi stava sulla sedia dietro la porta. Sarebbe
servita per farmi dimenticare che avevo una montagna di valige in auto.
E poi aveva detto che se avevo bisogno di vestiti avrei trovato tutto
senza bisogno di mettermi comoda,
tanto valeva accontentarlo e ricordargli bene che quello era il prezzo
per non farmi accampare in pianta stabile.
Non che fosse quello che volevo.
-Lois, cosa ci fai con la mia camicia? Ti sei portata mezza casa-.
Sfacciato! Prima mi invitava candidamente a non disfarle e poi si
offende
e ha da recriminare.
Arrossì, che tenero, era in imbarazzo nel vedermi la maggior
parte della pancia di fuori,
coperta appena dalla sua camicia legata sul davanti.
Mah quale "che tenero"! La solita vocina indiavolata mi riprese.
-L’ho trovata in camera mia. Camera mia, camicia mia-.
Lo canzonai. Era stato lui a parlare della mia vecchia camera.
Mi guardò di sbieco continuando e posizionare le ciambelle
in ordine preciso sulla teglia da forno.
-Da quando sei diventato il cuoco di casa?-.
-Mia madre sta a Washington da abbastanza tempo da farmi capire che mi
devo arrangiare,
inoltre ho bisogno di tenerti buona questa mattina, e le ciambelle sono
sempre la soluzione più immediata.
Ho avuto una nottataccia-.
Disse mettendo l’ultima prima di sfregarsi le mani
l’una contro l’altra.
-Tu?!-.
Digrignai tra i denti ripensando alla rabbia e alla delusione che mi
avevano fatta rigirare nel letto fino a farmi prender sonno solo alle
prime luci dell’alba. Poi era stato il turno della lavatrice.
Chloe doveva averla avviata prima di uscire, senza rendersi conto che
in fondo al carico che avevo già preparato c’era
la pistola.
La schiuma aveva invaso l’appartamento così in
fretta.
Avevo atteso di vedere le bolle arrivare fino alla porta di camera mia
prima di darmela a gambe.
La maggior parte delle valigie era già pronta.
Anzi era ancora
pronta visto che dopo esser tornata da una delle solite visite a
papà non le avevo disfatte.
Era passato quanto? Quindici giorni? Bah, il mio armadio vantava ancora
un gran rifornimento.
Non ne avevo avuto bisogno.
-Già-.
-L’implacabile ed imperturbabile Clark Kent.
L’essere più mite e pacifico che io abbia mai
conosciuto-.
Sospirai già impaziente di addentare una ciambella.
-Non te la saresti cavata bene nel medioevo. Ti sarebbe andata bene
solo a fare il prete o un monaco, una cosa così…-.
Lo guardai piegarsi in avanti, dovendo ammettere che era
impossibile evitare di notare quelle braccia guizzare in gonfi muscoli.
Uhllalà!
-O forse no-.
Alzai gli occhi al cielo. Quanto è dura avercela con una
persona se fa di tutto per farti dimenticare per cosa ti eri arrabbiata.
-Da quando sei un’esperta del medioevo?-.
-Da quando mi sono resa conto che la tecnologia attorno a me si sta
letteralmente fondendo.
Finiremo per dover scrivere gli articoli con calamaio e piume-.
Il mio cellulare non aveva ancora squillato quel mattino. Strano.
-Melodrammatica anche dopo il bagno? Devo aggiungere altra glassa-.
Borbottò tra sé guardando per aria.
-Già. Altra glassa, mio eroe-.
Dentro di me in realtà esultai. Zucchero, zucchero.
Avevo bisogno di zucchero per resistere a quella giornata.
Cominciai a scuotere il telefonino, possibile che fosse senza vita?
Possibile che non fosse arrivata nessuna telefonata.
Proprio da
nessuno. Nessuno?
Uffa!
-Qualcosa non va?-.
Mi interruppe da quella ispezione molto più simile
ad una vivisezione,
visto che l’avevo già aperto in mille pezzi per
vedere se fosse tutto apposto.
-Certo!-.
-Sembri preoccupata. Aspetti una telefonata?-.
-Chi io?-.
Sì e nemmeno uno dei due uomini che nel giro di quella notte
avrebbero dovuto telefonarmi si era fatto vivo.
Lui era uno dei chiamati in causa, e non era a suo favore.
-No! Aspetto solo che le ciambelle siano pronte-.
-Ci vorranno solamente pochi minuti, erano quelle surgelate, spero ti
accontenterai-.
-Sì, purché tu aggiunga quella glassa che mi
avevi promesso-.
Ricomposi il telefono alla velocità della luce, come fosse
un puzzle che ormai sapevo ricostruire anche dormendo.
Non fosse mai che almeno uno dei due si decidesse a chiamare proprio
ora.
Silenzio.
Ci fu un secondo in cui ci trovammo a guardarci.
L’uno di fronte all’altro, imbarazzati senza nulla
da dirci.
Avevo davvero voglia di offenderlo ancora, ma non ne ero
capace.
Volevo dirgli che non me lo sarei mai aspettata, non da lui.
Desideravo che mi chiedesse scusa, che mi dicesse che era pentito e che
voleva recuperare.
Sì, era proprio quello che volevo, che mi chiedesse una
seconda opportunità, ammesso che la volesse.
Magari per lui era stato il modo più semplice per evitarsi
un problema,
quello di dirmi che non ci sarebbe mai potuto essere
niente,
niente di
più di una collaborazione.
Il telefono improvvisamente squillò e il cuore mi
balzò in gola.
Entrambi scattammo sull’attenti.
Squillava davanti a me e vibrava come in preda alle convulsioni
contro il marmo del piano cucina.
Non era solo il mio, conoscevo la suoneria del suo telefonino e stava
strillando quanto il mio.
Ci guardammo indecisi. Non volevo rispondere per prima.
Sorrisi, sfidandolo a fare il primo passo.
Lo sfilò dalla tasca dei jeans e guardò il
display, leggendo il nome del chiamante.
-Cosa aspetti?-.
Lo incalzai già in ansia.
Se la macchia mi stava chiamando e io ero così stupida da
non rispondere per dare filo da torcere a Smallville...
ero proprio pazza.
Tirò su con il naso e si decise a premere il tasto di
accettazione della chiamata giusto in tempo.
Nello stesso momento io feci lo stesso prendendo la mia chiamata.
-Lois, sono Carlos-. Una voce roca bisbigliava.
-C’è una rapina in corso tra la Saint James e la
President Lincols.
Ti conviene muoverti, gli avvoltoi degli altri
giornalisti non tarderanno a lungo-.
La mia soffiata.
Sbirciai verso il salotto dove Clark si era rifugiato alla ricerca di
privacy.
Non voleva che sentissi la sua telefonata.
Possibile che anche lui
avesse un informatore e non me l’avesse detto?
Riattaccammo entrambi.
-Lois,
scusa, io avrei una cosa da fare…-, borbottò.
-Anche io, sembra che ci sia una rapina. Vieni con…-, mi
voltai solo un secondo per prendere la borsa ma,
quando feci per riguardarli, lui era sparito.
-... me?-, conclusi la frase al nulla.
Ma quanto sonno avevo perso quella notte?
Non avevo il tempo di stare a rincorrerlo, non quando il mio scoop
rischiava di scapparmi dalle mani.
ps: ci ho messo un pochino ma ç_ç sono sotto
esami quindi trovare tempo e testa per scrivere è dura :)
baci!
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