______Luna di
f e r r o.
Voglio
tregua da me stesso
e
ballo coi fantasmi.
Soli,
lune, stelle, eclissi
un’
immensità
dove
io ti cerco
tra
luce e buio a metà.
Sole
nero – Litfiba.
La
vedi?
È
lì, che ti guarda, ostentando colpe e rancori.
Ti
guarda e mostra parole inespresse, stralci di vita
possibili ma improbabili.
E
fa paura, perché è più forte del
desiderio ma più folle
del vizio.
La
vedi? È
lì, proprio lì.
E
ti distrugge, anche se non puoi morire così
facilmente e
perfino provar dolore ti è
difficile.
Ti
distrugge e lo fa osservandoti con apparente distacco,
burlandosi del tuo tempo pressoché infinito e prendendosi tutto il tempo possibile, per ucciderti piano.
È
lì la finestra, lì sono gli occhi di Shiki e
quella sua
pelle così bianca.
Si
trova lì, la morte, che desideri più della vita
al chiaro
di luna.
Non
lo sai? Le rose non fioriscono la notte. La luna non è
abbastanza forte e nemmeno tu, nemmeno tu che fissi quella finestra e
mille
spilli ti si conficcano nelle carni, nemmeno tu che muori ogni giorno
di più,
osservandola, e sei felice lo stesso.
Felice
comunque, felice
per questo.
Camminava
piano, senza fretta, senz’affanno.
La
vita gli scorreva tra le dita ma preferiva non farci
caso, pressato da cose più urgenti e incarichi
più gravosi per potersi
concedere il lusso di pensare a sé.
Parlare,
distrarsi, era diventato elementare, banale come
solo il respiro per gli umani può essere.
Viveva
distraendosi da lui, moriva nei sogni, cercava
conforto nelle illusioni che lo uccidevano più della vita,
ma che lui amava, più
della vita stessa.
Sorrideva
come sempre, perché come sempre doveva vivere, e
parlava dei problemi del dormitorio, delle minacce alla scuola.
Parlava
e si sentiva in colpa, perché mai una volta riusciva
a pensare unicamente a ciò di cui stava asserendo.
La
mente sgusciava e si destreggiava, tra i fili invisibili
in cui l’aveva costretta, e cercava: cercava vie di fuga e
possibili
alternative, cercava libertà e urlava piangendo, cercava il
suo volto, tra i
tanti, e la volontà d’ammetterlo.
Si
fermava, Ichijou, e respirava più forte, l’odore
delle
rose entrava prepotente nelle narici e quasi si sentiva bene, era quasi
felice,
quasi vero.
Sorrideva
di quella sensazione ottundente che gli era
divenuta familiare come una cara amica, sorrideva
all’abbraccio di ferro che
gli stringeva il corpo, lasciandolo esterrefatto dal dolore ma felice
d’averlo
provato.
La
malinconia latente sgusciava piano, arroventandolo in
spire di rimpianto, e quell’amore che si scontrava con la
freddezza della luna
lo asfissiava con dolcezza, come solo l’odore delle rose
sapeva fare, come solo
il suo viso aveva sempre saputo
fare.
“Ichijou-sama,
qualcosa non va?”
S’accorse
d’essersi dimenticato di Kaname, e dei suoi
doveri, nel momento in cui sentì la sua gentile voce
incolore.
Si
sentì in colpa e stupido, mortalmente stupido, si mise in
piedi, accorgendosi solo in quel momento d’esser caduto a
terra.
“No,”
rispose subito sorridendo appena, “credo d’essere
un
po’ stanco.”
La
luna lo guardava, fredda, e lo insultava senza voce.
La luna lo guardava e lui non ne aveva il
coraggio.
La
sua luna era di ferro e con la freddezza dei suoi raggi
definiva la sua personalissima prigione.
Avrebbe
voluto urlare, ridere e forse piangere, avrebbe
voluto tante cose ma si limitava a sorridere; sorridere
di se stesso e della prigione che
lui stesso aveva definito ad arte.
Aveva
paura e ne moriva piano, senza far rumore, osservando
il suo viso, piangendo lacrime trasparenti tra le sbarre di ferro di
lune
crudeli.
“Ho sempre pensato
che tu fossi decisamente troppo umano, Ichijou.”
Affermò Kaname d’un tratto, e
sembrò come una colpa. Come una bestemmia orribile, un
delitto che non merita
assoluzione.
Sembrò
una condanna e Ichijou guardò il capo dormitorio
spaventato accorgendosi solo allora del sorriso rassicurante sul suo
volto.
Il suo mondo
scricchiolava forte, riempiendosi di crepe infinitesimali, cercando
disperatamente
di non implodere e desiderandolo con tutto il cuore.
Morire,
sì, morire in fretta e subito di una morte vera:
vera come neanche la sua vita era
stata.
Ridacchiò
appena, passandosi meccanicamente una mano sul
volto, cancellando crepe invisibili e sanguinanti.
“Forse
hai ragione,” ammise.
Cercò la forza di ridere forte e
s’accontentò di un sorriso triste,
puntando gli occhi alla luna e a quella finestra. E
c’era la luna tra le sbarre della finestra,
c’era il suo incubo in gabbie di ferro, c’era la
sua vita che tremava ogni ora
un po’.
Kaname
lo osservava e forse sapeva, la luna lo trafiggeva,
il sogno lo martoriava, quegli occhi blu lo inseguivano e Ichijou si
rompeva, e pezzi di
falsi sorrisi lastricavano il suolo,
ferendogli i piedi con le loro punte di acuminato rimpianto.
Ma
Ichijou camminava piano, senza fretta, senz’affanno.
Sorridendo
piano, vivendo al chiaro di luna.
E
quando in momenti ritagliati da mani sapienti, avrebbero
potuto stare da soli, anche solo per qualche istante, si sarebbe
accontentato
del suo corpo vicino e della sua testa appoggiata alla propria spalla.
Si
sarebbe accontentato di quel calore corporeo che mai una
volta la luna gli aveva donato, si sarebbe accontentato del suo viso
disteso e
dei suoi occhi, per una volta chiusi, per una volta innocui.
“Ehi,
Ichijou!” esclamò proprio in un pomeriggio di
questi,
Aidou “Shiki sembra proprio stare dalla tua parte,
eh?” Occhieggiò
il ragazzo dai capelli rossi e la
sua vicinanza al vice capo dormitorio con astio, aggrottando le
sopracciglia. “Non
ti fare illusioni, però!” Sbottò
d’un tratto, “Io sarò sempre dalla parte
di
Kaname!”
E
mentre Aidou si lanciava in una ‘campagna
elettorale’ per
decidere chi, tra Ichijou e Kaname, avrebbe riscosso maggior
popolarità,
Ichijou guardava Shiki dormire.
Sollevava
appena la mano e chiudeva il libro che stava
leggendo, sollevava la mano e l’appoggiava sul suo capo
silente, socchiudeva e
gli sembrava di
vedere pezzi di vita accasciarsi
l’uno sugli altri, come tanti pezzi di un domino grottesco.
Socchiudeva
gli occhi e gli pareva di sentire il suo nome
tra quelle labbra, malediva il suo sogno, quindi, e il profumo delle
rose che
lo alimentavano di illusioni crescenti.
Socchiudeva
gli occhi, pozzi di malinconia crescente, e
sospirava appena accontentandosi solo di quello.
Socchiudeva
gli occhi, Ichijou, e sembrava aver capito tutto
della vita.
Guardando
quegli occhi blu poteva ben dire di aver capito
tutto e perso tutto in un solo istante, guardando quegli occhi chiusi
poteva
ben dire di aver voluto perdere tutto di proposito per capirlo davvero,
ed era
meglio che chiudesse gli occhi, perché tutto era troppo.
Troppo
da vivere, troppo per sperare, troppo da sognare.
Troppo
poco per morire, però.
E
condanne senza assoluzione rimbombavano nel silenzio,
infrangendosi sui suoi occhi e sulla sua prigione, infrangendosi in
echi simili
sul suo rimpianto.
“Troppo
umano, troppo umano!”
… troppo vivo?
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Salve!
*ç*
Se
NVU mi rincancella tutto di nuovo penso che mi strangolo. *WTF*
Oh,
beh, mi scuso per il ritardo, accampando la solita scolastica scusa e... beh,
anche se con ritardo torno a finire la mini raccolta con la Ichijou
one-sided che, tra parentesi, non vedevo l'ora di scrivere.
Il
buon Takuma mi è sempre piaciuto tanto quanto Shiki, e
peggio per loro. XD
Penso
che sia intuibile, alla fine della shot, la reminiscenza con un extra
del manga. Ora non mi ricordo quale e non ho voglia di cercarlo. *king*
Grazie
di cuore a: R e d_V a m
p i re [Grazie infinite per i complimenti, cara! Sei
troppo buona. çAç Ho maltrattato Giulia per la
raccomandazione che ha fatto a questa storia. ù___u Grazie
ancora. **] e a Mimi18
[Troppi, troppi complimenti! Spero che ti sia piaciuto anche questo e
ti ringrazio immensamente. *love*]
Alla prossima!
Red.
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