Ritratti
Prima di
entrare, Leonardo si voltò a guardare un pigro sole tingere
d’arancio l’orizzonte. Il suo sguardo
spaziò oltre tetti di casi e cupole di chiese, dove
l’alba di un nuovo giorno si annunciava clamorosamente
bandendo le ombre della notte.
L’artista avrebbe voluto soffermarsi a guardare quello
spettacolo meraviglioso come faceva tutte le mattine, ma ad
impedirglielo era un sonno prepotente dovuto al viaggio estenuante
appena concluso. La sua stanchezza estrema dipendeva anche dalle
fatiche acconsentite nella bottega del Verrocchio, dove si era offerto
di dare una mano con tanta gentilezza.
Ora se ne pentiva, se ne pentiva amaramente. Le palpebre pesavano sugli
occhi azzurri più del quadro che portava sotto braccio,
avvolto in una tela. Le gambe stavano cedendo e, quando
entrò in bottega, dovette appoggiarsi subito al tavolo
più vicino. Aveva le tendenze di un ubriaco; se Tommaso
l’avesse visto in quel momento, avrebbe pensato che il suo
uomo si fosse unito alle baldorie organizzate dai garzoni di Andrea.
L’avrebbe sgridato come fa una madre permalosa e
l’avrebbe spedito a letto con i calci al culo.
L’idea non lo infastidiva troppo, si scoprì a
pensare con un mezzo sorriso.
Lasciò il dipinto sul tavolo e andò a richiudere
la porta senza fare rumore. Salendo malfermo le scale di legno,
gettò distrattamente un’occhiata al salone in
penombra. Si fermò a metà della rampa e
tornò indietro di un gradino rischiando
d’inciampare. Quando si voltò del tutto, vide con
chiarezza ciò che, bene o male, si sarebbe dovuto aspettare
di trovare.
Ripercorse i propri passi fino all’ingresso e raggiunse
l’ampio scranno nascosto nell’oscurità.
Lì, tra le ombre di una trentina di volumi impilati come una
muraglia, si nascondeva un piccolo corpo di giovane donna. Delle
candele disposte attorno alla sua figura restava un misero stoppino
immerso nella cera, un po’ della quale era strabordata e
colata sulle copertine dei libri.
La sua allieva giaceva sulla scrivania con una guancia poggiata sui
fogli e un braccio disteso, le dita della cui mano intrappolavano con
delicatezza la piuma d’oca bianca. Un po’
dell’inchiostro le era finito sul viso, che premeva sui
disegni interrotti a metà, un altro po’ si era
essiccato nel canale della penna che Leonardo le sfilò
dolcemente dal palmo. Ripose la piuma bianca tra le altre compagne
colorate in un contenitore di terracotta e richiuse il barattolo
dell’inchiostro con un tappo di sughero, sperando che non si
fosse già seccato anche quello.
Arianna doveva averlo aspettato sveglia finché le forze
l’avevano concesso. Aveva cercato una distrazione nel disegno
finendo col riempire pagine e pagine di schizzi, ma dal respiro
profondo e regolare della ragazza, Leonardo intuì che aveva
ceduto non prima di qualche ora prima. Leonardo non riuscì a
scacciare l’idea di aver lasciato consumare tutta quella
carta pregiata e costosa alla sua allieva, ma allo stesso tempo si
addolcì nel gettare un’occhiata
all’ultimo disegno fatto dalla fanciulla.
Era solo uno schizzo, certo, ma i tratti del volto, il collo della
camicia, i capelli fluenti e il berretto erano dettagli di un riuscito
tributo al suo maestro. Arianna l’aveva disegnato e non una
volta soltanto: scostando qualche altro foglio, Leonardo
contò almeno una dozzina di se stesso e nelle espressioni
più bizzarre. Dallo stupore alla collera,
dall’imbarazzo ad un semplice broncio, Arianna aveva dato
piena nota della qualità espressionistica nei propri
ritratti. Leonardo se ne sentì immensamente imbarazzato, ma
ugualmente commosso mentre sulle labbra gli compariva lo stesso sorriso
che Arianna aveva saputo “copiare” tanto
fedelmente.
Immaginando che sarebbe potuto crollare in sonno affianco alla sua
allieva, Leonardo si costrinse a svegliarla. Prima le scostò
una ciocca dei capelli da davanti gli occhi chiusi, poi le
carezzò la testa aspettando una sua reazione.
-Arianna- chiamò, -Arianna, svegliati-.
Lei si destò sorridendo, si mise seduta composta,
stropicciò gli occhi e guardò un istante il suo
maestro. –Leonardo- mormorò prima di gettarglisi
al collo, abbracciandolo.
Leonardo barcollò. –Anch’io sono felice
di vederti-.
Arianna lo lasciò andare di colpo. –Come
è andata a Careggi?- volle chiedere entusiasta, ma senza
riuscire a nascondere lo sguardo assonnato.
Leonardo le carezzò il viso e le scrostò
dell’inchiostro dalla guancia. –Di questo parleremo
domattina. Non permettiamo alla stanchezza di uccidere la ragione di
entrambi- le sorrise affabile.
Arianna annuì, si alzò dal grosso scranno e si
stirò il giubbetto. Restare in quella posa contorta, distesa
sopra la scrivania, le aveva raggrinzito le maniche della camicia,
oltre che premerle oltremodo il corpetto sul seno. La ragazza fece per
portare i disegni con sé, ma l’artista le
allontanò le mani dai fogli e le lasciò intendere
che ci avrebbe pensato lui. Arianna, forse un po’ dubbiosa ma
bisognosa di sonno, acconsentì con un sorriso; poi Leonardo
la guardò salire le scale. A metà della rampa, la
Pazzi si fermò e lo fissò dall’alto,
finché il maestro, ancora distratto da alcuni disegni della
sua allieva, non si voltò a guardarla.
-Ben tornato- disse lei, per poi riprendere la salita e sparire nel
corridoio del secondo piano.
Leonardo rimase immobile fissando a lungo il punto in cui la sua
allieva era stata inghiotta dall’oscurità. Quando
finalmente si mosse, fu per andare a sistemare le carte disordinate che
aveva chiesto ad Arianna di lasciare così come stavano. Le
raggruppò battendo i bordi sul tavolo e si accorse che erano
in numero ben superiore a quelle che aveva adocchiato poco prima,
mentre sbirciava i ritratti che Arianna aveva fatto di lui. Nel gesto
di sollevare e posare da una parte la pila di fogli, a Leonardo gliene
sfuggì uno. Il papiro svolazzò e si
posò in terra. Quando l’inventore si
chinò a raccoglierlo, faticando a piegarsi sulle ginocchia
senza cadere in avanti per la stanchezza, aggrottò la fronte
nel cogliere cosa vi era disegnato: era un mezzo busto di donna
ritratta con le mani tra i capelli, la bocca aperta in un grido
disperato e gli occhi stretti. Era curata nei minimi dettagli, tra cui
le rughe del volto e l’abbigliamento povero, e occupava un
intero foglio. Leonardo lo afferrò e se lo portò
davanti al naso per guardarlo meglio. Solo allora si chiese cosa avesse
spinto Arianna a raffigurare un soggetto tanto macabro e
dall’anima colma di dolore. Tornò alla pila di
fogli e infilò quello in mezzo agli altri, sollevandone
alcuni. A quel punto vide con chiarezza che Arianna, di gente
disperata, arrabbiata, euforica o piangente ne aveva disegnata a
sacchi.
Bastò un impercettibile spostamento d’aria e
l’intero ammasso di fogli si fu sparpagliato sul pavimento. I
volti addolorati di donne in lacrime, le sopracciglia aggrottate di
uomini sudati e arrabbiati e le urla di bambini spaventati coprirono in
pochi secondi il pavimento attorno alla scrivania come
un’onda schiumosa sulla spiaggia.
Leonardo si portò una mano alla bocca. Il suo volto era,
come quello di molti tra i disegni di Arianna, il ritratto dello
stupore, del terrore, dell’angoscia.
La gente ai suoi piedi costituiva una folla che stava assistendo ad un
qualche spettacolo abominevole. Gente che stava guardando la morte,
gente che temeva e rimpiangeva la morte, e gente che la desiderava
altrui. Se da una parte Arianna aveva disegnato donne grondanti di
lacrime e bambini spaventati, dall’altra c’erano
soldati, uomini o giovani che gridavo parole del tipo:
“Sì! Sangue! Morte! Uccideteli!”.
Leonardo poteva sentire le loro voci, poteva circondarsi dei loro corpi
e poteva crogiolarsi nel puzzo del loro desiderio di giustizia.
In fine, non potendo più sopportare quella vista,
indietreggiò finché non fu con le spalle al muro.
Dentro di sé si stavano risvegliando i tormenti che aveva
confessato a Sandro durante il viaggio di ritorno: la sua allieva, la
sua preziosa perlina, era pazza, pazza o maledetta. Ciò che
disegnava era di altri mondi, a partire dai quadri ripugnanti che aveva
lasciato nella bottega del Verrocchio o nelle mani della sua famiglia.
Quadri, quelli, dei quali Guglielmo si prendeva cura personalmente.
Improvvisamente gli occhi sgranati del pittore caddero su un singolo
disegno.
Spiccavano, tra i vari schizzi di pose e particolari, tre figure
pendenti per il collo. La prima era un uomo ben vestito, la seconda un
ragazzo ventenne, la terza solo un bambino.
Quella fu la goccia: Leonardo si chinò e raccolse i fogli
con foga. Corse dall’altra parte della bottega e li
gettò nel camino. Li coprì di legna e cosparse il
tutto con l’olio di una lampada. Quando il fuoco si accese,
il pittore si rese conto di star respirando a fatica. Si
lasciò cadere sulla poltrona alle proprie spalle e
fissò le fiamme ardere gli studi della sua allieva.
Non avrebbe voluto farlo. Era combattuto, ma non avrebbe dovuto farlo
comunque. Lui più di tutti sapeva cosa volesse dire essere
diversi, diversi agli occhi delle persone; lui più di tutti
aveva compreso solo in parte, ma stava imparando cosa significasse
portare il peso della diffidenza sulle proprie spalle, il peso di gente
brava solo a criticare senza capire, soffermarsi a studiare, a
comprendere la natura umana e tutte le sue forme. Eppure Leonardo aveva
paura, paura di aver preso tra le mani qualcosa di molto più
grande della mera natura animalesca dell’uomo. In lui stava
crescendo il timore di aver accolto tra le braccia qualcosa di
magnifico ma altrettanto pericoloso. Arianna aveva un dono per
l’arte, ma aveva un dono anche per qualcos’altro.
Poi si addormentò.
.:Angolo
d’Autrice:.
Poverissimo capitolo di appena tre pagine. Avete tutto il diritto di
uccidermi per l’affronto abominevole a questa storia o alla
letteratura italiana in generale. Pubblicare quest’estratto
del finalmente ritorno di Leonardo nella sua bottega è stata
una necessità. Dall’indomani, vedrete, date le
circostanze, cambieranno molte cose sia nella routine
dell’artista che in quella della protagonista. Ho intenzione
di dare una bella batosta ad Arianna. (Ehm… non pensate a
male… o forse dovreste? O.o)
Nonostante io arranchi faticosamente nel mio dovere di scrittrice (e
ancor più dolorosamente in quello di lettrice e
commentatrice) sappiate che in questi giorni non mi darò
pace per portare ad un livello presentabile i capitoli successivi.
Grazie ad eventuali lettori, recensori o nuovi curiosi. Purtroppo non
ho tempo di dilungarmi troppo, sto crollando dal sonno…
^^ A presto!
Caltaccia.
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