Lei, il mare e la seppia di Pichichi (/viewuser.php?uid=79680)
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Terminammo
il pranzo e dopo che Andrea ebbe ricevuto la sua torta con relativi
auguri da
parte di tutti, decidemmo di lasciare il ristorante per far ritorno
sulla
spiaggia.
Dopo
quello che era accaduto in bagno non ci eravamo più parlate,
e nonostante
avessi incrociato più volte i suoi occhi e avessi colto il
desiderio di
spiegarsi, non c’era stata occasione di rimanere da sole.
Se
avevo ben interpretato il suo sguardo, si sentiva in difetto per avermi
spinto
via così bruscamente, come fossi un amante qualsiasi da
dover nascondere. Se
avevo colto ciò che i suoi occhi volevano comunicarmi,
avrebbe voluto chiedermi
scusa e magari aggiungere qualcosa che sottotitolasse il bacio che le
avevo
dato.
Durante
la consumazione del gelato mi persi nuovamente fra i miei pensieri.
Riflettendoci
su, quel bacio non era stato affatto una buona idea. Mi sentii quasi in
colpa
per averlo fatto, perché certamente l’avevo messa
in confusione, ma soprattutto
perché a mente fredda mi sembrò un gesto davvero
patetico.
L’avevo
baciata, mi resi conto, non per gelosia nei confronti di Andrea, non
per
rimarcare il “possesso” che presumevo detenere
sulla sua persona. Il mio bacio
non era stato un modo aggressivo per rispondere alla visione di lei e
del suo fidanzato.
Quel bacio voleva essere un messaggio disperato, un ultimo sostegno a
cui
aggrapparmi, come se avessi voluto dirle: non dimenticarti di me!
Forse
significava che rapidamente stavo perdendo il controllo della
situazione, forse
mi ero trovata sopraffatta dagli eventi e non mi ero resa conto di
essermi
infilata in un vicolo cieco, dal quale non sarei tornata indenne?
Possibile
che dentro di me sapessi già come sarebbe andata a finire,
possibile che avessi
la sensazione che nonostante la nostra conversazione le cose si
sarebbero messe
male per me?
Quei
pensieri non mi piacevano per niente, mi mettevano addosso una certa
paura e
non volevo affatto che il resto della mia giornata fosse condizionato
da questi
ragionamenti. Perciò decisi che non ci avrei pensato
più, o almeno avrei
tentato di deviare la mia attenzione su altro.
Se
dal primo momento in cui presi questa decisione mi sembrò
impossibile portare a
termine l’obiettivo, mi resi ben presto conto di come non
avessi alcuna
speranza.
Pagato
il conto, tornammo in spiaggia verso le quattro meno dieci, quando il
sole non
picchiava più come a mezzogiorno.
Durante
il tragitto per tornare in spiaggia lei mi si avvicinò,
presumibilmente per
parlarmi, e notandolo feci in modo di staccarmi dal gruppo per
garantire un
minimo di riservatezza.
Lei
si affiancò a me, e dal modo in cui tentò di
iniziare il discorso capii che si
sentiva un po’ in colpa e voleva farsi perdonare.
-Ti stai annoiando molto? A tavola
non hai detto che due parole- domandò, strizzando gli occhi
per distinguere la
mia sagoma.
-Non mi piace la compagnia, lo sai-
risposi.
Lei
annuì, ma non trovò altro modo di continuare la
conversazione. Ammetto che a
volte potevo risultare piuttosto distaccata e fredda, ma in quel
momento non
ero affatto intenzionata a discutere con lei e tirare fuori altri
motivi che mi
avrebbero dato da pensare.
-Scusa se mi sono arrabbiata, prima-
mormorò lei, evitando di guardarmi.
Mi
fecero tenerezza le sue scuse, così decisi che avrei
abbassato le mie difese
per non offenderla.
-Non fa niente, lo so che tanto
quando ti arrabbi dici cose che non pensi realmente...-
Lei
mi sorrise.
-Vero, e meno male che tu lo sai.
Andrea si offende sempre, e così ogni volta è un
casino-
-Be’, se avessi preso sul serio ogni
singola parola che mi hai urlato addosso da quando ci conosciamo, non
sarei
certo tua amica-
Avevo
scelto apposta quella parola, per osservare la sua reazione. Nonostante
il sole
ci abbagliasse, avevo visto comparire per un attimo sul suo volto
un’espressione imbarazzata. Fu brava a ricomporsi subito,
però.
-Eri molto pensierosa, prima-
Fu
il mio turno di sorridere, e compiacermi che si fosse preoccupata del
mio stato
d’animo.
-Sì, hai notato?-
-Ma certo. Si vede lontano un miglio
quando ti perdi nei tuoi pensieri-
-Sul serio?-
-A volte vorrei tanto entrare nella
tua testa per sapere che pensi, lo sai?-
Toccò
a me arrossire, ma sperai che il sole le avesse impedito di notarlo.
Avrei
fatto meglio a lasciar cadere nel nulla quella domanda, ma non riuscii
a trattenermi
e commentai:
-Oh, è meglio di no-
-Perché? C’è qualcosa che
non dovrei
sapere?-
Mi
aveva sorriso con fare invitante, senza apparente malizia o sospetto
nello
sguardo, ma immaginai che avesse posto quella domanda con un preciso
scopo.
La
guardai leggermente infastidita e forse lei colse questa sfumatura nel
mio
sguardo, perché mise le mani avanti e aggiunse:
-Cioè no, scusa, fatti tuoi. Scusa,
non volevo essere invadente-
Era
evidente che si sentiva in difetto, che voleva farsi perdonare per come
mi
aveva trattato prima, ma non sapevo come interpretare quel desiderio di
pace.
Avevo ormai fatto l’abitudine ai suoi repentini cambi
d’umore, al fatto di
dover prendere sempre con le molle le sue affermazioni
poiché non potevo
prevedere un’eventuale cambio di programma, e se prima il suo
tentativo di
ottenere misericordia per un comportamento irascibile mi avrebbe fatto
piacere,
in quel momento mi diede da pensare.
Sembrava
veramente dispiaciuta, nonostante nel bagno avesse fatto una scenata, e
pensai
che probabilmente ci teneva alla mia amicizia, a non allontanarmi, a
tenere
saldo il legame che ci univa.
Eppure
non ero del tutto contenta.
Avrei
potuto metterla davanti ad una scelta e c’erano buone
possibilità che lei
preferisse me ad Andrea. Ma qualcosa non mi convinceva.
-No, semplicemente ti ci perderesti,
per quanto sono contorti i miei pensieri- le sorrisi.
Arrivammo
nei pressi dei due ombrelloni che avevamo piantato la mattina e non
potemmo più
parlare.
Spogliati
dei vestiti ci sistemammo sugli asciugamani, ed essendo impossibilitati
a fare
il bagno ognuno di noi cercò di impiegare il tempo in una
maniera gradevole.
Andrea,
Simone, Sebastiano e Luca s’impegnarono in una partita di
pallone sul
bagnasciuga, e noi ragazze fummo costrette a sdraiarci in riva al mare
perché
Sonia e le due amiche di Andrea potessero fare il tifo.
Dopo
però dieci minuti evidentemente si stufarono,
perché le due ragazze, Laura e
Alessia, intavolarono una partita a carte, lei si
disinteressò del pallone per
prendere il sole e Sonia dovette arrendersi all’idea che quel
Simone era molto
più interessato a lanciare il pallone oltre due stecche di
legno, per
l’occasione trasformati in una porta di calcio, che a
beccarsi le sue occhiate.
Così
delusa e respinta tornò a sedersi accanto a me.
-Credo che nemmeno se mi spogliassi
mi presterebbe attenzione- disse, facendo un sospiro rassegnato.
-Già, lo credo anch’io. Ma
perché ti
ostini tanto, se non lo vedrai mai più in vita tua?-
Probabilmente
avevo toccato un argomento in cui lei si sentiva piuttosto ferrata,
perché mi
guardò con aria saputa e alzando l’indice come a
voler esprimere una massima,
disse:
-Lo sai, il rimpianto di non aver
inseguito un sogno è molto logorante-
Stupita
di questa sua uscita, la guardai per un momento spiazzata, cercando di
capire
se stesse facendo dell’ironia o fosse convinta di
ciò che aveva appena detto.
Appurato che era seria, domandai:
-In pratica secondo te è meglio
provarci sempre e comunque, anche se poi si resta delusi?-
-Certo-
-Che perdita di tempo-
-Perché dici così?- la sua
espressione si intristì d’un tratto, delusa che
avessi bocciato la sua teoria.
-Perché è proprio brutto farsi
illusioni-
Sonia
stette zitta per un momento, meditando su quanto avevo appena detto;
poi gettò
uno sguardo alla ragazza bionda che prendeva il sole a pochi metri da
noi, e
replicò, abbassando la voce:
-Non mi pare che ti faccia problemi
con lei-
Anche
solo il fatto che l’avesse tirata in ballo fece alzare il mio
livello di
attenzione, e non comprendendo fino in fondo quello che volesse dire la
invitai
a spiegarsi meglio.
-Voglio dire, continui questa
situazione anche se non sai come andrà a finire. Il che, ora
che ci penso, è
piuttosto strano da parte tua-
Non
risposi a quell’affermazione, per non addentrarmi ancora una
volta in quel
discorso. Possibile che durante un maledetto Ferragosto dovessero
venire a
galla questioni così importanti?
Sembrava
che ogni cosa volesse invitarmi a riflettere sul nostro rapporto, cosa
che io
non volevo assolutamente fare. Avevo la sensazione che sarei uscita
sconfitta e
delusa da un’eventuale confronto con la realtà dei
fatti.
Pertanto,
al diavolo cos’era giusto e cos’era sbagliato!
Non
volevo deprimermi, non volevo pensare, non volevo che qualcuno mi
dicesse che
stavo completamente sbagliando comportamento. Decisi che avrei adottato
un
atteggiamento del tipo “vivi e lascia vivere”, che
mi sarei goduta quella
giornata in spiaggia e non mi sarei fatta prendere da inutili sensi di
colpa.
La
piacevole sensazione derivante dall’aver soffocato tutte le
domande fastidiose
che mi ronzavano in testa mi conferì una certa spavalderia.
Perciò, siccome i
ragazzi giocavano ancora in riva al mare e nessuno eccetto Sonia mi
prestava
attenzione, allungai un braccio verso la ragazza bionda per scuoterla
leggermente.
Lei
storse il naso e si tirò a sedere, forse in procinto di
cacciare in malo modo
il disturbatore. Una volta appurato che di me si trattava,
però, rinunciò ad
arrabbiarsi e domandò cosa volessi.
-Ti va di farti una passeggiata?-
Lei
mi sorrise e senza nemmeno curarsi di avvertire gli altri mi prese per
mano,
tirandomi verso la riva.
Avvertivo
chiaramente che il sole non era più caldo come quella
mattina, mentre
camminavamo sul bagnasciuga. Il mare non era agitato e si dondolava
avanti e
indietro, producendo tante onde innocue. Il tratto di spiaggia che
avevamo
scelto per posizionare gli ombrelloni era abbastanza riparato
poiché si trovava
fra due formazioni di scogli, ma una volta oltrepassati questi sembrava
non
esistesse un millimetro di sabbia lasciato libero. La giornata era
particolarmente propizia e adatta per trascorrerla in riva al mare,
così tutte
le spiagge del golfo si erano riempite di impiegati in ferie, famiglie,
gruppi
di ragazzi come noi e qualche raro pescatore.
Dovemmo
percorrere parecchi metri prima di riuscire a trovare un posto che
fosse meno
frequentato. Mano a mano che ci allontanavamo dalla zona costiera
cittadina il
numero di persone diminuiva, fino a che non si ridusse a qualche
sporadico
bagnante accampato sulla spiaggia libera.
-Non è che ci siamo allontanate
troppo?- domandai, voltandomi indietro.
Il
punto da cui eravamo partite non era più nitido e si
confondeva col resto del
paesaggio.
Lei
non diede importanza a quel dettaglio, preferendo immergere i piedi
nell’acqua.
-Brr- rabbrividì, quando l’onda
arrivò a lambirla – è gelata –
Mi
sorrise con aria ingenua e questo gesto mi depistò,
impedendomi di evitare lo
schizzo d’acqua che mi tirò addosso.
-Smettila!- le intimai,
indietreggiando verso la spiaggia – non ho voglia di
bagnarmi!-
Ovviamente
non mi ascoltò e passammo un bel po’ di tempo a
rincorrerci sulla riva,
cercando l’una di evitare gli schizzi dell’altra,
col risultato che fummo
infine entrambe bagnate dalla vita in giù.
-Certo che sei permalosa. Prima
provochi e poi t’arrabbi se ti bagni?- la presi in giro,
perché non aveva
gradito uno schizzo particolarmente violento da parte mia.
-Sì. Non dovevi farlo-
Ora
stava cercando di calcolare l’entità dei danni,
torcendosi per osservarsi il
fondoschiena e le gambe.
Siccome
in quel punto di spiaggia non c’era nessuno, eccetto un
pescatore lontano
qualche metro, mi sedetti sulla sabbia, aspettando che mi imitasse.
Dopo
qualche secondo in cui prolungò il suo atteggiamento da
offesa, si decise ad
affiancarsi a me. Ormai era quasi ora del tramonto, e da quel punto
avevamo una
perfetta vista del sole che piano piano stava calando e di tutto il
golfo.
Notando quel panorama, lei disse:
-Forse hai ragione, ci siamo
allontanate troppo-
-Penseranno che ti ho sequestrata-
-Ma va’, sicuramente non mi sono
persa nulla- mi sorrise lei, prendendo a scrivere col dito sulla sabbia.
Fui
piacevolmente stupita di quella sua affermazione.
-Perché dici così?-
-Figurati. Andrea ha le sue amiche
se cerca qualcuno davanti a cui pavoneggiarsi. E poi scusa, se lui
può
ignorarmi per giocare a pallone io non posso ignorarlo per stare con
te?-
Non
dissi niente, ma dentro di me fui molto contenta di quelle sue parole.
Avendo
relegato in un angolo quei dubbi che mi erano venuti in mente nel
pomeriggio,
pensai che non avevo motivo di dubitare di lei. Pensai che ricambiava,
se non
la totalità, almeno buona parte dei sentimenti che io
provavo per lei. Pensai
che era piuttosto piacevole starsene seduti in riva al mare con lei
accanto, senza
doversi preoccupare di ponderare gesti e parole, senza dover temere il
richiamo
di Sonia o l’occhiata sospettosa di Andrea. In quel momento
non c’era alcuna
traccia dei ripensamenti che mi avevano assalito in precedenza.
Restammo
per un po’ in silenzio, ognuna persa nei suoi pensieri; lei
era tutta intenta a
scrivere sulla sabbia bagnata, per poi osservare il suo lavoro sbiadire
al
passaggio dell’onda, mentre io guardavo il mare e
rabbrividivo
impercettibilmente ogni volta che l’acqua mi bagnava i piedi.
Non
ero molto loquace, e poter rimanere in silenzio affianco ad
un’altra persona
senza preoccuparsi di cercare spunti di conversazione, assumeva per me
grande
importanza.
Era
piuttosto strano restare in silenzio e sapere che non ci stavamo
ignorando.
Il
bagnasciuga era pieno di sassi trasportati a riva dalla corrente,
ciottoli,
sigarette, pezzi di bottiglia, alghe e in qualche punto anche bottiglie
di
plastica.
Lei
continuava a disegnare linee e forme sulla sabbia, pulendosi le dita
con
l’acqua salata e ad un certo punto la sua attenzione fu
catturata da qualcosa.
-Guarda!-
Mi
voltai per controllare cosa avesse scoperto e lei tirò fuori
dalla sabbia,
sciacquandola per farmi vedere meglio, una piccola conchiglia.
Mi
venne da sorridere spontaneamente, perché lei era stata
capace di trovare il
meglio che potesse offrire quella spiaggia così inquinata e
desolata.
-Perché ridi?- domandò.
-Perché non ci posso credere che tu
in mezzo alla plastica, ai pezzi di vetro e alle sigarette sei riuscita
a
trovare una conchiglia-
-Le cose belle si mostrano a chi le
sa apprezzare, lo diceva sempre mia mamma- replicò lei,
esaminando il suo
tesoro da tutte le angolazioni.
Mi
sfuggì, in un mormorio udibilissimo:
-Si vede proprio che Andrea se ne
intende, allora-
Lei
si voltò nella mia direzione, guardandomi per un attimo
stupita. Poi lentamente
cominciò a comparirle sul volto un sorriso timido ed ebbi
l’impressione che
stesse arrossendo.
Era
proprio questo che mi piaceva di lei, il suo essere semplice e
aggraziata nelle
piccole cose. Mi sembrò così diversa dalla
ragazza per cui mi ero dannata nel
ristorante, che mi domandai se gli altri la conoscessero
così, se potessero
godersela allo stesso modo di come lo stavo facendo io adesso.
Improvvisamente
mi domandai se Andrea avesse mai potuto cogliere una sola briciola di
quella
bellezza che stavo contemplando.
Mi
chiesi se lui avesse mai scoperto questa sua bellezza, o se si fosse
limitato
solamente ad apprezzare l’esteriorità, il suo bel
corpo, gli occhi azzurri, i
lineamenti delicati; certamente non negavo che fosse una bella ragazza,
ma
reputavo superiore a qualsiasi altra cosa quel suo essere dolce e
gentile, ed
avevo l’impressione che non mostrasse a tutti quanti quel
lato del suo
carattere.
Era
come scoprire una perla preziosa dentro una corazza che era
sì bella, ma
palesemente costruita e falsa.
In
quel momento mi colse una strana sensazione, come quella che si prova
sapendo
di aver tagliato il traguardo prima di tutti, perché
probabilmente ero stata la
prima e forse l’unica ad aver avuto la possibilità
di apprezzare quel suo lato.
D’altra
parte il fatto che si sentisse abbastanza sicura da potersi comportare
con
naturalezza quando stava con me significava che avevo la sua piena
fiducia.
Mi
sentii al contempo privilegiata e carica di una grossa
responsabilità, ma non
ebbi tempo di riflettere ulteriormente su questa questione: prima che
me ne
rendessi conto, ci stavamo baciando.
Cominciò
a fare freddo e ci rendemmo conto che era meglio tornare dagli altri,
così ci
rimettemmo in cammino e per la maggior parte del tragitto restammo in
silenzio.
Avvertivo
chiaramente un cambiamento nei suoi atteggiamenti, nel suo modo di
fare, come
se improvvisamente si fosse resa conto di essersi esposta troppo e
stesse
rapidamente tornando ad assumere la forma precedente. Come se fino a
quel
momento fossimo state immerse in una dimensione che era solo nostra, e
ora
dovessimo fare i conti con la realtà.
Il
dover tornare dagli altri mi aveva inoltre riportato alla mente tutta
quella
serie di ragionamenti, di dubbi e di preoccupazioni che avevo messo da
parte in
quel periodo passato assieme a lei. Così mentre
ripercorrevamo il tragitto a
ritroso, cercai di dare una risposta alle domande che mi avevano
assillata.
La
osservai camminare accanto a me, e mi parve anche lei molto pensierosa.
Ci
eravamo baciate di nuovo. Non riuscivo a pensare ad altro che a quello.
Ci
eravamo baciate di nuovo, e stavolta era stato un avvenimento del tutto
naturale, come se non ci fosse nulla di male, come se lei non avesse un
fidanzato, come se non avesse alcuna paura delle conseguenze, quando
invece non
era affatto così!
Mi
succedevano cose strane in sua presenza, come appunto far parte di
quella
situazione senza sapere come sarebbe andata a finire, per di
più rischiando di
uscirne delusa e sconfitta.
Tuttavia
finora, nonostante la precarietà delle cose, potevo
ritenermi soddisfatta: lei
continuava a comportarsi con me nello stesso modo in cui si era sempre
comportata, segno che non aveva risentito del cambio di ruoli e
situazioni.
Forse
nemmeno lei si rendeva conto di quello che stava accadendo fra di noi,
e chissà
se una volta divenuta consapevole i miei timori si sarebbero avverati.
Quella
paura di essere per lei soltanto la migliore amica, quella speciale,
quella da
mettere al di sopra di tutto, con cui il rapporto poteva
però limitarsi ad un
affetto puramente mentale.
Ed
io non volevo solo quello, non mi bastava. Io avevo bisogno di qualcosa
che mi
permettesse di averla tutta per me, senza intromissioni estranee, senza
che lei
si sentisse in difetto e per questo si nascondesse dietro maschere o
atteggiamenti artificiosi.
Mi
stupii un po’ per quei pensieri, e mi chiesi dove mi stesse
portando quel
legame. Stavo forse diventando troppo dipendente?
-Andrea sarà arrabbiato. Sei andata
via senza dirgli nulla- tentai, dandole un’occhiata di
sfuggita e cercando di
non sembrare troppo interessata alla sua risposta.
Sospettai
che anche lei avesse fatto finta di non prendere troppo in
considerazione
quella domanda, però mi concesse:
-Non importa. Male che vada,
litigheremo di nuovo-
Il
sole stava gradualmente immergendosi nell’acqua,
così che per noi due, vestite
solo con i costumi ed esposte al vento che muoveva il mare, faceva un
po’
freddo.
Quando
tornammo al punto in cui avevamo lasciato gli altri, trovammo i ragazzi
che
conversavano fra di loro, con Sonia che disperatamente faceva di tutto
per
attirarsi l’attenzione di Simone ed Andrea che ci attendeva
in piedi, con uno
sguardo che non mi piacque per niente.
Lei
notò subito quell’aria poco amichevole, e mi
spiazzò completamente quando,
piuttosto che ribattere con la sua solita grinta, preferì
disinteressarsi della
sua rabbia.
-Potevi almeno dirmelo che te ne
andavi!- fece lui, palesemente offeso, mentre le andava dietro.
-E tu potevi accorgertene, che me ne
andavo- replicò lei, ma a bassa voce, in modo che potessi
ascoltarla solo io.
Sorrisi
spontaneamente e dentro di me ci fu una vera e propria rivoluzione di
ormoni, a
tal punto che mi dovetti trattenere per non esprimere il mio assenso ad
alta
voce.
Andrea
restò confuso per il suo disinteresse, in quanto si sarebbe
aspettato come
minimo una risposta irritata. Ci trotterellò dietro
finché non giungemmo agli
ombrelloni, ed anche allora lei non sembrò prenderlo
minimamente in
considerazione.
-Ma ti sei arrabbiata? Ce l’hai con
me?- le domandò.
Io
lo osservai, mentre lei raccoglieva la sua canottiera e se la infilava
da sopra
la testa. Capivo bene il suo smarrimento in quanto molte volte
l’avevo provato
io stessa, nel vedermi sbattere la porta in faccia, o chiudere il
telefono
improvvisamente; tante volte anch’io l’avevo
rincorsa e mi ero tormentata e
dannata per quella sua indifferenza, per il suo silenzio misterioso e
risentito.
Col passare del tempo, conoscendola meglio, avevo imparato a sopportare
le sue
bizze e a comportarmi di conseguenza, ignorandola quando voleva essere
ignorata, ammettendo i miei presunti torti, pur se a malincuore, e non
rispondendo alle sue provocazioni.
Lui
non aveva idea di come prenderla, non sapeva assolutamente niente di
lei.
Fu
questo il pensiero che mi attraversò la mente, e mi
compiacqui perché a
differenza di Andrea io la conoscevo benissimo ed ero riuscita ad
ottenere la
sua fiducia.
Vedendo
che invece di accomodarmi sull’asciugamano io restavo in
piedi, lei mi diede
un’occhiata come per domandarmi che avessi intenzione di fare.
-Vado da Sebastiano-
Andrea
avrebbe voluto la sua ricompensa, avrebbe voluto trascorrere del tempo
con la
fidanzata e nonostante non se lo meritasse affatto lei gli avrebbe
concesso
questa grazia. Dal canto mio potevo ritenermi più che
appagata dalla
considerazione che lei aveva per me, e così decisi di
lasciarli da soli.
Avevo
notato, nell’avvicinarmi agli ombrelloni, la mancanza del mio
amico spilungone
e della sua amata canna da pesca, segno che evidentemente ne aveva
avuto
abbastanza della noiosa compagnia di Andrea ed aveva deciso di starsene
un po’
per conto suo.
Così,
immaginando di trovarlo lì, m’incamminai verso il
complesso di scogli, che
riparava la spiaggia che avevamo scelto dal resto della costa.
Notai
il quasi invisibile filo di nylon teso verso l’acqua, e capii
che doveva
essersi rintanato lì. Scavalcando le pietre e aggirando gli
ostacoli che non
riuscivo ad oltrepassare, mi arrampicai sugli scogli e da lì
lo individuai.
-Non ce la facevi più, eh?-
Lui
immediatamente si voltò, quasi sorpreso di udire la mia
voce, e mi fece un
sorriso largo.
-Già-
Notando
la mia difficoltà nel trovare un punto d’appoggio
si spostò dal suo posto,
saltando in acqua e bagnandosi fino alle ginocchia, per permettermi di
sedermi
sulla pietra lasciata libera.
Questa
era sufficientemente grande e piatta, per cui rassicurata saltai il
dislivello
e mi sedetti sopra lo scoglio.
Sebastiano
tornò a guardare il mare, e compiendo movimenti rotatori
attorno alla lenza
fece tornare a riva l’amo.
Pescò
dalla tasca del costume una scatola verde, e mi domandò:
-Puoi aprirmela?-
Mi
sporsi per allungare le mani, e tolsi il coperchio al contenitore. Una
massa
informe e disgustosa di piccoli insetti si agitavano al suo interno,
cercando
di fuoriuscire dai bordi.
-Bleah- commentai, porgendogliela.
Lui,
come se nulla fosse, prese in mano una piccola larva e vi avvolse
intorno
l’amo, un piccolo uncino aguzzo legato ad un filo di nylon.
Diede
poi un’occhiata alla superficie del mare e spostò
la canna a sinistra; con un
colpo secco, lanciò l’esca lontano, dove non si
riusciva quasi più a
distinguere la sagoma della lenza.
Fatto
ciò, cercò con la mano un appoggio sicuro e si
sedette su una rientranza dello
scoglio, in modo da stare più comodo mentre aspettava che
qualche ignaro pesce
abboccasse.
Riposi
la scatola delle esche sulla pietra, non senza un brivido di disgusto,
e
notandolo Sebastiano disse:
-Mi sono costate un sacco di soldi.
La prossima volta le vado a cercare nel bosco-
Sorrisi
del suo commento e osservai il piccolo secchiello adibito alla raccolta
della cacciagione;
notai che c’era solo un piccolo pesce che si agitava
nell’acqua, così gli domandai:
-Non hai preso niente?-
-No. Volevo far bella figura con
quelli, ma non c’è nemmeno un minuscolo pesciolino-
-Non ti preoccupare, non credo che
loro avrebbero saputo fare di meglio-
Sebastiano
recuperò ancora una volta l’amo e
ripeté gli stessi gesti di prima, fiducioso
che la prossima volta sarebbe stata quella buona. Io lo osservavo senza
dire
nulla, e restammo in silenzio per un po’.
Mi
piaceva molto stare con lui, perché in un certo senso ci
assomigliavamo molto:
Sebastiano era un tipo di poche parole, e nonostante appartenesse al
genere
maschile mi aveva dimostrato più volte, ed in maniera molto
più valida di
altri, che a me ci teneva e che come amico era disposto anche a fare
dei
sacrifici.
Spesso
mi accorgevo che riusciva a capirmi e consigliarmi, per quanto gli
fosse
possibile, anche meglio di Sonia od altre amiche.
-Sono carine, le due ragazze-
-Quali ragazze?-
-Le amiche di Andrea?-
Siccome
mi ero leggermente sdraiata sullo scoglio, mi drizzai subito a sedere e
lo
guardai con aria di rimprovero.
-Non vorrai dirmi che davvero ti
piacciono?- domandai, con una minaccia implicita nel tono di voce.
Lui
si strinse nelle spalle e mi rivolse una smorfia divertita.
-No... che dici? Ho solo detto che
sono carine. Mica che me le voglio portare a letto-
-Povero te, in tal caso. Non sono
niente di che, te lo garantisco-
Sebastiano
non replicò, ma mi diede un’occhiata prima di
tornare a guardare il mare. Per
un momento sembrò assorto nel suo operato, ma cercando di
far finta di niente
buttò lì:
-Anche se ti annoi, è stata molto
gentile ad invitarti-
Non
ebbi alcun bisogno di farmi esplicitare il soggetto della frase,
perché
ogniqualvolta avvertivo la sua presenza, a livello fisico o astratto,
le mie
capacità sensoriali e razionali si amplificavano.
Lui
mi guardò per controllare di non avermi fatto arrabbiare, e
io ricambiai
l’occhiata, tentando di capire dove voleva andare a parare.
-Sì, è stata gentile...- risposi,
facendomi per un attimo pensierosa.
-Anzi, lei è sempre gentile-
aggiunsi.
Sebastiano
fece un sorriso e prima ancora che potessi domandargli a cosa fosse
dovuto lui
commentò:
-A dir la verità, ho sempre pensato
che fosse peggio di una tanica di benzina- sorrise ancora con aria
furba – nel
senso che è altamente infiammabile-
Quelle
parole mi procurarono un sorriso spontaneo e dovetti ammettere che
aveva un po’
ragione.
-Non è vero- replicai – è
solo che
gli altri non sanno come prenderla-
Stavolta
lui si arrampicò per arrivare al mio stesso livello, e
sedutosi accanto a me
disse:
-Mi piace. È una tipa a posto-
Ci
fu un momento di silenzio, e mi sembrò che Sebastiano non
stesse attendendo
altro che una riflessione da parte mia, come se avesse voluto dirottare
il
discorso su quei piani appositamente perché voleva arrivare
ad una conclusione.
Mentre
m’interrogavo su quale potesse essere, chiesi:
-E di Andrea, che ne pensi?-
Lui
alzò le sopracciglia in un gesto eloquente, strappandomi un
sorriso.
-Che coglione-
Poi
però il mio sorriso fu stroncato dalla sua espressione che
si fece seria d’un
tratto.
-Ma sembra molto innamorato-
Istintivamente
abbassai lo sguardo, dedicandomi ad osservare un piccolo granchio che
si
arrampicava sullo scoglio.
Ecco,
ora avevo capito dove voleva andare a parare.
Sperai
intensamente che lui decidesse di abbandonare l’argomento, ma
al contrario
aggiunse:
-Insomma, probabilmente non si rende
conto di essere fortunato che non l’abbia già
rispedito a casa a calci in culo.
Però insomma, mi pare proprio perso. E cazzo- qui aggiunse
un gesto eloquente –
vorrei vedere, chiunque lo sarebbe al suo posto-
-Già- dissi io, quasi in un sussurro
come temendo di ascoltare la sua risposta.
Sebastiano
mi guardò e dovette notare la mia espressione triste
perché ripeté:
-Però certo, è veramente un gran
coglione-
Restai
un momento in silenzio a riflettere e un movimento strano del mio
stomaco mi
fece capire che avevo paura di porre quella domanda. Sapevo che lui non
sarebbe
stato attento al mio stato d’animo, ma mi avrebbe risposto in
modo schietto,
mettendomi di fronte alla realtà delle cose.
-E lei, secondo te? Lei lo ama?-
Sebastiano
si produsse in uno sbuffo seccato, e ritirò la lenza per poi
avvolgerla attorno
alla canna e posare il tutto sulla pietra. Poi si sdraiò
sulla schiena e mi
rivolse un sorriso.
-E che ne so? Non pretendo di
capirci qualcosa, della mente femminile-
-Dai!-
Passai
sopra anche a quella battuta, tanto ero impaziente di conoscere la sua
risposta, in quanto sapevo che i suoi giudizi erano molto obiettivi, e
che se
c’era qualcosa che non andava lui me l’avrebbe
fatta notare senza troppi giri
di parole. La sua opinione era quella che più mi interessava
e al contempo mi
faceva paura.
Lui
si grattò lo strato scuro di barba che aveva malamente
tagliato e guardandomi
bene negli occhi affermò:
-Non credo proprio. È sprecata a
stare con lui-
Non
ebbi nemmeno il tempo di tirare un sospiro di sollievo e sorridergli
per
mostrargli la mia gratitudine, che lui aggiunse:
-Ma lei non ti ama-
Quella
frase mi raggelò con la stessa intensità di un
vento freddissimo, avente la
capacità di penetrarmi nelle ossa e paralizzare ogni mio
movimento.
Era
quella la sentenza che non volevo ascoltare, e adesso che lui me
l’aveva
sbattuta in faccia mi resi conto che pur avendo voluto per
l’intera giornata
sfuggire quel discorso, dentro di me mi aspettavo una risposta del
genere. Era
come se lo avessi sempre saputo, come se quell’idea maligna
avesse sempre
gravitato nella mia testa, ma non avesse mai avuto il coraggio di
manifestarsi
pienamente.
-Non mi ama?- chiesi, continuando a
guardare verso il basso, stavolta attirata dall’acqua del
mare che s’infrangeva
sulle rocce.
-No. Non come la ami tu-
Tacqui
e non dissi nulla, troppo occupata a metabolizzare quel senso di
oppressione
che mi stava inesorabilmente catturando. Feci un respiro lungo, ed
avvertii i
polmoni far fatica per allargarsi, come se ci fosse un peso a
comprimerli.
Il
mio stato d’animo doveva essere proprio evidente,
perché se ne accorse anche
lui che forse per consolarmi aggiunse:
-Comunque, vi trovate proprio bene
voi due. Si vede che ci tiene, a te-
-Lo so-
No,
non era riuscito a farmi sentire meglio. Che poteva importarmi di
quanto lei
tenesse a me, quando sapevo benissimo che non ricambiava i miei
sentimenti?
Provai
il desiderio di alzarmi e riprendere a camminare sulla spiaggia, come
avevamo
fatto insieme poco prima, per rimuovere tutti quei pensieri dalla testa
e non
pensarci più. Non era la prima volta che mi veniva
spiattellata brutalmente una
triste verità, e credevo di esser diventata abile a
nascondere il dolore con
l’indifferenza, o quantomeno di aver acquisito la
lucidità necessaria affinché,
in tali momenti, non mi facessi trascinare dalle emozioni.
Ma
non riuscivo a reagire, non riuscivo a replicare nulla in mia difesa,
nulla che
dissimulasse quelle sensazioni opprimenti che stavo provando, nulla che
mi
permettesse di recuperare un po’ di dignità e non
mi facesse passare per la
perdente di turno.
Mi
sentivo come se stessi scivolando rapidamente e senza
possibilità di appiglio,
come se d’un tratto tutte le sicurezze che mi ero costruita
fossero state
demolite in modo che mi ritrovassi senza difese, pronta a subire
qualsiasi
altrui attacco.
-Oh, io la penso così, ma può anche
essere che ho sparato un mare di cazzate! Che ti aspetti da uno che non
ha mai
vinto al Totocalcio, nemmeno con le partite più prevedibili
del mondo?-
Allungò
una mano verso di me e prese a carezzarmi un braccio, in un gesto
affettuoso.
Povero
Sebastiano, pensai, ora l’avevo anche fatto sentire in colpa,
quando lui si era
solo giustamente preoccupato per me, per il mio continuo vagare nel
dubbio e
nelle incertezze. Eppure lui, nonostante cercasse di sminuirsi, aveva
perfettamente ragione, aveva colto nel segno ed io lo sapevo benissimo.
Piegando
la testa da un lato feci un sorriso che in sé non aveva
nulla di allegro, e
strinsi la sua mano con la mia, forte.
-Grazie per avermelo detto-
-Ma sul serio vai a credere a quello
che ti dico?- scherzò lui, per farmi sorridere.
-A volte sembri proprio un tipo
maturo, sai?-
Lo
avevo detto per dissimulare la tristezza che mi aveva invaso, ma lo
pensavo veramente.
Sebastiano, con tutti i limiti che poteva avere non essendo
particolarmente
acculturato, né gentile, né sensibile, sapeva
essere saggio e profondo, a modo
suo. Aveva questa capacità di osservare, e riferire le
situazioni in maniera
forse diretta, ma sempre obiettiva. Inoltre sapevo benissimo che la sua
unica
preoccupazione era il mio stato d’animo, non certo farmi
sentire male.
Lui
tornò a sdraiarsi e disse, inceppandosi un po’:
-È solo che a volte ci penso, a queste
cose... cazzo, non lo so davvero. È strano pensarti insieme
a lei, sul serio...
Non perché è una femmina, ormai ci ho fatto
l’abitudine. Però ecco...-
-Con
parole tue, mi raccomando-
Lui
mi sorrise, per nulla offeso, prima di riprendere:
-Voglio dire, se vi mettete insieme,
che farete? Insomma, vi conoscete da un sacco di tempo. Certe volte,
quando poi
succede così, non sempre va bene-
Capii
cosa voleva dire, nonostante la mia mente fosse troppo annebbiata dalla
delusione.
-Se poi vi lasciate, se va tutto a
puttane, perdi anche la sua amicizia-
Mi
guardò di sottecchi, e aggiunse:
-Cosa che tu non vuoi. Vero?-
Ripensai
alla discussione che avevamo avuto nel bagno del ristorante, e ricordai
come
lei stessa avesse espresso lo stesso concetto, non senza una punta di
timore e
preoccupazione.
Pensai
che non avrei potuto sopportare di veder soffocato il mio sentimento,
ma che
sarebbe stato mille e mille volte peggio vederla andarsene via, per
sempre, e
restare con tanti ricordi nelle mani. Pensai che forse avrei potuto
sopportare
quella situazione per lei, perché non si trovasse a
trasformare l’amicizia in
un sentimento più elevato, che però lei non
provava. Non del tutto, non nel
modo in cui lo intendevo io.
Sebastiano
si tirò su, raccolse la canna da pesca e il barattolo delle
esche, poi mi allungò
un braccio per aiutarmi ad alzarmi.
Tornammo
dagli altri, notando che stavano smontando gli ombrelloni, in quanto il
sole
ormai non era più una preoccupazione.
Trovai
Sonia immersa fino al collo in una conversazione con Simone, che
sembrava
talmente interessante da distoglierla da qualsiasi altro impegno.
Lei
si era rivestita, e quando mi vide tornare assieme a Sebastiano si
alzò in
piedi per venirmi incontro.
Non
ebbi il tempo di rendermene conto, che me la trovai vicinissima.
-Credi che abbia esagerato, prima?-
mi domandò, assumendo un’aria colpevole.
-In che senso?-
-Ad ignorarlo del tutto-
Avrei
tanto voluto dirle quanto avessi apprezzato il suo comportamento e cosa
avesse
significato per me il fatto che avesse preferito stare con me piuttosto
che con
lui, ma tenni per me queste considerazioni.
-No... non credo-
Lei
sorrise, ed io non potei che fare altrettanto.
-Dici? Forse ho esagerato...-
Non
era proprio preoccupata, sembrava più interessata a sapere
che ne pensassi io,
piuttosto che a valutare la possibilità di scusarsi con lui.
-Ma no... cioè, lo sappiamo tutti
che spesso ti vengono i cinque minuti, per cui se t’incavoli
non ti si può dire
niente a meno di non voler essere aggrediti-
Lei
rise, e quella risata fu per me molto più efficace di
qualsiasi ricostituente,
per sanare almeno in parte la delusione che si era fatta strada nel mio
animo.
Avevo
utilizzato un generico plurale, ma speravo capisse che mi stavo
riferendo a me.
Sembrava
piuttosto allegra per qualcosa, e quando mi azzardai a domandarle cosa
fosse,
lei rispose senza il minimo imbarazzo:
-Niente, è stata una bella giornata!
Sono felice che sia venuta anche tu, davvero-
Lasciai
che mi trascinasse, tenendomi per mano, verso gli asciugamani e mi
mostrasse un
messaggio che le era arrivato sul telefonino.
Recava
i risultati di un esame che da poco aveva sostenuto e che, a giudicare
dal
numero che lessi sullo schermo, era andato piuttosto bene.
-Oh che brava. Vedi che è servito
studiare tanto?-
Avevo
sacrificato un’intera settimana di dolce far niente, per
poterla aiutare a
studiare per quell’esame, e nonostante sapessi che non avesse
alcun bisogno del
mio aiuto, mi faceva piacere che mi attribuisse parte del merito.
-Grazie, davvero!-
Ci
pensò su un momento, poi abbassò lo sguardo e
propose:
-La
prossima volta che devi dare un
esame, dimmelo! Non fare come al solito la stronza, che mi fa piacere
poter
ricambiare-
-Non
c’è bisogno che ti preoccupi-
-Dopo
averti rotto per un sacco di
tempo, averti assillato ripetendoti dieci volte al giorno le stesse
cose...-
-Figurati, e poi mi piace stare a casa
tua. È enorme!-
-Ah, grazie davvero! E anche per
oggi...-
Detto
ciò, non seppe più controllare la
felicità che la pervadeva e si abbracciò a
me, stringendomi forte.
-Che farei senza di te?- rise, con
la bocca vicina al mio orecchio.
Io
invece, non sapevo se ridere o piangere.
Immaginai,
anche se non potevo vederla, la sua bocca leggermente arcuata per
scoprire i
denti bianchi e regolari e le labbra carnose. Così stretta
nell’abbraccio
avevo i suoi capelli quasi in bocca, tante sottili ciocche bionde che
mi
solleticavano il naso.
Ma
soprattutto, sentivo il suo corpo premere contro il mio e strofinarsi
contro di
esso in una maniera del tutto innocente, priva di ulteriori intenzioni.
E
allora mi fu difficile trattenermi dall’abbracciarla
altrettanto intimamente e
baciarla dappertutto, sul naso, sulla bocca, sulle guance, sul viso,
sul collo;
mi fu difficile non storcere il muso in una smorfia addolorata, per
aver capito
tutto quanto.
Lei
mi aveva assecondato perché in quei gesti intimi vedeva un
nuovo modo di
esternarmi il suo affetto, perché aveva avuto paura di
perdermi, paura che
potessimo separarci ed aveva visto nei baci, nelle carezze un modo per
tenermi
a sé, per catturare la mia attenzione. Non mi avrebbe mai
preferito a nessun
altro ragazzo, semplicemente perché non rientravo in quel
tipo di competizione:
non mi avrebbe mai visto in quel modo.
Se
lei non mi avesse voluto bene, avrei potuto esternarle i miei reali
sentimenti
senza bisogno di mascherarli dietro l’amicizia; ma sentivo
che ero diventata
per lei qualcosa d’importante, e che lei aveva posto il
nostro rapporto su un
livello che forse era anche superiore al legame che aveva con Andrea.
Lei
mi voleva bene, e allora cos’ero io per permettermi di
rovinare quel
sentimento?
Cos’ero,
un’egoista forse, accecata dalle proprie ragioni tanto da non
saper prendere in
considerazione quelle dell’altra?
Con
questi pensieri in testa, ricambiai il suo abbraccio cercando di
restare nel
limite dell’affettuosità.
-Che farei io, senza di te- le
rigirai la domanda.
E
lei? Possibile che non si fosse accorta del tormento che mi assillava,
dei miei
dubbi e delle mie indecisioni, e fosse del tutto ignara della tempesta
di
emozioni che mi aveva scatenato?
Si
allontanò leggermente per guardarmi negli occhi, e
ricambiando lo sguardo mi
sentii arrossire: vi leggevo non solo felicità, ma anche un
briciolo di
compassione, sì, proprio quella che avevo provato per Andrea
quel pomeriggio;
lei aveva capito, e quasi si stava scusando per non potermi
accontentare. Ma,
dopotutto, forse ero io quella che non sapeva ben interpretare il
rapporto che
c’era fra di noi.
-Francesca?- la chiamò Andrea.
-Sì, arrivo-
Già,
Francesca. La mia migliore amica.
Volevo pubblicarla in un unico capitolo, ma
poi sarebbe stato troppo lungo! E così ce l'ho fatta a
postarla prima di prendere il treno...non voglio più vedere
calcolatrici, fogli di excel, tavole periodiche, parabole,
ellissi, valori assoluti, iperboli o libri di fisica per un mese
intero!
Emmaps3:
felice che ti rispecchi nella protagonista (o forse no, a giudicare
dalla situazione), e mi dispiace per il non-lieto fine! Ma purtroppo
nella realtà non esiste. Grazie per i complimenti!
Eriok: mi fa
piacere che la scena del bagno e il rapporto fra le due ti siano
piaciuti, grazie per aver recensito!
Ah e grazie anche a chi l'ha messa fra le seguite e le preferite!
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