Titolo: Sei
il mio cucciolo
Fandom:
Originale
Citazione scelta: Cit.
n. 3 “Non ti serve a niente vivere anche per sempre, se non
vivi veramente”
Personaggi/Pairing:
//
Genere:
One-shot, romantico, malinconico, introspettivo
Rating:
Giallo
Avvertimenti:
//
Beta-reading:
No
Note dell'Autore ( se ce
ne sono ): Questa shot è stata partorita in
maniera insana dalla mia mente nel giro di un paio d’ore,
dopo aver visto la fotografia di due personaggi molto famosi, e
realmente esistenti, di cui naturalmente non farò il nome,
ritratti in un momento di tenerezza. Ecco ciò che la mia
fantasia ha immaginato (ovviamente spero che il drastico epilogo
rimanga solo il frutto della mia mente bacata XD). Le parti scritte in
corsivo, si riferiscono ai ricordi passati di uno dei due protagonisti.
Introduzione: Ho
utilizzato questa citazione, perché la mia fic si incentra
su un rapporto profondamente tormentato, e non del tutto accettato da
uno dei protagonisti. La storia è vista dal punto di vista
di uno dei due, che in un certo senso rappresenta la
coscienza segreta e inconfessata dell’altro che non vuole, e
non può, vivere veramente una vita che lo renderebbe davvero
felice. Per cui, tutto il senso della storia, si riduce
all’inutilità della vita, se si continua a tenere
una maschera precludendosi continuamente il vero amore e il vero senso
che esso comporta.
Sei il mio
cucciolo
Non posso parlare. O
meglio le parole non servirebbero a spiegare quello che sento,
ciò che avvampa dentro di me, e che lambisce il mio cuore
come fiamma che brucia, torturandomi teneramente. Ti guardo da lontano
mentre palleggi distrattamente, lontano dal gruppo, come tuo solito.
Hai sempre avuto un’anima un po’ distante dal resto
del mondo, sei sempre stato un solitario, perché hai sempre
creduto che gli altri non fossero alla tua altezza. Hai sempre pensato
che tu potessi essere il vento capace di spostare le nuvole
ruvidamente, esattamente come facevi con le persone. Non avevo mai
conosciuto una persona tanto spocchiosa e piena di sé:
convinto di essere il primo in tutto, il migliore, la star.
E forse lo sei.
Una stella che
brilla accecante, sfolgorante nel cuore dei nostri tifosi, della gente
che ti acclama come un idolo, e anche soprattutto nel mio.
Continuo a farmi
del male, vorrei odiarti e provocarti quello stesso tormento che tu mi
dai: tu invece sei sempre così distaccato, sfrontato,
arrogante, sai che potrai avermi in qualsiasi momento, e non te ne
importa di niente, se non della tua immagine rifulgente di campione
osannato dalle folle, adorato dalle donne che farebbero qualsiasi cosa
per una notte d’amore con te.
Già,
l’Amore…
Tu non sai
neanche che significa questa parola.
Sei incapace di
provare un sentimento così complesso, incapace di provare
affetto, incapace di non mentire a chi crede di avere il tuo
cuore…E invece si illude.
Primo scatto.
Sessanta metri,
corro al limite delle mie possibilità, dando fiato
all’energia che ho dentro, e rallento di colpo, con uno
sforzo doloroso.
Le
tue mani che accarezzano il mio torace perfetto e scolpito, e il tuo
bacio ruvido e dolce al tempo stesso che, come tiepide gocce di
rugiada, si posa sulla mia pelle.
Seconda ripresa.
Altri sessanta
metri di corsa folle, e rivedo i tuoi occhi scuri, che mi scherniscono,
e mi deridono sottilmente mentre mi ripetono quelle parole.
Le
tue braccia attorno ai miei fianchi si avvinghiano possessive ed
egoiste, e sento il tuo petto forte e caldo contro la mia schiena nuda,
provando lunghissimi e infiniti brividi di piacere.
Terzo scatto.
Sento il cuore
scoppiarmi nel petto mentre porto il mio corpo al limite delle mie
possibilità; ma non me ne importa.
Le
tue carezze a volte gentili e passionali, mentre soffiavi su una ciocca
di capelli che ti ricadeva sbarazzina sugli occhi sfrontati. Quante
volte avrei voluto affondare le mie dita tra quei soffici capelli
castani anche quando non eravamo soli, in quei rarissimi momenti in cui
potevo privilegiarmi di osservare il tuo sorriso, e la fossetta
deliziosa che si disegnava ai lati della bocca quando il tuo sguardo si
illuminava, guardandomi.
Ho
fatto qualcosa di buffo? Ti domandavo a bassa voce, quando scoppiavi
improvvisamente in una risatina divertita. Mi sono sempre sentito un
po’ umiliato e insignificante davanti alla potenza di te,
soprattutto quando mi deridevi crudelmente, e altrettanto crudelmente
mi chiudevi la bocca con un bacio deciso, che mi faceva capire
più di ogni altre mille parole a chi appartenessi con ogni
fibra del mio essere.
-Sei
il mio cucciolo…Tu eres mi bebè- dicevi
perentorio ogni volta, guardandomi con quell’espressione
dolce e sfrontata allo stesso tempo, e io, che mi beavo del tuo odore e
della tua pelle, sapevo che quel sorriso e quelle parole, per una
volta, erano per me.
Unicamente
per me.
E
allora non c’era nessuna donna, nessuna ombra, nessuna
persona che ti ammirava follemente sognando di essere te, nessun
procuratore che faceva i tuoi interessi di campione di calcio, nessuna
invidia, tra noi.
Solo
io e te.
Né
i due giocatori belli, stimati, talentuosi, corteggiati, ed esempio di
una stupida virilità che nel nostro sport maschio
è la regola essenziale.
Solo
io e te.
-Voglio
te- ti avevo detto una volta, l’aria imbronciata e offesa
mentre ti fissavo il profilo forte e perfetto, sdraiato accanto a te,
dopo aver fatto l’amore.
-Che
c’è, fai i capricci, cucciolo?- avevi sogghignato,
senza prendermi troppo sul serio, girando lo sguardo verso la finestra
da cui si godeva la splendida alba del mare di Barcellona.
Un’alba che non avrei mai dimenticato.
E
la nostra città, la città in cui ci eravamo
conosciuti, rispettati, e amati.
Quando
il mister ti aveva presentato alla squadra,il primo giorno in cui eri
arrivato tra noi, mi avevi semplicemente stretto la mano,
squadrandomi da capo a piedi, con aria arrogante, consapevole di essere
il più forte. Non parlavi la mia lingua ma sapevi
perfettamente come farti capire da tutti, e io, che a
quell’epoca ero appena arrivato in prima squadra dalle
giovanili, ed ero solo un pulcino inesperto, mi ero sentito
profondamente intimidito dalla tua presenza forte e ingombrante.
Ma
tra me, che avevo appena vent’anni, e te, che ne compivi
ventotto a ottobre, il più adulto e sensato ero proprio io.
Io che avrei voluto amarti senza nessun condizionamento, io che non mi
vergognavo di prenderti di nascosto la mano, quando sedevamo vicini sul
pullman, io che aspettavo con ansia la fine di ogni partita quando tu
mi regalavi le briciole del tuo tempo, mentendo alla tua bellissima e
innamoratissima moglie e alla tua splendida famiglia, quando le dicevi
che dopo la partita uscivi con la squadra per festeggiare una vittoria
o per consolarsi da una sconfitta.
E
invece eri con me, e io approfittavo di ogni istante passato con te,
nel silenzio di una tristissima camera d’albergo.
Ogni
volta sempre diverso, entravamo uno a rigorosa distanza
dall’altro, per non farci riconoscere.
E
per quanto le camere che tu sceglievi per i nostri incontri
appassionati, erano nei più begli hotel della Costa Brava,
mi sembravano tutte orribili e squallide.
Anche
se non lo capivo, ogni volta che ti richiudevi la porta alle spalle, e
mi dicevi di fare presto, mi sembravo sempre sporco e colpevole; ma
quando le tue mani si posavano su di me, e il tuo bacio si confondeva
con il mio, tutto il resto spariva, e il resto era un sogno
meraviglioso.
Come
te.
Come
la speranza di poter essere mio e mio soltanto.
E
io invece continuo a sognare di poter anelare a qualcosa di
più di un soffio del tuo preziosissimo tempo, in cui mi fai
sentire la persona più desiderata e un attimo dopo la
più umiliata della terra.
Non
hai mai detto di amarmi. O almeno a parole. Perché dai tuoi
gesti a volte rudi, altre volte delicati come carezze, ho capito di
essere tuo ma di non poter essere completamente parte di te come
vorresti. Non sei mai stato bravo ad esprimerti, ma io, che ho imparato
a conoscere i tuoi silenzi e i tuoi sospiri dopo esserti rotolato di
fianco a me, e la tua espressione incredibilmente amorevole quando mi
arruffi i capelli, sapendo che ciò mi irrita profondamente,
chiamandomi, El mi bebè, non mi sorprendo più di
niente.
No,
non è vero.
Mi
sorprendo ancora di quanto io possa amarti devotamente,
silenziosamente, nonostante tu lo nasconda a tutti per la vergogna.
Giorno
dopo giorno.
-Voglio
te, e un cagnolino…- avevo mormorato in quella freddissima e
tersa alba di gennaio, abbracciato a te, il mento appoggiato
nell’incavo della tua spalla, il broncio di un bambino.
Quello
stesso bambino dai capelli biondi e dall’aria da adolescente
che tanto amavi e odiavi, perché ti ricordava sempre chi eri
nel tuo intimo più profondo.
Tu
avevi riso, come sempre, del resto, e poi mi avevi stretto
più forte a te, in un abbraccio pieno di calore e di
protezione.
-Un
cagnolino, eh? E sentiamo come lo chiameresti?-
-Lo
chiamerei Paulito- avevo asserito convinto, annuendo soddisfatto.
-Paulito
hai detto? Ma che nome è per un cane?- avevi sorriso, e io
mi ero sentito la persona più felice della terra.
-Vuol
dire pulcino, bestia!- ti avevo risposto in malo modo,
sferrandoti un pugno sul fianco.
Tu
avevi fatto finta di dolere per il colpo, ma poi mi avevi afferrato per
i fianchi, in una morsa d’acciaio con la tua forza
straordinaria, e mi avevi costretto a guardarti, con espressione feroce
e piena d’amore insieme.
E
pochi giorni dopo, ti eri presentato, il giorno del mio compleanno, con
quel batuffolo di pelo che con occhioni sgranati mi guardava
scodinzolante.
Era
la prima volta che piangevo davanti a te, e per questo mi odiai: odiavo
mostrarmi ancora più vulnerabile di quanto tu già
non pensassi, ma con una delicatezza che in te ancora non avevo
conosciuto, mi avevi preso entrambe le mani tra le tue e te
l’eri portate al viso, asciugandomi con le labbra, la punta
delle dita bagnate di lacrime.
-Sciocco
sentimentale…- avevi mormorato a bassa voce, senza smettere
di baciarmi.
Non
seppi mai se quelle parole si riferivano a me o a te.
-Ti
amo- ti avevo detto d’impulso, gli occhi pieni di dolore e di
gratitudine.
Tu
non avevi risposto, come sempre, mi avevi solamente guardato, senza
parlare, e io avevo capito tutto.
Quel
gesto per te era stato importante, molto più di qualsiasi
parola senza senso. E valeva più di tutti i ti amo possibili
e immaginabili.
Non
avrei mai scordato quello sguardo indimenticabile, impresso nel mio.
Ora ti osservo da
lontano, ho il fiato corto, il petto si alza e si abbassa furiosamente,
in affanno.
Come
sempre, quando ti amo e ti dono la parte bella di me, appassionatamente.
La palla cade dai
tuoi piedi di velluto, rialzi lo sguardo e incroci il mio. Ed
è uno sguardo che ti fruga l’anima, che ti fa
tacitamente tutte quelle domande a cui non sai trovare una risposta.
Perché non vuoi e non puoi trovarla. Perché io
sono la tua coscienza che urla e grida straziata. Riabbassi gli occhi,
colpevole, e ricominci a palleggiare, come se niente fosse mai accaduto.
Ma sai che non
è così.
-Io
e te non ci dobbiamo più vedere. Basta, questa storia
è andata avanti troppo a lungo-.
Parole
secche, brutali, che mi avevano lasciato il vuoto dentro.
Con
te ero cresciuto, avevo imparato ad amare un uomo come me, avevo
sofferto e pianto e adesso non lasciavi più alcuna speranza.
Tua
moglie aspettava il vostro secondo bambino.
-Quando
te la scopavi a chi pensavi?- ti avevo urlato in faccia con disprezzo e
profondo rancore, infischiandomene di sembrare un povero pazzo furioso
e patetico per giunta.
Ma
tu non avevi via d’uscita. Non potevi più tirarti
indietro. Non avresti mai voluto darmi quel dolore atroce, ma con te la
sofferenza era una penosa abitudine. Come la gioia del resto, o forse
no, perché era impossibile abituarsi alla pura gioia di
ritrovarti ogni volta e di rinnovare con il corpo la promessa di te.
Ormai sai che
è tutto finito, e lo so anch’io.
Ti aspetto
all’uscita dal campo di allenamento.
L’ultimo.
Appoggiato con
noncuranza alla tua fiammante automobile, le braccia incrociate, i Ray-Ban addosso per non
mostrarti i miei occhi offesi. Non
ti serve a niente vivere anche per sempre, se non vivi veramente, ti ripetevo
continuamente, mostrandoti furibondo le tue parole e i tuoi timori
più inconfessabili, e tu non sapevi far altro che soffiare
sul tuo ciuffo ribelle, con aria scocciata, senza dar retta alle mie
parole, e alla preoccupazione che avevo nel farti capire che non aveva
senso tutta quella messinscena, quella stupida commedia in cui dovevi
mostrarti l’uomo virilmente corretto che tutti si aspettavano
da te.
Ma a te non
importava.
Non puoi vivere
per sempre…
No…
E
neanch’io del resto, con la continua frustrazione di non
poter vivere come vorrei, e il peso opprimente nel cuore di essere
sbagliato, meschino, subdolo. Buffo, sciocco e assurdo vivere per
sempre, se il mio animo continua a tormentarsi febbrilmente per
un’esistenza che non ci sarà mai.
Mi raggiungi dopo
un po’, ignaro, la borsa in spalla, un cappellino da baseball
calcato in testa, una larga camicia bianca leggermente slacciata sul
collo, a risaltare la tua abbronzatura perfetta e un paio di jeans
sdruciti che ti fasciano le lunghe gambe muscolose, d’atleta.
Non vorrei mai
fare ciò a cui tu mi porti.
Perché
l’ossessione e il desiderio di te mi acceca e mi brucia. Ho
la certezza che non sarai mai mio. Ed è per questo che lo
faccio.
Non fai in tempo
neanche a mostrarmi la tua espressione sorpresa e di disappunto al
tempo stesso, che due colpi esplodono secchi contro di te,
improvvisamente, in pieno petto, sotto il caldissimo sole di giugno.
Cadi a terra
senza una parola, di schianto, un rivolo di sangue al lato della bocca.
Un attimo dopo
rivolgo la pistola verso di me all’altezza della tempia,
lievemente bagnata da un piccolo rivolo di acqua e sudore. Ho paura.
O forse no.
Non
più.
-Eres
mi bebè…- sussurro
prima di premere il grilletto.
§§§
N.d.Hime:
Questa breve storiella senza pretese si è
classificata ottava al contest di "Canzoni, amori e un finto campo di
grano", indetto da DarkRose86. Un ringraziamento speciale alla giudicia
e a Shurei per gli splendidi banners *_*
VIII classificata
Sei il mio Cucciolo
( vincitrice del Premio Giuria )
di Himechan
Correttezza
grammaticale:
8,5/10
Stile e lessico: 9/10
Caratterizzazione
dei personaggi:
9/10
Originalità: 7/10
Attinenza al tema: 10/10
Apprezzamento
personale:
4/5
Voto complessivo: 47,5/55
Giudizio: aww, dannati sad ending
che adoro - sigh -. Ok, so che non è proprio il modo
migliore per iniziare una recensione, ma è la prima cosa che
mi è venuta in mente dopo aver letto la tua storia.
Sarei curiosa di
sapere chi ti ha ispirato questo racconto, ma non lo
chiederò, visto che desideri mantenere il segreto. Tuttavia,
vista l'ottima caratterizzazione dei tuoi personaggi, non mi
è stato difficile provare ad immaginarmeli, mentre leggevo.
Questa storia
è particolare, non molto originale ma come dire... mi ha
permesso di rievocare la mia infanzia, quando le mie amichette mi
prendevano per matta perché mi piacevano gli anime che
parlavano di calcio. All'epoca non ero ancora un'amante dello yaoi,
certo, ma ho scoperto che ripensare a quelle opere in chiave shonen ai
non è affatto male. XD
Ma questa
è un'altra storia, adesso dobbiamo parlare della tua.
Grammaticalmente
è molto buona, salvo diverse virgole di troppo che
appesantiscono la lettura. Lo stile è scorrevole e pulito,
si adatta perfettamente al tema che hai trattato - soprattutto mi
è piaciuto come hai descritto i flashback, con una
delicatezza splendida -; scrivi davvero molto bene, complimenti.
Come dicevo
pocanzi, i personaggi mi sono piaciuti molto, soprattutto il
protagonista; il protagonista che ama, odia, ama ed odia ancora, vive
di giorno all'ombra di colui ch'è più talentuoso
- anche se anch'egli è un ottimo calciatore - ed amato dai
tifosi, e di notte abbracciato a lui, ed assieme custodiscono un
segreto che non può essere rivelato per nessun motivo.
Mi ha fatta
sciogliere il flashback ove parli del cagnolino, che dolce quella
scena; trasmette tutto l'amore che provano l'uno per l'altro, e
l'epiteto "sciocco sentimentale" mi ha colpita in modo particolare,
anche se non saprei dirti esattamente perché. Forse lui, il
migliore, il bello, il più ammirato, si rende conto di
sbagliare, di condannare la persona che ama ad un'esistenza colma di
sofferenze a causa della situazione precaria, e per questo - nonostante
dentro di sé voglia disperatamente stare sempre con lui e
farlo felice - spera ch'egli non si senta troppo coinvolto, vorrebbe
che fosse più freddo, più distaccato. In quel
modo, forse, potrebbe essere più facile dirgli addio.
Ma non
è così. E, quando lo fa, condanna entrambi.
Perché
non serve a niente vivere per sempre, se non vivi veramente; e lui non
ha voluto vivere davvero, per paura del giudizio degli altri, per
timore di perdere il suo posto nel firmamento delle star amate dal
pubblico.
Il finale mi ha
fatto versare qualche lacrima, anche se in verità avevo il
sentore che la storia potesse terminare così; ergo, l'ho
trovato abbastanza prevedibile, ciò nonostante
lìho molto apprezzato. La mia vena angst è sempre
in agguato, e poi adoro in maniera viscerale le storie tristi.
In definitiva, un
ottimo racconto; profondo, ben scritto. Complimenti!
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