XVIII CAPITOLO
UNO PER UNO
In tutte le cose
C’è sempre una fine
Tutto era come quando se ne erano andati in America;
sembrava fosse passato un secolo, invece quel lavoro era durato poco più di un
paio di settimane. Probabilmente era l’epilogo di tutta quella faccenda a dare
l’impressione di un tempo lungo. Il dolore annebbia il cervello e si fa fatica,
poi, a percepire le cose per come stanno realmente. Persino quella stanza
sembrava diversa, nonostante non fosse cambiato nulla. Il tavolone circondato
dallo stesso numero di sedie era sempre all’angolo; il frigo vuoto e la cucina
non sembravano più logori dell’ultima volta che li avevano usati.
Sheril, Savannah e Richard continuavano a guardarsi
intorno silenziosi, cercando di capire come mai la casa dei Predators fosse così
diversa ed estranea; poi, finalmente, capirono: le due poltrone vuote. Le
poltrone che erano usate da Jack e Asriel non avevano più una loro funzione.
Asriel era morto e Jack si comportava come se lo fosse da quando era diventato
ceco.
Ritornati a Cardiff, Salvador si era fatto riportare a
casa; non erano riusciti a convincerlo a partecipare alla loro misera riunione
"aziendale".
"A fare che?" aveva semplicemente chiesto.
Alla fine Savannah era salita per metterlo a letto e,
prima di raggiungere Richard e Sheril aveva promesso che appena si fosse
liberata sarebbe tornata da lui.
Il silenzio era oppressivo, ma più pesava sugli animi
delle tre persone che erano nella stanza, meno ciascuna di loro aveva il
coraggio di romperlo. Sapevano tutti come sarebbe finita quella discussione, ma
la consapevolezza non serviva a nulla. Alla fine fu Savannah a rompere il
silenzio.
"Hai sentito la tua amica francese?"
"Sì. Ha detto che il corpo di Asriel è stato portato
nella sua città natale e lì lo hanno seppellito. Credo che le porterò il denaro
di persona così potrò consegnare il Trojan."
"Hai deciso di darlo alla signora Rolland?" chiese
Sheril.
Oramai l’atrito tra i due si era attenuato, sebbene
non fosse totalmente scomparso; almeno, ora si parlavano civilmente senza
saltarsi alla gola.
"Credo che sia l’unica a meritarlo davvero, in tutta
questa storia."
"Potresti vendere la Sainte Vierge du Pardon"
consigliò Savannah.
Richard mosse il capo lentamente mentre fissava il
giocattolo di legno che aveva appoggiato al centro del cerchio.
"Potrei, sarebbe la cosa più sensata da fare. Almeno
coprirei le spese che abbiamo dovuto affrontare in più. Ma non lo farò."
"Perché?"
"Perché sono stanco. Perché anni fa ho rinunciato a
una persona importante per questo lavoro e oggi mi rendo conto di quanto poco ne
sia valsa la pena.
Quello che voglio adesso per me, non è nel vostro
interesse, per lo meno a livello economico, ma me ne frega abbastanza poco in
tutta sincerità."
"Quindi non vuoi che ti accompagniamo."
Richard tornò a scuotere la testa fissando, questa
volta, le due donne.
Ritornò a calare il silenzio. Mancava una frase; solo
una frase per concludere il discorso. Parole che alleggiavano nell’aria, ancora
una volta mancò il coraggio per pronunciarle, senza tanti giri di parole.
"Credo che Jack ne voglia uscire" ricominciò un
discorso a caso Savannah.
"Sì, lo credo anche io. Michel ha inferto un duro
colpo al nostro amico e non immagino nemmeno come supererà la cosa."
"Ma questo, a te, non importa. Vero?"
"La domanda (affermazione) di Savannah non era solo un
dato di fatto; la ragazza stava cercando di imboccare le parole giuste a Richard
per mettere fine a quella scena pietosa.
"Sì, non mi importa."
Silenzio, poi finalmente il coraggio ritornò a
pulsare.
"Come non mi importa più niente di voi."
"Era così difficile da dire?" chiese Sheril, senza mostrare falso stupore o
risentimento.
Richard scosse le spalle.
"Abbiamo lavorato insieme parecchio tempo. Mi sono
preso cura di voi, a modo mio, sicuramente con metodi che a voi non sono
piaciuti" guardò Savannah. "Ma l’ho fatto e non potete negarlo. Ho coordinato le
vostre teste calde, soprattutto quelle di Asriel e Jack, e ho fatto in modo che
lavoraste bene insieme, nonostante tutto. Ho fatto un ottimo lavoro e voi, in
cambio mi avete riempito la vita. Era quello che volevo e sono sempre rimasto
soddisfatto, per questo ho continuato ad impegnarmi con i Predators. Ora, però,
le cose sono cambiate. Me ne voglio lavare le mani e vi dico andate per la
vostra strada con la mia totale benedizione e stronzate simili, ma ora il mio
tempo ritorna libero.
Non ho avuto paura di perdervi, solo del vuoto che
lascerete andandovene."
"Un vuoto che riempirai con Satine" disse Sheril.
"Forse, se non è troppo tardi."
Le due donne non tentarono nemmeno di pensare a una
frase che desse un po’ di speranza a Richard. Loro non avevano voglia di
sostenerlo nelle sue pene d’amore e lui non aveva voglia di essere coccolato da
loro.
"Bene, se questo è tutto io ritorno da Jack" affermò
Savannah, alzandosi dalla poltrona.
La bionda americana non aspettò risposta, si chiuse
semplicemente la porta alle spalle.
Nel covo dei Predators erano rimasti solo Sheril e
Richard; passarono qualche minuto in silenzio, poi la donna si alzò dirigendosi
verso la porta senza nemmeno salutare.
Fu Richard a palare prima che lei aprisse la porta
d’ingresso:
"se lo vuoi ti lascio questo posto. A me non serve."
"Nemmeno a me. Tu hai ragione su molte cose."
"Ovvero?"
"Molto poco, di questi anni è valsa la pena degli
ultimi giorni."
"Buona fortuna Sheril."
"La donna si voltò, sorrise e rispose:
"buona fortuna a te Richard."
Erano entrambi sinceri.
Richard si guardò in torno, le mani giunte come se
fosse in preghiera; le punte delle dita rivolte verso il basso e gli avambracci
appoggiati sulle gambe. Sheril se ne era andata; la prima dei Predators era
l’ultima ad aver abbandonato.
Richard Heart aveva visto, per la prima volta, Sheril
Water in un bar. Lui era ritornato da poco in Inghilterra; aveva abbandonato
ogni progetto romantico per il suo futuro, preferendo impiegare la sua
creatività per il suo progetto. Problema: non era uno scherzo dimenticare
Satine, la verità gli ronzava nella testa come una fastidiosa mosca, aveva
bisogno della francese. Poi alzò lo sguardo che si fissò su una figura femminile
seduta al bancone. Il volto della sconosciuta era girato da un lato e Richard
era abbastanza vicino da poterne vedere il profilo. Non aveva nessuna
caratteristica fisica che si potesse avvicinare, anche lontanamente, a Satine.
Eppure quella donna gli ricordava il suo amore in modo sconcertante; era
probabile che l’associazione mentale di Richard si basasse sul comportamento che
entrambe tenevano nei confronti del mondo. Guardavano tutti dall’alto in basso,
coscienti di non passare inosservate. Lui era notevolmente molto stanco del
ricordo di Satine che non gli dava modo di lavorare così, dopo aver visto e
deriso un paio di uomini che si erano attentati ad avvicinarla ottenendo un
puntuale rifiuto, decise che lui sarebbe stato il terzo. Ca avrebbe fatto tanto
di quel sesso che, alla fine, non avrebbe più avuto le forze per pensare a
Satine.
Si era avvicinato e, nonostante Richard non fosse, per
come si presentava, il tipo ideale di Sheril riuscì ad offrile da bere e a
chiacchierarci. Inizialmente l’intento di Richard di farsi quella donna rimase
intatta, ma con il proseguire del dialogo all’uomo venne in mente un’idea
migliore. Alla fine della serata, Richard fece una proposta a Sheril, ma non era
nulla di indecente: un posto di lavoro che lei accettò senza farsi troppi
problemi. Lui aveva bisogno di una donna che lo aiutasse a organizzare le
commissioni e a lei serviva un impiego.
Diverso fu il primo incontro con il tedesco del
gruppo.
A Richard serviva un ladro professionista ma, tra
quelli che conosceva, non c’era nessuno che lo soddisfaceva pienamente: troppo
spericolato; troppo lento; troppo inesperto. Non aveva fretta e sicuramente non
avrebbe scelto il primo decente che gli bussava alla porta; non era questo ciò
che serviva alla squadra perfetta che lui desiderava. Alla fine qualcuno gli
parlò di un tedesco di mezza età, ma nessuno gli seppe dare informazioni più
dettagliate. Per quello che avevano da perdere, Richard e Sheril decisero di
fare un viaggetto a Monaco. La coppia non fece mistero del loro obbiettivo,
anche perché, spargere la voce della loro presenza in città era l’unico modo per
contattare l’ombra. Al contrario di molti suoi colleghi, infatti, questo famoso
ladro non firmava i suoi lavori, non una traccia che legasse un furto all’altro
e a chi li avesse perpetrati. Tutto ciò non era molto soddisfacente per Richard:
se nessuno sapeva nulla di più preciso dell’età e della nazionalità, come
facevano tutti ad essere così convinti che fosse così bravo?
"Vediamo la refurtiva che porta" gli dicevano.
Né Richard né Sheril erano molto convinti delle
spiegazioni. Questo tizio poteva essere solo uno qualunque, uno che si passava
il tempo facendo il furbo o, peggio ancora, poteva essere un poliziotto; non che
Richard avesse fatto qualche cosa di illegale, non ancora almeno, ma di sicuro
non aveva voglia di finire sulla lista nera di qualche agente.
Forse solo per curiosità, più che per una vera
convinzione di portare qualche cosa di buono a casa, i due inglesi rimasero un
paio di settimane, ma sicuramente non sarebbero rimasti di più se qualche cosa
non si fosse mossa. Una sera, di ritorno da una bevuta all’Hard Rock, Richard e
Sheril trovarono un ospite ad attenderli nella stanza di quest’ultima. Asriel
Stern era seduto composto su una sedia in direzione della porta e li fissava
studiandoli.
"Lei chi è?" chiese Sheril, irritata per la presenza
di un intruso in camera sua.
"Mi stavate cercando, se non ho capito male" rispose
lo sconosciuto.
"Chi l’ha fatta entrare?" domandò Richard.
"Non ho bisogno di nessuno per entrare in qualche
posto."
"Ma allora è bravo come di cono tutti" continuò
Richard, fingendo di non aver percepito il tono baldanzoso dell’altro. "Oppure è
un agente di polizia che non ha bisogno di particolari attrezzi per entrare in
un albergo e, pensandoci, sarebbe facile mostrare anche della falsa refurtiva."
Gli occhi di Asriel si riempirono di disprezzo. Il
tedesco si alzò facendo pressione con la mano sinistra sul tavolo che gli era a
fianco.
"Fino a prova contraria siete stati voi a venire fino
a Monaco per cercarmi" disse in tono gelido, per poi andarsene.
Quello fu solo il primo, aspro incontro; niente di più
né di meno del secondo e del terzo. Sebbene, però, i rapporti non migliorassero
Richard non era tornato in Galles, al contrario di Sheril che aveva un
appuntamento per un monolocale per i Predators. Allo stesso modo Asriel aveva
cominciato a farsi vedere nei posti in cui Richard passava il suo tempo. A volte
parlavano, a volte non si guardavano nemmeno, a volte sfioravano la rissa; ma
alla fine Richard gli fece proposta, sebbene fosse convinto che avrebbe ricevuto
un rifiuto. Contro ogni aspettativa Asriel accettò.
Cedendo per primo, Richard aveva dato modo all’altro
di mantenere un atteggiamento di superiorità, ma rimase sempre e solo quello: un
atteggiamento. Fin da subito fu chiaro chi era a dare gli ordini.
Mai lo fu, però, dal momento in cui Richard dovette
cominciare ad arbitrare i dispetti pesanti che si scambiavano Asriel e Jack.
L’Argentina fu uno dei primi lavori dei Predators,
probabilmente uno dei più facili. Si trattava di recarsi ad Alta Gracia, una
città del nord della provincia di Còrdoba; prendere contatto con una specie di
esperto di storia locale; dargli i soldi in cambio di una statuetta risalente al
periodo in cui Alta Gracia era un possedimento agricolo dei Gesuiti e tornare in
Europa. Consegnare, venire pagati per il lavoro svolto e rientrare a Cardiff.
Tutto troppo veloce e facile, tanto valeva rimanere qualche giorno in più in
città.
Il trio si trovava a El Tajamar, un lago artificiale
sulla sponda del quale si trovava la chiesa gesuita. I tre stavano prendendo il
sole sul lato opposto, godendo della visione della chiesa, quando passò, con
fare tranquillo, un ragazzo. Era di media altezza, capelli neri e occhi verdi,
svegli e giocosi: fu tutto ciò che vide Asriel quando incrociò lo sguardo con il
giovane argentino e fu odio a prima vista. Questione di qualche attimo e il
latino americano aveva un’arma bianca in mano, uno strano sorriso stampato in
volto e le gambe che correvano in direzione di Asriel, puntando la lama verso il
cuore del tedesco.
Se si fosse fermato a ripensare a quel momento,
Richard non sarebbe riuscito a spiegare il motivo per cui si comportò in modo
così insensato. Seguì semplicemente il suo istinto che gli suggerì di mettersi
in mezzo, convinto (o sperando) che l’assalitore si sarebbe fermato. Jack
effettivamente si arrestò davanti al gesto dello straniero; era letteralmente
sovrastato dall’altezza di quell’uomo dai capelli strani, ma non era per nulla
intimorito. Il moro inclinò la testa di lato, tentando di capire. Richard
sorrise nel vedere quella nuova espressione, intanto il suo cervello stava
calcolando i pro e i contro di avere quel ragazzo. Da una parte un soggetto che
non aveva problemi ad uccidere, poco importava che, in realtà, si divertisse,
sarebbe stato molto utile; dall’altro Richard non si faceva molte illusioni che
tra lui e Asriel i rapporti sarebbero migliorati. Entrambe le motivazioni erano
valide, ma se aggiungeva che, forse, sarebbe stato risparmiato se avesse fatto
la sua offerta, decisamente doveva far entrare quel sadico nei Predators.
Fu molto semplice convincere Jack Salvador. Non era la
prospettiva del lavoro, non era il denaro; sicuramente i cambiamenti eccitavano
Jack, ma la verità è che accettò per come aveva agito Richard. Non sarebbe
riuscito a trovare un altro uomo che non avesse avuto paura di lui; doveva
seguirlo e giurò con sé stesso che non avrebbe mai fatto del male, qualsiasi
cosa fosse successa, a quello strano tipo con i capelli leonini.
Promessa simile fu fatta nei riguardi di Savannah
Runner.
L’americana fu l’unica a bussare alla porta dei
Predators senza essere invitata; Richard non la fece nemmeno entrare. La prima
cosa che notò fu l’espressione terribilmente seria, la seconda fu il sedere sodo
e ben proporzionato della ragazza. Quando Richard uscì per un appuntamento, non
si sapeva se di lavoro o galante, o entrambi, Jack cominciò ad insidiare Sheril.
"Dai è carina. Se entra nei Predators divento più
bravo."
"Ma quanti anni hai? Vai all’asilo, per caso?"
"Dai, dai, dai, dai …"
Il discorso durò quasi un’ora. Alla fine la donna,
esausta e con le orecchie dolenti, cedette e, con Jack uscì dal monolocale per
cercare la ragazza.
"Lo sai, vero, che è praticamente impossibile
ritrovarla?" stava dicendo la donna al suo collega quando, da un vicolo
perpendicolare al loro spuntarono tre uomini dall’aspetto poco raccomandabile.
In effetti, Sheril aveva fatto un affare con il monolocale, ma la zona non era
delle più tranquille disponibili sul mercato di Cardiff: ne avevano fatta
esperienza le due segretarie del John Doe italiano.
"Non sei troppo giovane per una donna cosi?" chiese
uno del trio, rivolgendosi a Jack.
"Vedi? Alla fine non siamo usciti per niente" commentò
il moro, dimenticandosi della bionda che lo aveva tanto attirato prima.
Due uomini, quelli che si stavano avvicinando
maggiormente, erano particolarmente grossi; mentre il terzo, quello che aveva
parlato, era abbastanza mingherlino. I primi afferrarono per le spalle Jack e
Sheril, la quale guardò il suo compagno con espressione interrogativa: perché
non si era ancor a mosso? La risposta era semplice, lo annoiavano, non erano
abbastanza per lui. Avrebbe reagito all’ultimo o, forse, non avrebbe mosso
nemmeno un muscolo. Il tipo magro si piazzò davanti a Sheril, osservando la
collana d’argento che portava al collo, strappandogliela dopo aver deciso che
era un oggetto interessante.
"Jack, vuoi fare qualche cosa o ci devo pensare da
sola?"
"Va bene, va bene" accondiscese l’altro.
I tre non fecero in tempo a capire il breve scambio di
battute che Jack ruppe il naso dell’uomo che lo teneva stretto con una testata
piantandogli, poi, il pugnale nella pancia. L’altro omone fece lo sbaglio di
lasciare la presa sulle spalle di Sheril e di voltarle le spalle per aiutare
l’amico. La donna lo afferrò, gli ruotò il collo spezzandoglielo. Il terzo non
aveva nemmeno aspettato che il primo dei suoi compari si accasciasse a terra che
cominciò a correre con la collana stretta nel pugno. Era, quindi, già abbastanza
lontano quando Sheril e Jack si liberarono dalle due montagne umane. In più la
donna aveva, come al suo solito, i tacchi, mentre il ragazzo semplicemente non
ne aveva voglia.
"Non ti preoccupare, Richard te la ritrova la tua
collana " disse Jack.
In quel momento il suo cervello registrò un movimento
rapido nella zona periferica della sua visuale; stava per girarsi, pronto a
difendersi, quando si accorse che si trattava della bionda della mattina.
Correva come una scheggia nella direzione del fuggitivo.
"Dai, andiamo" disse Sheril; non aveva riconosciuto la
ragazza e non le importava sapere chi fosse né il perché inseguiva il tipo che
le aveva fregato il gioiello.
"No aspetta! Forse la recuperi prima di quanto speri."
Qualche minuto dopo la coppia vide tornare la bionda
con il pugno destro chiuso. Il giorno dopo Sheril parlò con Richard,
convincendolo a far entrare Savannah nella squadra.
I Predators erano al completo: avevano chi impartiva
gli ordini; chi si occupava della parte pratica; chi non aveva bisogno di un
invito per entrare da qualche parte; chi non aveva problemi ad uccidere. Avevano
persino un elemento sicuramente meno utile degli altri, ma non per questo
inutile, soprattutto perché Jack aveva effettivamente cominciato a fare il
bravo, almeno la maggior parte del tempo. Mesi per costruire un gruppo di tutto
rispetto e poche settimane per distruggere tutto. Uno per uno se ne erano andati
tutti: Asriel e Jack non erano nemmeno tornati; Savannah era andata via con la
massima indifferenza, Sheril, almeno, aveva salutato. Rimaneva solo Richard che
si fermò ancora qualche minuto per guardarsi intorno.
Alla fine si alzò e si diresse verso l’uscita del
monolocale. Una vocina infantile gli urlò una frase che si dice spesso da
bambini:
"l’ultimo chiuda la porta!"
Nota: Chiedo umilmente scusa per l’immenso ritardo
di questo capitolo. Spero che qualcuno abbia continuato a seguire questa storia
e che magari commenterà questo capitolo…fosse solo per insultarmi pesantemente.
Piccola precisazione: questo non è l’ultimo capitolo
che posterò in questa storia, i prossimi saranno dei piccoli epiloghi, ma non vi
voglio anticipare nulla; tanto è abbastanza facile da capire che tipo di finale
ho pensato per i poveri, piccoli Predators…
Come al solito spero che qualcuno mi dica la sua
opinione. Per il resto, buona lettura.