Capitolo
Cinque – Who
are you?
Era scesa la
notte su Minas Tirith.
Alla luce
della Luna la città assumeva un fascino tutto suo.
Una patina
soffice di luce bianca sembrava avvolgere le mura.
Era buio
tutto attorno. Le stelle erano nascoste da macchie
oscure. Si poteva scorgere solo all’orizzonte una forte tempesta di
luci rosse
e grandi nuvole, ancora più scure della notte, avanzare verso Minas
Tirith.
Nella città
c’era silenzio.
Tutti gli
abitanti erano chiusi nelle loro case.
Nelle
stradine si potevano udire solo i passi lenti delle
guardie a cavallo.
Era strano
pensare che anni a dietro, in tempi più tranquilli e
sereni, in quelle piccole stradine della città, in quelle ore, gli
abitanti fossero
tutti in strada per festeggiare o semplicemente per passeggiare; Minas
Tirith
era illuminata da mille torce, e voci di donne e bambini riempivano
l’aria
della dolce melodia delle loro risate; Il tintinnio di bicchieri che si
scontravano per brindare.
Tutto era
svanito adesso.
Ora che
all’orizzonte una minaccia avanzava incontrastata.
Tra le tante
case addormentate e buie, spiccava un’unica
finestra ancora illuminata dalla fioca luce del camino. In mezzo a
tutto quel
buio era ben visibile, molto in alto rispetto a tutte le altre case. La
vista
dalla finestra di quella casa, affacciava bene su tutta la città e
quasi oltre
le mura, mostrando un panorama surreale, da sogno.
Accostato
alla finestra, un uomo molto alto e dalla lunga barba
bianca, scrutava l’orizzonte con aria pensierosa.
Una lieve
luce rossastra, proveniente dalla pipa che l’uomo
stava fumando, nè svelò lo sguardo: due occhi azzurri, molto chiari, di
cui
alcune piccole rughe ne sottolineavano la saggezza e allo stesso tempo
la
forza.
Seppure
Gandalf avesse dimenticato come si fumava, non si
arrese.
Tossiva ogni
qual volta il fumo arrivava in gola, quasi vicino
ai polmoni.
Ma per quanto
sgradevole fosse la sensazione, gli ricordava
tempi più felici, passati tra i prati della Contea, a volte in
compagnia di
Bilbo, guardando le stelle e ascoltando il dolce suono della natura.
Senza
pensieri così tristi, come la sua mente ora ne era piena.
Senza timore per le persone care.
*Bei tempi…*
pensò, sorridendo appena.
Il suo
sguardo, fisso dritto davanti a se, scrutava oltre le
mura della Città Bianca, oltre le rovine di Osgiliath, sulle montagne
oscure di
Mordor.
Avesse
potuto, avrebbe tramutato i suoi occhi in quelli di un
falco, e avrebbe sorvolato minuziosamente quelle montagne, alla ricerca
di un
segno di vita da soccorrere.
O meglio, due
segni di vita.
Quelli di
Frodo e Sam.
Dei due
giovani hobbit non aveva avuto più notizie da un tempo
ormai troppo lungo da ricordare, eccetto quelle riferitogli da Faramir.
Avrebbe tanto
voluto poterli scorgere da così lontano.
Gandalf
pregava che i due hobbit avessero ancora la forza per
andare avanti, e che nessuno gli facesse del male.
Eppure
confidava in loro. Seppure fossero creature molto
piccole, sapeva bene quanta forza di volontà ci fosse negli hobbit,
come lo
stesso Bilbo Baggins gli aveva dimostrato nel corso degli anni.
In cuor suo,
era preoccupato per entrambi, ed un lieve senso di
colpa lo accompagnava dal giorno in cui si erano dovuti separare,
poiché
avrebbe voluto essere lì con loro fino alla fine.
E nonostante
questo, sapeva bene che c’era un valido motivo per
cui lui ora si trovava a Minas Tirith insieme a Pipino e Faramir, e
tutta la
gente di Minas Tirith, in attesa di una inevitabile guerra.
Ora più che
mai capiva e comprendeva il motivo della sua
presenza lì.
Con l’arrivo
di Nolwen, la strana creatura piovuta dal cielo,
il cerchio iniziava a chiudersi, ogni cosa occupava il suo posto sulla
strada
tracciata dal destino, e tutto cominciava a essere più chiaro.
Da ciò che
Faramir gli aveva raccontato, aveva intuito chi
fosse quella ragazza un po’ strana, spuntata fuori dal nulla, salvando
la vita
del capitano di Gondor.
Ma Gandalf
non aveva ancora osato farne parola con Faramir e
Pipino, né tantomeno aveva costruito un vero e proprio pensiero a
riguardo.
La sua era
una sensazione, ma non di quelle comuni tra gli
uomini. Bensì qualcosa che solo uno stregone come lui poteva percepire
e capire
allo stesso modo.
Nella sua
mente si era risvegliato un ricordo, non meno
importante e legato al destino dell’anello e dell’intera Terra di
Mezzo. E
altrettanto pericoloso quanto quello di distruggere per sempre l’anello
del
potere.
Era
importante adesso per lui, capire quanto la ragazza sapesse
dell’anello, e soprattutto capire bene chi fosse e da dove provenisse.
Al momento
l’unica certezza per Gandalf era che la sua presenza avesse qualcosa a
che fare
con l’anello e con Sauron stesso. Il resto era tutto molto vago nella
sua
mente.
Peccato che
il tempo fosse completamente contro di lui: la
minaccia di Mordor avanzava ormai sempre più veloce, poteva avvertire
la forza
maligna che lentamente scendeva sulla città; e nella stessa Minas
Tirith covava
una minaccia pericolosa e potente, quella del Sovrintendente Denethor,
alla
ricerca della fuggitiva Nolwen, pronto a tutto pur di trovarla.
Stavolta,
Gandalf ne era sicuro, avrebbe avuto le informazioni
che cercava da lei, persino con la forza. Persino sacrificandone la
vita.
Non c’era più
tempo da perdere, ogni prossima mossa avrebbe
dovuto essere cauta ma rapida.
Da grande
stregone qual era Gandalf, sarebbe riuscito
sicuramente a venire a capo delle informazioni di cui necessitava da
Nolwen.
Sperava solo che la ragazza gli avrebbe parlato spontaneamente e con
sincerità.
Prese un
respiro profondo d’aria fresca, come a voler placare
l’inquietudine che ormai regnava comoda nel suo animo.
I suoi lunghi
capelli bianchi e la barba ondeggiavano con
leggiadria al passaggio del vento. Era tutto così tranquillo a Minas
Tirith.
Fin troppo per i suoi gusti.
E infatti si
trattava di una finta-calma, il silenzio che di
solito precedeva un grande boato.
Un rumore di
zoccoli di cavallo attirò l’attenzione di Gandalf.
Rivolse lo
sguardo in basso, verso la strada.
Un uomo a
cavallo avanzava lentamente nella quiete della città,
guardandosi attorno con circospezione.
Il suo volto
era coperto dal cappuccio del lungo mantello,
posato sulle sue spalle. Su di esso era ricamato l’albero bianco di
Minas
Tirith.
*Faramir..*.
Il suo
incedere lento e silenzioso, gli suggeriva che fosse
accaduto qualcosa e non era neanche tanto difficile immaginare con
chi...
Faramir era
di ritorno dalla Sala del Trono, da una consultazione
con sire Denethor.
Era stato
convocato da lui a corte, con urgenza.
Facile era
anche immaginarne il motivo: la prigioniera era
scappata e l'ultimo visto in sua compagnia, e peggio ancora ad aprire
la porta
della cella, era stato proprio Faramir.
E adesso era
di ritorno da quel 'colloquio' durato ore.
Gandalf non
se ne era reso conto ma, in effetti, era passato un
bel po’ di tempo da quando il capitano era andato via quel pomeriggio.
Si guardò
attorno quasi d'istinto, per vedere se qualcuno lo
avesse seguito.
Probabilmente
era per questo che Faramir procedeva lento e
cauto.
Se l’avessero
pedinato fin lì, avrebbero trovato quello che
Denethor cercava: Nolwen.
Il Capitano
fermò il cavallo a pochi passi dall’abitazione in
cui vi erano Gandalf, Pipino e Nolwen. Un ultimo sguardo attorno e
scese dalla
sella. Diede qualche carezza al cavallo e poi si girò per entrare in
casa, disinvolto.
Sembrava che
nessuno lo avesse seguito.
Una volta
entrato, Gandalf si fece avanti, invitando il
capitano ad accomodarsi a una delle sedie lì vicine.
<< No,
grazie Mithrandir… >> disse Faramir,
alzando la mano, fermando la cortesia dello stregone << …Ho
cavalcato
per ore prima di arrivare qui, per timore di essere seguito, e prima
ancora
sono rimasto seduto nella Sala del Trono per tutto il tempo del
colloquio con
mio padre…Ora l’ultima cosa che voglio è sedermi… >> Sorrise, anche se con molta fatica. C’era ben
poco da ridere ormai di tutta la situazione.
<< Io
invece mi accomodo. Per tutto il tuo tempo a
cavallo e al colloquio con tuo padre, non sono riuscito a restare
seduto…
>> aggiunse Gandalf, trasformando il faticoso sorriso di Faramir
in un
vero sorriso.
Poggiando le
mani sulla spalliera della sedia di fronte a
quella di Gandalf, Faramir si sporse appena a sinistra, cercando di
sbirciare
nella stanza affianco.
<< Lei
come sta? E’ sveglia? Le posso parlare?..
>> continuava a tenere lo sguardo sulla stanza.
Gandalf girò
appena la testa, verso la camera << Riposa
ancora. Non so se sia il caso di svegliarla... >> Il suo
tono di voce
era diminuito, quasi avesse paura di svegliare la ragazza << Aveva
delle notevoli ferite su gran parte del corpo. Le ho curate meglio che
potessi,
ma sembrano ferite che non spariranno così facilmente. >>
Spostò lo
sguardo verso Faramir.
E così fece
anche il capitano, incuriosito dalle parole di
Gandalf.
<< Deve
avere sofferto molto, sarebbe meglio se
riposasse più che può. Anche se, io personalmente vorrei rivolgerle
alcune
domande molto importanti. E il tempo scarseggia. Ma come dicevo, per
ora è
meglio aspettare.>>
Faramir annuì
lentamente. Capiva quello che voleva dire
Gandalf, neanche lui avrebbe avuto il coraggio di disturbare il sonno
di
Nolwen. Certo avrebbe tanto voluto saperne di più su di lei, capire chi
fosse,
da dove venisse, come si chiamasse…
<< Adesso puoi
dirmi cosa c’entra Sauron con… lei?
>> chiese a Gandalf, ricordandosi di una frase che
egli stesso
aveva detto quel pomeriggio, riferito a Sauron e ad un pericolo che
rappresentava.
Gandalf non
si aspettava quella domanda, attese un po’ prima di
rispondergli, sapendo che doveva pesare bene ogni parola, perché poteva
essere
frainteso.
<< Ho
il sospetto che Sauron abbia un qualche legame
con questa ragazza. Ora non so spiegarti il perché, ma c’è qualcosa
nella mia
mente, un ricordo lontano… qualcosa sussurrato al mio orecchio quando
non ero
ancora qui…>> i pensieri nella sua mente ripresero a
marciare,
cercando di ricordare quando e dove, ma era praticamente impossibile.
Era come
voler ricordare il momento della propria nascita, e i primi anni di
vita… impossibile.
Tornò a
fissare Faramir, e gli sorrise confortante.
<< Forse
mi sbaglio, ed è una normalissima ragazza con
un grande coraggio e una notevole forza.>>
Ma entrambi
non potevano fare a meno di pensare che aveva
salvato la vita di Faramir, lottando contro un gruppo di orchi.
Una qualsiasi
ragazza avrebbe potuto si avere il coraggio di
restare e combattere, ma le probabilità di sopravvivere non sarebbero
esistite.
Doveva a
tutti i costi esserci qualcosa di particolare in
Nolwen.
La forza
sorprendente era solo uno degli interrogativi
inspiegabili.
<< Ha
parlato in elfico quando eravamo nella
cella.>> disse Faramir <<In un primo momento non
avevo
capito, ma dopo un pò dal suono l’ho riconosciuto. Era elfico, ne sono
sicuro…>>
Gandalf annuì
<< Si, era elfico. Ti aveva chiesto di
dirle dove si trovava. L’ho sentito… >>
<< Ma…>>
Faramir esitò << …non ha
le sembianze di un elfo. Non ne ho mai visti in carne e ossa, so solo
quello
che narrano le nostre storie, e ricordo come li descrivono. E lei…l’hai
vista
anche tu Mithrandir, non sembra affatto un elfo. In più ha quelle ali
nere…
come quelle di un drago.>>
<<
No, hai ragione…>> rispose Gandalf
<< …tuttavia ha parlato in elfico
antico, e non è una lingua usata da chiunque.>>
Più i due
cercavano risposte alle loro domande, ragionando tra
loro sulle varie eventualità, più non riuscivano a venire a capo di chi
e cosa
fosse quella ragazza.
Alla fine,
Faramir si sedette, volgendo lo sguardo verso la
camera dove riposava la loro ospite.
Pipino si era
addormentato su di una panca ai piedi del letto
dove dormiva Nolwen, imbottita di coperte per rendere soffice come un
materasso
il ripiano.
A vederli
sembrava quasi che il piccolo hobbit fosse lì di
guardia.
Aveva un
espressione beata mentre dormiva. Strano come
riuscisse a dormire così tranquillo, mentre fuori incombeva una guerra,
e
peggio ancora la distruzione dell’intera umanità.
Non che
questo facesse dell’hobbit un essere superficiale, ma
più che altro incorreggibile.
La giovane
ragazza invece, sembrava avere un sonno piuttosto
agitato. Si girava e rigirava nel letto in continuazione, a volte aveva
dei
piccoli scatti, rimbalzando sul letto come se vi fosse caduta sopra da
metri di
altezza.
Era
profondamente addormentata, ma la sua mente anziché
riposare, era tormentata dalla voce di Sauron che le parlava in
continuazione.
<< Sei
andata via da me. Tu sei mia, il tuo posto è al
mio fianco, la tua casa è qui. Nessuno ti vorrà con se, dovunque
andrai, perché
appartieni a entrambi e nessuno dei figli di Eru. Verrò a
prenderti!>>
Con questa
frase che rimbombava nelle sue orecchie, Nolwen si
svegliò ancora una volta di soprassalto. Sedette sul letto, guardandosi
attorno
spaesata.
Per un attimo
non ricordava come fosse arrivata lì.
I suoi occhi
chiarissimi scrutarono la stanza per ogni
centimetro, e le sue orecchie erano pronte ad udire un qualsiasi rumore
che
potesse darle un orientamento.
Lentamente
cominciò a collegare gli avvenimenti, e a ricordare.
Avvicinò le
mani al viso, coprendo gli occhi.
Quella voce
nella sua mente era un vero tormento.
La sua testa
non ne poteva più, sentiva che era sul punto di
esplodere.
Con gli occhi
chiusi spostò le mani verso le tempie,
massaggiando con movimenti circolari la testa.
Una specie di
meditazione, per
placare il dolore e riprendere il controllo di se stessa.
Per quanto
tempo fosse rimasta immobile in quella meditazione,
non si sa.
Tuttavia
alzando lo sguardo verso la porta, dove Gandalf e Faramir
esitavano, Nolwen intuì che le era sfuggito il controllo, lasciando che
la
meditazione durasse più del previsto.
Rimase a
fissare i due per un bel po’, in silenzio.
Non si
muoveva; il suo sguardo non lasciava trasparire la
minima emozione.
<<Ben
svegliata…>> Gandalf e Faramir, erano
fermi vicino alla porta della camera. Fissavano la ragazza.
Nolwen non
aveva avvertito la loro presenza prima di quel
momento, cosa che di solito non succedeva dato che ogni suo senso era
perfetto,
e niente poteva avvicinarsi a lei senza che se ne accorgesse.
Mentre
meditava queste capacità diminuivano.
Non disse
nulla inizialmente. Alzò lo sguardo e spostò le mani
dalle tempie, tornando a posarle sul letto su cui era seduta.
Fissò i due
volti: prima quello di Gandalf, in cui riconobbe
qualcuno di cui Sauron le aveva parlato.
Non era
certissima che si trattasse di lui.
Se fosse
stato lui, lo stregone che voleva eliminare l’intero
mondo che le apparteneva, avrebbe dovuto prendere in fretta una
decisione ed
agire.
Non essendo
sicura però che si trattasse proprio di lui, decise
di prendersi del tempo e analizzare bene la situazione.
Poi spostò lo
sguardo su Faramir.
Il capitano
aveva catturato la sua attenzione sin dal giorno
prima, riuscendo a incuriosirla. Le era difficile distogliere lo
sguardo da
quell’uomo. Forse perché non ne aveva mai visti da così vicino, ed
erano a suo
parere strani quanto affascinanti quelle ‘creature’.
Inoltre lui e
la sua razza erano quelli che più si avvicinavano
al suo aspetto fisico, facendola sentire parte di qualcosa.
Ancora meno
facile era distrarsi da lui, ora che si fidava un
po’ di più.
Ricordava che
era stato grazie a quell’uomo se era uscita da
quella stanza gelida.
Ricordava la
sua mano tesa.
Un semplice
gesto, che le aveva trasmesso un grande senso di
sicurezza. La stessa che adesso provava attraverso il suo sguardo.
Faramir,
anche lui, non poteva fare a meno di fissare con una
certa attenzione la ragazza. C’erano così tante cose che non sapeva di
lei, e
le poche cose che aveva potuto vedere erano talmente fuori
dall’ordinario, da
non poter fare altro che aumentare la voglia di parlarle e conoscerla.
Gli fu
difficile trattenere tutte le domande che voleva porre.
<< Capisci
quello che dico?>> disse in
elfico Gandalf, distogliendo l’attenzione di Nolwen da Faramir.
Lo fissò per
un attimo.
<< Si…
stregone…>> rispose Nolwen, - sempre
in elfico- con un pizzico di durezza nella sua voce, e guardandolo con
uno
sguardo investigativo.
Quel
nomignolo lo disse di proposito, cercando una reazione
nell’uomo.
Era chiaro che non si fidava molto di Gandalf.
La sua mente
era stata riempita per anni dalle menzogne di Sauron,
riguardo uno stregone molto potente e tutti gli abitanti della Terra di
Mezzo.
Bugie che per lei potevano essere verità e viceversa.
Ed era
proprio perché non sapeva quanto ci fosse di vero in
quello che le era stato detto che si trovava lì adesso, e rischiava la
sua
vita.
Il dubbio le
era nato nel cuore un giorno di autunno, qualche
mese prima.
Si trovava in
perlustrazione con un gruppo di orchi, alla
ricerca dell’unico anello, dopo una soffiata da parte di uno dei tanti
servi di
Sauron, e furono colti di sorpresa.
Un agguato
degli elfi, in cui molti morirono, tra orchi ed
elfi.
Stava
combattendo con la spada contro uno di loro, aveva
l’armatura addosso compresa di elmo che le copriva il volto lasciando
visibili
solo le labbra e il mento, era difficile riconoscere il suo vero
aspetto -
anche perché sporca di terriccio e con qualche graffio - decisamente
diverso da
quello di un orco.
Durante il
combattimento il suo elmo venne colpito violentemente
dallo scudo del suo avversaio.
Si ruppe per
metà, ed essendo di metallo, per evitare di farsi
più male di quanto giù se n’era fatta, lo sfilò via velocemente,
gettandolo per
terra.
L’elfo di
fronte a lei, preso dallo stupore, perse la
concentrazione e fu ferito.
Nolwen rimase
ferma dinanzi a lui, puntandolo con la spada, in
attesa del da farsi, incerta se fosse giusto o meno mettere fine alla sua
vita.
Quello fu il
primo segno che qualcosa non andava bene.
Non si era
mai tirata indietro davanti al nemico.
Ma
quell’elfo… il modo in cui l’aveva guardata dal momento in cui
aveva svelato il suo volto…
Era davvero
stupito di quello che aveva visto.
Poteva
leggere sul suo volto le domande e lo stupore.
Era per
quello che Sauron le aveva sempre raccomandato di
tenere l’elmo davanti ai nemici?
La spada le
cadde dalle mani.
Si sentiva
come mai in vita sua, agitata e senza sicurezze,
completamente sperduta. Il volto di quell’elfo, la sensazione di bontà
che
emanava, la fierezza, la giustizia erano tutte cose a cui non aveva mai
fatto
caso in tutti quegli anni. Non aveva occhi rossi e desiderosi di
vendetta come
tutte le creature che l’avevano sempre circondata. I suoi occhi,
limpidi e chiari,
cercavano solo pace. Lo avvertiva.
E la luce
bianca da cui sembrava avvolto ne evidenziava ancora
di più le qualità buone e giuste.
Fece qualche
passo indietro, allontanandosi dall’elfo che
continuava a guardarla sgomento.
Era sicuro
che non si trattasse di un orco o di una magia, perché
se così fosse stato lui sarebbe già morto. Nessun orco o servo di
Sauron
avrebbe mai esitato.
<< Chi sei? >>
le chiese sconvolto.
<< Cosa ci fai con
questi orchi? Perché combatti contro di noi? >>
Sul viso di
Nolwen caddero alcune lacrime di cui non si
accorse, troppo terrorizzata.
E mentre
cercava di allontanarsi il più possibile da lì,
lottando con se stessa visto che una parte di lei voleva restare e
capire perché
quell’elfo le faceva quelle strane domande, un orco si avvicinò
correndo alle
sue spalle, impugnando un grande martello di metallo.
Nolwen si
sentiva disorientata per spostarsi, restò ferma ad attendere
che quell’essere si avvicinasse.
Il suo
obbiettivo era l’elfo.
Rimase a
guardare tutta la scena dall’inizio alla fine.
L’elfo non
parlava, non chiese pietà, non chiese aiuto nemmeno
a lei, anche se Nolwen poteva leggere nel suo sguardo una richiesta di
aiuto.
Ancora le
domande dell’elfo le frullavano nella mente.
Era strano come fosse riuscito in pochi attimi a disorientarla.
La verità era
che quelle domande se l’era poste anche lei, più
volte. Ma vedendo che nessuno attorno faceva lo stesso o avesse
risposte, non
aveva mai approfondito.
Improvvisamente
sfilò dalla cintura un coltello dall’aspetto
elegante, somigliava ad uno di quelli elfici, fece un piccolo giro su
se stessa
e trafisse con forza sul fianco l’orco che era ormai giunto davanti
all’elfo,
pronto per ucciderlo.
L’orco rimase
un attimo pietrificato, emanò un forte urlo di
dolore, guardando con stupore fisso negli occhi Nolwen.
Dopotutto era
il suo capitano.
Dall’armatura
squarciata dell’orco iniziò ad uscire rapidamente
del sangue nero. Dopo pochi istanti, il corpo in fin di vita cadde
violentemente per terra, portando con se il pugnale di Nolwen.
L’elfo,
ancora disteso per terra, rimase immobile ad osservare
la scena.
Nolwen,
anch’essa completamente ferma, abbassò lo sguardo verso
le sue mani ricoperte di sangue.
Si sentiva
terrorizzata, forse per la prima volta in vita sua.
Sbarrò gli
occhi, ormai lacrimanti.
Aveva ucciso
uno dei soldati sotto il suo comando, per
risparmiare la vita di un elfo.
Girò lo
sguardo verso di lui.
Lo guardò
impaurita, cercando una parola di conforto, un
qualcosa che potesse spiegare cosa fosse accaduto.
Ma prima che
l’elfo potesse dire qualcosa, un forte suono
proveniente dal corno degli orchi, riecheggiò nell’aria attorno a loro.
Istintivamente
Nolwen aprì le ali e si alzò in volo.
Non voleva
restare lì neanche un minuto di più. Era troppo
terrorizzata.
Tenne sempre
lo sguardo sull’elfo mentre si alzava sempre di
più nel cielo, finchè non lo vide più.
Da quel
giorno il dubbio si era insinuato tra i suoi pensieri.
Tornò con la
mente al presente.
Gandal e
Faramir la guardavano ancora, in attesa di una sua
parola.
Intanto
Pipino si era svegliato. Anche lui la guardava, solo
che il suo sguardo era più rilassato.
Sembrava
volesse sorriderle.
<< Mi conosci
dunque? Sai chi sono? >> chiese d’un tratto Gandalf,
incuriosito dal
modo in cui l’aveva chiamato qualche istante prima la ragazza.
Lei annuì.
<< Credo di si,
Olòrin… >>
I due si
guardarono, entrambi stupiti.
Nolwen stessa
non sapeve bene perché lo aveva chiamato con quel
nome.
Gandalf era
visibilmente colpito. Quel nome non era usato da
anni. Solo in Valinor si era sentito nominare.
Questo crebbe
ancora di più la curiosità verso di lei da parte
dello stregone.
E lo stesso
accadde a Nolwen verso se stessa.
Sembrava
conoscesse cose di cui non sapeva nulla. Come fossero
racchiuse nel profondo del suo animo.
La reazione
di Gandalf le aveva confermato che poteva trattarsi
proprio di lui.
Faramir,
osservando entrambi, cercava di capire cose stesse
succedendo.
Dal momento
in cui la ragazza aveva pronunciato quel nome,
Gandalf era rimasto in silenzio, visibilmente confuso per poter parlare
ancora.
Il capitano e
Pipino si scambiarono un’occhiata interrogativa.
Nessuno dei due capiva cosa stava a significare quel nome.
<< Il tuo nome
invece qual è? >> la voce piccola e serena di Pipino
interruppe il
silenzio che aveva riempito la stanza. Usava il linguaggio corrente,
quello che
tutti parlavano e potevano capire. Probabilmente pensando che lei lo
capisse.
<< Io sono
Peregrino Tuc, ma tutti mi chiamano Pipino. >> continuò l’hobbit,
indicando se stesso.
<<
Lui è
il capitano Faramir… penso vi conosciate già… >> facendo un cenno
col capo verso il capitano, Pipino andava
avanti con le presentazioni.
Alla fine
arrivò il turno di Gandalf.
Ma prima che
potesse parlare, Nolwen lo interruppe.
<< Nolwen… >>
indicò se stessa.
Pur non
capendo appieno il linguaggio degli uomini, aveva
capito quello che stava dicendo Pipino, anche attraverso il linguaggio
dei
gesti.
Gandalf parve
riprendersi dal suo stato di trance in cui si era
rinchiuso pensando alla ragazza.
Guardò Nolwen
ancora una volta. Il suo nome non gli era
familiare.
Questo era il motivo per cui si sentiva leggermente infastidito. Lei
pareva
conoscere tutto di lui. E lui, per quanto si sforzasse, ancora non
ricordava
niente di lei.
In realtà non
sapeva che neanche lei infondo sapeva poi tanto,
ed era ancora in dubbio su Gandalf.
Ogni
informazione ricevuta sino a quel momento, le diceva che
era proprio lui lo stregone di cui Sauron le aveva sempre parlato.
Eppure
cercava di nascondere a se stessa questa realtà.
L’aspetto
candido e i modi gentili di Gandalf, le rendevano
difficile credere che potesse essere un mostro.
Qualcosa che
diede di nuovo da pensare a Nolwen, sulla
veridicità delle parole di Sauron.
Gandalf
chiese scusa, e si ritirò nella stanzetta accanto,
sedendosi davanti al camino, più pensieroso che mai.
Non era
pronto per sapere tutto riguardo Nolwen. Doveva cercare
di farsene una ragione. Al momento opportuno, era sicuro, avrebbe
ricordato.
<<
Nolwen… bel nome! >> rispose Pipino.
<<
Sembra elfico… >> continuò, guardando Faramir.
Improvvisamente
si sentì un brontolio nella stanza.
Faramir e
Nolwen si voltarono verso Pipino.
Era il suo
stomaco.
<< Ehm,
chiedo scusa. Credo che adesso farò uno spuntino…
>> disse dirigendosi verso le borse posate vicino al tavolo in
legno.
Dentro v’era una piccola parte di provviste.
Erano troppe
ore che Pipino non toccava cibo. Era affamato.
Rimasero solo
Nolwen e Faramir in quella stanza.
Il capitano
non voleva andare via e lasciarla sola. Non voleva
neanche farle domande.
Non in quel
momento.
Adesso sapeva
il suo nome, e tanto gli bastava.
E poi era
sicuro che mille domande l’avrebbero indispettita.
Nolwen si
girò sul letto, mettendo i piedi sul pavimento. La
superficie era persino più calda rispetto ai suoi piedi freddi. Ma non
li
ritirò su.
Voleva
gustare quel contatto tra la sua pelle ed il pavimento
in marmo fino alla fine.
Osservò i
suoi piedi e le sue gambe. Li avevi usati di più
nelle due giornate precedenti, che in tutta la sua vita.
Faramir si
avvicinò e sedette sul letto, accanto a lei.
Nolwen
distolse lo sguardo da terra, spostandolo sul capitano.
Eccoli lì, di
nuovo… i suoi occhi. Il suo sguardo era riuscito
di nuovo ad attirarla.
Lo stesso
succedeva a Faramir.
Questi, per
un attimo, esitò, distogliendo lo sguardo da quello
di Nolwen e ripensando alle parole del padre e di Gandalf.
Se era vero
che Nolwen aveva un legame con Sauron, era
probabile che avesse qualche potere simile a quello dell’anello? Un
potere che
attirava in modo indescrivibile chiunque si avvicinasse troppo e tirava
fuori
la parte malvagia di una persona?
Tornò con lo
sguardo su quello della ragazza.
Lei era
ancora lì che lo fissava. I suoi occhi sembravano così
innocenti, come l’espressione sul suo viso.
Niente dava a
vedere che potesse essere un arma del male.
Eppure lui
aveva visto di cosa era capace.
Pensandoci
bene, se era davvero un’arma di Sauron, era
perfetta.
Nessuno
avrebbe sospettato di lei, così minuta, palesemente
debole. Avrebbe potuto sorprendere tutti, sterminandoli con semplicità.
Eppure, più
la guardava, più questi suoi sospetti – fondati,
con tanto di prove - non riuscivano a trovare appiglio.
Tutto quello
che gli suscitava era un grande senso di
protezione.
Desiderava
proteggerla, anche se non sapeva bene da cosa.
Sollevò una
mano, portandola vicino al viso di Nolwen.
Lei ebbe un
piccolo scatto indietro, non riuscendo a capire
quel gesto. Ma poi, rassicurata dallo sguardo di Faramir e dal suo
sorriso, si
rilassò.
La mano del
capitano si fermò accanto alla sua guancia.
L’accarezzò
con la parte esterna della mano, con quattro dita,
sfiorando appena la sua fredda pelle con dolcezza.
Era la prima
volta che Nolwen riceveva un gesto simile.
Non sapeva
cosa pensarne. Ma le piaceva.
Sentì il suo
viso riscaldarsi, proprio nel punto in cui Faramir
l’aveva accarezzata.
Anche questo
era la prima volta che succedeva.
Socchiuse gli
occhi, assaporando quella sensazione, lasciandosi
trasportare da pensieri affettuosi, a lei del tutto sconosciuti.
Per la prima
volta si sentiva libera, fluttuante, quasi al
sicuro.
Il capitano
continuò ad osservarla. Era di una bellezza unica.
Si chiese
perché non potesse essere proprio quello il motivo
per cui ne era così attratto.
Si chiese
anche come avrebbe potuto una creatura così bella
essere legata a Sauron.
Ma lasciò le
risposte a quelle domande ad un altro momento.
Ora tutto
quello che voleva era riposare la mente e il corpo.
Erano stati due giorni sfiancanti.
Abbassò la
mano e si stiracchiò appena con la schiena.
Nolwen riaprì
gli occhi lentamente.
La fine di
quel contatto l’aveva riportata nuovamente alla
realtà.
Guardò
Faramir. Il suo viso era nascosto in parte dai capelli
castani che gli ricadevano in avanti, ma aveva notato che era stanco o
comunque
molto affaticato.
Esitando più
volte con la mano, cercò di ricambiare quel gesto,
quella carezza.
Pensava che
se aveva fatto sentire lei così leggera e al sicuro
, avrebbe potuto trasmettere la stessa sensazione a lui.
Ma la sua
mano si fermava sempre a metà percorso.
Aveva timore.
Una delle pochissime volte in vita sua in cui
aveva timore di qualcosa.
Faramir aveva
notato tutti i suoi movimenti, e aveva iniziato a
ridere, divertito dalla sua indecisione.
Prima che
Nolwen mettesse giù la mano arrendendosi, lui l’afferrò
con sicurezza, con la sua mano.
La strinse
appena.
La ragazza ebbe un piccolo sobbalzo. Adesso lo guardava incuriosita.
Ancora una
volta, la mano di Nolwen fu avvolta dal calore della
pelle del capitano.
Attirò piano
la mano della ragazza verso di lui, avvicinandola
al suo viso, alla sua guancia, in modo che le dita di Nolwen la
sfiorassero.
Ripete
l’azione, dall’alto al basso, per due volte, molto
lentamente.
Alla terza,
lasciò la sua mano.
Nolwen
continuò da sola ad accarezzargli la guancia.
Sentiva la
leggera sensazione di ruvido dovuta alla barba di
Faramir. Tuttavia la sua pelle era soffice.
Dopo un po’,
Faramir riportò la sua mano su quella di Nolwen.
La fermò sulla sua guancia, mentre l’accarezzava. Si sentiva già un po’
più
sollevato.
Girando lo
sguardo verso di lei, le sorrise.
<< Hai l’aria di
una persona che non ha mai ricevuto una carezza… >> le disse.
Sapeva che
non capiva bene, ma non importava, perché sapeva
anche che in qualche modo riusciva a comprendere.
E difatti
Nolwen capì cosa voleva dirle.
Cercò di
sorridere, come aveva fatto il giorno prima, e fece un
piccolo cenno con la testa, annuendo alla sua affermazione.
<< Hantale (Grazie)
>> le disse Faramir, per averlo salvato il giorno prima.
All’improvviso
Nolwen si trasse indietro, liberandosi la mano dalla
presa di Faramir.
Si guardò
attorno. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione,
un suono molto sottile. Percettibile solo da orecchie molto sensibili.
Si alzò in
piedi, seguita da Faramir, il quale non riusciva a
capire cosa le stesse succedendo.
<< Cosa c’è…?
>> le chiese, ma senza risposta.
Gandalf e
Pipino li raggiunsero nella stanza, dopo aver sentito
la voce del capitano e dopo aver visto gli strani movimenti della
ragazza.
Finchè una
voce imponente invase l’intera stanza, facendo
tremare tutto, muri e pavimenti compresi.
<< Torna da me!
>> era il linguaggio oscuro di Mordor.
Solo udirlo
era un male per le orecchie.
Pipino e
Faramir si coprirono le orecchie, completamente
infastiditi da quella voce.
Era come se
le loro orecchie fossero state pervase da un suono
troppo forte.
Gandalf
resistette, e guardò la reazione di Nolwen.
Lei si era
avvicinata alla finestra, guardando fuori. Non sembrava
spaventata.
Era chiaro
che capiva quello che era stato detto.
Anche Gandalf
si affacciò alla finestra, e vide che fuori per
le strade della città buia, era uscita la metà delle persone, dalle
loro case.
Quella voce
doveva aver scosso l’intera città, e dovevano
averla udita tutti.
Le persone
erano spaventate, cercavano informazioni l’uno dall’altro
riguardo quello che era successo. Nessuno però poteva dare risposte
certe,
tutti ipotizzavano ad un attacco da parte di Mordor.
Non sarebbe
stato niente di cui preoccuparsi se di lì a poco
non fossero arrivate le guardie di Minas Tirith.
Si dirigevano
proprio verso l’abitazione in cui si trovavano
Gandalf, Pipino, Faramir e Nolwen.
Denethor
probabilmente aveva di nuovo fatto uso del Palantir.
Lo stregone
si voltò velocemente verso Nolwen e posò le sue
grandi mani sulle spalle della ragazza.
<< Devi dirmi tutto
adesso! Prima che le guardie ci raggiungano e ti portino via. Chi sei
tu?!?
>>
Alla fine
aveva alzato troppo la voce.
Nolwen era
rimasta a fissarlo. Così come Faramir e Pipino.
Lei ancora
non parlava, guardava fuori e poi si rigirava verso
Gandalf.
Alla fine
riprese il controllo di se stessa.
Portò le mani
su quelle di Gandalf, le strinse forte,
facendogli male, e le spostò.
<< Mankoi lle irma sint? (Cosa desideri sapere?)
>> gli chiese, con un
tono serio e altezzoso.
<< Im Nolwen (Io sono Nolwen)… Avo ista man im (Non so chi sono)
>> lo
sguardo di Nolwen si fece più triste e la voce meno altezzosa, era
adesso un po’
tremolante.
Era sincera.
Non sapeva
più chi era.
A quale
popolo apparteneva.
Dov’era la
sua casa.
Fidarsi di
quell’uomo, quello
stregone, poteva essere un grande rischio se quello che Sauron le aveva
detto
era vero.
Se non fosse
stato vero però non
sarebbe cambiato poi tanto. Sapere che lei era una creatura di Sauron
l’avrebbe
fatto insospettire e probabilmente l’avrebbe rinchiusa di nuovo in
quella
stanza.
Se adesso era
lì, in tutti i confort
di quella stanza, lo doveva al fatto di aver salvato Faramir.
Guardò un
ultima volta il capitano.
Si
scambiarono entrambi uno sguardo
pieno di domande.
Poi tornò a
guardare Gandalf. Lasciò
le sue mani.
<< Io sa gad nin (Fa che mi prendano) >> disse
Nolwen, tornando
ad assumere un atteggiamento coraggioso e fiero.
Gandalf la
scrutò confuso per un po’.
Alle mille
domande che si poneva su
di lei, se ne aggiunsero altre mille.
Quella
creatura non era lì per
distruggerli. Almeno questo gli fu finalmente chiaro.
Lo capì dallo
sguardo della ragazza
di poco prima. Aveva visto la sua debolezza. Era forte fisicamente, ma
la sua
mente era fragile.
Aveva bisogno
anche lei di risposte
probabilmente.
<< Aprite questa porta, in nome del Sovrintendente di Gondor!
>>
due colpi alla porta e dopo quella voce si udirono a pochi passi da
dov’erano
loro.
Faramir e
Gandalf si guardarono.
Senza che dicessero nulla, si spostarono per la casa, in silenzio,
raccogliendo
le borse e sistemando le robe in modo che nessuno sospettasse di nulla.
<< Dartha lle ennas. Nauth nin. (Resta lì. Ci penso io.)
>> disse
Gandalf a Nolwen, parlando sottovoce.
La ragazza
rimase senza parole,
insicura.
Sedette di
nuovo al letto, tirando
verso di se le lenzuola.
Gandalf
lasciò la stanza, chiuse la
porta dietro di se e sedette ad una delle sedie che erano attorno al
tavolo.
Faramir e Pipino erano anch’essi lì seduti.
Il piccolo hobbit si alzò per
avvicinarsi alla porta. L’aprì.
Un soldato
alto e robusto fece qualche
passo in avanti nella stanza, scostando con maleducazione il piccolo
mezz’uomo,
senza nemmeno chiedere se potesse entrare.
Quando vide
che lì v’era anche il
capitano Faramir, lasciò quell’aria altezzosa e fece il suo saluto
militare.
<< Cosa succede qui? >>
chiese subito Faramir.
<< Signore, ci manda il
Sovrintendente. Dice che qui dentro si nasconde la fuggitiva, signore.
>>
il soldato restò sull’attenti. Alle sue spalle si aggiunsero altri due
soldati.
Fuori dalla
porta ce n’erano di
sicuro altri due.
<< Qui ci siamo solo noi tre…
>> disse con fermezza Faramir.
Il soldato
che aveva parlato, lanciò
uno sguardo alla porta della stanzetta affianco. Ma non osò parlare.
Scambiò
un’occhiata con il suo
compagno, al suo fianco, e tornò con lo sguardo sul capitano.
<< Dobbiamo controllare quella
stanza signore… >> indicò la porta << …è un ordine del Sovrintendente.
Lui… sapeva che lei era qui. Mi ha autorizzato ad ignorare i suoi
ordini.
>>
Era
palesemente a disagio in quella
situazione. Dover disobbedire agli ordini del suo capitano, era
qualcosa che
non avrebbe mai immaginato di poter fare. Tuttavia rispondeva anche
agli ordini
del Sovrintendente.
Faramir non
osò girare lo sguardo
verso Gandalf, il quale rimase immobile.
Non sapeva
cosa fare, se avesse fatto
una minima mossa, avrebbe dato a vedere che nascondevano qualcosa.
<< Fate pure… >> rispose
Gandalf, sotto lo stupore di tutti, compresi Faramir e Pipino.
<< Se avete da perdere del
tempo, prego… qui non c’è nessuno oltre noi tre. >>
Invitò con la
mano i soldati ad
entrare nella stanza.
Faramir non
osava muovere un muscolo.
Ma non appena il soldato mise la mano sulla maniglia della porta,
lanciò a
Gandalf uno sguardo interrogativo.
Di rimando,
lo stregone gli rispose
sorridendo sereno. Era tutto sotto controllo.
La porta fu
aperta violentemente dal
soldato, avvisato della forza della fuggitiva. Fece qualche passo in
avanti.
Nella stanza
vi erano una candela
mezza usata, ancora accesa, un letto sfatto, mobili in legno e una
finestra
aperta.
Nessuna
traccia di Nolwen.
Prima di
tornare nella stanza
antecedente, il soldato diede un ultima occhiata attorno, persino sotto
il
letto. Ma nulla ancora.
<< Chiedo scusa per l’intrusione signore. Riferirò a sire
Denethor che…
>>
<< …si sbagliava! >> disse severo Faramir.
Accompagnò i
soldati alla porta, con
gentilezza e poi la richiuse dietro di se.
Non ce
l’aveva con loro, infondo
erano solo uomini che eseguivano degli ordini. Non era nulla di
personale.
Si allontanò
velocemente dalla porta,
per andare nella stanza.
Nolwen non
c’era davvero più.
Gandalf e
Pipino si avvicinarono.
Lo stregone
non sembrava stupito, e
Faramir gli chiese il perché.
<< E’ una creatura intelligente. Ha sentito che stavano per
entrare e se
avessimo cercato di ostacolarli ci avrebbero bloccati e sarebbero
entrati
comunque. Con la sola differenza che adesso non staremo qui a farci
domande. Dev’essere
uscita dalla finestra. Ma tornerà, stanne certo. E’ ancora troppo
debole e poi
adesso… ha soltanto noi.>>
Nonostante la
spiegazione, Faramir era preoccupato.
Guardò fuori
dalla finestra, mentre
teneva in mano il lenzuolo sotto il quale Nolwen s’era addormentata il
pomeriggio.
In cuor suo,
sperava che tornasse
presto.
#Nda: Salve! E' passato un bel pò di tempo da quanto ho iniziato
a scrivere questa storia. Precisamente sono quasi due anni. Dopo varii
problemi e dubbi, ho deciso di tornare a dedicarmi alla mia fanfiction
lasciata a metà. Penso si possa notare una notevole differenza rispetto
alle prime stesure, dovuta alle mie esperienze, alla crescita emotiva e
professionale. Spero non crei confusione nella lettura, ma ne dubito.
Chiedo scusa per la lunga attesa, spero che possa ancora piacere il mio
lavoro. Altrimenti continuerò comunque per la mia strada, infondo sono
affezionata a questa storia e voglio darle una fine.
Buona lettura e grazie per aver letto.
Namarie!#
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