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Autore: Keaira Elenath    26/07/2010    3 recensioni
Cosa succederebbe se Sauron avesse avuto la malefica idea di generare discendenti?
Peggio ancora, cosa succederebbe se per farlo, avesse scelto di creare un essere perfetto, traendo da ogni razza ogni beneficio, unendo quindi il suo essere demoniaco con le caratteristiche elfiche e quelle umane?
Questa è la storia di una creatura creata dal male, generata per fare del male, ma che essendo appunto discendente di nobili razze, tra cui quella elfica, è dotata anche di sentimenti e sensazioni.
Un "piccolo" sconvolgimento del mondo di Tolkien, con l'apparizione di una nuova creatura, tra i personaggi storici di quest'opera.
E' la mia prima fanfiction, spero con tutto il cuore che piaccia, anche in minima parte.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Denethor, Faramir, Gandalf, Nuovo personaggio
Note: Alternate Universe (AU), OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Cinque – Who are you?
 
Era scesa la notte su Minas Tirith.
Alla luce della Luna la città assumeva un fascino tutto suo.
Una patina soffice di luce bianca sembrava avvolgere le mura.
Era buio tutto attorno. Le stelle erano nascoste da macchie oscure. Si poteva scorgere solo all’orizzonte una forte tempesta di luci rosse e grandi nuvole, ancora più scure della notte, avanzare verso Minas Tirith.
Nella città c’era silenzio.
Tutti gli abitanti erano chiusi nelle loro case.
Nelle stradine si potevano udire solo i passi lenti delle guardie a cavallo.
Era strano pensare che anni a dietro, in tempi più tranquilli e sereni, in quelle piccole stradine della città, in quelle ore, gli abitanti fossero tutti in strada per festeggiare o semplicemente per passeggiare; Minas Tirith era illuminata da mille torce, e voci di donne e bambini riempivano l’aria della dolce melodia delle loro risate; Il tintinnio di bicchieri che si scontravano per brindare.
Tutto era svanito adesso.
Ora che all’orizzonte una minaccia avanzava incontrastata.
Tra le tante case addormentate e buie, spiccava un’unica finestra ancora illuminata dalla fioca luce del camino. In mezzo a tutto quel buio era ben visibile, molto in alto rispetto a tutte le altre case. La vista dalla finestra di quella casa, affacciava bene su tutta la città e quasi oltre le mura, mostrando un panorama surreale, da sogno.
Accostato alla finestra, un uomo molto alto e dalla lunga barba bianca, scrutava l’orizzonte con aria pensierosa.
Una lieve luce rossastra, proveniente dalla pipa che l’uomo stava fumando, nè svelò lo sguardo: due occhi azzurri, molto chiari, di cui alcune piccole rughe ne sottolineavano la saggezza e allo stesso tempo la forza. 
Seppure Gandalf avesse dimenticato come si fumava, non si arrese.
Tossiva ogni qual volta il fumo arrivava in gola, quasi vicino ai polmoni.
Ma per quanto sgradevole fosse la sensazione, gli ricordava tempi più felici, passati tra i prati della Contea, a volte in compagnia di Bilbo, guardando le stelle e ascoltando il dolce suono della natura.
Senza pensieri così tristi, come la sua mente ora ne era piena. Senza timore per le persone care.
*Bei tempi…* pensò, sorridendo appena.
Il suo sguardo, fisso dritto davanti a se, scrutava oltre le mura della Città Bianca, oltre le rovine di Osgiliath, sulle montagne oscure di Mordor.
Avesse potuto, avrebbe tramutato i suoi occhi in quelli di un falco, e avrebbe sorvolato minuziosamente quelle montagne, alla ricerca di un segno di vita da soccorrere.
O meglio, due segni di vita.
Quelli di Frodo e Sam.
Dei due giovani hobbit non aveva avuto più notizie da un tempo ormai troppo lungo da ricordare, eccetto quelle riferitogli da Faramir.
Avrebbe tanto voluto poterli scorgere da così lontano.
Gandalf pregava che i due hobbit avessero ancora la forza per andare avanti, e che nessuno gli facesse del male.
Eppure confidava in loro. Seppure fossero creature molto piccole, sapeva bene quanta forza di volontà ci fosse negli hobbit, come lo stesso Bilbo Baggins gli aveva dimostrato nel corso degli anni.
In cuor suo, era preoccupato per entrambi, ed un lieve senso di colpa lo accompagnava dal giorno in cui si erano dovuti separare, poiché avrebbe voluto essere lì con loro fino alla fine.
E nonostante questo, sapeva bene che c’era un valido motivo per cui lui ora si trovava a Minas Tirith insieme a Pipino e Faramir, e tutta la gente di Minas Tirith, in attesa di una inevitabile guerra.
Ora più che mai capiva e comprendeva il motivo della sua presenza lì.
Con l’arrivo di Nolwen, la strana creatura piovuta dal cielo, il cerchio iniziava a chiudersi, ogni cosa occupava il suo posto sulla strada tracciata dal destino, e tutto cominciava a essere più chiaro.
Da ciò che Faramir gli aveva raccontato, aveva intuito chi fosse quella ragazza un po’ strana, spuntata fuori dal nulla, salvando la vita del capitano di Gondor.
Ma Gandalf non aveva ancora osato farne parola con Faramir e Pipino, né tantomeno aveva costruito un vero e proprio pensiero a riguardo.
La sua era una sensazione, ma non di quelle comuni tra gli uomini. Bensì qualcosa che solo uno stregone come lui poteva percepire e capire allo stesso modo.
Nella sua mente si era risvegliato un ricordo, non meno importante e legato al destino dell’anello e dell’intera Terra di Mezzo. E altrettanto pericoloso quanto quello di distruggere per sempre l’anello del potere.
Era importante adesso per lui, capire quanto la ragazza sapesse dell’anello, e soprattutto capire bene chi fosse e da dove provenisse. Al momento l’unica certezza per Gandalf era che la sua presenza avesse qualcosa a che fare con l’anello e con Sauron stesso. Il resto era tutto molto vago nella sua mente.
Peccato che il tempo fosse completamente contro di lui: la minaccia di Mordor avanzava ormai sempre più veloce, poteva avvertire la forza maligna che lentamente scendeva sulla città; e nella stessa Minas Tirith covava una minaccia pericolosa e potente, quella del Sovrintendente Denethor, alla ricerca della fuggitiva Nolwen, pronto a tutto pur di trovarla.  
Stavolta, Gandalf ne era sicuro, avrebbe avuto le informazioni che cercava da lei, persino con la forza. Persino sacrificandone la vita.
Non c’era più tempo da perdere, ogni prossima mossa avrebbe dovuto essere cauta ma rapida.
Da grande stregone qual era Gandalf, sarebbe riuscito sicuramente a venire a capo delle informazioni di cui necessitava da Nolwen. Sperava solo che la ragazza gli avrebbe parlato spontaneamente e con sincerità.
Prese un respiro profondo d’aria fresca, come a voler placare l’inquietudine che ormai regnava comoda nel suo animo.
I suoi lunghi capelli bianchi e la barba ondeggiavano con leggiadria al passaggio del vento. Era tutto così tranquillo a Minas Tirith. Fin troppo per i suoi gusti.
E infatti si trattava di una finta-calma, il silenzio che di solito precedeva un grande boato.
 
Un rumore di zoccoli di cavallo attirò l’attenzione di Gandalf.
Rivolse lo sguardo in basso, verso la strada.
Un uomo a cavallo avanzava lentamente nella quiete della città, guardandosi attorno con circospezione.
Il suo volto era coperto dal cappuccio del lungo mantello, posato sulle sue spalle. Su di esso era ricamato l’albero bianco di Minas Tirith.
*Faramir..*.
Il suo incedere lento e silenzioso, gli suggeriva che fosse accaduto qualcosa e non era neanche tanto difficile immaginare con chi...
Faramir era di ritorno dalla Sala del Trono, da una consultazione con sire Denethor.
Era stato convocato da lui a corte, con urgenza.
Facile era anche immaginarne il motivo: la prigioniera era scappata e l'ultimo visto in sua compagnia, e peggio ancora ad aprire la porta della cella, era stato proprio Faramir.
E adesso era di ritorno da quel 'colloquio' durato ore.
Gandalf non se ne era reso conto ma, in effetti, era passato un bel po’ di tempo da quando il capitano era andato via quel pomeriggio.
Si guardò attorno quasi d'istinto, per vedere se qualcuno lo avesse seguito.
Probabilmente era per questo che Faramir procedeva lento e cauto.
Se l’avessero pedinato fin lì, avrebbero trovato quello che Denethor cercava: Nolwen.
Il Capitano fermò il cavallo a pochi passi dall’abitazione in cui vi erano Gandalf, Pipino e Nolwen. Un ultimo sguardo attorno e scese dalla sella. Diede qualche carezza al cavallo e poi si girò per entrare in casa, disinvolto.
Sembrava che nessuno lo avesse seguito.
Una volta entrato, Gandalf si fece avanti, invitando il capitano ad accomodarsi a una delle sedie lì vicine.
<< No, grazie Mithrandir… >> disse Faramir, alzando la mano, fermando la cortesia dello stregone << …Ho cavalcato per ore prima di arrivare qui, per timore di essere seguito, e prima ancora sono rimasto seduto nella Sala del Trono per tutto il tempo del colloquio con mio padre…Ora l’ultima cosa che voglio è sedermi… >>  Sorrise, anche se con molta fatica. C’era ben poco da ridere ormai di tutta la situazione.
<< Io invece mi accomodo. Per tutto il tuo tempo a cavallo e al colloquio con tuo padre, non sono riuscito a restare seduto… >> aggiunse Gandalf, trasformando il faticoso sorriso di Faramir in un vero sorriso.
Poggiando le mani sulla spalliera della sedia di fronte a quella di Gandalf, Faramir si sporse appena a sinistra, cercando di sbirciare nella stanza affianco.
<< Lei come sta? E’ sveglia? Le posso parlare?.. >> continuava a tenere lo sguardo sulla stanza.
Gandalf girò appena la testa, verso la camera << Riposa ancora. Non so se sia il caso di svegliarla... >> Il suo tono di voce era diminuito, quasi avesse paura di svegliare la ragazza << Aveva delle notevoli ferite su gran parte del corpo. Le ho curate meglio che potessi, ma sembrano ferite che non spariranno così facilmente. >> Spostò lo sguardo verso Faramir.
E così fece anche il capitano, incuriosito dalle parole di Gandalf.
<< Deve avere sofferto molto, sarebbe meglio se riposasse più che può. Anche se, io personalmente vorrei rivolgerle alcune domande molto importanti. E il tempo scarseggia. Ma come dicevo, per ora è meglio aspettare.>>
Faramir annuì lentamente. Capiva quello che voleva dire Gandalf, neanche lui avrebbe avuto il coraggio di disturbare il sonno di Nolwen. Certo avrebbe tanto voluto saperne di più su di lei, capire chi fosse, da dove venisse, come si chiamasse…
<< Adesso puoi dirmi cosa c’entra Sauron con… lei? >> chiese a Gandalf, ricordandosi di una frase che egli stesso aveva detto quel pomeriggio, riferito a Sauron e ad un pericolo che rappresentava.
Gandalf non si aspettava quella domanda, attese un po’ prima di rispondergli, sapendo che doveva pesare bene ogni parola, perché poteva essere frainteso.
<< Ho il sospetto che Sauron abbia un qualche legame con questa ragazza. Ora non so spiegarti il perché, ma c’è qualcosa nella mia mente, un ricordo lontano… qualcosa sussurrato al mio orecchio quando non ero ancora qui…>> i pensieri nella sua mente ripresero a marciare, cercando di ricordare quando e dove, ma era praticamente impossibile. Era come voler ricordare il momento della propria nascita, e i primi anni di vita… impossibile.
Tornò a fissare Faramir, e gli sorrise confortante.
<< Forse mi sbaglio, ed è una normalissima ragazza con un grande coraggio e una notevole forza.>>
Ma entrambi non potevano fare a meno di pensare che aveva salvato la vita di Faramir, lottando contro un gruppo di orchi. 
Una qualsiasi ragazza avrebbe potuto si avere il coraggio di restare e combattere, ma le probabilità di sopravvivere non sarebbero esistite.
Doveva a tutti i costi esserci qualcosa di particolare in Nolwen.
La forza sorprendente era solo uno degli interrogativi inspiegabili.
<< Ha parlato in elfico quando eravamo nella cella.>> disse Faramir <<In un primo momento non avevo capito, ma dopo un pò dal suono l’ho riconosciuto. Era elfico, ne sono sicuro…>>
Gandalf annuì << Si, era elfico. Ti aveva chiesto di dirle dove si trovava. L’ho sentito… >>
<< Ma…>> Faramir esitò << …non ha le sembianze di un elfo. Non ne ho mai visti in carne e ossa, so solo quello che narrano le nostre storie, e ricordo come li descrivono. E lei…l’hai vista anche tu Mithrandir, non sembra affatto un elfo. In più ha quelle ali nere… come quelle di un drago.>>
<< No, hai ragione…>> rispose Gandalf << …tuttavia ha parlato in elfico antico, e non è una lingua usata da chiunque.>>
Più i due cercavano risposte alle loro domande, ragionando tra loro sulle varie eventualità, più non riuscivano a venire a capo di chi e cosa fosse quella ragazza.
Alla fine, Faramir si sedette, volgendo lo sguardo verso la camera dove riposava la loro ospite.
 
Pipino si era addormentato su di una panca ai piedi del letto dove dormiva Nolwen, imbottita di coperte per rendere soffice come un materasso il ripiano.
A vederli sembrava quasi che il piccolo hobbit fosse lì di guardia.
Aveva un espressione beata mentre dormiva. Strano come riuscisse a dormire così tranquillo, mentre fuori incombeva una guerra, e peggio ancora la distruzione dell’intera umanità.
Non che questo facesse dell’hobbit un essere superficiale, ma più che altro incorreggibile.
La giovane ragazza invece, sembrava avere un sonno piuttosto agitato. Si girava e rigirava nel letto in continuazione, a volte aveva dei piccoli scatti, rimbalzando sul letto come se vi fosse caduta sopra da metri di altezza.
Era profondamente addormentata, ma la sua mente anziché riposare, era tormentata dalla voce di Sauron che le parlava in continuazione.
<< Sei andata via da me. Tu sei mia, il tuo posto è al mio fianco, la tua casa è qui. Nessuno ti vorrà con se, dovunque andrai, perché appartieni a entrambi e nessuno dei figli di Eru. Verrò a prenderti!>>
Con questa frase che rimbombava nelle sue orecchie, Nolwen si svegliò ancora una volta di soprassalto. Sedette sul letto, guardandosi attorno spaesata.
Per un attimo non ricordava come fosse arrivata lì.
I suoi occhi chiarissimi scrutarono la stanza per ogni centimetro, e le sue orecchie erano pronte ad udire un qualsiasi rumore che potesse darle un orientamento.
Lentamente cominciò a collegare gli avvenimenti, e a ricordare.
Avvicinò le mani al viso, coprendo gli occhi.
Quella voce nella sua mente era un vero tormento.
La sua testa non ne poteva più, sentiva che era sul punto di esplodere.
Con gli occhi chiusi spostò le mani verso le tempie, massaggiando con movimenti circolari la testa.
Una specie di meditazione, per  placare il dolore e riprendere il controllo di se stessa.
Per quanto tempo fosse rimasta immobile in quella meditazione, non si sa.
Tuttavia alzando lo sguardo verso la porta, dove Gandalf e Faramir esitavano, Nolwen intuì che le era sfuggito il controllo, lasciando che la meditazione durasse più del previsto.
Rimase a fissare i due per un bel po’, in silenzio.
Non si muoveva; il suo sguardo non lasciava trasparire la minima emozione.
 
<<Ben svegliata…>> Gandalf e Faramir, erano fermi vicino alla porta della camera. Fissavano la ragazza.
Nolwen non aveva avvertito la loro presenza prima di quel momento, cosa che di solito non succedeva dato che ogni suo senso era perfetto, e niente poteva avvicinarsi a lei senza che se ne accorgesse.
Mentre meditava queste capacità diminuivano.
Non disse nulla inizialmente. Alzò lo sguardo e spostò le mani dalle tempie, tornando a posarle sul letto su cui era seduta.
Fissò i due volti: prima quello di Gandalf, in cui riconobbe qualcuno di cui Sauron le aveva parlato.
Non era certissima che si trattasse di lui.
Se fosse stato lui, lo stregone che voleva eliminare l’intero mondo che le apparteneva, avrebbe dovuto prendere in fretta una decisione ed agire.
Non essendo sicura però che si trattasse proprio di lui, decise di prendersi del tempo e analizzare bene la situazione.
Poi spostò lo sguardo su Faramir.
Il capitano aveva catturato la sua attenzione sin dal giorno prima, riuscendo a incuriosirla. Le era difficile distogliere lo sguardo da quell’uomo. Forse perché non ne aveva mai visti da così vicino, ed erano a suo parere strani quanto affascinanti quelle ‘creature’.
Inoltre lui e la sua razza erano quelli che più si avvicinavano al suo aspetto fisico, facendola sentire parte di qualcosa.
Ancora meno facile era distrarsi da lui, ora che si fidava un po’ di più.
Ricordava che era stato grazie a quell’uomo se era uscita da quella stanza gelida.
Ricordava la sua mano tesa.
Un semplice gesto, che le aveva trasmesso un grande senso di sicurezza. La stessa che adesso provava attraverso il suo sguardo.
Faramir, anche lui, non poteva fare a meno di fissare con una certa attenzione la ragazza. C’erano così tante cose che non sapeva di lei, e le poche cose che aveva potuto vedere erano talmente fuori dall’ordinario, da non poter fare altro che aumentare la voglia di parlarle e conoscerla.
Gli fu difficile trattenere tutte le domande che voleva porre.
<< Capisci quello che dico?>> disse in elfico Gandalf, distogliendo l’attenzione di Nolwen da Faramir.
Lo fissò per un attimo.
<< Si… stregone…>> rispose Nolwen, - sempre in elfico- con un pizzico di durezza nella sua voce, e guardandolo con uno sguardo investigativo.
Quel nomignolo lo disse di proposito, cercando una reazione nell’uomo.
Era chiaro che non si fidava molto di Gandalf.

La sua mente era stata riempita per anni dalle menzogne di Sauron, riguardo uno stregone molto potente e tutti gli abitanti della Terra di Mezzo. Bugie che per lei potevano essere verità e viceversa.
Ed era proprio perché non sapeva quanto ci fosse di vero in quello che le era stato detto che si trovava lì adesso, e rischiava la sua vita.
Il dubbio le era nato nel cuore un giorno di autunno, qualche mese prima.
 
Si trovava in perlustrazione con un gruppo di orchi, alla ricerca dell’unico anello, dopo una soffiata da parte di uno dei tanti servi di Sauron, e furono colti di sorpresa.
Un agguato degli elfi, in cui molti morirono, tra orchi ed elfi.
Stava combattendo con la spada contro uno di loro, aveva l’armatura addosso compresa di elmo che le copriva il volto lasciando visibili solo le labbra e il mento, era difficile riconoscere il suo vero aspetto - anche perché sporca di terriccio e con qualche graffio - decisamente diverso da quello di un orco.
Durante il combattimento il suo elmo venne colpito violentemente dallo scudo del suo avversaio.
Si ruppe per metà, ed essendo di metallo, per evitare di farsi più male di quanto giù se n’era fatta, lo sfilò via velocemente, gettandolo per terra.
L’elfo di fronte a lei, preso dallo stupore, perse la concentrazione e fu ferito.
Nolwen rimase ferma dinanzi a lui, puntandolo con la spada, in attesa del da farsi, incerta se fosse giusto o meno mettere fine alla sua vita.
Quello fu il primo segno che qualcosa non andava bene.
Non si era mai tirata indietro davanti al nemico.
Ma quell’elfo… il modo in cui l’aveva guardata dal momento in cui aveva svelato il suo volto…
Era davvero stupito di quello che aveva visto.
Poteva leggere sul suo volto le domande e lo stupore.
Era per quello che Sauron le aveva sempre raccomandato di tenere l’elmo davanti ai nemici?
La spada le cadde dalle mani.
Si sentiva come mai in vita sua, agitata e senza sicurezze, completamente sperduta. Il volto di quell’elfo, la sensazione di bontà che emanava, la fierezza, la giustizia erano tutte cose a cui non aveva mai fatto caso in tutti quegli anni. Non aveva occhi rossi e desiderosi di vendetta come tutte le creature che l’avevano sempre circondata. I suoi occhi, limpidi e chiari, cercavano solo pace. Lo avvertiva.
E la luce bianca da cui sembrava avvolto ne evidenziava ancora di più le qualità buone e giuste.   
Fece qualche passo indietro, allontanandosi dall’elfo che continuava a guardarla sgomento.
Era sicuro che non si trattasse di un orco o di una magia, perché se così fosse stato lui sarebbe già morto. Nessun orco o servo di Sauron avrebbe mai esitato.
<< Chi sei? >> le chiese sconvolto.
<< Cosa ci fai con questi orchi? Perché combatti contro di noi? >>
Sul viso di Nolwen caddero alcune lacrime di cui non si accorse, troppo terrorizzata.
E mentre cercava di allontanarsi il più possibile da lì, lottando con se stessa visto che una parte di lei voleva restare e capire perché quell’elfo le faceva quelle strane domande, un orco si avvicinò correndo alle sue spalle, impugnando un grande martello di metallo.
Nolwen si sentiva disorientata per spostarsi, restò ferma ad attendere che quell’essere si avvicinasse.
Il suo obbiettivo era l’elfo.
Rimase a guardare tutta la scena dall’inizio alla fine.
L’elfo non parlava, non chiese pietà, non chiese aiuto nemmeno a lei, anche se Nolwen poteva leggere nel suo sguardo una richiesta di aiuto.
Ancora le domande dell’elfo le frullavano nella mente.
Era strano come fosse riuscito in pochi attimi a disorientarla.

La verità era che quelle domande se l’era poste anche lei, più volte. Ma vedendo che nessuno attorno faceva lo stesso o avesse risposte, non aveva mai approfondito.
Improvvisamente sfilò dalla cintura un coltello dall’aspetto elegante, somigliava ad uno di quelli elfici, fece un piccolo giro su se stessa e trafisse con forza sul fianco l’orco che era ormai giunto davanti all’elfo, pronto per ucciderlo.
L’orco rimase un attimo pietrificato, emanò un forte urlo di dolore, guardando con stupore fisso negli occhi Nolwen.
Dopotutto era il suo capitano.
Dall’armatura squarciata dell’orco iniziò ad uscire rapidamente del sangue nero. Dopo pochi istanti, il corpo in fin di vita cadde violentemente per terra, portando con se il pugnale di Nolwen.
L’elfo, ancora disteso per terra, rimase immobile ad osservare la scena.
Nolwen, anch’essa completamente ferma, abbassò lo sguardo verso le sue mani ricoperte di sangue.
Si sentiva terrorizzata, forse per la prima volta in vita sua.
Sbarrò gli occhi, ormai lacrimanti.
Aveva ucciso uno dei soldati sotto il suo comando, per risparmiare la vita di un elfo.
Girò lo sguardo verso di lui.
Lo guardò impaurita, cercando una parola di conforto, un qualcosa che potesse spiegare cosa fosse accaduto.
Ma prima che l’elfo potesse dire qualcosa, un forte suono proveniente dal corno degli orchi, riecheggiò nell’aria attorno a loro.
Istintivamente Nolwen aprì le ali e si alzò in volo.
Non voleva restare lì neanche un minuto di più. Era troppo terrorizzata.
Tenne sempre lo sguardo sull’elfo mentre si alzava sempre di più nel cielo, finchè non lo vide più.
Da quel giorno il dubbio si era insinuato tra i suoi pensieri.
 
Tornò con la mente al presente.
Gandal e Faramir la guardavano ancora, in attesa di una sua parola.
Intanto Pipino si era svegliato. Anche lui la guardava, solo che il suo sguardo era più rilassato.
Sembrava volesse sorriderle.
<< Mi conosci dunque? Sai chi sono? >> chiese d’un tratto Gandalf, incuriosito dal modo in cui l’aveva chiamato qualche istante prima la ragazza.
Lei annuì.
<< Credo di si, Olòrin… >>
I due si guardarono, entrambi stupiti.
Nolwen stessa non sapeve bene perché lo aveva chiamato con quel nome.
Gandalf era visibilmente colpito. Quel nome non era usato da anni. Solo in Valinor si era sentito nominare.
Questo crebbe ancora di più la curiosità verso di lei da parte dello stregone.
E lo stesso accadde a Nolwen verso se stessa.
Sembrava conoscesse cose di cui non sapeva nulla. Come fossero racchiuse nel profondo del suo animo.
La reazione di Gandalf le aveva confermato che poteva trattarsi proprio di lui.
Faramir, osservando entrambi, cercava di capire cose stesse succedendo.
Dal momento in cui la ragazza aveva pronunciato quel nome, Gandalf era rimasto in silenzio, visibilmente confuso per poter parlare ancora.
Il capitano e Pipino si scambiarono un’occhiata interrogativa. Nessuno dei due capiva cosa stava a significare quel nome.
<< Il tuo nome invece qual è? >> la voce piccola e serena di Pipino interruppe il silenzio che aveva riempito la stanza. Usava il linguaggio corrente, quello che tutti parlavano e potevano capire. Probabilmente pensando che lei lo capisse.
<< Io sono Peregrino Tuc, ma tutti mi chiamano Pipino. >> continuò l’hobbit, indicando se stesso.
<< Lui è il capitano Faramir… penso vi conosciate già… >> facendo un cenno col capo verso il capitano, Pipino andava avanti con le presentazioni.
Alla fine arrivò il turno di Gandalf.
Ma prima che potesse parlare, Nolwen lo interruppe.
<< Nolwen… >> indicò se stessa.
Pur non capendo appieno il linguaggio degli uomini, aveva capito quello che stava dicendo Pipino, anche attraverso il linguaggio dei gesti.
Gandalf parve riprendersi dal suo stato di trance in cui si era rinchiuso pensando alla ragazza.
Guardò Nolwen ancora una volta. Il suo nome non gli era familiare.
Questo era il motivo per cui si sentiva leggermente infastidito. Lei pareva conoscere tutto di lui. E lui, per quanto si sforzasse, ancora non ricordava niente di lei.

In realtà non sapeva che neanche lei infondo sapeva poi tanto, ed era ancora in dubbio su Gandalf.
Ogni informazione ricevuta sino a quel momento, le diceva che era proprio lui lo stregone di cui Sauron le aveva sempre parlato.
Eppure cercava di nascondere a se stessa questa realtà.
L’aspetto candido e i modi gentili di Gandalf, le rendevano difficile credere che potesse essere un mostro.
Qualcosa che diede di nuovo da pensare a Nolwen, sulla veridicità delle parole di Sauron.
Gandalf chiese scusa, e si ritirò nella stanzetta accanto, sedendosi davanti al camino, più pensieroso che mai.
Non era pronto per sapere tutto riguardo Nolwen. Doveva cercare di farsene una ragione. Al momento opportuno, era sicuro, avrebbe ricordato.
<< Nolwen… bel nome! >> rispose Pipino.
<< Sembra elfico… >> continuò, guardando Faramir.
Improvvisamente si sentì un brontolio nella stanza.
Faramir e Nolwen si voltarono verso Pipino.
Era il suo stomaco.
<< Ehm, chiedo scusa. Credo che adesso farò uno spuntino… >> disse dirigendosi verso le borse posate vicino al tavolo in legno. Dentro v’era una piccola parte di provviste.
Erano troppe ore che Pipino non toccava cibo. Era affamato.
Rimasero solo Nolwen e Faramir in quella stanza.
Il capitano non voleva andare via e lasciarla sola. Non voleva neanche farle domande.
Non in quel momento.
Adesso sapeva il suo nome, e tanto gli bastava.
E poi era sicuro che mille domande l’avrebbero indispettita.
Nolwen si girò sul letto, mettendo i piedi sul pavimento. La superficie era persino più calda rispetto ai suoi piedi freddi. Ma non li ritirò su.
Voleva gustare quel contatto tra la sua pelle ed il pavimento in marmo fino alla fine.
Osservò i suoi piedi e le sue gambe. Li avevi usati di più nelle due giornate precedenti, che in tutta la sua vita.
Faramir si avvicinò e sedette sul letto, accanto a lei.
Nolwen distolse lo sguardo da terra, spostandolo sul capitano.
Eccoli lì, di nuovo… i suoi occhi. Il suo sguardo era riuscito di nuovo ad attirarla.
Lo stesso succedeva a Faramir.
Questi, per un attimo, esitò, distogliendo lo sguardo da quello di Nolwen e ripensando alle parole del padre e di Gandalf.
Se era vero che Nolwen aveva un legame con Sauron, era probabile che avesse qualche potere simile a quello dell’anello? Un potere che attirava in modo indescrivibile chiunque si avvicinasse troppo e tirava fuori la parte malvagia di una persona?
Tornò con lo sguardo su quello della ragazza.
Lei era ancora lì che lo fissava. I suoi occhi sembravano così innocenti, come l’espressione sul suo viso.
Niente dava a vedere che potesse essere un arma del male.
Eppure lui aveva visto di cosa era capace.
Pensandoci bene, se era davvero un’arma di Sauron, era perfetta.
Nessuno avrebbe sospettato di lei, così minuta, palesemente debole. Avrebbe potuto sorprendere tutti, sterminandoli con semplicità.
Eppure, più la guardava, più questi suoi sospetti – fondati, con tanto di prove - non riuscivano a trovare appiglio.
Tutto quello che gli suscitava era un grande senso di protezione.
Desiderava proteggerla, anche se non sapeva bene da cosa.
Sollevò una mano, portandola vicino al viso di Nolwen.
Lei ebbe un piccolo scatto indietro, non riuscendo a capire quel gesto. Ma poi, rassicurata dallo sguardo di Faramir e dal suo sorriso, si rilassò.
La mano del capitano si fermò accanto alla sua guancia.
L’accarezzò con la parte esterna della mano, con quattro dita, sfiorando appena la sua fredda pelle con dolcezza.
Era la prima volta che Nolwen riceveva un gesto simile.
Non sapeva cosa pensarne. Ma le piaceva.
Sentì il suo viso riscaldarsi, proprio nel punto in cui Faramir l’aveva accarezzata.
Anche questo era la prima volta che succedeva.
Socchiuse gli occhi, assaporando quella sensazione, lasciandosi trasportare da pensieri affettuosi, a lei del tutto sconosciuti.
Per la prima volta si sentiva libera, fluttuante, quasi al sicuro.
Il capitano continuò ad osservarla. Era di una bellezza unica.
Si chiese perché non potesse essere proprio quello il motivo per cui ne era così attratto.
Si chiese anche come avrebbe potuto una creatura così bella essere legata a Sauron.
Ma lasciò le risposte a quelle domande ad un altro momento.
Ora tutto quello che voleva era riposare la mente e il corpo. Erano stati due giorni sfiancanti.
Abbassò la mano e si stiracchiò appena con la schiena.
Nolwen riaprì gli occhi lentamente.
La fine di quel contatto l’aveva riportata nuovamente alla realtà.
Guardò Faramir. Il suo viso era nascosto in parte dai capelli castani che gli ricadevano in avanti, ma aveva notato che era stanco o comunque molto affaticato.
Esitando più volte con la mano, cercò di ricambiare quel gesto, quella carezza.
Pensava che se aveva fatto sentire lei così leggera e al sicuro , avrebbe potuto trasmettere la stessa sensazione a lui.
Ma la sua mano si fermava sempre a metà percorso.
Aveva timore. Una delle pochissime volte in vita sua in cui aveva timore di qualcosa.
Faramir aveva notato tutti i suoi movimenti, e aveva iniziato a ridere, divertito dalla sua indecisione.
Prima che Nolwen mettesse giù la mano arrendendosi, lui l’afferrò con sicurezza, con la sua mano.
La strinse appena.
La ragazza ebbe un piccolo sobbalzo. Adesso lo guardava incuriosita.

Ancora una volta, la mano di Nolwen fu avvolta dal calore della pelle del capitano.
Attirò piano la mano della ragazza verso di lui, avvicinandola al suo viso, alla sua guancia, in modo che le dita di Nolwen la sfiorassero.
Ripete l’azione, dall’alto al basso, per due volte, molto lentamente.
Alla terza, lasciò la sua mano.
Nolwen continuò da sola ad accarezzargli la guancia.
Sentiva la leggera sensazione di ruvido dovuta alla barba di Faramir. Tuttavia la sua pelle era soffice.
Dopo un po’, Faramir riportò la sua mano su quella di Nolwen. La fermò sulla sua guancia, mentre l’accarezzava. Si sentiva già un po’ più sollevato.
Girando lo sguardo verso di lei, le sorrise.
<< Hai l’aria di una persona che non ha mai ricevuto una carezza… >> le disse.
Sapeva che non capiva bene, ma non importava, perché sapeva anche che in qualche modo riusciva a comprendere.
E difatti Nolwen capì cosa voleva dirle.
Cercò di sorridere, come aveva fatto il giorno prima, e fece un piccolo cenno con la testa, annuendo alla sua affermazione.
<< Hantale (Grazie) >> le disse Faramir, per averlo salvato il giorno prima.
All’improvviso Nolwen si trasse indietro, liberandosi la mano dalla presa di Faramir.
Si guardò attorno. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione, un suono molto sottile. Percettibile solo da orecchie molto sensibili.
Si alzò in piedi, seguita da Faramir, il quale non riusciva a capire cosa le stesse succedendo.
<< Cosa c’è…? >> le chiese, ma senza risposta.
Gandalf e Pipino li raggiunsero nella stanza, dopo aver sentito la voce del capitano e dopo aver visto gli strani movimenti della ragazza.
Finchè una voce imponente invase l’intera stanza, facendo tremare tutto, muri e pavimenti compresi.
<< Torna da me! >> era il linguaggio oscuro di Mordor.
Solo udirlo era un male per le orecchie.
Pipino e Faramir si coprirono le orecchie, completamente infastiditi da quella voce.
Era come se le loro orecchie fossero state pervase da un suono troppo forte.
Gandalf resistette, e guardò la reazione di Nolwen.
Lei si era avvicinata alla finestra, guardando fuori. Non sembrava spaventata.
Era chiaro che capiva quello che era stato detto.
Anche Gandalf si affacciò alla finestra, e vide che fuori per le strade della città buia, era uscita la metà delle persone, dalle loro case.
Quella voce doveva aver scosso l’intera città, e dovevano averla udita tutti.
Le persone erano spaventate, cercavano informazioni l’uno dall’altro riguardo quello che era successo. Nessuno però poteva dare risposte certe, tutti ipotizzavano ad un attacco da parte di Mordor.
Non sarebbe stato niente di cui preoccuparsi se di lì a poco non fossero arrivate le guardie di Minas Tirith.
Si dirigevano proprio verso l’abitazione in cui si trovavano Gandalf, Pipino, Faramir e Nolwen.
Denethor probabilmente aveva di nuovo fatto uso del Palantir.
Lo stregone si voltò velocemente verso Nolwen e posò le sue grandi mani sulle spalle della ragazza.
<< Devi dirmi tutto adesso! Prima che le guardie ci raggiungano e ti portino via. Chi sei tu?!? >>
Alla fine aveva alzato troppo la voce.
Nolwen era rimasta a fissarlo. Così come Faramir e Pipino.
Lei ancora non parlava, guardava fuori e poi si rigirava verso Gandalf.
Alla fine riprese il controllo di se stessa.
Portò le mani su quelle di Gandalf, le strinse forte, facendogli male, e le spostò.
<< Mankoi lle irma sint? (Cosa desideri sapere?) >> gli chiese, con un tono serio e altezzoso.
<< Im Nolwen (Io sono Nolwen)… Avo ista man im (Non so chi sono) >> lo sguardo di Nolwen si fece più triste e la voce meno altezzosa, era adesso un po’ tremolante.
Era sincera.
Non sapeva più chi era.
A quale popolo apparteneva.
Dov’era la sua casa.
Fidarsi di quell’uomo, quello stregone, poteva essere un grande rischio se quello che Sauron le aveva detto era vero.
Se non fosse stato vero però non sarebbe cambiato poi tanto. Sapere che lei era una creatura di Sauron l’avrebbe fatto insospettire e probabilmente l’avrebbe rinchiusa di nuovo in quella stanza.
Se adesso era lì, in tutti i confort di quella stanza, lo doveva al fatto di aver salvato Faramir.
Guardò un ultima volta il capitano.
Si scambiarono entrambi uno sguardo pieno di domande.
Poi tornò a guardare Gandalf. Lasciò le sue mani.
<< Io sa gad nin (Fa che mi prendano) >> disse Nolwen, tornando ad assumere un atteggiamento coraggioso e fiero.
Gandalf la scrutò confuso per un po’.
Alle mille domande che si poneva su di lei, se ne aggiunsero altre mille.
Quella creatura non era lì per distruggerli. Almeno questo gli fu finalmente chiaro.
Lo capì dallo sguardo della ragazza di poco prima. Aveva visto la sua debolezza. Era forte fisicamente, ma la sua mente era fragile.
Aveva bisogno anche lei di risposte probabilmente.
<< Aprite questa porta, in nome del Sovrintendente di Gondor! >> due colpi alla porta e dopo quella voce si udirono a pochi passi da dov’erano loro.
Faramir e Gandalf si guardarono. Senza che dicessero nulla, si spostarono per la casa, in silenzio, raccogliendo le borse e sistemando le robe in modo che nessuno sospettasse di nulla.
<< Dartha lle ennas. Nauth nin. (Resta lì. Ci penso io.) >> disse Gandalf a Nolwen, parlando sottovoce.
La ragazza rimase senza parole, insicura.
Sedette di nuovo al letto, tirando verso di se le lenzuola.
Gandalf lasciò la stanza, chiuse la porta dietro di se e sedette ad una delle sedie che erano attorno al tavolo. Faramir e Pipino erano anch’essi lì seduti.
Il piccolo hobbit si alzò per avvicinarsi alla porta. L’aprì.
Un soldato alto e robusto fece qualche passo in avanti nella stanza, scostando con maleducazione il piccolo mezz’uomo, senza nemmeno chiedere se potesse entrare.
Quando vide che lì v’era anche il capitano Faramir, lasciò quell’aria altezzosa e fece il suo saluto militare.
<< Cosa succede qui? >> chiese subito Faramir.
<< Signore, ci manda il Sovrintendente. Dice che qui dentro si nasconde la fuggitiva, signore. >> il soldato restò sull’attenti. Alle sue spalle si aggiunsero altri due soldati.
Fuori dalla porta ce n’erano di sicuro altri due.
<< Qui ci siamo solo noi tre… >> disse con fermezza Faramir.
Il soldato che aveva parlato, lanciò uno sguardo alla porta della stanzetta affianco. Ma non osò parlare.
Scambiò un’occhiata con il suo compagno, al suo fianco, e tornò con lo sguardo sul capitano.
<< Dobbiamo controllare quella stanza signore… >> indicò la porta << …è un ordine del Sovrintendente. Lui… sapeva che lei era qui. Mi ha autorizzato ad ignorare i suoi ordini. >>
Era palesemente a disagio in quella situazione. Dover disobbedire agli ordini del suo capitano, era qualcosa che non avrebbe mai immaginato di poter fare. Tuttavia rispondeva anche agli ordini del Sovrintendente.
Faramir non osò girare lo sguardo verso Gandalf, il quale rimase immobile.
Non sapeva cosa fare, se avesse fatto una minima mossa, avrebbe dato a vedere che nascondevano qualcosa.
<< Fate pure… >> rispose Gandalf, sotto lo stupore di tutti, compresi Faramir e Pipino.
<< Se avete da perdere del tempo, prego… qui non c’è nessuno oltre noi tre. >>
Invitò con la mano i soldati ad entrare nella stanza.
Faramir non osava muovere un muscolo. Ma non appena il soldato mise la mano sulla maniglia della porta, lanciò a Gandalf uno sguardo interrogativo.
Di rimando, lo stregone gli rispose sorridendo sereno. Era tutto sotto controllo.
La porta fu aperta violentemente dal soldato, avvisato della forza della fuggitiva. Fece qualche passo in avanti.
Nella stanza vi erano una candela mezza usata, ancora accesa, un letto sfatto, mobili in legno e una finestra aperta.
Nessuna traccia di Nolwen.
Prima di tornare nella stanza antecedente, il soldato diede un ultima occhiata attorno, persino sotto il letto. Ma nulla ancora.
<< Chiedo scusa per l’intrusione signore. Riferirò a sire Denethor che… >>
<< …si sbagliava! >> disse severo Faramir.
Accompagnò i soldati alla porta, con gentilezza e poi la richiuse dietro di se.
Non ce l’aveva con loro, infondo erano solo uomini che eseguivano degli ordini. Non era nulla di personale.
Si allontanò velocemente dalla porta, per andare nella stanza.
Nolwen non c’era davvero più.
Gandalf e Pipino si avvicinarono.
Lo stregone non sembrava stupito, e Faramir gli chiese il perché.
<< E’ una creatura intelligente. Ha sentito che stavano per entrare e se avessimo cercato di ostacolarli ci avrebbero bloccati e sarebbero entrati comunque. Con la sola differenza che adesso non staremo qui a farci domande. Dev’essere uscita dalla finestra. Ma tornerà, stanne certo. E’ ancora troppo debole e poi adesso… ha soltanto noi.>>
Nonostante la spiegazione, Faramir era preoccupato.
Guardò fuori dalla finestra, mentre teneva in mano il lenzuolo sotto il quale Nolwen s’era addormentata il pomeriggio.
In cuor suo, sperava che tornasse presto.





#Nda:  Salve! E' passato un bel pò di tempo da quanto ho iniziato a scrivere questa storia. Precisamente sono quasi due anni. Dopo varii problemi e dubbi, ho deciso di tornare a dedicarmi alla mia fanfiction lasciata a metà. Penso si possa notare una notevole differenza rispetto alle prime stesure, dovuta alle mie esperienze, alla crescita emotiva e professionale. Spero non crei confusione nella lettura, ma ne dubito. Chiedo scusa per la lunga attesa, spero che possa ancora piacere il mio lavoro. Altrimenti continuerò comunque per la mia strada, infondo sono affezionata a questa storia e voglio darle una fine.
Buona lettura e grazie per aver letto.
Namarie!#
  
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